08 settembre, 2020

8 settembre 2001 – RE.SET, il primo festival italiano di dance ed elettronica

L'8 settembre 2001 il Campovolo di Reggio Emilia si trasforma nella capitale europea della musica dance ed elettronica. Nell'area, occupata dalla Festa Nazionale dell'Unità sbarca infatti RE.SET, il primo festival di dance ed elettronica italiana con una succulenta serie di artisti annunciati. L’iniziativa riempie un vuoto. Da tempo, infatti, in molti sottolineavano come alla scena dance ed elettronica italiana mancasse un grande appuntamento live, di ampio respiro, capace di misurarsi con i raduni di massa che costellano il panorama europeo. Dalla fin troppo citata Love Parade di Berlino, che in quell’anno dopo oltre un decennio mobilita oltre un milione di persone ai più modesti (si fa per dire) happening di Parigi con "soltanto" mezzo milione di persone o di Zurigo, che si attesta su trecentomila presenze, l'intera Europa vede lo svolgimento di grandi festival. L'Italia per lungo tempo ha guardato stupita, quasi distratta, ciò che avveniva negli altri paesi, pur con qualche lodevole eccezione. Mancanza d'interesse? Non sembra, visto che le attività nei club italiani e, soprattutto, nei Centri Sociali sono da tempo coronate da successo. A Milano, per esempio, l'attività del venerdì in Pergola è stata particolarmente attiva nei settori nu-jazz e drum'n'bass, mentre alcuni rave organizzati dal Leoncavallo, come quello con Goldie e Storm, hanno attirato migliaia di giovani entusiasti. Sempre per restare in Lombardia come dimenticare lo storico mercoledì dei Magazzini Generali che si ripete ormai da cinque anni? Ma la febbre non è soltanto nordica, visto che Roma dimostra un'effervescenza non inferiore alle altre capitali europee con serate come quella del venerdì all'Agatha, del sabato al Classico Village. Accanto all'ormai storico govedì del Goa, che ha ospitato, tra gli altri, Goldie, Darren Emerson e la Boutique di Fatboy Slim, non mancano nuove iniziative come l'apertura del Blue Cheese, un locale dedicato ai nuovi suoni del breakbeat e del drum'n'bass. Più orientate ai suoni tech-house appaiono, invece, Torino e Bologna, dove il Link resta il faro-guida della scena dance underground non soltanto locale. Insomma, il panorama italiano dell'elettronica mai come in quel periodo appare in forte crescita qualitativa e quantitativa. Per questa ragione l'appuntamento di Reggio Emilia diventa uno di quelli destinati a lasciare un segno. Non è un caso che proprio la cittadina emiliana si sia candidata a diventare, sia pure per un giorno la capitale della dance e dell'elettronica. Sul suo territorio l'anno prima è stata organizzata Clubspotting, una mostra di approfondimento sulla club culture che ha suscitato notevole interesse in tutto il mondo e di cui è prevista nel 2001 la seconda edizione. Sempre a Reggio c'è, poi, il Maffia Music Club, il cui Soundsystem funge da maestro di cerimonia nella lunga, lunghissima giornata del RE.SET. Il programma annunciato promette una rassegna unica nella pur lunga storia di questo genere musicale nel nostro paese. Tra le performance più attese c'è quella dei Transglobal Underground, il system che negli anni precedenti ha avuto nella propria line-up anche Natacha Atlas. Il loro suono capace di ardite contaminazioni tra tribalismo, rap arabo, campionamenti ipnotici e sonorità etniche, resta, a dieci anni dalla nascita dell'ensemble, un costante punto di riferimento per la scena del world groove. Ci sono anche Roni Size & Full Cycle, i quattro ragazzotti di Bristol vincitori di un Mercury Award e considerati tra i maggiori responsabili della diffusione nel mondo del drum’n’bass e i londinesi Pressure Drop con il loro suono radicale e antirazzista. L'orizzonte si allarga ancora con le esplorazioni del francese Frederic Galliano che mescolano musica elettronica, jazz e cultura africana e le tensioni sonore e ritmiche di Howie B. C'è anche Fabio, il dj esponente dell'ala più jazzy e musicale del drum'n'bass cui Matthew Collin ha dedicato un intero capitolo del suo libro "Stati di alterazione" che analizza la club culture inglese. Una sfida al razzismo e a favore dell'integrazione tra culture diverse è anche la presenza di Badmarsh & Shri esponenti di quell'Asian Underground che mescola funk, drum'n'bass, dub, musica indiana, London beat e jazz. Non manca neppure Wookie, considerato l'astro nascente del twostep garage britannico e neppure i suoni malfermi e uggiosi del breackbeat dei Freestylers. Non sono, infine, escluse presenze a sorpresa di artisti non annunciati. Il panorama italiano, oltre che dai Maffia Soundsystem è rappresentato dall'ex Aeroplanitaliani Alessio Bertallot, divenuto una sorta di profeta dell'elettronica che da qualche tempo, consapevole del suo ruolo, alterna evoluzioni ai piatti, rubriche radiofoniche e performance giornalistiche.

