Il 27 settembre 1959 nasce a Roma Antonella Bianchi destinata a diventare, con il nome d’arte di Belen Thomas, una delle regine della dance europea. Il suo debutto discografico avviene nel 1986 quando, con il nome di Galvanica, pubblica nel 1986 il singolo Night lights in Japan, un brano "etno-dance" di Massimiliano Orfei arrangiato da Giorgio Costantini che ottiene un discreto riscontro. Il primo grande successo commerciale arriva due anni dopo quando, già sotto le spoglie di Belen Thomas vola al vertice delle classifiche di mezza Europa nel 1988 con Y mi banda toca el roch, versione proposta con arrangiamenti dance-latini de La mia banda suona il rock di Ivano Fossati. L’anno dopo si ripete con Aire, presentato al Sanremo Rock, e Survivor un brano cantato in coppia con il suo autore Mike Francis, che si piazza al terzo posto del Festivalbar. Nel 1990 pubblica Iberica, un album da cui viene estratto il singolo Panama. Nello stesso anno Udo Jurgens la vuole con lui per interpretare l’inno ufficiale della nazionale tedesca di calcio impegnata nei campionati mondiali di calcio che si svolgono in Italia. Dopo il buon successo di Don Diego de noche, nel 1992 realizza con Patrick Hernandez una versione in duetto di Born to be alive con la quale partecipa al Festivalbar. L’anno dopo pubblica A, la prima registrazione in lingua italiana della sua carriera. Nel 1998 con lo pseudonimo di Otero pubblica il singolo Le bianche spose prodotto dal Consorzio Suonatori Indipendenti. Nel 2008 recuperato il nome di Belen Thomas pubblica l'album Nemmeno dopo il buio con sette canzoni da lei composte che spaziano dal pop elettronico a una versione pop del requiem in latino.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
27 settembre, 2020
26 settembre, 2020
26 settembre 1983 – Tino Rossi, lo chansonnier corso
Il 26 settembre 1983 muore Tino Rossi. Più di mille canzoni registrate e oltre trecento milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Queste cifre, pur notevoli, non riescono però a definire compiutamente il fenomeno di Tino Rossi, uno dei primi personaggi dello spettacolo a suscitare forme di ammirazione di massa che in qualche modo anticipano il fervore fanatico che in epoca diversa circonderà personaggi come Elvis Presley o i Beatles. La sua popolarità è stata indubbiamente agevolata dalla cassa di risonanza della radio che negli anni Trenta arriva porta le voci degli interpreti musicali nelle case francesi, ma la longevità e l’intensità del successo non possono essere giustificate banalmente dall’avvento della radiodiffusione. Secondo la leggenda il suo ingresso nel mondo della canzone sarebbe avvenuto per caso con la registrazione a sue spese di un disco da regalare alla madre, anticipando di vent’anni Elvis Presley la cui carriera inizia nello stesso identico modo. Impossibile capire se sia vero o se si tratti soltanto di una delle tante storie che costellano la vita di personaggi entrati nel mito e, in fondo, non è poi così importante. La caratteristica dei miti è proprio quella di essere collocati in uno spazio particolare dove il tempo e la realtà si confondono. Se non fosse così che miti sarebbero? Per mezzo secolo Tino Rossi attraversa da protagonista la scena musicale francese incurante dello scorrere del tempo o, meglio, consapevole dei cambiamenti determinati dall’incedere del tempo. Se la sua voce sensuale e i suoi modi da sciupafemmine regalano sogni romantici alla Parigi degli anni Trenta, con lo scorrere di giorni, mesi e anni, modifica il suo modo di proporsi al pubblico fino a diventare, nel dopoguerra, il simbolo per antonomasia del cosiddetto “spettacolo per famiglie”. Re dell’operetta, ineguagliabile interprete di brani come Petit Papa Noël, un inno da cantare in famiglia ogni notte di Natale, Tino Rossi aggira il tempo e si fa amare anche dalle generazioni che l’hanno conosciuto tardi. Di lui, oltre alle canzoni, resta anche un buon numero di film. Sono poco meno di una trentina, girati in gran parte nel primo periodo della sua carriera anche se il più citato è “Si Versailles m’était conté”, una vera e propria parata di stelle con, tra gli altri, Orson Welles, Edith Piaf e Brigitte Bardot diretto e interpretato da Sacha Guitry e uscito in Italia con il titolo semplificato in “Versailles”.C’è chi ha scritto con una suggestiva similitudine che Tino Rossi è un corso che ha avuto successo nel mondo come Napoleone Bonaparte. Lo chansonnier, infatti, nasce il 29 aprile 1907 ad Ajaccio, in Corsica, dove viene registrato all’anagrafe con il nome di Costantino Rossi. Sua madre si chiama Eugénie e suo padre Laurent. Quest’ultimo fa il sarto e spera che il piccolo Costantino, anzi Tintin come viene soprannominato nei primi anni d’età o Tino come lo chiamano i suoi compagni di scuola, rappresenti la continuità dell’azienda famigliare. Il giovane, però, non pensa proprio di finire i suoi giorni tra aghi, metri e tessuti e coltiva la passione del canto sostenuto dalla sicurezza di possedere una voce di grande qualità come gli ripete ogni giorno il maestro del coro della chiesa in cui canta accompagnando le funzioni religiose. Appena può scappa via dalla famiglia e se ne va in Costa Azzurra dove alterna partecipazioni a vari concorsi per esordienti con le esibizioni nei locali notturni e il lavoro da impiegato all’Ufficio Ipoteche di Nizza. Per qualche tempo torna ad Ajaccio dove i suoi genitori gli hanno trovato un lavoro al Casinò, ma ben presto riprende una nave per il porto di Marsiglia e da lì se ne va a lavorare al Casinò di Aix-en-Provence come cambiavalute. Il canto resterebbe quasi un hobby da praticare in qualche locale nelle sere libere se il destino non ci mettesse lo zampino. La fortuna per Tino Rossi ha il nome di P’tit Louis, un impresario che, dopo aver assistito a una sua esibizione, resta colpito dalla voce e soprattutto dalla sua personalità in scena. Convinto di avere per le mani un personaggio destinato al successo e alla conquista del pubblico femminile gli propone una scrittura. Tino Rossi accetta. È il 1929 e