11 giugno, 2020

11 giugno 1930 - Johnny Glasel dalla tromba alla composizione

L’11 giugno 1930 nasce a New York il trombettista Johnny Glasel. Comincia a studiare musica da ragazzo perfezionandosi alla Yale School Of Music e, successivamente, all’Università della stessa Yale. Le sue prime esperienze con il mondo del jazz risalgono all'immediato dopoguerra quando entra a far parte della Scarsdale Jazz Band, un gruppo formato da studenti e diretto da Bob Wilber che prende il nome dall'omonimo quartiere di New York. Con questo gruppo, del quale fanno parte elementi del valore di Ed Hubble, Bob Mielke, Dick Wellstood, Glasel registra, ad appena 15 anni di età, i suoi primi dischi per la Riverside, tra cui China Boy che contiene un suo notevole intervento solistico. All'inizio degli anni Cinquanta si riconverte alla musica classica lavorando regolarmente con la New Haven Symphony Orchestra e con vari gruppi di musica da camera. A riportarlo al jazz è ancora una volta Bob Wilber, che lo inserisce in The Six, il gruppo con cui suona al Jimmy Ryan's, il celebre cabaret di New York. Nel 1956 viene ingaggiato dall'orchestra di Glenn Miller, all'epoca diretta da Ray McKinley. Alla fine di quell’anno forma una propria orchestra con la quale si esibisce in vari locali di New York, avvalendosi della collaborazione del pianista-arrangiatore Dick Cary. Verso la fine degli anni Cinquanta suona con l'orchestra di Bill Russo, ma progressivamente i suoi interessi si spostano verso la composizione di musiche per film e riviste.

10 giugno, 2020

10 giugno 1926 – Gaudì, l’architetto di Dio

Il 10 giugno 1926 muore in circostanze drammatiche Antoni Gaudì, il progettista della Sagrada Familia di Barcellona, l’uomo che è stato chiamato “l’architetto di Dio”. Antoni Plàcid Guillem Gaudì y Cornet, questo è il suo nome completo, nasce il 25 giugno del 1852 a Reus, vicino a Tarragona, da Francisco Gaudì e Antonia Cornet y Beltran. Discendente di calderai negli anni successivi affermerà che le sue capacità, la sua inventiva e la sua fantasia non sono altro che la proiezione della tradizione della famiglia perché proprio i calderai sono artigiani capaci di vedere un oggetto tridimensionale da una lastra di metallo. Dopo aver frequentato il collegio dei Padri Scolopi di Reus passa alla Facoltà di Scienze dell'Università di Barcellona e a ventidue anni viene ammesso alla Scuola Superiore di Architettura di Barcellona, dove acquisisce una preparazione tecnica e storica basata sull'analisi dei monumenti antichi e dove si diploma nel 1878. Contemporaneamente frequenta corsi di estetica e filosofia, interessandosi anche di teatro, musica, biologia e medicina. In quegli anni inizia a sperimentare e studiare le forme romaniche e rinascimentali, gli ornamenti moreschi e i temi dell'architettura navale. Non si limita però agli studi. Per le modeste condizioni economiche della famiglia cerca di mantenersi lavorando negli studi di alcuni architetti come Juan Martorell, da cui attinge la predilezione per lo stile goticheggiante, Francisco Del Villar, il primo progettista del Tempio della Sagrada Familia, e con Josep Fontserè y Mestres il realizzatore del Parco della Cittadella, un giardino pubblico costruito sul sito dell'antica cittadella fortificata demolita nel 1854. La sua carriera di architetto è caratterizzata dall'elaborazione di forme straordinarie e imprevedibili, realizzate utilizzando i più diversi materiali (mattone, pietra, ceramica, vetro, ferro), da cui sa trarre il massimo delle possibilità espressive. La sua prima costruzione è la casa Vincens a Barcellona del 1878, cui segue il palazzo Guëll, sempre nella capitale catalana, oggi in parte modificato. Nel 1883 inizia sempre a Barcellona i lavori della chiesa della Sagrada Familia, commissionatagli dall’Associación Espiritual de Devotos de San José, considerata l’apogeo del suo genio e rimasto incompiuto. Proprio la costruzione di questa cattedrale diventa il sogno e l’incubo della sua esistenza al punto che decide di vivere direttamente all'interno del cantiere, conducendo una vita quasi da barbone. Il 7 giugno del 1926 viene investito da un tram. Nessuno lo riconosce e il suo aspetto randagio e trascurato porta i soccorritori a credere di trovarsi di fronte a un povero vagabondo. Lo raccolgono e lo trasportano all'ospedale della Santa Croce, un ospizio per i mendicanti fondato dai ricchi borghesi della Catalogna. Proprio lì lo trova il giorno dopo il cappellano della Sagrada Familia. Le ferite riportate nell’incidente sono gravi e il 10 giugno Antoni Gaudì muore. I suoi funerali, tenutisi in forma ufficiale, vedono la partecipazione di migliaia di Barcellonesi che dal quel momento iniziano a chiamarlo “l'architetto di Dio”. Le sue spoglie vengono tumulate in una cripta nella Sagrada Familia.