07 settembre, 2020

7 settembre 2003 – Grazie Italia! Firmato Inti Illimani

Domenica 7 settembre 2003 gli Inti Illimani tengono a Roma nella spianata dei Fori Imperiali un concerto gratuito destinato a diventare un album live. Lo scopo è quello di ringraziare dell'ospitalità il pese che trent’anni prima li ha accolti con grande solidarietà dopo la fine sotto i colpi di un sanguinario colpo di stato militare dell'esperienza del governo di Unidad Popular di Salvador Allende in Cile. Mentre iniziava la feroce dittatura fascista guidata dal generale Augusto Pinochet, gli Inti Illimani si trovavano in Italia per una breve tournée. La permanenza si trasforma così in un lungo esilio. Trent'anni dopo il gruppo non ha dimenticato l’ospitalità del nostro paese e regala al pubblico romano una lunga cavalcata musicale che ne ripercorre le evoluzioni. Il suono e lo scenario musicale su cui si muovono si sono evoluti. In trent’anni l’evoluzione degli Inti-Illimani ha attinto a due elementi principali. Uno è il viaggio continuo intorno al mondo per ricercare e studiare nuovi suoni, colori, ritmi. Il gruppo non ha trascurato alcuna contaminazione: dalle tradizioni celtiche a quelle mediterranee, dalla “cantata” napoletana a una speciale rilettura di musicisti come Bela Bartòk o Stravinskij. L’altro elemento è la collaborazione con musicisti di diversa estrazione: dalla nordica Arja Sajionmaa, alla cantautrice femminista Holly Near, all’italiano Roberto De Simone, a Bruce Springsteen, a Sting, al chitarrista classico John Williams e a quello di flamenco Paco Peña. Importante è stato anche l’incontro con Peter Gabriel, con cui hanno registrato un brano, Wall flowers, destinato a una compilation in favore di Amnesty International. Il loro impegno nel secondo millennio, più sfumato dal punto di vista politico, è la continuazione, sul piano culturale, del lavoro svolto in passato. Per verificarlo basterebbe citare i testi dei grandi poeti sudamericani messi in musica dal gruppo, da Pablo Neruda a Guillén o gli autori cantati, da Violeta Parra a Victor Jara o a Patricio Manns. Il passato, con il suo carico di glorie, vive nel presente degli Inti Illimani, che dichiarano nel corso del concerto di Roma di essere ancora impegnati a progettare il futuro..

06 settembre, 2020

6 settembre 1974 – Peppino De Luca dal jazz alle colonne sonore

Il 6 settembre 1974 muore il trombonista e, qualche volta, cantante Peppino De Luca. Nato a Roma il 5 gennaio 1936 a soli quindici anni debutta nei Traditional Dixielanders con il trombettista Piero Saraceni, il clarinettista Gianni Sanjust, il pianista Gianni Marchetti, il contrabbassista Antonello Branca e il batterista Roberto Trillò. Nel 1954 e nel 1955 Peppino De Luca viene anche chiamato a sostituire in qualche occasione Luciano Fineschi nella Roman New Orleans Jazz Band. Nel 1956 entra stabilmente bel gruppo che, dopo l’arrivo di Carlo Loffredo assume il nome di Seconda Roman New Orleans Jazz Band. In quel periodo la band attraversa un momento di grande successo con festival, tournée in Italia e all'estero, ma Peppino De Luca non rinuncia a esperienze diverse con gruppi come i New Orleans Jazz Senators, il Quintetto Rosa-De Luca, gli Yama Yama Men e tanti altri. Nei primi anni Sessanta Peppino De Luca inizia a comporre musica per la TV e il cinema con registi come Antonello Branca, Carlo Tuzii, Sandro Bolchi, Liliana Cavani, Gianni Serra, Mario Monicelli (straordinaria quella per “La ragazza con la pistola”), Nelo Risi e molti altri. Da trombonista il suo stile viene inizialmente accostato a quello di Kid Ory, anche se successivamente il suo fraseggio si evolve in senso mainstream, avvicinandosi a quello di Vic Dickenson. Indimenticabili sono anche i suoi interventi di canto scat. Quando nel febbraio 1972 gli viene diagnosticato un tumore e asportato un rene non si arrende e continua a suonare fino alla fine.


05 settembre, 2020

5 settembre 1946 - Loudon Wainwright III, l’altra faccia del folk


Il 5 settembre 1946 a Chapel Hill, nel North Carolina, nasce Loudon Wainwright III, uno dei protagonisti più singolari del folk statunitense degli anni Sessanta. La caratteristica che gli consente di ritagliarsi uno spazio tutt’altro che piccolo in quello che all’epoca era uno dei generi più seguiti dai giovani di tutto il mondo è nel tono satirico e umoristico delle sue canzoni, anomalo rispetto al serio impegno sociale e politico dei folk singer di quel periodo. Eclettico personaggio di spettacolo, Loudon lavora anche come attore in film come "La moglie del campione” di Hal Ashby, "Jacknife" di David Jones o “Molto incinta” di Judd Apatow, nel musical "Pump boys and dinettes" e in televisione nel serial "M.A.S.H.". Nel 1973 sposa la cantante Kate McGarringle, da cui si separa quattro anni dopo per unirsi a Suzzy Roche dei Roches. Il suo brano di maggior successo è Dead skunk del 1969. Nel 2003 la Sanctuary ha pubblicato l’album dal vivo So damn happy.



04 settembre, 2020

4 settembre 1946 – Milena, l’interprete italiana di “Carlomagno”

Il 4 settembre 1946 nasce a Modena Milena Manni, destinata a godere di una discreta popolarità come cantante con il solo nome di Milena. Fin da bambina frequenta regolari corsi di canto e di pianoforte e più grandicella cerca di mettersi in mostra partecipando a vari concorsi di voci nuove. Per un certo periodo diventa anche la voce dei Solitari, il gruppo che prima di lei ha accompagnato anche Mina. Dopo aver ottenuto un contratto discografico con la Carosello fa il suo esordio nel 1964 con il singolo Amare non è più così facile, che passa quasi inosservato. Nei primi mesi dell’anno successivo interpreta Carlomagno, versione italiana di un tormentone con il quale France Gall sta mietendo successi in Francia. In Italia il brano non ottiene gli stessi risultati ma contribuisce ad allargare la popolarità di Milena cui vengono affidate le sigle di un programma sportivo. Nell’autunno del 1965 Mike Bongiorno la inserisce, con Anna Identici e Anna Marchetti, nel gruppo di cantanti fisse del quiz televisivo “La fiera dei sogni”. L'anno dopo partecipa a “Un disco per l'estate” con il brano Un debito di baci. Alla fine degli anni Sessanta, chiusa l’esperienza con la Carosello, Milena passa alla PDU, la casa discografica fondata da Mina, ma progressivamente riduce l’attività fino ad abbandonare definitivamente le scene.