da quel momento il palcoscenico sarà la parte più importante della sua esistenza fino all’ultimo giorno della sua vita. Locale dopo locale la popolarità di Tino Rossi cresce con il crescere delle sue esibizioni dal vivo. La prima etichetta a pensare di sfruttare anche dal punto di vista discografico le potenzialità del giovane chansonnier è la Parlophone che all’inizio degli anni trenta gli sottopone una proposta per la registrazione di qualche brano. Tino Rossi sbarca così a Parigi per realizzare il suo primo disco. È un 78 giri che contiene i brani O ciuciariello e Ninna nanna e viene pubblicato nel 1932 senza particolare successo. L’esperienza più il soggiorno parigino, opportunamente utilizzate dal suo impresario, sono utili per aprirgli le porte dei più prestigiosi locali del meridione della Francia, in particolare dell’Alcazar di Marsiglia considerato un po’ il tempio della nuova generazione di chansonnier. Nel 1933 gli arriva la proposta di un nuovo contratto discografico. A muoversi questa volta è la Columbia, una delle etichette più prestigiose dell’epoca, convinta che il suo profilo da attore hollywoodiano e la sua voce da galante conquistatore possono spopolare sulla scena musicale francese. Tino Rossi firma e in breve tempo diventa una vedette del music-hall parigino. In quel periodo incontra anche il compositore provenzale Vincent Scotto. Tra i due nasce un’intesa artistica destinata a durare anni e benedetta dal pubblico il 14 ottobre 1934 quando lo chansonnier interpreta per la prima volta dal vivo le canzoni del suo amico arrivato a Parigi dalla Provenza. Gli anni Trenta scorrono veloci e costellati da successi come Adieu Hawaii, un brano inciso su disco nel 1935 che vende oltre mezzo milione di copie. Il fascino esercitato sul pubblico femminile non sfugge al mondo del cinema che, dopo una serie di ruoli secondari, gli affida il ruolo da protagonista nel film “Marinella” di Pierre Caron. Il pubblico fa la fila davanti ai botteghini per assistere alla proiezione della pellicola mentre la canzone con lo stesso titolo che fa da tema musicale al film si trasforma in un successo discografico con pochi precedenti. L’occupazione nazista e la seconda guerra mondiale non fermano l’attività di Tino Rossi. Il suo attivismo artistico in quegli anni tristi rischia di costargli caro nel 1944 quando, dopo la Liberazione di Parigi, viene incarcerato con l’infamante sospetto aver collaborato con gli invasori nazisti. In pochi giorni le accuse contro di lui cadono nel nulla e viene liberato. Nel 1946 centra quello che è considerato il suo più grande successo del dopoguerra con la canzone Petit Papa Noël interpretata per la prima volta nel film “Destin” di Richard Pottier. Proprio con quel brano nasce un nuovo Tino Rossi. L’affascinante conquistatore dallo sguardo assassino e dal volto simile a quello di Rodolfo Valentino lascia spazio a un cantante che sta entrando nel pieno della maturità artistica, consapevole delle proprie qualità e capace di mettere a frutto l’esperienza. Nel 1970 decide di chiudere definitivamente con il cinema e di ridurre quella canora al minimo indispensabile. Nel 1976 Parigi gli tributa un il suo omaggio e tutto il suo amore affollando all’inverosimile una serie di recital tenuti sotto il tendone del Circo Jean-Richard nel giardino de Les Tuileries. Nel 1982 il recital messo in scena per festeggiare i cinquant’anni di carriera resta in cartellone per ben tre mesi. In rinnovato successo spinge la Pathé Marconi a offrirgli un contratto discografico della durata di cinque anni. Tino Rossi lo firma ma non lo rispetterà perché il 26 settembre 1983 muore nella sua casa di Neuilly-sur-Seine nelle vicinanze di Parigi arrendendosi al cancro che da tempo l’ha aggredito.
25 settembre, 2020
25 settembre 1960 – Roberto Kunstler, il socio di Cammariere
Il 25 settembre 1960 nasce a Roma il cantautore Roberto Kunstler. A vent’anni inizia a esibirsi al Folkstudio e nel 1983 collabora con il gruppo Strada Aperta di Antonello Venditti. Nello stesso anno partecipa al tour di Mimmo Locasciulli. Nel 1984 pubblica il suo primo singolo con i brani Danzando con la notte e col vento e Piccola regina del varietà che vince il Premio Rino Gaetano. Nel 1985 partecipa al Festival di San Remo tra le nuove proposte con la canzone Saranno i giovani e pubblica il suo primo album Gente comune (BMG). Quattro anni dopo realizza il secondo album Mamma, Pilato non mi vuole più seguito nel 1991 da Eclettico Ecclesiastico. A partire dal 1992 inizia a collaborare con Sergio Cammariere. I due pubblicano nel 1993 l’album I ricordi e le persone che contiene la prima versione di Dalla pace del mare lontano e scrivono varie canzoni per altri interpreti. La collaborazione con Cammariere impegna gran parte dell’attività di Kunstler che, pur non rinunciando a esibirsi dal vivo in diverse occasioni evita di pubblicare nuovi dischi fino al 2005 quando, a undici anni dall’album precedente, realizza Kunstler. Nel 2014 torna in studioper registrare l'album Mentre.
23 settembre, 2020
23 settembre 1962 – “Ave Maria” a sorpresa per Miranda Martino
Il 23 settembre 1962 Miranda Martino, la "scandalosa" interprete di Meravigliose labbra, considerata una delle donne più sensuali della canzone italiana e protagonista delle cronache rosa dell’epoca, si sposa con il giornalista Ivano Davoli. Per l’occasione la chiesa viene presa d’assalto da giornalisti e fotografi. Tra la sorpresa generale, durante la cerimonia, accompagnata dalla musica dell’organo si alza chiara la voce di Luciano Tajoli sulle note dell’Ave Maria. Il contrasto tra il personaggio moderno e disinvolto della Martino e la presenza di un esponente della canzone melodica tradizionale come Tajoli non sfugge ai giornalisti presenti e suscita più di una curiosità. Al termine la cantante spiega di aver chiesto volutamente a Luciano, “che ho conosciuto bene al Cantagiro e che considero uno dei più grandi interpreti della musica italiana”, di cantare al suo matrimonio perché “la sua voce ha sfumature capaci di commuovermi”.