07 giugno, 2020

9 giugno 1991 – Un incontro fortunato per i Radiohead

Il 9 giugno 1991 Keith Wozencroft, un rappresentante di dischi della EMI, è particolarmente loquace e allegro. Al commesso del negozio di Oxford che gliene chiede la ragione risponde: «Sto per cambiare settore, mi mettono a caccia di nuovi talenti». Il commesso risponde: «Davvero? Pensa che fortuna, io suono in un gruppo. Ci chiamiamo On A Freeday e raggranelliamo qualche soldo intrattenendo la gente nei locali della zona. Io sono il bassista». Poi gli consegna un demo. Wozencroft ascolta le registrazioni, più che dai suoni dei ragazzi rimane colpito da quella che chiama “la loro intelligenza musicale” e si dà da fare. Trova nuovi ingaggi e cerca di far conoscere la band nel giro dei locali e degli addetti ai lavori. In breve tempo il gruppo viene scritturato dalla EMI. Il commesso di Oxford che fa il bassista per hobby si chiama Colin Greenwood. Un anno dopo il la band pubblica il suo primo disco. È un EP che si intitola Drill e, cedendo alle insistenze di manager e discografici i ragazzi hanno accettato di cambiare nome. Gli On A Freeday vengono ribattezzati Radiohead prendendo in prestito titolo di una canzone dei Talking Heads incisa nell'album True Stories. Inizia così la storia di una delle rockband più geniali dell’ultimo decennio del Novecento.

06 giugno, 2020

6 giugno 2003 – I Sud Sound System contro la guerra infinita

Il 6 giugno 2003 arriva nei negozi l'album Lontano dei Sud Sound System, uno dei gruppi storici della dancehall italiana. I ragazzi sono divenuti popolari con brani che raccontano come «È l'ignoranza che crea la violenza… è l'ignoranza che crea l'intolleranza» o anche «te dicenu: "o con nui o contru de nui"/per primu c'è lu statu ca te ole omologatu cu tutte le leggi soi» (ti dicono "o con noi o contro di noi"/per primo devi essere omologato allo stato e alle sue leggi). Salentini e impegnati da sempre a rompere quel “recinto di indifferenza” che circonda gli strati marginali della società i Sud Sound System non hanno armi che le regole auree dell'hip hop: sparare le parole come fossero proiettili. Dopo aver portato con successo nei teatri d'Italia "Acido Fenico - Ballata per Mimmo Carunchio camorrista" sono tornati in sala di registrazione per questo album che ha il peso delle opere destinate a lasciare un segno. Tredici brani curati in proprio con una lunga serie di collaborazioni e musicalmente sospesi in un luogo ideale tra la Giamaica e il Salento. Fin dal primo ascolto suona diverso dal passato, meno "colloso" e più solido. Un svolta? «Non direi - risponde Nando Popu - piuttosto c'è la lettura di una realtà cruda, difficile e drammatica. L'abbiamo realizzato mentre il mondo stava entrando in una nuova fase della guerra infinita. Ci sono i nostri umori di quel periodo, c'è l'Iraq, la Palestina, ci sono i popoli aggrediti del mondo…». In un brano parlate di "N'aura Crociata" (Un'altra crociata)… «Si. Noi siamo del Salento, nelle nostre vene scorre il sangue dell'oriente e dell'occidente. Noi siamo il frutto fisico di quell'equilibrio. E visto che siamo anche oriente, la guerra all'Iraq, ai popoli di quell'area è una guerra contro una parte di noi stessi. Non parlo solo in senso figurato. Il nostro stesso paese è, insieme, oriente e occidente soltanto che ormai la storia, la cultura, le radici, vengono rimosse. Le nuove generazioni sono figlie di una televisione che ha distrutto con violenza la nostra stessa storia. Quando l'informazione sostituisce la cultura c'è qualcosa che non va.». Anche il recupero del dialetto fa parte del vostro progetto? «Beh, il dialetto o meglio la lingua salentina, è stata all'inizio una scelta quasi obbligata, perché lo usavamo cantando nelle feste tra amici. Poi è diventata una scelta vera. Ma il pubblico ci capisce da Monaco a Palermo e anche in Giamaica perché la musica è un linguaggio universale». Il brano che dà il titolo all'album riprende il tema della saldatura tra Oriente e Occidente ed è in italiano perché «in dialetto salentino non si può coniugare un brano sul futuro».