03 settembre, 2020

3 settembre 1948 – Papa Mutt Carey, uno dei principali esponenti dello stile tradizionale di New Orleans.

Il 3 settembre 1948 muore il trombettista Thomas Carey, conosciuto dagli appassionati di jazz come Papa Mutt. Nato a Horneville, in Louisiana, nel 1891 è considerato uno dei principali esponenti dello stile tradizionale di New Orleans. Quando muove i primi passi in musica picchia sulla pelle del tamburo, ma quando si rende conto che quello strumento è troppo ingombrante per trasferirsi da un luogo all'altro nelle tournée negli stati del Sud, preferisce imparare a suonare la cornetta con l'aiuto del fratello Pete. Ha anche un altro fratello,m che si chiama Jack e suona il trombone. Proprio con il gruppo di quest'ultimo Papa Mutt fa i suoi esordi, suonando spesso anche con Sidney Bechet che agli inizi degli anni Venti è uno dei musicisti più richiesti dai gruppi che suonano nello stile polifonico della Louisiana. Dopo aver fatto parte dei gruppi di Johnny Dodds a Chicago, Papa Mutt si trasferisce in California, dove raggiunge il vecchio amico Kid Ory, con il quale ha già suonato nei Brown Skinned Babies. In quel periodo la musica non basta per vivere e il trombettista si adatta a fare i più svariati mestieri, dal postino al facchino. A cambiare la sua situazione contribuisce negli anni che seguono la seconda guerra mondiale, l’esplosione della cosiddetta “New Orleans Renaissance", cioè una corrente che rilancia il jazz delle origini. Sull’onda del revival la sua tromba conquista il pubblico di New York in un gruppo che comprende il clarinetto di Albert Nicholas, il trombone di James Archey, il pianoforte di Hank Duncan o di Cliff Jackson, e una sezione ritmica di ferro costituita da Baby Dodds alla batteria, da Pops Foster al basso e da Danny Barker alla chitarra. Il successo è grande ma poco tempo dopo viene interrotto dalla sua morte.

02 settembre, 2020

2 settembre 1913 - Frank Galbreath, più di una spalla

Il 2 settembre 1913 a Roberson County, nel North Carolina, nasce il trombettista e cantante Frank Galbreath. Talento precoce, nel 1929, a soli sedici anni, ottiene il suo primo ingaggio e se ne va a Washington per suonare con i Domino Five. Successivamente entra a far parte dei Kelly's Jazz Hounds e all'inizio degli anni Trenta lavora con varie formazioni tra cui quella di Billy Stewart con la quale si esibisce al Word's Fair di Chicago. Verso la metà degli anni Trenta si stabilisce a New York dove suona al fianco di alcuni dei maggiori leaders, quali Fletcher Henderson, Jelly Roll Morton, Willie Bryant, Edgar Hayes, pur senza prender parte a sedute di incisione. Nel 1939 lavora con le orchestre di Lucky Millinder e di Jimmy Mundy. Proprio con quest'ultima registra i suoi primi dischi per l'etichetta Varsity. Tra il 1940 e il 1943 è uno dei componenti stabili dell'orchestra di Louis Armstrong e poi passa a quella di Charlie Barnet. Nell'immediato dopoguerra suona e incide con le orchestre di Louis Russell, Willie Bryant, Tab Smith, Billy Eckstine, Sy Oliver e ancora Lucky Millinder, conquistandosi una buona reputazione più come “spalla” capace di sostenere le evoluzioni dei solisti che come solista in proprio. Negli anni Cinquanta suona per qualche tempo con una sua band al Savoy di New York prima di passare, nel 1959 con Benny Goodman. Nel 1960 è con Ray Charles, nel 1961 con Fats Domino, nel 1963 con Sammy Davis. Verso la metà degli anni Sessanta decide di ridurre l’attività ritirandosi ad Atlantic City dove suona con gruppi locali sino al 1969. Muore nel 1971.


01 settembre, 2020

1° settembre 1944 – Il primo successo di Garinei e Giovannini

Il 1° settembre 1944 viene messo in scena per la prima volta al Teatro Quattro Fontane di Roma “Cantachiaro”. Si tratta di uno spettacolo satirico d’attualità che porta le firme di Italo De Tuddo, Franco Monicelli e della coppia formata da Sandro Giovannini e Pietro Garinei. Il lavoro è destinato a ottenere un buon successo di pubblico e una soddisfacente accoglienza da parte della critica. Non ha i crismi dell’opera immortale ma resta ugualmente nella storia dello spettacolo italiano perché è il primo successo di un duo che è destinato a diventare un marchio di qualità per il teatro leggero italiano. Pietro Garinei e Sandro Giovannini, in quel periodo alle prime armi, cresciuti nell’ambiente del giornalismo umoristico, sono i primi a capire che l’epoca d’oro della rivista sta finendo. Per questa ragione iniziano a gettare le basi per una nuova forma di spettacolo destinata a diventare la nuova commedia musicale italiana.

31 agosto, 2020

31 agosto 2000 – A Venezia dodici minuti di applausi per “I cento passi”