22 settembre, 2020
22 settembre 1919 - Rio Gregory, il pianista jazz di Zurigo
Il 22 settembre 1919 nasce a Zurigo, in Svizzera, Rio De Gregori, che, con il nome d'arte di Rio Gregory viene considerato uno dei migliori pianisti jazz europei degli anni Trenta e Quaranta. Spinto dai genitori inizia lo studio del pianoforte in età scolare ma lo fa talmente di malavoglia che dopo tre anni gli stessi genitori accettano la sua decisione di smettere. Quelle ore passate sui tasti bianchi e neri gli tornano alla mente molto tempo dopo quando, sedici anni, ascoltando alcuni dischi di Duke Ellington, decide di ritornare a suonare. Nel 1936, appena diciassettenne, inizia la sua carriera di jazzista con un trio, formato da pianoforte, violino e batteria. Nel 1937 conosce il batterista statunitense Mac Allen, che aveva suonato dieci anni prima a Berlino con Bechet, e con lui forma un duo destinato a durare per ben due anni. In seguito suona e incide con la maggior parte delle orchestre attive in quell'epoca in Svizzera, da quella di Jo Grandjean a quella di René Weiss, da quella di Fred Bohler, a quella di Philippe Brun, agli Original Teddies. Nel 1942 inizia a registrare con il suo nome in trio e l’anno successivo con un settetto comprendente Flavio Ambrosetti al vibrafono e Stuff Combe alla batteria. Nel dopoguerra forma una grande orchestra che mantiene unita per circa quattro anni. Nel 1949 sostituisce il pianista Don Gais, nell'orchestra di Eddie Brunner. Negli anni successivi, alterna l'attività di musicista di jazz con quella di pianista in varie orchestre di musica leggera. Muore il 22 maggio 1987 a Monaco.
21 settembre, 2020
21 settembre 1920 – Bandiera rossa trionferà…
Il 21 settembre 1920 le vetture tramviarie di Torino vengono tappezzate di volantini sui quali è scritto "Bandiera rossa trionferà/se il soldato la seguirà!". È uno dei tanti fenomeni che costellano i primi anni di vita di un brano destinato a entrare nella tradizione culturale del nostro paese. Bandiera rossa infatti è forse la più famosa e cantata canzone del movimento operaio italiano. Le sue origini si perdono nella nebbia e anche l'anno di nascita che comunemente viene preso per buono, cioè il 1908, è probabilmente da ritenersi una data indicativa. Il testo originale, quello della tradizione socialista, è stato scritto da Carlo Tuzzi, anche se la versione originale ha subito numerosi rimaneggiamenti. Quella che in genere si conosce oggi è la più diffusa versione comunista dell'inno, anche se neppure questa è scevra da varianti. La strofa «Dai campi al mare, alla miniera/dei proletari, l'immensa schiera/avanti é l'ora della riscossa/bandiera rossa trionferà» ha anche una versione che dice «Dai campi al mare, alla miniera/all'officina, chi soffre e spera/sia pronto, é l'ora della riscossa/bandiera rossa trionferà». La strofa successiva «O proletari, alla riscossa» diventa in altre versioni «O comunisti alla riscossa». Non è, però, il caso di scervellarsi perché nelle canzoni popolari, le variazioni sono un segno di vita e vivacità di un brano. È “L'Ordine Nuovo”, il giornale di Antonio Gramsci, a raccontare che il 21 settembre 1920 le vetture tramviarie di Torino vengono tappezzate di volantini sui quali è scritto «Bandiera rossa trionferà/se il soldato la seguirà!», a dimostrazione che la fantasia popolare non ha limiti. Più difficile è ricostruire l'origine della musica. Secondo Roberto Leydi essa deriverebbe dalla fusione di due arie popolari della tradizione lombarda: la strofa da Ciapa on saa, pica la porta (prendi un sasso, picchia la porta) e il ritornello dall'aria Ven chi Nineta sotto l'ombrelin (Vieni qui Ninetta sotto l'ombrellino). Ne esistono anche varie versioni in lingue diverse. Cesare Bermani scrive che di essa sono note anche una versione tedesca e una ucraina. A differenza di quanto accaduto con L'internazionale, Bandiera rossa è stata poco utilizzata nel rock, nonostante alcune pregevoli eccezioni. La più famosa "utilizzazione impropria" è quella degli Osanna che, in ossequio alla lezione di Jimi Hendrix, ne scandiscono le prime battute con il suono lancinante di una chitarra distorta come introduzione a Non sei vissuto mai un brano del loro primo album. Un'esperienza simile ripercorrono gli Area invertendone la collocazione. Soprattutto nelle esecuzioni dal vivo, infatti, la chitarra lancia le note di Bandiera rossa sulla chiusura della loro versione de L'Internazionale.
20 settembre, 2020
20 settembre 2003 – A Roma Lázaro Valdés, l’erede di Benny Moré
Il 20 settembre 2003 arriva alla Festa Nazionale di Liberazione di Roma il pianista cubano Lázaro Valdés, una delle leggende della musica caraibica, esponente di quel linguaggio musicale che coniuga la tradizione afrocaraibica con le sonorità e le strutture del jazz. C’è chi lo chiama Latin Jazz, ma la definizione va stretta a una musica ricca dalle mille suggestioni, capace allo stesso tempo di essere evocativa e trascinante, colta e popolare, magica e travolgente. Lázaro è considerato universalmente uno dei maestri e dei capiscuola di questo genere musicale. Nato nel 1940, figlio del leggendario Oscar Valdés, appartiene a una famiglia di grandi musicisti e a tre anni inizia a studiare pianoforte, teoria e solfeggio al Conservatorio di Marianao. A dieci anni tiene il suo primo concerto di musica classica e due anni dopo viene ammesso al prestigioso Conservatorio Estrada. Il salto al professionismo è rapidissimo. A quindici anni suona con varie orchestre e nel 1958, soltanto diciottenne, diventa il pianista dell’orchestra di Benny Moré, una delle più famose Big Band di quel periodo. La sua perizia strumentale e la sua capacità espressiva fanno sì che, alla morte di Moré, proprio lui venga scelto per prenderne il posto alla guida dell’orchestra. Con i suoi ventitré anni diventa uno dei più giovani direttori di grandi orchestre di tutti i tempi. Quando glielo si ricorda sorride «Erano anni straordinari, i primi dopo il trionfo della Rivoluzione e io ero giovane. Pur avendo l'onore di dirigere una delle orchestre più famose del mondo non mancavo di dare il mio contributo come pianista al Teatro Martì…». Lungi dal considerare questa esperienza come un punto d’arrivo, Valdés collabora con quasi tutti i grandi compositori di quel periodo. Nel 1972 fonda i Te Con E, un progetto orchestrale con il quale sperimenta le nuove frontiere sonore della musica latina, diventando uno dei personaggi più carismatici del Latin Jazz. La sua strada incrocia anche quella di alcune grandi interpreti della musica cubana, come Omara Portuondo e Elena Burke, ma il suo interesse nei confronti delle radici africane della musica cubana non si limita all'aspetto strumentale. Alla fine degli anni Novanta, infatti, pubblica il libro “Origini e radici del Son”, un’opera fondamentale, mai pubblicata nel nostro paese, che raccoglie oltre vent'anni di studi sull’influenza africana nello sviluppo della musica caraibica e cubana in particolare. Questo lavoro finisce per regalargli nuovi impegni. All’attività concertistica, infatti, affianca un impegno come conferenziere e insegnante in moltissime istituzioni universitarie del mondo.