8 giugno 1990 - Le notti magiche del mondiale di calcio

Accompagnati dalle note di Un’estate italiana, il brano scelto come “canzone ufficiale” dell’evento e interpretato da Edoardo Bennato e Gianna Nannini, l’8 giugno 1990 iniziano in Italia i Campionati Mondiali di calcio. Centododici sono le squadre che hanno partecipato alle qualificazioni e ventiquattro quelle che danno vita alla fase finale negli stadi delle maggiori città italiane ristrutturati per l’occasione. Proprio sull’entità degli investimenti strutturali e sui relativi sperperi si sono scatenate nei mesi precedenti violente polemiche destinate a durare per anni. La nazionale italiana esordisce a Roma battendo l’Austria con un gol di Totò Schillaci, che diventerà il capocannoniere del torneo. Gli azzurri vincono anche le successive partite contro Stati Uniti (1 a 0) e Cecoslovacchia (2 a 0). Quest’ultimo incontro vede l’esordio mondiale di Roberto Baggio. Negli ottavi di finale l’Italia supera l’Uruguay con un gol di Schillaci e uno di Serena. Sempre Schillaci è l’autore della rete che elimina l’Eire nei quarti e apre le porte alla semifinale con l’Argentina. Contro i campioni in carica alla rete di Schillaci risponde un colpo da maestro di Maradona che, dopo aver attirato su di sé tre uomini, rifinisce per la deviazione in gol di Caniggia. Terminata in parità anche dopo i tempi supplementari, la partita si risolve ai calci di rigore, che sanciscono l’accesso dell’Argentina alla finale. Il 7 luglio l’Italia vince la finale per il terzo posto a Napoli contro l’Inghilterra con il punteggio di 2 a 1, mentre la Germania Ovest vince il titolo mondiale allo Stadio Olimpico battendo gli argentini con un contestatissimo rigore realizzato da Brehme.

05 giugno, 2020

7 giugno 1987 – Muore Bruno Pallesi

Il 7 giugno 1987 il cantante Bruno Pallesi muore a Milano, la città che gli aveva dato i natali il 1° gennaio 1921. Dopo essersi fatto le ossa nelle balere milanesi e nelle feste studentesche nel 1939 ottiene il suo primo successo con Yo te quiero. Il suo primo estimatore è Natalino Otto che, nel 1944, lo aiuta a entrare nell'orchestra del maestro Carlo Zeme. In breve tempo diventa popolarissimo alla radio con brani come Da te era bello restar, Pino solitario, Amore amore amor, Chattanooga e Serenata a Vallechiara. A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta affianca all’attività di cantante anche quella di paroliere. Nel 1955 partecipa al Festival di Sanremo presentando Cantilena del trainante, Che fai tu luna in ciel e Sentiero tutte in coppia con Jula De Palma, e Canto nella valle, in duo con Nuccia Bongiovanni e replicata da Natalino Otto, che si piazza al terzo posto. Ormai più impegnato come autore che come cantante, nel 1960 partecipa sia al Festival di Milano con Non voglio perderti che alla Sei Giorni della Canzone con Voglio. Abbandona poi le scene e lavora soltanto come autore. Nel 1975 gli viene affidata anche l’organizzazione del Festival di Sanremo.

5 giugno 1954 - Peter Erskine, l’allievo di Stan Kenton

Il 5 giugno 1954 nasce a Somers Point, in New Jersey, il batterista Peter Erskine. Il suo primo incontro con la musica avviene da bambino quando il padre, un affermato psichiatra che da giovane aveva suonato il contrabbasso, lo iscrive a uno dei corsi estivi diretti da Stan Kenton. Peter continua per diverso tempo a frequentarli studiando con Alan Dawson e Dee Barton. Negli anni successivi entra a far parte dell'orchestra di Stan Kenton, che affianca anche come insegnante nei seminari. Quando l’esperienza al fianco di Kenton arriva alla fine per qualche tempo si offre come batterista free lance suonando tra gli altri con Joe Farrell e Freddie Hubbard e a partire dal 1975 entra a far parte della big band di Maynard Ferguson, con la quale registra anche una fortunatissima versione di Gonna Fly Now, il tema del film “Rocky”. Chiusa l’esperienza con Ferguson nel 1978 diventa il batterista dei Weather Report, il più famoso gruppo di jazz-rock. Il suo affiatamento con il bassista Jaco Pastorius è ritenuto l’elemento fondamentale del successo della band. Successivamente suona anche con Mike Brecker, Mike Mainieri, Don Grolnick e Eddie Gomez negli Steps Ahead.