Il 31 agosto del 2000 alla Mostra del Cinema di Venezia viene proiettato per la prima volta “I cento passi”, il film di Marco Tullio Giordana dedicato alla vita e alla morte per mano della mafia del giovane Peppino Impastato. Quando si riaccendono le luci dalla sala che ospita pubblico e critica arrivano dodici minuti ininterrotti di applausi. È un successo inaspettato che premia la costanza di chi ha creduto in un progetto la cui storia parte da lontano. I primi in ordine di tempo a occuparsi della vicenda di Peppino Impastato sono Michele Mangiafico e Giuseppe Marrazzo che nel 1978 realizzano due servizi televisivi. L’anno dopo il regista Gillo Pontecorvo pensa di realizzare un film sulla vita del ragazzo, ma dopo un sopralluogo a Cinisi, non dà seguito all’intenzione. La vicenda di Peppino Impastato torna d’attualità nel 1993 quando Claudio Fava e il regista Marco Risi realizzano un servizio per la serie “Cinque delitti imperfetti” di Canale 5. Due anni dopo il regista Antonio Garella realizza un video per il programma televisivo “Mixer” mai andato in onda. Nel 1998 il regista Antonio Bellia con un video di una mezz’oretta intitolato Peppino Impastato: storia di un siciliano libero distribuito con il quotidiano “Il Manifesto”. Nello stesso periodo Claudio Fava e Monica Capelli cominciano a lavorare su una sceneggiatura che vince il Premio Solinas ottenendo così una parte dei fondi necessari per finanziare il film. La regia viene affidata a Marco Tullio Giordana, che all’epoca ha all’attivo film d’impegno come "Maledetti vi amerò" del 1980 e "Pasolini, un delitto italiano" del 1995. Trovati i fondi che mancano grazie anche al sostegno del giovane produttore Fabrizio Mosca Giordana riesce a concludere il lavoro in tempo per proiettarlo al Festival di Venezia dove la giuria gli assegna il premio per la miglior sceneggiatura. È il primo di una lunga serie di riconoscimenti tra i quali spiccano i quattro David di Donatello del 2001: a Claudio Fava, Monica Zappelli e Marco Tullio Giordana per la miglior sceneggiatura, a Luigi Lo Cascio per il migliore attore protagonista, a Tony Sperandeo per il miglior attore non protagonista e a Elisabetta Montaldo per i migliori costumi. Nello stesso anno il film vince anche il prestigioso premio David Scuola. Notevoli riscontri ottiene anche la ricca colonna sonora che attinge a generi diversi. Accanto a brani di Giovanni Sòllima, Arvo Pärt, John Williams, Gustav Mahler, si possono infatti ascoltare passaggi jazz del Quintette Hot Club de France, il leggendario gruppo di Django Reinhardt e Stéphane Grappelli, o Volare di Domenico Modugno. L’idea di Marco Tullio Giordana è quella di rendere un clima senza curarsi troppo della perfezione storica per questo si mescolano artisti nati in anni differenti come Sweet, Animals o Leonard Cohen. Emozionanti sono le note strozzate di Summertime nella versione di Janis Joplin nel momento dell’agguato finale e la scelta di far accompagnare i funerali dall’organo hammond dei Procol Harum in A whiter shade of pale.

30 agosto, 2020

30 agosto 1923 – Giacomo Rondinella, figlio d’arte

Il 30 agosto1923 nasce a Messina Giacomo Rondinella, figlio di un cantante famoso come Ciccillo Rondinella e dell’attrice-cantante Maria Sportelli, più conosciuta con il nome d’arte di Mary Mafalda. I genitori non vogliono che il ragazzo ripercorra le loro tracce. Per questa ragione lo fanno crescere lontano dalle scene e lo iscrivono alla scuola nautica per conseguire il diploma di capitano di lungo corso. Arruolato nel battaglione San Marco viene sorpreso dall’armistizio dell’8 settembre 1943 e costretto a rifugiarsi in casa di amici. Lasciata la divisa decide di entrare nel mondo dello spettacolo. All’inizio del 1944 debutta al circolo culturale Beato Angelico di Roma, accompagnato al pianoforte e alla chitarra da due giovani amici e subito dopo viene scritturato dalla compagnia Sportelli-Valori. Nel 1944 canta al cinema teatro Cola di Rienzo di Roma durante una festa di beneficenza e viene notato dal maestro Segurini che lo scrittura per cantare alla radio. Nel 1945 partecipa alla rivista “Imputato alzatevi”, di Michele Galdieri, con Totò, dove interpreta per la prima volta Munasterio ‘e Santa Chiara, destinata a diventare un successo mondiale. Lavora poi con le compagnie di Alberto Sordi, Rossano Brazzi, Anna Magnani, Macario, Carlo Dapporto e Renato Rascel. Tipico rappresentante della melodia partenopea, in breve tempo diventa popolarissimo vendendo migliaia di dischi. Nel 1954 presenta al Festival di Napoli Penzammoce con Achille Togliani e Pulecenella con Katyna Ranieri. Torna alla rassegna napoletana nel 1956 conquistando il secondo posto con Suspiranno 'na canzone in coppia con Aurelio Fierro e l'anno dopo è terzo insieme a Gloria Christian con 'Nnammurate dispettuse. Nel 1958 arriva ancora terzo con Giulietta e Romeo insieme a Nicla Di Bruno e nel 1961 è secondo con Palummella swing, in coppia con il duo Gino Latilla-Carla Boni. Nel 1960 è uno dei cantanti fissi di Canzonissima e nel 1962 partecipa al Festival di Sanremo con Il nostro amore insieme a Gesy Sebena. Nello stesso anno è ancora una volta secondo al Festival di Napoli con Serenata malandrina. Si trasferisce poi a Toronto dove gestisce un teatro di rivista, salvo tornare brevemente in Italia nel 1968 per partecipare al Festival di Napoli piazzandosi terzo con Guappetella. Tra le sue numerose pubblicazioni discografiche è da ricordare l'antologia di classici napoletani Napoli fonte perenne di melodia.

29 agosto, 2020

29 agosto 1911 - Marcel Bianchi, la miglior chitarra dopo Django Reinhardt

Il 29 agosto 1911 nasce a Marsiglia, in Francia, il chitarrista Marcel Bianchi. Fin da ragazzo si lascia affascinare dalla musica e studia il mandolino, il violino e la chitarra. Negli anni della gioventù non pensa che il mestiere dello strumentista possa diventare un modo per guadagnarsi da vivere. La svolta arriva nel 1934 quando, dopo aver avuto l'occasione di accompagnare Louis Armstrong in uno dei suoi concerti francesi decide di trasformare l’hobby in un lavoro. Due anni dopo, nel 1936, diventa musicista professionista. Nel 1937 si stabilisce a Parigi dove viene ingaggiato da Alix Combelle e suona con quasi tutti i protagonisti della scena jazz parigina di quel periodo, da Philippe Brun a Stéphane Grappelli, da Jerry Mengo a Bill Coleman, a Fletcher Allen a molti altri. Partecipa anche ai concerti dell'Hot Club di Francia. La sua attività viene interrotta dalla guerra. Imprigionato dai tedeschi riesce a fuggire dal campo di prigionia in cui è stato rinchiuso e si stabilisce in Svizzera. Al suo ritorno in Francia, ne1 1946, è tra i primi ad adottare la chitarra elettrica. Forma un sestetto con il quale si esibisce in numerosi club a Parigi, sulla Costa Azzurra, e in tournée all'estero. Dotato di una eccellente tecnica e di una buona sonorità, Marcel Bianchi appare influenzato da Charlie Christian e Les Paul. La critica lo considera il miglior chitarrista francese dopo Django Reinhardt. Muore nel 1998.