19 settembre, 2020
19 settembre 1912 - Miro Graziani, il batterista autodidatta
Il 19 settembre 1912 nasce ad Assisi, in provincia di Perugia, il batterista Vladimiro Graziani, detto Miro, un tipo di talento che con Aldo Masciolini, Riccardo Laudenzi, Sandro Poccioli e altri, compone la nutrita schiera a di musicisti umbri che nell'immediato dopoguerra hanno contribuito a diffondere il jazz nel nostro paese. Nel 1920, a otto anni, vede per la prima volta una batteria. Lo strumento è stato portato ad Assisi dall’albergatore Stoppini che l’ha comperato a Londra. Graziani se ne innamora e comincia a percuotere piatti e tamburi imparandone da solo tutti i segreti. Nella sua prestigiosa carriera suona con Stéphane Grappelli, Armando Trovajoli, Livio Cerri e molti altri protagonisti. Non rinuncia neppure a dare vita a vari gruppi a proprio nome. Negli anni Settanta lavora più come compositore che come strumentista. Muore nel mese di ottobre del 1980 nella sua città natale.
18 settembre, 2020
18 settembre 1929 - Rodolfo Bonetto il campione delle spazzole che mollò il jazz per il design
Il 18 settembre 1929 nasce a Milano il batterista Rodolfo Bonetto, uno dei migliori dei primi anni del dopoguerra, eccellente nel gioco di spazzole. Il suo debutto sulle scene avviene verso la fine degli anni Quaranta quando suona con alcune tra le più importanti orchestre di musica leggera dell'epoca, da quella diretta da Enzo Ceragioli, a quella di Gorni Kramer, da quella di Beppe Mojetta a quella di Giampiero Boneschi. Tutti i direttori con cui lavora hanno la caratteristica di avere avuto un passato jazzistico. Se la musica leggera è il lavoro che gli dà da vivere, infatti, il jazz resta la sua vera passione. Per questa ragione ogni volta qualndo gli impegni professionali glielo consentono suona con vari gruppi jazz. Negli anni Cinquanta è uno dei protagonisti della scena jazzistica italiana e anima numerose jam session e concerti soprattutto nella natìa Milano. Nel 1955 fa parte del Sestetto Italiano con Oscar Valdambrini, Gianni Basso, Attilio Donadio, Giampiero Boneschi e il contrabbassista Al King, che, giunto in Italia con la troupe della rivista “Harlem Melody” e l'orchestra di Freddie Mitchell decide di stabilirsi a Milano. Fra le sue incisioni più significative di quel periodo ci sono, nel 1952, quelle con il quintetto di Franco Cerri e con il trio del pianista Vittorio Paltrinieri, nel 1953 quelle con Flavio Ambrosetti, nel 1954 quelle con Aurelio Ciarallo e nel 1955 quelle con il Sestetto Italiano. Nel 1958 un po’ a sorpresa decide di chiudere con la musica per dedicarsi con successo alla professione di disegnatore industriale. Muore a Milano nel 1991.
17 settembre, 2020
17 settembre 1958 – Herbie Fields l'incompreso
Il 17 settembre 1958 muore suicida a Miami, in Florida, il saxoclarinettista Herbert “Herbie” Fields. Nato a Elizabeth, nel New Jersey, il 24 maggio 1919, fra il 1936 e il 1938 ottiene il primo ingaggio professionale con l'orchestra di Fred Allen quando è ancora studente alla Juilliard School of Music di New York. Nel 1939 dirige un'orchestra insieme al pianista e arrangiatore George Handy e successivamente dopo un breve periodo con quella di Woody Herman, suona col trio di Leonard Ware e nel 1941 approda nella band di Raymond Scott. Nel periodo del servizio militare dirige la banda di Fort Dix e dopo il congedo, capeggiò un proprio gruppo che scioglie verso la fine del 1944. Nel dicembre di quell’anno entra nell'orchestra di Lionel Hampton con la quale rimane fino al febbraio del 1946. Chiusa l’esperienza con Hampton dà vita a una nuova formazione a suo nome nella quale suonano anche il trombettista Neal Hefti e il batterista Tiny Kahn. Negli anni Cinquanta, deluso dalla progressiva marginalizzazione cui viene sottoposto da parte dell’ambiente del jazz si rifugia in Florida dedicandosi quasi esclusivamente alla musica commerciale. Le difficoltà a trovare spazio lo portano a ricorrenti crisi depressive fino al 17 settembre 1958 quando muore dopo aver ingerito una dose massiccia di barbiturici.