04 giugno, 2020

4 giugno 1955 – Carosone inaugura la Bussola

Il 4 giugno 1955 a Focette, in Versilia, si inaugura la Bussola. Il compito di fare da intrattenitori è affidato a Renato Carosone e alla sua mitica orchestra. Il locale, di proprietà di Sergio Bernardini, è destinato a diventare uno dei templi della musica leggera italiana. Carosone, che sta vivendo in quel periodo uno dei migliori momenti della sua carriera, attira migliaia di ammiratori per un’inaugurazione che si trasforma in uno dei più importanti avvenimenti mondani dell’anno. Ci resta per l’intera stagione estiva con un compenso, tutt’altro che disprezzabile per l’epoca, di 160.000 lire a sera. Il cantante napoletano resterà molto legato al locale di Bernardini tanto da sceglierlo per il suo ritorno nel 1975, quindici anni dopo il suo addio alle scene. La Bussola diventa uno dei locali alla moda, punto d’incontro per i vecchi e i nuovi ricchi dell’Italia del boom. Anche i componenti dello staff del locale diventano famosi come le star della musica, soprattutto il direttore di sala Aldo Bellandi, lo chef Carletto Pirovano e l’amministratore Antonio Favilla. Nell’arco di un decennio sul palco della Bussola passano quasi tutti i grandi protagonisti della musica leggera italiana e internazionale, da Louis Armstrong a Neil Sedaka, dai Platters ad Adriano Celentano, da Peppino Di Capri a Don Marino Barreto jr., a Milva, Ella Fitzgerald, Domenico Modugno, Gilbert Bécaud e tantissimi altri, compresa Mina che proprio qui muove i suoi primi passi verso la gloria.

03 giugno, 2020

3 giugno 1935 - Ted Curson, la tromba del migliore Mingus

Il 3 giugno 1935 a Philadelphia, in Pennsylvania, nasce Theodore Curson, destinato a lasciare un’impronta significativa come trombettista con il nome di Ted Curson. I primi passi in musica li muove sotto la guida di Jimmy Heath. In quel periodo incontra anche Miles Davis che dopo averlo ascoltato lo incoraggia a proseguire. A vent’anni se ne va a New York dove si fa conoscere nell’ambiente del jazz e suona con personaggi di spicco come Mal Waldron, Red Garland, Philly Joe Jones, Cecil Taylor. Nel 1959 Charlie Mingus lo vuole con sé in quella che i critici considerano forse la miglior formazione raccolta dal grande bassista le cui idee vengono assecondate e sviluppate dalle geniali intuizioni di Eric Dolphy. Più tardi entra a far parte del gruppo di Max Roach e poi di quello di Bill Barron e solo dopo molti tentativi riesce finalmente a riunire una formazione sotto suo nome. Negli anni Sessanta suona con quasi tutti i grandi protagonisti del jazz internazionale, da Chris Woods ad Andrew Hill, da Lee Konitz a Kenny Barron, da Nick Brignola ad Arne Dommerus a molti altri. Scrive anche colonne sonore per il cinema e la TV e registra vari dischi con Cecil Taylor, Charlie Mingus, Kenny Barron, Archie Shepp, oltre che con formazioni sotto suo nome. Di chiara ispirazione hard bop appare come un curioso e instancabile ricercatore nel rispetto della tradizione jazzistica segnalandosi come uno dei più interessanti trombettisti della seconda metà del Novecento. Muore il 4 novembre 2012.


