08 novembre, 2020

8 novembre 1949 - Bonnie Raitt, tra rock e blues

L’8 novembre 1949, nasce a Burbank in California Bonnie Raitt. Sua madre è la pianista Marjorie Haydock mentre suo padre è pianista, mentre il padre è il famoso cantante e attore John Raitt, una delle stelle dei musical di Broadway. Fin da piccola impara a suonare la chitarra e dopo un lungo tirocinio con vari gruppi e artisti, diventa una delle protagoniste femminili della scena rock blues degli anni Settanta. Il suo debutto discografico risale al 1971 con l'album Bonnie Raitt, cui seguono lo splendido Give it up pubblicato l’anno dopo come il singolo Love has no pride. Bonnie nel corso di una carriera avara, soprattutto all'inizio, di successi discografici sa farsi apprezzare soprattutto dal vivo suonando con quasi tutti i migliori musicisti della West Coast. Tra i suoi maggiori successi commerciali degli anni Settanta ci sono gli album Sweet forgiveness del 1977, The glows del 1979 e il singolo Runaway, una versione ricca di grinta del successo di Del Shannon pubblicata nel 1977. Nel settembre del 1979 partecipa al festival “No nukes” cui seguono ben tre anni di silenzio discografico. Quando torna in sala di registrazione realizza Green light l’album pubblicato nel 1982 che segna un cambiamento nel suo stile divenuto più duro e aggressivo. In quel periodo il gruppo che l’accompagna è la Bum Band, un ensemble straordinario formato dall'ex Faces Ian McLagan, l'ex Beach Boys Ricky Fataar, Ray O'Hara e Johnny Lee Sheel. Nel 1983 partecipa alla registrazione dell'album The distance di Bob Seger con Roy Bittan della E. Street Band, Bill Payne e Glenn Frey. Per vedere la pubblicazione di Nine lives il suo nuovo album come solista occorre attendere fino al 1986. Nel 1988 Bonnie lavora con Don Was dei Not Was alla realizzazione di due dischi: uno per la Disney e l'altro, con Marlo Thomas destinari ai bambini. Nello stesso anno partecipa, con Linda Ronstadt, Bob Seger e Renee Armand, alla realizzazione di Let it roll, l'album del ritorno sulle scene dei Little Feat. Pochi mesi dopo anche per lei arriva il momento del grande successo con Nick of times, un album prodotto da Don Was e realizzato con la partecipazione di Graham Nash, David Crosby, Herbie Hancock e i Fabulous Thunderbirds. Nick of times vende ben tre milioni di copie soltanto negli Stati Uniti, e vince tre Grammy: per il miglior album, la miglior voce solista femminile di rock e la miglior voce solista femminile di pop. Nello stesso anno Bonnie vince anche un quarto Grammy per il miglior disco di blues tradizionale con I'm the mood, cantato in coppia con John Lee Hooker. Sempre nel 1989 partecipa alla realizzazione dell'album Word in motion di Jackson Browne con David Crosby, Sly Dunbar e altri. L'anno dopo ha collabora alla registrazione dell'album The healer (1990) di John Lee Hooker. Pur essendo arrivata al successo commerciale a quarant'anni, Bonnie ha saputo ripetersi nel 1991 con l'album Luck on the draw e con il singolo Something to talk about. Negli anni Novanta limita il suo lavoro discografico a altri due album più un doppio live, Road Tested, nel quale rispolvera la sua antica grinta. Il 3 marzo del 2000 viene inserita nella Rock and Roll Hall of Fame. Due anni dopo realizza l’album Silver Lining (2002) cui seguono Souls Alike nel 2005 e Slipstream nel 2012.


07 novembre, 2020

7 novembre 2003 – I sessant’anni di Joni Mitchell valevano meno di quelli di Dylan