16 settembre, 2020
16 settembre 1935 - Billy Boy, il bluesman che non lascia volentieri Chicago
Il 16 settembre 1935 nasce a Chicago, nell’Illinois, William Arnold, destinato a lasciare un segno come nella storia del blues con lo pseudonimo di Billy Boy. Fratello di Kokomo e di Gus Arnold, più noto con il nomignolo di Julio Finn, tipico esponente del blues di Chicago degli anni Cinquanta, Billy Boy Arnold deve la sua fortuna di cantante e di armonicista a Sonny Boy Williamson fin dal 1947, quando è soltanto un dodicenne dai pantaloni corti, si occupa di lui. Oltre a istruirlo sull’uso dell’armonica gli insegna l'esatta impostazione della voce per cantare il blues. Verso la fine degli anni Quaranta, Billy Boy raggiunge Big Bill Broonzy e in seguito inizia girare esibendosi per le strade secondo la consuetudine dei vecchi blues singers. Non ama però allontanarsi troppo da Chicago, che resta la zona cui è maggiormente legato dove si esibisce in tutti i club fino al 1964, quando registra per la Prestige una serie di brani.
15 settembre, 2020
15 settembre 1977 – Driftin' Slim, una leggenda se ne va
15 settembre 1977 muore a Los Angeles, in California, il leggendario bluesman Driftin’ Slim. Cantante, armonicista e chitarrista blues nasce ad Atlanta, in Georgia, il 24 febbraio 1919 e all’anagrafe è registrato con il nome di Elmon Mickle. Eccellente cantastorie è un leggendario “one man band” conosciuto anche con gli pseudonimi di Drifting Smith, Harmonica Harry e Model T Slim. Impara a suonare l'armonica da John Lee “Sonny Boy” Williamson, destinato a rimanere a lungo il suo maggior ispiratore e con lui lavora spesso durante i primi anni Quaranta nei locali di Little Rock, in Arkansas. Nel 1951 forma un proprio gruppo con i chitarristi Baby Face Turner, Junior Crippled, Red Brooks e con Bill Russell alla batteria. Con questa band incide per la Modern i suoi primi brani My Little Machine e Down South Blues. L'anno dopo registra con Ike Turner Good Morning Baby e My Sweet Woman per la RPM. Dopo la morte di Brooks inizia a esibirsi da solo come nell'area di Los Angeles. Nel 1959 registra alcuni dischi con il suo vero nome. All'inizio degli anni Settanta le sue cattive condizioni di salute lo costringono ad abbandonare la vita musicale attiva. La sua ultima esibizione pubblica avviene al Folk Music Festival di San Diego del 1971. Nel 1977 ci lascia per sempre.
14 settembre, 2020
14 settembre 1973 – La musicalità istintiva di Alessandro Canino
Il 14 settembre 1973 nasce a Firenze il cantante Alessandro Canino. Figlio di un musicista trova nel padre un alleato quando decide di avvicinarsi al mondo della musica, per il quale dimostra un precoce interesse e un grande talento. Il ragazzo studia con Walter Savelli e inizia prestissimo a esibirsi in vari locali di Firenze. Nel 1992 Alessandro debutta nella categoria “Nuove Proposte” del Festival di Sanremo con la canzone Brutta cui segue il suo primo album Alessandro Canino. Brutta diventa uno dei successi commerciali dell’anno e Canino vince il Telegatto come Miglior Artista Emergente decretato dal pubblico di “Vota la Voce”. Negli anni successivi torna ancora al Festival di Sanremo presentando nel 1993 Tu tu tu tu tu e nel 1994 Crescerai. Dotato di una musicalità istintiva si conferma successivamente come uno dei più promettenti cantautori del nuovo panorama pop italiano.
13 settembre, 2020
13 settembre 1990 – L’ultimo album dei CCCP-Fedeli alla Linea
Il 13 settembre 1990 viene presentato ufficialmente l’album Epica Etica Etnica e Pathos dei CCCP-Fedeli alla Linea, destinato a restare nella storia come l’ultimo della band di Lindo Ferretti e Zamboni. La nascita dei CCCP-Fedeli alla linea risale all'inizio degli anni Ottanta quando a Kreuzberg, nell'hinterland berlinese, si incontrano in modo casuale le esperienze di un gruppo di giovani musicisti italiani. La prima formazione della band schiera, oltre al bassista Umberto Negri, tre componenti dei Mitropank: il cantante Giovanni Lindo Ferretti, il chitarrista Massimo Zamboni e il batterista Zeo. Fin dall'inizio la loro musica, ricca di contaminazioni tra i suoni rudi del punk e le atmosfere della dance, attira l'attenzione della critica più avveduta. Loro si definiscono una sorta di anello di collegamento tra "punk filosovietico" e la "musica melodica emiliana". Nel 1983, dopo la rinuncia a Zeo e alla batteria, sostituita da una drum machine, diventano uno dei gruppi più popolari nei circuiti alternativi europei. L'aggiunta alla formazione di Annarella Giudici e Danilo Fatur unite all'arrivo del chitarrista Carlo Chiapparini, già con i RAF Punk, e del batterista Ignazio Orlando preludono alla firma di un contratto discografico con la Virgin e all'improvviso successo commerciale, tra il 1987 e il 1988, dell'album Socialismo e barbarie e del singolo Tomorrow inciso insieme ad Amanda Lear. Nel 1989 dopo un mini-tour in Unione Sovietica con i Litfiba i rapporti interni alla band iniziano a scricchiolare. Quando nel 1990 il gruppo si accinge a registrare il terzo album previsto dal contratto con la Virgin, nei fatti non esiste già più. Ferretti e Zamboni suppliscono alle defezioni grazie all'aiuto di tre fuoriusciti dai Litfiba: Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli e Giorgio Canali. Nasce così Epica Etica Etnica e Pathos. Il disco viene presentato il 13 settembre 1990, cioè nel giorno della riunificazione della Germania e della scomparsa di Giancarlo Pajetta, con un eloquente comunicato che sancisce la definitiva scomparsa dei CCCP. Ferretti e Zamboni continuano insieme producendo e curando una serie di artisti come gli Ustmamò e i Disciplinatha. Nel 1992, in occasione di un concerto di questi due gruppi, il direttore del "Museo Pecci" di Prato propone ai due ex CCCP di esibirsi come contorno. Ferretti e Zamboni accettano e richiamano in servizio Canali, Magnelli e Maroccolo. La Virgin subodora l'affare e chiede di pubblicare il CD live dell'evento. Il 18 novembre 1992, quindi, per la prima volta la band suona con il nome di CSI. Due mesi dopo l'album Maciste Contro Tutti segna il debutto discografico della formazione. Nel mese di gennaio del 1994 esce Ko de Mondo, il primo vero album ufficiale dei CSI. Le non buone condizioni di salute di Lindo Ferretti suggeriscono l'inserimento provvisorio in formazione di una voce in più, quella di Ginevra di Marco, destinata a diventare poi una componente stabile della band. Seguono gli album In quiete, Linea Gotica, Tabula Rasa Elettrificata e La Terra, la Guerra, una questione privata, registrato ad Alba durante un concerto-omaggio a Fenoglio. Alla fine del 1998 la popolarità del gruppo è all'apice, con concerti esauriti e una folta schiera di fans club. I CSI, perplessi di fronte agli eventi, decidono di entrare in un lungo periodo di silenzio annunciando l'interruzione dell'attività artistica "fino al 2000". Mentre tutti componenti sono impegnati in iniziative personali, nell'estate del 1999 Zamboni e Ferretti vanno a Berlino, città simbolo dell'era CCCP, per realizzare un disco insieme. Il silenzio della band si rompe nell'ottobre del 1999 quando i CSI tengono un concerto in onore del Dalai Lama in visita a Milano. Sul palco non c'è Zamboni che, come dicono i compagni, «…pare che avesse di meglio da fare». Nel gennaio del 2000 i CSI si esibiscono a Firenze con Goran Bregovic in quello che loro stessi definiscono "il primo concerto del nuovo millennio". Di nuovo Zamboni non c'è. Quella che sembrava una crisi passeggera da risolvere tutt'al più con un assestamento della formazione (fuori Zamboni) diventa un lungo tunnel. Il resto è prevedibile. Giovanni Lindo Ferretti termina da solo il disco berlinese e anche la nuova band finisce lì.