02 giugno, 2020

2 giugno 1937 - Pierre Favre, uno svizzero alle percussioni

Il 2 giugno 1937 nasce a Le Locle, in Svizzera, il batterista e percussionista Pierre Favre. A quindici anni inizia a studiare la batteria e soltanto due anni dopo è già un professionista. Dopo aver lavorato in varie orchestre europee, nel 1956 entra come percussionista nell'Orchestra radiofonica di Basilea. Uscitone, nel 1960 si trasferisce a Parigi come free-lance e l’anno dopo suona a Roma con l'American Jazz Ensemble di Bill Smith e John Eaton. Nel 1962 si unisce alla big band di Max Greger. Successivamente suona con grandi jazzisti come George Gruntz, Barney Wilen, Bud Powell, Chet Baker, Lou Bennett, Benny Bailey e tanti altri. Contemporaneamente all’attività orchestrale inizia a sviluppare una propria nuova concezione percussiva nella linea degli improvvisatori europei di quel periodo collaborando con personaggi come Manfred Schoof, Michel Portal e altri. Dalla fine degli anni Sessanta registra anche in proprio pur proseguendo la propria collaborazione con musicisti come John Tchicai, Ole Thilo, Leon Francioli con cui forma anche un duo, Jean-Charles Capon, Mal Waldron, Eje Thetin, Terumasha Hino, Masahiko Sato e Giorgio Azzolini. Negli anni Settanta comincia a esibirsi in concerti per sole percussioni, registrando anche vari album, uno dei quali in duo con Andrea Centazzo. Insieme a Chick Corea, Ornette Coleman, Gary Burton, Eubie Blake e altri, partecipa al "Solo Now Night" al Berliner Jazz Tage. In quel periodo i suoi interessi musicali iniziano a dirigersi sempre più verso le musiche etniche, in particolare Africa, India e Brasile, oltre che verso la musica classica europea. Favre inizia anche a studiare pianoforte e composizione componendo musica e trasformando il suo set di percussioni in un unico e indipendente strumento dotato di un proprio universo espressivo. Nel 1994 crea i Singing Drums con Paul Motian, Nana Vasconcelos e Fredy Studer.

01 giugno, 2020

1° giugno 2001 – Jean Ferrat ricorda Ferré a San Benedetto del Tronto

Venerdì 1 giugno 2001 inizia il Festival Ferré di San Benedetto del Tronto. Il compito di aprire la kermesse è affidato al poeta e musicista Jean Ferrat, un tipo schivo che non può essere considerato un abituale frequentatore dei palcoscenici italiani. La serata che inaugura la settima edizione della manifestazione dedicata allo scomparso Leo Ferré è ispirata all'Âme des poetes. Chi meglio di lui, uno dei "mostri sacri" della canzone francese che ha messo in musica le liriche di Aragon, Apollinaire e tanti altri, può rappresentare lo stretto legame che esiste tra la canzone d'autore e la poesia? La prima serata della manifestazione, articolata in due giorni intensi di iniziative, si svolge in quella stessa Sala Consigliare del Palazzo Comunale di San Benedetto del Tronto dove la manifestazione è iniziata. Era il 1994 e gli organizzatori, celebrando il Memorial Ferré a un anno dalla morte del grande poeta e cantautore francese, giurarono di ritrovarsi ogni anno. Nell'anno 2001 c’è anche Jean Ferrat. Lo affiancano sei artisti italiani e francesi, ciascuno dei quali contribuisce ad aggiungere una piccola perla al programma della serata. "Parigi e le sue canzoni" è, invece, il filo conduttore del secondo appuntamento del Festival con un'altra ospite di riguardo. Sabato 2 giugno al Teatro Calabresi è infatti, di scena Isabelle Aubret, che Jean Ferrat ha soprannominato "Isabelle bleu et Isabelle blanche" per sottolineare le due facce del suo temperamento artistico. La cantante presenta al pubblico di San Benedetto il recital che per sei settimane ha infiammato i cuori dei frequentatori del Bobino di Parigi. Il già ricco programma della serata viene poi ulteriormente impreziosito dalla presenza dei Têtes de Bois che propongono alcuni brani di Ferré nelle versioni e negli arrangiamenti che li hanno resi famosi. A otto anni dalla sua morte Leo Ferré, l'anarchico poeta e cantautore torna a rivivere in una manifestazione che va al di là del ricordo di chi lo ha amato. In molti sottolineano che gli sarebbe piaciuta l'impostazione data dagli organizzatori al Festival di San Benedetto del Tronto. È decisamente in sintonia con il suo spirito. Non ci sono inutili celebrazioni, ma vita, poesia e canzoni. Lo spettacolo si mescola con le citazioni, allo stesso modo in cui la musica si mescola abilmente con la poesia. L'impianto organizzativo, le stesse manifestazioni sono decisamente prive della spocchiosa supponenza con la quale spesso si tenta di manipolare gli artisti scomparsi. Attraverso la presenza di protagonisti della canzone d'autore francese e dei molti che si sono innamorati del suo lavoro, Leo Ferré rivive così ogni anno nella musica e nella poesia che sono più forti e più duraturi del semplice e rituale ricordo.