28 agosto, 2020

28 agosto 1920 - Giorgio Consolini, il primo interprete di “Luna rossa”

Il 28 agosto 1920 nasce a Bologna il cantante Giorgio Consolini, uno dei protagonisti della canzone italiana del secondo dopoguerra. Dopo aver mosso i primi passi come cantante nelle balere romagnole firma il suo primo contratto discografico nel 1945 e resta nella storia della canzone italiana per essere stato il primo interprete di Luna rossa, da lui presentata alla Piedigrotta del 1950 e divenuta poi un grande successo di Claudio Villa. Numerose sono anche le sue partecipazioni al Festival di Sanremo dove, sempre in coppia con Gino Latilla, nel 1953 conquista il terzo posto cantando Vecchio scarpone e nel 1954 vince con Tutte le mamme. Nel 1957 alla manifestazione sanremese, in coppia con Claudio Villa, presenta i brani Cancello tra le rose e Usignolo e vince la serata degli Autori Indipendenti con Ondamarina. Torna al Festival nel 1958 con Arsura, in coppia con Carla Boni, Campane di S. Lucia con Claudio Villa, È molto facile dirsi addio insieme a Marisa Del Frate e Se tornassi tu con Johnny Dorelli, nel 1960 con Amore, abisso dolce in coppia con Achille Togliani e Il mare con Sergio Bruni e nel 1962 con Vita, in coppia con Narciso Parigi. Negli anni Ottanta, sull’onda del revival nostalgico forma il gruppo “Quelli di Sanremo” con Nilla Pizzi, Carla Boni e Gino Latilla. Tra le sue interpretazioni più famose si ricordano anche Tamburino del reggimento, Vecchia villa comunale, Polvere, Giamaica e Rondinella forestiera. Muore nella sera del 28 aprile 2012 all'Ospedale Maggiore di Bologna all'età di 91 anni.

27 agosto, 2020

27 agosto 1975 – Jah live, il Leone non è scomparso

Il 27 agosto 1975 si diffonde in tutta la Giamaica la notizia che Sua Maestà Imperiale Hailé Selassié è morto. Quel giorno l’isola è percorsa da un insolito vento freddo. C’è incredulità e stupore all’idea che l’uomo in cui Jah si è reincarnato sia scomparso. Per la religione Rastafariana nell’uomo infatti convivono tre diversi livelli: il primo livello, quello animale, in cui l’uomo è dominato dalle passioni, il secondo nel quale con la volontà riesce a dominare le emozioni e le passioni e, il terzo, il livello più alto, nel quale l’uomo entra in profonda comunione con il proprio essere. L’origine di questa religione va ricercata nella Valle del Nilo, in quella vasta area geografica che va dall’Egitto all’Etiopia, centro e origine delle grandi religioni monoteiste. La sua filosofia raggruppa e unifica le basi delle varie fedi che si sono formate in questa zona. Dagli antichi egizi attinge il riconoscimento della forza vitale di Ra, il sole, e dall’ebraismo la convinzione che l’umanità sia stata creata a immagine e somiglianza di Dio, o Jah. Il cuore di questa religione affonda nei misteri dell’antico “Libro dei Morti Egiziano” appresi da Mosè nel periodo passato a corte perché adottato dalla figlia del Gran Sacerdote d’Egitto. Si racconta poi che quando Makeba, la regina di Saba che regnava su un impero comprendente l’Etiopia, l’Egitto e parte della Persia, andò in visita da Re Salomone, venne da lui convertita alla fede nel Dio di Abramo. Makeba ebbe anche un figlio da Salomone, Menelik, che, educato a Gerusalemme, garantì la sopravvivenza della religione d’Abramo in Etiopia in forma non contaminata. Con l’avvento del Cristianesimo fu l’apostolo Paolo ad assumersi l’incarico di aggiornare le credenze del popolo etiope. Convertì un rispettato rabbino ortodosso che, tornato nel suo paese, introdusse le novità portate da Cristo alla religione di Abramo. Nacque così la Chiesa Ortodossa d’Etiopia, la forma più pura di Cristianesimo che mantiene intatto il collegamento con le proprie radici ebraiche ed egizie. Il duecentoventesimo re d’Etiopia, Ras Tafari Makonnen, assurto al trono d’Imperatore con il nome di Hailé Selassié (Potenza della Trinità), diretto discendente da Davide e, tramite lui, da Mosè, nel secondo dopoguerra stabilisce ufficialmente in Giamaica la sede della Chiesa Ortodossa d’Etiopia, su richiesta dei Rasta giamaicani. Il Rastafarianesimo non è altro che un aggiornamento di questa antica religione, figlio della cultura nera della Giamaica e del sogno del ritorno degli schiavi alla Madre Africa. Riconosce in Hailè Selassiè la presenza della divinità e i suoi adepti rifiutano l’ipocrisia “Babilonese” della Chiesa moderna, soprattutto di quella di Roma, considerata la più Babilonese di tutti. Per i Rasta oggi si stanno vivendo gli ultimi giorni di questo ordine mondiale e solo i virtuosi, cioè coloro che si saranno battuti per salvare il mondo dall’avidità babilonese, riusciranno a sopravvivere all’Apocalisse e a vedere la nuova era di prosperità. Dopo la morte del Leone Hailé Selassié qualcuno perde la fede, ma la gran parte dei fedeli ha fiducia nelle esortazioni dei Rasta che citando la Bibbia invitano tutti a non spaventarsi perché «Lui ha il potere di scomparire quando vuole». Sharon, la figlia di Bob Marley, chiede al padre se sia vero che Jah è morto. Bob le risponde di no e qualche giorno dopo compone la canzone Jah live.