12 settembre, 2020
12 settembre 1966 – L'inizio della storia dei Monkees
Il 12 settembre 1966 la NBC manda in onda il primo telefilm interpretato dai Monkees, una band sconosciuta che vive sul teleschermo storie surreali e divertenti scandite da gag e canzoni, sulla falsariga del film beatlesiano “A hard day's night”. Il debutto televisivo è preceduto da una campagna promozionale senza precedenti, che costa alla RCA, casa discografica del gruppo, ben centomila dollari: il doppio di quanto speso due anni prima per il lancio dei Beatles negli States! Quando va in onda il primo telefilm tutti i negozi hanno già avuto in conto vendite una fornitura di dischi del gruppo superiore al normale. L’operazione ottiene un successo strepitoso e in breve tempo i Monkees diventano una delle band più popolari del mondo. La serie di telefilm che li vede protagonisti, inizialmente contenuta in una decina di episodi, si allungherà fino al 25 marzo 1968 quando verrà trasmessa la cinquantottesima e ultima puntata. La loro storia inizia l’8 settembre 1965 quando il produttore Don Kirshner, convinto da Bob Raphelson (il futuro regista di "Cinque pezzi facili" e del remake de “Il postino suona sempre due volte”), con un’inserzione a pagamento sul “Daily Variety” di Los Angeles cerca quattro ragazzi di età compresa tra i diciassette e i ventun anni per una serie di telefilm musicali. All'appello si presentano in quattrocentotrentasette e tra i candidati figurano personaggi destinati a diventare famosi come Stephen Stills, Paul Williams e il futuro leader dei Three Dog Night, Danny Hutton. Alla fine i quattro selezionati sono il cantante inglese David “Davy” Jones, il chitarrista Mike Nesmith, il bassista Peter Tork e il batterista Mickey Dolenz. Pur essendo stati scelti più per l’immagine che per le loro qualità musicali i quattro, nonostante la leggenda dei “Monkees creati dal nulla”, non sono dei novellini alla prima esperienza. Mickey Dolenz ha all’attivo, con il nome di Mickey Braddock, la serie televisiva “Il ragazzo del circo”, mentre Peter Tork è un chitarrista piuttosto popolare negli ambienti del Greenwich Village per la sua militanza nei Phoenix Singers e Mike Nesmith gode di una discreta fama come cantante e autore folk. Non è da meno l’inglese David Jones che nel suo paese ha partecipato ai musical "Oliver" e "Pickwick", ispirati ai romanzi di Dickens. La gigantesca campagna promozionale che supporta il loro lancio ottiene rapidamente i risultati prefissati. I Monkees arrivano al vertice della classifica statunitense con il primo singolo Last train to Clarksville e si ripetono con il successivo I'm believer, composto da Neil Diamond, che vende più di dieci milioni di copie in tutto il mondo. Quando la band fa la prima apparizione dal vivo in un concerto alle Hawaii scoppiano violenti disordini tra i suoi fans e le forze dell’ordine. È l’inizio della “Monkeemania”: il gruppo si ritrova a essere oggetto di una vera e propria isteria di massa da parte di milioni di adolescenti. Tra il 1967 e il 1968 tutti i dischi dei Monkees vendono milioni di copie e le fortune della band sembrano destinate a non finire mai. Con la stessa velocità con cui è arrivato, il successo se ne va. A partire dalla seconda metà del 1968, mentre cresce la qualità artistica della loro produzione, la loro popolarità tende a scemare. Emergono anche le prime divergenze tra i componenti e all’inizio del 1969 Peter Tork se ne va. I suoi compagni tentano di proseguire come trio ma, nonostante l'apprezzamento della critica, non riescono più a riconquistare i favori del pubblico. Il loro periodo d’oro è ormai finito e dopo l’addio di Nesmith i Monkees nel 1970 sono ridotti a un duo composto da Mickey Dolenz e David Jones. La storia del gruppo finisce qui anche se non mancheranno future riunioni e tour all’insegna prevalente della nostalgia. Il destino dei componenti sarà ben diverso dall’immagine degli spensierati e allegri ragazzi dei telefilm. Peter Tork, dopo aver formato, senza fortuna, i Release, passerà quattro mesi in carcere per droga prima di tornare a cantare e suonare canzoni folk al Greenwich Village. Dei quattro l’unico a sviluppare una carriera autonoma con buon successo sarà Michael Nesmith. Gli altri vivranno nel perenne ruolo degli “ex” tentando, di tanto in tanto, di rispolverare gli antichi fasti della band.