Il 7 novembre 2003 Joni Mitchell compie sessant'anni nel silenzio quasi generale. È strano, a pensarci bene. Si sono spesi fiumi d'inchiostro per il sessantesimo compleanno di Bob Dylan e per quello virtuale di John Lennon, si consumano pagine di preziosa carta patinata per ogni spostamento progressivo nel tempo per le icone del rock, anche le più piccole, ma solo per i maschi. Fateci caso. Le icone femminili del rock sono tali solo se morte giovani, fissate per sempre in una sorta di limbo in cui la gioventù è eterna. Le donne del rock non possono invecchiare, pena l'oblio o, quando va bene, una infastidita tolleranza. L'anno prima proprio Joni Mitchell aveva detto di essere stanca e schifata da un music business che chiede alle donne di essere "bambole inanimate", figurine astratte in cui l'immagine prevale sulle qualità artistiche. Era la vigilia dell'uscita di "Travelogue", una pregevole raccolta di brani registrata con la London Symphony Orchestra, e lei aveva detto che non avrebbe più pubblicato altri dischi. «Una donna della mia età, nonostante un nome e una storia che in qualche modo la tutelano, non ha più il look. In più non ho mai avuto la voglia di "collaborare''. Ditemi voi che cosa dovrei fare. Mostrare le tette? Farmi allungare i capelli e assumere un coreografo? Questo non è il mio mondo, si aggiustino da soli, io non ci sto più». Parole forti, precise e destinate a scuotere le coscienze se il sistema mass-mediatico non le avesse sintetizzate in un unico, diverso, concetto: «È l'ultimo album di Joni Mitchell, imperdibile, compratelo!». Stop. Il resto era diventato contorno, funzionale all'obiettivo primario di vendere qualche disco in più di un'interprete femminile già virtualmente fuori catalogo. Il pressoché generale silenzio che circonda il suo sessantesimo compleanno è significativo. Accade a lei, figurarsi alle altre. Già, perché non è facile nascondere o ignorare quasi quarant'anni di carriera di un personaggio a suo modo unico nel panorama della musica folk rock. Poetessa e pittrice, Joni Mitchell ha attraversato la scena musicale da protagonista, suscitando amori, passioni e divenendo amica, compagna, fonte di ispirazione e punto di riferimento per un numero impressionante di artisti. Ha un solo difetto: non è un maschio ed è viva. E, quindi, invecchia. James Taylor invecchiato e senza capelli può andare bene lo stesso, ma Joni Mitchell o Sheryl Crow con un fisico segnato dalla vita non funzionano né nei video né sulle copertine dei dischi. Questo è il mondo del music business.



06 novembre, 2020

6 novembre 2005 - Francesco De Masi, un grande direttore d’orchestra prestato al cinema

Il 6 novembre 2005 muore Francesco De Masi, uno grande direttori d’orchestra artefice di moltissime colonne sonore. Figlio di un ambasciatore, nasce a Roma l'11 Gennaio 1930 e si diploma in composizione al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli proseguendo poi gli studi in direzione d'orchestra all'Accademia Chigiana di Siena con Paul Van Kempen e Franco Ferrara. Alla fine degli anni Cinquanta inizia a comporre musiche per il cinema che lo vedranno nel corso degli anni lavorare con registi quali Folco Quilici, Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini, Miklos Jancsò, Mauro Bolognini, Michele Lupo, Enzo G. Castellari, Riccardo Freda, Camillo Mastrocinque, Fernando Cerchio, Mario Cajano, Lucio Fulci, Steve Carver e molti altri. Nel 1968 vince il premio "Review", come giovane compositore. Considerato un precursore delle colonne sonore del “Cinema di genere” inizia anche a scrivere musiche per il western all’italiana nel 1963 quando Sergio Leone non ne ancora ha dettato le regole e in tanti stanno inconsapevolmente contribuendo a definirne le caratteristiche. Proprio nel 1963, infatti, firma la colonna sonora de “I tre implacabili” di Jaquim Louis Romero Marchent. Apprezzato direttore di Orchestre e Opere ottiene grandi successi in Italia e all’estero. Muore a Roma il 6 novembre del 2005 all'età di 75 anni.


05 novembre, 2020

5 novembre 2002 - La Campania al Festival delle Arti del Mediterraneo di Barcellona

È la Campania la regione ospite del settimo Festival delle Arti del Mediterraneo di Manresa, in Spagna, vicino a Barcellona, che si apre venerdì 5 novembre 2002 e dura fino alla domenica successiva. Si tratta di una delle più importanti rassegne europee con decine di migliaia di spettatori, oltre cento gruppi in cartellone e diciotto arene per i concerti. Ogni anno gli organizzatori individuano una regione europea di “consolidata identità culturale” e le concedono uno spazio di rilievo nella programmazione. La Campania è stata scelta anche perché ha “una connessione storica e culturale molto importante con la Catalunya”. L'inaugurazione della sezione campana del festival è affidata la sera dell’apertura al concerto dell'ensemble Pietrarsa, il gruppo nato da un’idea del musicista e compositore napoletano Mimmo Maglionico. Il programma prosegue poi nei due giorni successivi con le esibizioni degli ‘E Zezi, di Lino Cannavacciuolo, di Nando Citarella dei Tamburi del Vesuvio e con gli attesi spettacoli dei burattini di Bruno Leone, invitato con I Teatrini di Napoli ad aggiungere una nuova tappa al suo progetto “Pulcinella Senza Frontiere”.