26 agosto, 2020

26 agosto 1959 – Arriva la Mini, l’auto della Swingin’ London

Il 26 agosto 1959 vede la luce la Mini, un’auto destinata a diventare, negli anni Sessanta il simbolo della rottura con le tradizioni, una sorta di trasposizione a quattro ruote del look moderno e aggressivo che accompagna la nascita e la crescita di un nuovo protagonismo giovanile. Non è un caso che proprio questa minuscola quattroruote, insieme alla minigonna, ai Beatles, ai variopinti abiti di Carnaby Street e alle musiche di derivazione rhythm and blues sia ancora oggi considerata una delle componenti fondamentali della Swingin’ London, la Londra capitale della gioventù d’Europa all’alba degli anni Sessanta. E pensare che quando nasce alla fine degli anni Cinquanta in molti arricciano il naso di fronte a un gioiellino che frantuma le regole auree del perfetto costruttore d’auto. Fino a quel momento, infatti, per i costruttori britannici d’automobili “piccolo” non poteva essere ancora associato a “bello”. L’idea di vettura di città era legata alle “bubble cars”, vetturette spesso con tre ruote, con i posti in tandem e accesso frontale all’abitacolo. La rottura avviene per opera di Alec Issigonis, un geniale progettista d’origine greco-turca che, su incarico di Leonard Lord, l’amministratore delegato della BMC (British Motor Corporation) realizza a tempo di record una vettura dalle caratteristiche costruttive rivoluzionarie: motore anteriore disposto trasversalmente, radiatore laterale, trazione anteriore e sospensioni indipendenti con elementi elastici in gomma. Queste ultime sono frutto dell’apporto creativo di un grande amico di Issigonis, Alex Moulton, una specie di genio dei sistemi di sospensione. Solo otto mesi dopo l’affidamento dell’incarico i primi prototipi cominciano a macinare chilometri sulle strade britanniche! Il primo nome della vetturetta progettata da Alec Issigonis è ADO 15, una fredda sigla d’officina per un prototipo tutto da inventare. L’involontaria artefice di un nome destinato a restare per sempre nell’immaginario collettivo è la moglie di un giovane ingegnere dello staff di Issigonis. La donna, infatti, recatasi per caso a trovare il marito al quartier generale dei progettisti in Longbridge, si trova di fronte per la prima volta il misterioso modello di cui fino a quel momento aveva soltanto sentito parlare e, sorpresa, esclama: «Com’è mini!». La frase, buttata lì di getto, colpisce il gruppo di progettisti perché il termine sintetizza efficacemente tutti i valori espressi dall’autovettura. L’ADO 15 diventa Mini e il 26 agosto 1959 viene presentata ufficialmente.. Il primo modello ha un motore da 848 cc in grado di erogare 34 cv e viene immesso sul mercato come Austin Mini Seven e come Morris Mini Minor. La sua commercializzazione, cioè, viene affidata ad Austin e Morris, due dei molti marchi che compongono la BMC. Nonostante l’ottimismo del grande capo Leonard Lord, un tipo il cui principio era «quando costruisci automobili terribilmente buone, l’ultima preoccupazione che hai è quella di venderle!», l’accoglienza del pubblico non è esaltante e, per qualche tempo il modello, nonostante il prezzo tutt’altro che inaccessibile, sembra destinato ad attrarre l’interesse della fascia medio-alta della popolazione britannica, numericamente poco interessante per chi pensava di conquistare il mercato della motorizzazione di massa. È soltanto una falsa partenza che non pregiudica più di tanto il progetto. In breve tempo la Mini si tramuta in un grande successo commerciale e di costume, diventando il simbolo della rivoluzione generazionale degli anni Sessanta. L’accordo tra la BMC e il costruttore di vetture da corsa per la formula 1 dà il via alla produzione delle Mini Cooper, vetturette aggressivamente sportive con cerchi in lega, rifiniture e accessori presi a prestito dalle versioni destinate alle competizioni. Le vittorie di questo modello a ben tre edizioni del Rallie di Montecarlo (1964, 1965 e 1967) e i risultati conseguiti in centinaia di gare su strada e in pista fanno entrare la Mini anche nella storia degli sport motoristici.

25 agosto, 2020

25 agosto 1973 – Gli Stories, un gran gruppo, non una cover band

Il 25 agosto 1973 al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti c'è Brother Louie, un brano che ha già conosciuto un buon successo in Gran Bretagna nella versione degli Hot Chocolate. Il disco che sta dominando le classifiche statunitensi, pur simile a quello britannico, non è eseguito dalla stessa band. Artefici del successo negli States sono gli Stories, un gruppo di cui pochi, fino a quel momento, hanno sentito parlare. Per evitare i soliti sospetti di essere un "gruppo fantasma", i quattro Stories si cimentano in una lunga serie di concerti e di conferenze stampa. Tutti possono verificare così che la band esiste da poco più di un anno ed è stata fondata dal tastierista Michael Brown, già con Left Banke e i Montage. Suoi compagni d'avventura sono il cantante e bassista Ian Lloyd, il chitarrista Steve Love e il batterista Bryan Madey. Pochi mesi dopo la loro costituzione pubblicano il singolo I'm coming home e l'album Stories, passati inosservati, o quasi, ai più. All'inizio del 1973, quando gli Stories non hanno ancora compiuto un anno, Michael Brown, confermando la sua fama d'artista irrequieto, dichiara chiusa la storia del gruppo e se ne va. I suoi compagni non ci stanno. Lo sostituiscono con il tastierista Kenny Bichel e riprendono a darsi da fare. L'assenza del leader-fondatore li penalizza dal punto di vista creativo e per far fronte agli obblighi contrattuali con la loro etichetta decidono di interpretare un brano già conosciuto. La scelta cade su Brother Louie degli Hot Chocolate che, a sorpresa, diventa un successo. Il disco fortunato non cambia il loro destino. Nonostante i risultati saranno per sempre considerati niente di più di una buona "cover band". Persi per strada Love e Lloyd, sostituiti dal chitarrista Rich Ranno e dal bassista Kenny Aaronson pubblicheranno ancora qualche disco, tra cui Mamy Blue, versione del successo dei Pop Tops, e nel 1975 finiranno per separarsi definitivamente.