11 settembre, 2020
11 settembre 1958 - Il caso Fenaroli e la passione italiana per la "cronaca nera"
La mattina dell’11 settembre 1958 il cadavere di una donna scatena una delle prime passioni di massa dell’Italia del dopoguerra per quella che viene chiamata “cronaca nera”. Il cadavere è quello di Maria Martirano, una tranquilla donna di mezza età strangolata a Roma nella notte tra il 10 e l’11 settembre 1958. Da oltre vent’anni la signora è sposata con il geometra Giovanni Fenaroli, ma i due vivono separati. Al funerale della moglie il marito appare sconvolto. Nove settimane dopo viene arrestato insieme all’elettrotecnico milanese Raul Ghiani. I due sono accusati d'omicidio. Fenaroli ha un alibi di ferro, visto che al momento del delitto si trovava a Milano, ma anche un movente dato che la polizia scopre che ha appena stipulato una polizza sulla vita della moglie con un premio molto alto. Il castello accusatorio sembra fragile visto che Ghiani, il possibile esecutore dell'omicidio, non ha perso un giorno di lavoro per cui sembra impossibile che abbia ucciso a Roma restando a Milano. Pian piano gli investigatori ricostruiscono nei dettagli una possibile meccanica dell'omicidio grazie a una serie di testimonianze che aprono crepe negli alibi dei due accusati. Pian piano quello che sembrava un delitto perfetto viene smontato. Dalle ricostruzioni dei testimoni si scopre che Ghiani, sicario incaricato da Fenaroli, uscito dall’ufficio ha preso l’aereo per Roma, ha ucciso ed è tornato con il treno della notte in modo da essere sul posto di lavoro la mattina dopo il delitto. I due contestano le accuse e si dichiarano innocenti accusando i testimoni di averli voluti incastrare ma saranno condannati entrambi all’ergastolo.
10 settembre, 2020
10 settembre 1946 – Carmelo Pagano, uno dei molti talenti scoperti da Teddy Reno
Il 10 settembre 1946 nasce a Palermo il cantante Carmelo Pagano. Fin da giovanissimo coltiva una grande passione per la musica imparando a suonare da autodidatta prima la fisarmonica poi la chitarra e infine il pianoforte. È ancora studente alle superiori quando insieme a quattro amici forma un gruppo beat con il quale si esibisce in feste e spettacoli di piazza. L’occasione del salto di qualità arriva nel 1966 quando partecipa al "Festival degli Sconosciuti" di Ariccia, organizzato da Teddy Reno. Si piazza al secondo posto e ottiene la sua prima scrittura discografica con una delle etichette del gruppo RCA. Nel mese d’ottobre dello stesso anno con la canzone L’amore se ne va vince in coppia con Luisa Casali l’edizione il Festival delle Rose battendo, tra gli altri, la coppia formata da Gianni Morandi e Mauro Lusini, in gara con C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Per Carmelo Pagano è il successo. La sua canzone ottiene un buon risultato commerciale e Dusty Springfield ne fa una versione inglese destinata ai mercati internazionali con il titolo Give me time. L’anno dopo approda al Festival di Sanremo interpretando la canzone Devi avere fiducia in me in coppia con Roberta Amadei, fresca vincitrice del Festival di Castrocaro. Eliminato dopo la prima serata si consola con il buon successo de Il giorno tutto giusto, un brano inserito nella colonna sonora del film "Spia Spione". Nell'estate del 1967 partecipa al Cantagiro con Va. Alla fine degli anni Sessanta lascia la RCA e passa alla Ariston pubblicando il singolo Mi hai dato un'anima, scritto da Umberto Bindi e l’album Melodie eterne. Successivamente all’attività di cantante affianca quella di compositore con buoni risultati. Verso la metà degli anni Settanta lascia progressivamente l’ambiente dello spettacolo pur continuando a coltivare l’hobby della musica.
09 settembre, 2020
9 settembre 1914 – Oscar Carboni, la voce della melodia tradizionale
Il 9 settembre 1914 nasce a Ferrara Oscar Carboni. Nel 1940 è nel gruppo dei vincitori della “Seconda gara della canzone” indetta dall’EIAR per cercare voci nuove per i microfoni della radio. Con lui ci sono nomi destinati a entrare nella storia della canzone italiana come quelli di Silvana Fioresi, Dea Garbaccio, Aldo Donò, Norma Bruni, Laura Barbieri, Fedora Mingarelli e Alberto Amato. Entrato a far parte dell’orchestra di Pippo Barzizza, Carboni si fa conoscere dal grande pubblico con brani come La mia canzone al vento e Chiesetta alpina, quest'ultima interpretata insieme a Silvana Fioresi. Passa poi all’orchestra Angelini, con la quale ottiene uno strepitoso successo con Tango del mare. Richiamato sotto le armi nel 1942 vive varie vicissitudini legate alle alterne vicende belliche. Nel 1946 riassapora il gusto del successo pubblicando per la Cetra i brani Com’era verde la nostra valle e Madonna amore. Restìo ad accettare le novità che si stanno imponendo nella canzone italiana, nel 1948 parte per il sudamerica dove resta fino al 1951 quando torna in patria richiamato dal maestro Angelini. Divenuto quasi un simbolo per il pubblico più tradizionalista prende parte a moltissime manifestazioni canore, senza mai abbandonare il gorgheggio “ricamato” della canzone all’italiana più tradizionale. Muore a Ferrara il 29 marzo 1993.