04 novembre, 2020

14 novembre 1976 – Massimo Dallamano, l’esteta del cinema di genere

Il 14 novembre 1976 muore in un incidente automobilistico Massimo Dallamano, uno dei personaggi che hanno fatto la storia di quello che oggi viene chiamato “Cinema di genere” italiano. Nato a Milano il 17 aprile 1917 inizia a lavorare nell’ambiente cinematografico nel primo dopoguerra quando cura la fotografia di “Inquietudine”, un film del 1946 diretto da Vittorio Carpignano ed Emilio Cordero. Da quel momento lavora sul set di film d’ogni genere, spaziando dall’avventura ai drammi, dai documentari ai peplum. Vive poi da protagonista gran parte dell’avventura del western all’italiana, firmandone alcune pietre miliari come direttore della fotografia e cimentandosi anche nella regia. Non è più un novellino quando la Jolly Film lo chiama a curare la fotografia dei primi film ambientati in quella immaginaria striscia di terra che nella fantasia degli sceneggiatori accompagna la frontiera tra Stati Uniti e Messico. Ha quarantasei anni nel 1963  quando, con lo pseudonimo di Jack Dalmas firma le immagini di “Duello nel Texas” e l’anno dopo quelle di “Le pistole non discutono” e “Per un pugno di dollari”. Quando Sergio Leone lascia la Jolly per passare alla PEA di Alberto Grimaldi lui lo segue e nel 1965 cura la fotografia di “Per qualche dollaro in più”. Anche il suo debutto come regista avviene sotto il segno del western nel 1967 con “Bandidos”, un film inusuale firmato con lo pseudonimo di Max Dillman che racconta la storia di un ex pistolero privato dell’uso delle mani. In linea con il suo passato da direttore della fotografia mostra un’attenzione per i dettagli e le sfumature che denota un inusuale approccio quasi pittorico. L’anno dopo realizza l’intrigante giallo “La morte non ha sesso”. Nel 1969 dirige una sconosciuta Laura Antonelli nel censuratissimo “Le malizie di Venere” ispirato al romanzo di Leopold Masoch “Venere in pelliccia” e nel 1970 gira “Un dio chiamato Dorian”, da un’opera di Oscar Wilde. Nel 1972 torna al giallo con “Cosa avete fatto a Solange?” e l’anno dopo si cimenta nel poliziesco all’italiana con “Si può essere più bastardi dell'ispettore Cliff?”. Nel 1974 gira il dramma erotico “Innocenza e turbamento”, seguito l’anno dopo da “La fine dell’innocenza”. Sempre nel 1975 torna al poliziesco all’italiana con “La polizia chiede aiuto” seguito dal thriller “Il medaglione insanguinato”. Il 14 novembre 1976 muore in un incidente automobilistico pochi mesi dopo aver terminato le riprese di “Quelli della calibro 38”.


03 novembre, 2020

3 novembre 1957 - Con il naso in su cercando lo Sputnik di Laika

Nelle calde notti dell’estate del 1957 sono in molti quelli che, con il naso all’insù, cercano di individuare nella volta celeste una “stella in movimento”. Così, infatti, i giornali descrivono il primo satellite artificiale lanciato dall’Unione Sovietica, lo Sputnik, in orbita intorno alla terra. L’impresa, che sbalordisce il mondo, umilia gli statunitensi e rischia di sgretolare il mito della loro superiorità tecnologica. Non è più estate ma la gente continua a scrutare il cielo con il naso in su quando, il 3 novembre 1957, a bordo di un altro Sputnik, viene lanciato nello spazio il primo essere vivente. È la cagnetta Laika è il suo destino è quello di morire in orbita. La vicenda dell’animale appassiona e commuove il mondo intero. Proprio per reagire alla sfida lanciata dai sovietici il Dipartimento della Difesa USA costituisce l’agenzia ARPA (Advanced Research Projects Agency), un’organizzazione destinata a realizzare, tra l’altro, negli anni Sessanta, la prima sperimentazione di quella rete che anni dopo diventerà Internet.