24 agosto, 2020

24 agosto 1969 - Il Ristorante di Alice

Il 24 agosto 1969 a Los Angeles e a New York viene proiettato per la prima volta il film "Alice's Restaurant", ispirato all'omonimo e autobiografico talking-blues di Arlo Guthrie, il figlio del grande folksinger Woody. Diretto da Arthur Penn la pellicola, in cui Arlo interpreta il protagonista, cioè se stesso, è destinata a restare una preziosa testimonianza di un'epoca e un esempio di come un lungometraggio possa assumere i modi e i ritmi di una canzone senza necessariamente diventare lezioso o, peggio, banale. La mano felice del regista oscilla tra la narrazione e il documentario senza mai farsi trascinare oltre i limiti del racconto. Non è un caso che la generazione ribelle degli anni Sessanta si ritrovi più in questo film che nel pessimistico "Easy rider". La storia è quella di Arlo, un giovane cantante rock diciottenne che, pur di evitare l'arruolamento in un esercito impegnato nella guerra del Vietnam, decide di riprendere a studiare. La scuola cui si iscrive, il Rocky Mountain College, però, non può sopportare a lungo i suoi atteggiamenti anticonformistici e in breve tempo lo espelle. Si unisce allora a due amici appena conosciuti, Ray e Alice, che gestiscono un piccolo ristorante che serve a sostenere un gruppo di ragazzi che vivono in comunità in una chiesa sconsacrata. Dopo varie peripezie Arlo riesce a ottenere l’esonero e decide di restare nella comunità, ma scopre che, uno dopo l'altro, i giovani se ne sono andati lasciando soli Ray e Alice. Nel film si alternano momenti ironici a episodi di satira aperta (uno fra tutti è il colloquio di Arlo con lo psichiatra militare) a momenti altamente drammatici, ma non ci sono segnali di disillusione. Anche la fine dell'esperienza comunitaria è vista più come un elemento che nasce dalla dissoluzione dell'America giovanile che come un dato di fatto. Le musiche e le voci di Joni Mitchell, Pete Seeger, Garry Sherman e dello stesso Arlo Guthrie sottolineano una speranza: quella che la parte più libera dei giovani statunitensi possa contribuire a cambiare lo stato delle cose esistenti. In questo senso le battaglie per i diritti civili e contro la guerra vengono viste come l'altra faccia del "sogno americano", quasi a sancire la legittimità della speranza una generazione che sta scoprendo l'impegno politico dopo aver percorso un pezzo della strada tracciata da Kerouac e Ginsberg. Se ne accorgono i giovani che la sera del 24 agosto affollano le sale dove il film viene proiettato in prima visione e ne decretano l'imprevisto successo.

21 agosto, 2020

22 agosto 1936 – Tony Kendall, l’agente segreto Jo Walker


Il 22 agosto 1936 nasce a Roma Luciano Stella, in arte Tony Kendall. Le sue esperienze nel mondo dello spettacolo cominciano sui set dei fotoromanzi dove il suo volto particolare viene notato da Steno che nel 1956 lo inserisce nel cast di “Femmina tre volte”. In quegli anni si chiama ancora Luciano Stella. È Vittorio De Sica che, dopo averlo conosciuto a un provino gli suggerisce di trovarsi un nome d’arte “americano”. Per la scelta lui racconta di essersi fatto ispirare da un’enorme insegna vista nei pressi di Torvajanica. Il suo primo film di successo è “La frusta e il corpo” di Mario Bava nel 1963 cui seguono notevoli esperienze nei vari filoni del “cinema di genere italiano” di quegli anni interpretando alcuni cult come “La jena di Londra” di Gino Mangini del 1963, “Delitto sull’autostrada” di Bruno Corbucci e soprattutto “La cavalcata dei resuscitati ciechi” di Amando de Ossorio. Non mancano prove anche nei film d’impegno come “Gli intoccabili” di Giuliano Montaldo nel 1968 o “Il muro di gomma” di Marco Risi nel 1991. Nel 1965 in “Operazione tre gatti gialli” diretto da Frank Kramer interpreta per la prima volta il personaggio di Jo Walker, un agente segreto ispirato alle fortune di 007. Il personaggio, che ottiene uno straordinario successo in tutto il mondo e, in particolare, in Germania finisce per condizionare la sua carriera. Interpreterà Jo Walker in ben sette film e la serie avrà termine non per un calo d'attenzione del pubblico ma soltanto perchè Tony Kendall deciderà di chiudere l'esperienza. Muore a Roma il 28 novembre 2009.