08 settembre, 2020
8 settembre 2001 – RE.SET, il primo festival italiano di dance ed elettronica
L'8 settembre 2001 il Campovolo di Reggio Emilia si trasforma nella capitale europea della musica dance ed elettronica. Nell'area, occupata dalla Festa Nazionale dell'Unità sbarca infatti RE.SET, il primo festival di dance ed elettronica italiana con una succulenta serie di artisti annunciati. L’iniziativa riempie un vuoto. Da tempo, infatti, in molti sottolineavano come alla scena dance ed elettronica italiana mancasse un grande appuntamento live, di ampio respiro, capace di misurarsi con i raduni di massa che costellano il panorama europeo. Dalla fin troppo citata Love Parade di Berlino, che in quell’anno dopo oltre un decennio mobilita oltre un milione di persone ai più modesti (si fa per dire) happening di Parigi con "soltanto" mezzo milione di persone o di Zurigo, che si attesta su trecentomila presenze, l'intera Europa vede lo svolgimento di grandi festival. L'Italia per lungo tempo ha guardato stupita, quasi distratta, ciò che avveniva negli altri paesi, pur con qualche lodevole eccezione. Mancanza d'interesse? Non sembra, visto che le attività nei club italiani e, soprattutto, nei Centri Sociali sono da tempo coronate da successo. A Milano, per esempio, l'attività del venerdì in Pergola è stata particolarmente attiva nei settori nu-jazz e drum'n'bass, mentre alcuni rave organizzati dal Leoncavallo, come quello con Goldie e Storm, hanno attirato migliaia di giovani entusiasti. Sempre per restare in Lombardia come dimenticare lo storico mercoledì dei Magazzini Generali che si ripete ormai da cinque anni? Ma la febbre non è soltanto nordica, visto che Roma dimostra un'effervescenza non inferiore alle altre capitali europee con serate come quella del venerdì all'Agatha, del sabato al Classico Village. Accanto all'ormai storico govedì del Goa, che ha ospitato, tra gli altri, Goldie, Darren Emerson e la Boutique di Fatboy Slim, non mancano nuove iniziative come l'apertura del Blue Cheese, un locale dedicato ai nuovi suoni del breakbeat e del drum'n'bass. Più orientate ai suoni tech-house appaiono, invece, Torino e Bologna, dove il Link resta il faro-guida della scena dance underground non soltanto locale. Insomma, il panorama italiano dell'elettronica mai come in quel periodo appare in forte crescita qualitativa e quantitativa. Per questa ragione l'appuntamento di Reggio Emilia diventa uno di quelli destinati a lasciare un segno. Non è un caso che proprio la cittadina emiliana si sia candidata a diventare, sia pure per un giorno la capitale della dance e dell'elettronica. Sul suo territorio l'anno prima è stata organizzata Clubspotting, una mostra di approfondimento sulla club culture che ha suscitato notevole interesse in tutto il mondo e di cui è prevista nel 2001 la seconda edizione. Sempre a Reggio c'è, poi, il Maffia Music Club, il cui Soundsystem funge da maestro di cerimonia nella lunga, lunghissima giornata del RE.SET. Il programma annunciato promette una rassegna unica nella pur lunga storia di questo genere musicale nel nostro paese. Tra le performance più attese c'è quella dei Transglobal Underground, il system che negli anni precedenti ha avuto nella propria line-up anche Natacha Atlas. Il loro suono capace di ardite contaminazioni tra tribalismo, rap arabo, campionamenti ipnotici e sonorità etniche, resta, a dieci anni dalla nascita dell'ensemble, un costante punto di riferimento per la scena del world groove. Ci sono anche Roni Size & Full Cycle, i quattro ragazzotti di Bristol vincitori di un Mercury Award e considerati tra i maggiori responsabili della diffusione nel mondo del drum’n’bass e i londinesi Pressure Drop con il loro suono radicale e antirazzista. L'orizzonte si allarga ancora con le esplorazioni del francese Frederic Galliano che mescolano musica elettronica, jazz e cultura africana e le tensioni sonore e ritmiche di Howie B. C'è anche Fabio, il dj esponente dell'ala più jazzy e musicale del drum'n'bass cui Matthew Collin ha dedicato un intero capitolo del suo libro "Stati di alterazione" che analizza la club culture inglese. Una sfida al razzismo e a favore dell'integrazione tra culture diverse è anche la presenza di Badmarsh & Shri esponenti di quell'Asian Underground che mescola funk, drum'n'bass, dub, musica indiana, London beat e jazz. Non manca neppure Wookie, considerato l'astro nascente del twostep garage britannico e neppure i suoni malfermi e uggiosi del breackbeat dei Freestylers. Non sono, infine, escluse presenze a sorpresa di artisti non annunciati. Il panorama italiano, oltre che dai Maffia Soundsystem è rappresentato dall'ex Aeroplanitaliani Alessio Bertallot, divenuto una sorta di profeta dell'elettronica che da qualche tempo, consapevole del suo ruolo, alterna evoluzioni ai piatti, rubriche radiofoniche e performance giornalistiche.
07 settembre, 2020
7 settembre 2003 – Grazie Italia! Firmato Inti Illimani
Domenica 7 settembre 2003 gli Inti Illimani tengono a Roma nella spianata dei Fori Imperiali un concerto gratuito destinato a diventare un album live. Lo scopo è quello di ringraziare dell'ospitalità il pese che trent’anni prima li ha accolti con grande solidarietà dopo la fine sotto i colpi di un sanguinario colpo di stato militare dell'esperienza del governo di Unidad Popular di Salvador Allende in Cile. Mentre iniziava la feroce dittatura fascista guidata dal generale Augusto Pinochet, gli Inti Illimani si trovavano in Italia per una breve tournée. La permanenza si trasforma così in un lungo esilio. Trent'anni dopo il gruppo non ha dimenticato l’ospitalità del nostro paese e regala al pubblico romano una lunga cavalcata musicale che ne ripercorre le evoluzioni. Il suono e lo scenario musicale su cui si muovono si sono evoluti. In trent’anni l’evoluzione degli Inti-Illimani ha attinto a due elementi principali. Uno è il viaggio continuo intorno al mondo per ricercare e studiare nuovi suoni, colori, ritmi. Il gruppo non ha trascurato alcuna contaminazione: dalle tradizioni celtiche a quelle mediterranee, dalla “cantata” napoletana a una speciale rilettura di musicisti come Bela Bartòk o Stravinskij. L’altro elemento è la collaborazione con musicisti di diversa estrazione: dalla nordica Arja Sajionmaa, alla cantautrice femminista Holly Near, all’italiano Roberto De Simone, a Bruce Springsteen, a Sting, al chitarrista classico John Williams e a quello di flamenco Paco Peña. Importante è stato anche l’incontro con Peter Gabriel, con cui hanno registrato un brano, Wall flowers, destinato a una compilation in favore di Amnesty International. Il loro impegno nel secondo millennio, più sfumato dal punto di vista politico, è la continuazione, sul piano culturale, del lavoro svolto in passato. Per verificarlo basterebbe citare i testi dei grandi poeti sudamericani messi in musica dal gruppo, da Pablo Neruda a Guillén o gli autori cantati, da Violeta Parra a Victor Jara o a Patricio Manns. Il passato, con il suo carico di glorie, vive nel presente degli Inti Illimani, che dichiarano nel corso del concerto di Roma di essere ancora impegnati a progettare il futuro..
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