02 novembre, 2020

2 novembre 1941 – Mario Trevi, l’interprete di “Indifferentemente”

Il 2 novembre 1941 nasce a Melito, in provincia di Napoli Agostino Capozzi destinato a lasciare un segno importante nella storia della canzone italiana e di quella napoletana in particolare con il nome di Mario Trevi. Figlio di Domenico Capozzi e Maddalena Ciletti e primo di nove figli, inizia a a lavorare giovanissimo come muratore, cantando per intrattenere il pubblico nelle rappresentazioni dell’Opera dei Pupi. Spinto dalla passione a quattordici anni inizia a studiare canto con il maestro Attilio Staffelli. Nel 1958, a soli diciassette anni, debutta al festival di Piedigrotta cantando Nuvole d’ammore e l’anno dopo pubblica il suo primo disco con i brani Si ce lassammo e Vieneme nzuonno. Nel 1961 arriva secondo, in coppia con Milva al Giugno della Canzone Napoletana con Mare verde e presenta al Festival di Napoli il brano Settembre cu' mme. Nel 1962 vince il Festival di Piedigrotta con Mandulinata blu e nel 1963 è secondo con Indifferentemente al Festival di Napoli, manifestazione cui partecipa ininterrottamente fino al 1970. Nella sua carriera registra più di cinquecento canzoni anche se la sua gemma più preziosa resta Indifferentemente, oggi considerata un classico della canzone napoletana e interpretata nel corso degli anni da artisti come Mina, Milva Fred Bongusto, Gigi Finizio, Mario Da Vinci, Nino D'Angelo, Enzo Gragnianiello, Francesco Merola, Salvatore Capozzi e tanti altri anche fuori dall’Italia. A partire dal 1971 si dedica alle cosiddette "canzoni di malavita" e alle sceneggiate in teatro. Nel 1995 pubblica un album con le canzoni di Pino Daniele. Nel 2000 Fabio Fazio e Piero Chiambretti lo chiamano come testimonial della canzone napoletana al Festival di Sanremo. Nel mese di maggio del 2008 pubblica l’album Il capitano e il marinaio. Oltre a essere un cantante di successo Mario Trevi è anche il capostipite di una famiglia di personaggi popolarissimi della canzone melodica, e neomelodica, napoletana. Un buon successo ottengono infatti i suoi fratelli Lino Capozzi, Stefano Fany, Franco Moreno, Franco Sereno e i nipoti Gianluca Capozzi, Salvatore Capozzi e Mimmo Moreno.


01 novembre, 2020

1° novembre 2003 –"Bob Dylan Day" a Radio Città Futura

Il 1° novembre 2003 in concomitanza con l'atteso concerto di Bob Dylan a Roma, l'emittente romana Radio Città Futura (97.700 mhz su Roma) dedica un’intera giornata di programmazione speciale al cantautore di Duluth. Nel corso dell'intera giornata dai microfoni della radio si alternano canzoni, dalle più famose a quelle meno note, e interventi vari che ripercorrono le tappe principali della sua vita personale ed artistica. Al programma partecipano esperti, critici, studiosi di letteratura statunitense. Quel che più conta, però, è che un grande spazio viene lasciato alla voce di chi per una lunghissima serie di ragioni ha semplicemente nel cuore la musica di Bob Dylan e magari, alla mattina, si sveglia ascoltando Like a rolling stone senza un particolare perchè. Nel corso della giornata non mancano, infine, le voci e le note dei molti artisti che sono stati ispirati e colpiti dalla musica di Dylan.