21 agosto 1964 - L’ultimo western italiano prima della rivoluzione di Leone


Il 21 agosto 1964 a Milano viene proiettato per la prima volta “Le pistole non discutono”. Il film, diretto da un abile artigiano delle pellicole d’avventura come Mario Caiano, è il secondo western dopo “Duello nel Texas” prodotto dalla Jolly Film di Arrigo Colombo e Giorgio Papi che hanno come partner la spagnola Trio Film e la tedesca Constantin. L’impegno economico è notevole. Il costo preventivato è di duecentoquaranta milioni di lire, trenta dei quali rappresentano il cachet concordato con il “vecchio” cow boy statunitense “prestato” da Hollywood Rod Cameron. Sono tanti soldi, ma la società di produzione romana pensa di poter ottimizzare l'investimento utilizzando le scene e i macchinari per girare un altro lungometraggio. Si tratta di un western a basso costo diretto da Sergio Leone il cui obiettivo principale è quello di arrotondare gli incassi della Jolly Film. In realtà il destino ha in serbo una sorpresa. Il film di Leone, uscito nelle sale circa un mese dopo il film di Caiano con il titolo “Per un pugno di dollari”, segna l’inizio del “western all’italiana”, un genere destinato a lasciare un segno importante nella storia del cinema. “Le pistole non discutono”, invece, resta nella memoria collettiva come “l’ultimo western prima di Leone”, cioè l’ultimo esempio di una produzione italiana di film western “d’imitazione americana”. Nonostante la fama che lo circonda “Le pistole non discutono”, è un film decisamente meno “americano” di quanto si possa ritenere. Non è poi così strano visto che nel cinema, come in ogni ambito culturale, nulla nasce all’improvviso e la genialità del singolo in genere accelera e sintetizza processi che sono già in atto. Il western all’italiana non fa eccezione. Se Sergio Leone può essere considerato il primo a definire in modo compiuto i “codici di genere”, altri in quegli stessi mesi concorrono a fissarne contorni e ambiti, come Sergio Bergonzelli con “Jim, il primo” o Sergio Corbucci con il suo “Minnesota Clay”. In questo quadro il film diretto da Mario Caiano nonostante il suo impianto decisamente tradizionale come il protagonista anziano alla John Wayne o l’arrivo della cavalleria nel finale dovrebbe essere rivalutato. Anch’esso, infatti, contiene innovazioni che in qualche modo anticipano alcune caratteristiche del western all’italiana. È il caso, per esempio, della figura di Billy, il bandito paranoico che legge la Bibbia, più vicino ai cattivi senza sfumature degli “attori di parola” del cinema mitologico italiano cui si sono ispirati Leone e i suoi epigoni che ai complicati cattivi hollywoodiani. Decisamente più in linea con il western all’italiana che con la tradizione “americana” appare poi l’ostentazione delle ferite, con il sangue rosso vivido, nelle sequenze della morte di Billy colpito dal coltello di Santero o della cauterizzazione della ferita di George. In linea con questa impostazione appare anche la violenza esibita nel massacro finale dei banditi messicani.

20 agosto, 2020

20 agosto 1950 - Mita Medici, una sex symbol degli anni della contestazione

Il 20 agosto 1950 nasce Patrizia Vistarini, destinata a diventare con il nome d’arte di Mita Medici, uno dei sex symbol italiani tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Figlia dell'attore Carlo Silva, nel 1965 a soli quindici anni vince il concorso Miss Teenager. A sedici fa il suo debutto cinematografico nel film “L’estate” di Paolo Spinola cui segue nel 1969 il grande successo di "Pronto c'è una certa Giuliana per te" di Massimo Franciosa. Nello stesso anno si fa notare anche nel mondo della canzone con il singolo Nella vita c'è un momento con il quale partecipa al concorso la Caravella di Bari. I risultati migliori arrivano però dal cinema dove interpreta film come "Colpo di sole" di Mino Guerrini, "Come ti chiami amore mio?" di Umberto Silva o "Plagio" di Sergio Capogna. Non mancano poi performance teatrali come, nel 1973, la partecipazione al musical "Ciao Rudy" di Garinei e Giovannini. Nel 1974 arriva anche il grande successo televisivo con "Canzonissima". Nel 1978 dopo aver portato in scena "Il mercante di Venezia", di Shakespeare per la regia di Cobelli, se ne va negli Stati Uniti per frequentare prima il "Lee Strasberg Theatre Institute" e poi "L'actors Studio". Al ritorno in Italia riprende la sua attività privilegiando soprattutto il teatro e la televisione pur senza disdegnare qualche partecipazione cinematografica. Tra gli anni 1991-93 è stata tra le animatrici dell'Associazione Culturale "Lo Studio". A lei Le Orme hanno dedicato la canzone Mita Mita.

18 agosto, 2020

18 agosto 1977 - Addio per sempre, Elvis

Gli esperti della polizia calcolano in più di settantacinquemila il numero dei fans che il 18 agosto 1977, giorno dei funerali di Elvis Presley, circondano Graceland, la favolosa villa di Memphis nella quale il re del rock and roll ha vissuto fino agli ultimi giorni della sua vita in una situazione di alienante, pur se dorata, solitudine. Quella che è accorsa a dargli l’ultimo saluto è una folla disperata e piangente, non aliena da gesti di isteria, che mette in difficoltà anche il nutritissimo servizio d’ordine. A parte i soliti contusi e gli innumerevoli svenimenti, il bollettino della giornata contempla anche due morti, due ragazze travolte da un’automobile sbucata da chissà dove e piombata improvvisamente sulla folla. Tutta questa gente preme sui cordoni di sicurezza. Non capisce perché non può partecipare ai funerali. È costretta a viverli a distanza di sicurezza, ai margini della cerimonia ufficiale, cui sono stati ammesse solo centocinquanta sceltissime persone. La salma di Elvis Presley viene inumata nel cimitero di Forest Hill a Memphis. Il quarantaduenne re del rock and roll è morto due giorni prima, all’alba del 16 agosto, stroncato da un collasso cardiaco dopo essere stato trovato dalla sua compagna Ginger Alden privo di sensi e con il viso affondato nella moquette del corridoio che porta in bagno. Immediatamente trasportato al Baptist Memorial Hospital di Memphis è spirato intorno all’una e mezza del pomeriggio. Con lui se ne va uno dei simboli della grande rivoluzione musicale degli anni Cinquanta, nata con l’esplosione del rock and roll. Il Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, esprimendo il suo cordoglio per la scomparsa, dichiara «La morte di Elvis Presley priva il nostro paese di una parte importante della sua cultura. Egli è stato unico ed irripetibile... La sua musica e la sua personalità hanno saputo fondere il country dei bianchi con il blues dei neri cambiando per sempre la cultura del popolo americano».