31 ottobre, 2020

31 ottobre 1929 – Bud Spencer, dalle Olimpiadi al set

Il 31 ottobre 1929 nasce a Napoli Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli. Il padre è un uomo d’affari e la famiglia vive in una situazione di discreto benessere. Nel 1940 i Pedersoli se ne vanno a Roma dove il piccolo Carlo entra a far parte di un club di nuoto. Diplomatosi a soli diciassette anni si iscrive all’Università. Nel 1947 segue per un paio d’anni la famiglia in Sudamerica e, tornato in patria, inizia ad affermarsi nel nuoto vincendo titoli in varie specialità e conquistando il record nazionale cento metri stile libero dove scende per primo sotto la barriera del minuto netto. Partecipa poi alle Olimpiadi di Helsinki 1952 sia nel nuoto che nella pallanuoto, a quelle di Melbourne 1956 e a Roma 1960. In quel periodo esordisce anche nel cinema con una comparsata in Quo Vadis?, dove impersona un soldato romano, ma non dimentica gli studi e si laurea in Giurisprudenza. Dopo un tentativo come autore di testi per canzoni lavoricchia nel cinema e produce vari documentari per la RAI. Ex nuotatore olimpionico con un fisico imponente e la faccia da gigante buono Bud Spencer arriva al cinema relativamente tardi. L’assenza di scuole specifiche e l’imponenza della sua figura fanno presagire un suo utilizzo nella parti di caratterista. Forse sarebbe davvero finita così se sulla sua strada non avesse incontrato il western all’italiana, un altro attore apparentemente limitato come Terence Hill e un regista come Giuseppe Colizzi che lo vuole nel suo western Dio perdona... io no!. La pellicola, nella quale fa coppia con Terence Hill, lo fa conoscere e segna l’avvio di una lunghissima e fortunata carriera. Il western all’italiana, per la schematicità dei suoi codici, ha la necessità di attori capaci di caratterizzare nel modo più netto possibile i personaggi perché in genere non c’è né tempo né voglia di indulgere in complicate elaborazioni psicologiche. In questo senso Bud Spencer è perfetto: grande, grosso, generoso e con la faccia da buono si fa capire immediatamente. L’incontro con Terence Hill completa entrambi perché nella coppia ciascuno dà all’altro quello che manca. Colizzi ha il merito di intuirlo per tempo e fare la fortuna di tutti e due. Muore a Roma il 27 giugno 2016.

30 ottobre, 2020

30 ottobre 1969 – Lo slapping poderoso di Pop Foster

Il 30 ottobre 1969 muore a San Francisco, in California il contrabbassista Pop Foster, registrato all’anagrafe con il nome di George Murphy Foster. Nato a McCall, in Louisiana, il 19 maggio 1892 al momento della more è considerato uno dei più grandi contrabbassisti della storia del jazz, grazie al suo poderoso slapping creato da una possente forza delle dita e dei muscoli del braccio che quasi fa da contraltare al suo aspetto esile e dimesso. Il talento di Pop è soprattutto nelle sue intuizioni ritmiche che gli consentono di lanciare i solisti anticipandone il linguaggio. La sua tecnica, più vicino alla perfezione di un metronomo che ai capricci dell'invenzione, gli consente di diventare rapidamente uno dei protagonisti dello stile New Orleans delle origini. La sua carriera musicale inizia infatti proprio a New Orleans dove si trasferisce giovanissimo con la famiglia costretta ad abbandonare la piantagione di McCall in cui è nato e vissuto da bambino. Il suo primo strumento è il violoncello che impara sotto la guida del padre e della sorella. Soltanto a sedici anni passa al contrabbasso bruciando rapidamente le tappe. Prima dei vent’anni suona già con band come l'Eagle Band e la Magnolia Jazz Band che intrattengono i turisti ospitati dai battelli in navigazione sulle acque del Mississippi. Nello stesso periodo suona anche nei locali di Storyville insieme ai maestri leggendari dello stile di New Orleans, da King Oliver a Roy Palmer e George Baquet. Successivamente lascia New Orleans per entrare nell'orchestra itinerante di Fate Marable di cui fanno parte anche Louis Armstrong e Baby Dodds. Con loro Pop affina la sua tendenza ad irrobustire l’accompagnamento fino a sostituire definitivamente il basso tuba con il suo contrabbasso. Dalla band di Fate Marable passa poi a quella di Charlie Creath, un altro leggendario musicista della regione del delta e, dopo una breve parentesi californiana, se ne va a New York per suonare nell’orchestra di Luis Russell con la quale resta dal 1929 al 1940. Nella seconda metà degli anni Quaranta il jazz tradizionale va un po’ in crisi e non gli consente di guadagnare quanto basta per vivere Pop Foster continua a suonare ma si mantiene facendo l’operaio nella metropolitana di New York. I musicisti di cui si circonda in quegli anni sono i neri di New Orleans che vivono la fase del recupero storico, quali Baby Dodds, Bunk Johnson, George Lewis, ma anche i jazzmen bianchi di Chicago, primo fra tutti quell’Art Hodes, che ha saputo dare una coscienza storica e critica all'intero fenomeno del jazz delle origini. Rudi Blesh chiama Pop accanto a sé nelle celebri esibizioni radiofoniche intitolate “This Is Jazz” alle quali partecipa il meglio del jazz tradizionale. Dal 1949 al 1951 è a Boston con l'orchestra di Bob Wilber e successivamente con Jimmy Archey. Negli anni Sessanta deve ridurre la sua attività per ragioni di salute. Con la sua morte scompare uno dei protagonisti della scuola classica di contrabbasso.





29 ottobre, 2020

29 ottobre 2004 - Viene ripubblicato in cd il mitico album “Un biglietto del tram” degli Stormy Six

Il 29 ottobre 2004 torna nei negozi italiani di dischi Un biglietto del tram degli Stormy Six, l’album di Stalingrado, La fabbrica e Dante Di Nanni, uno dei dischi storici della musica italiana degli anni Settanta. Rimasterizzato in digitale dalla BTF è diventato un Cd in confezione cartonata con tutti i testi dei brani, i disegni originali e le etichette d’epoca. A quasi trent’anni dalla sua prima pubblicazione nell'aprile del 1975 non suona per niente datato. Tutte le canzoni, infatti, conservano intatto il fascino, la freschezza e l'energia comunicativa che le hanno impresse nel cuore e nella memoria di tante generazioni. In Un biglietto del tram gli Stormy Six mettono in poesia l'epopea della resistenza, dalla battaglia di Stalingrado agli scioperi del 1944, dallo sbarco degli angloamericani in Sicilia allo sbandamento dell'esercito italiano dopo l'8 settembre, ai fucilati di Piazzale Loreto, alla lotta di liberazione contro il nazifascismo. Sul piano musicale esprimono un magistrale equilibrio tra ricerca espressiva "colta" e tradizione popolare dando ampio spazio alle parti strumentali e non facendosi catturare dai luoghi comuni pop-rock. Le storie sono raccontate con gusto e slancio popolare ricollegando senza retorica presente e storia, epica e quotidiano. Riascoltarli nella versione originale è un’emozione che fa bene al cuore e alla mente.

28 ottobre, 2020

28 ottobre 1947 - Wanda Radicchi, in arte Monna Lisa, una delle voci del jazz italiano

Il 28 ottobre 1947 nasce a Crotone Wanda Radicchi, cantante con il nome d’arte di Monna Lisa e corista tra le più apprezzate della scena musicale italiana. Scoperta nel 1955 dal batterista Gil Cuppini, Monna Lisa in breve diventa una delle più apprezzate cantanti jazz italiane e si esibisce in concerto, oltre che con l'orchestra di Cuppini, con Chet Baker, Gorni Kramer, Renato Sellani e altri. Tra i suoi brani più famosi di questo periodo ci sono It had to be you, Whats new? e Cry me a river. La sua voce non si pone però limiti di genere e non disdegna interessanti esperienze nella musica leggera. La sua voce compare in moltissime registrazioni di successo di grandi artisti tra i quali figurano anche Lucio Battisti, Mina e Ornella Vanoni.

27 ottobre, 2020

27 ottobre 1962 – Giovanni Ardizzone era il suo nome

Il 27 ottobre 1962 in una Milano blindata muore investito da una camionetta della polizia Giovanni Ardizzone. La sua sola colpa è quella di essere lì per manifestare a favore della pace. Sono giorni difficili e la terra è sull'orlo della catastrofe nucleare. In quella che passerà alla storia come la "crisi dei missili", gli Stati Uniti fanno suonare le trombe di guerra contro un piccolo stato "canaglia", colpevole di aver cacciato le multinazionali nordamericane e di avere scelto la via socialista: Cuba. Nell'immaginario collettivo è la Cuba dei "barbudos", di Fidel Castro, Che Guevara e Camilo Cienfuegos, la "Isla grande" che ha dimostrato al mondo come anche nel cortile di casa degli imperialisti sia possibile dare un senso concreto a parole come libertà, socialismo e comunismo. Come sempre, come oggi, anche allora c'è chi non se ne accorge, chi guarda indeciso, chi si schiera dalla parte del più forte e chi si mobilita, oltre che per la pace, anche per l'autonomia e l'indipendenza di Cuba socialista. Tra questi ultimi c'è Giovanni Ardizzone, il ventunenne figlio unico del farmacista di Castano Primo, un borgo nelle vicinanze di Milano. Studente universitario, iscritto al secondo anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia, frequenta il collegio universitario Fulvio Testi ed è un militante comunista. La sua vita quotidiana non è diversa da quella di tanti giovani di oggi. Le sue giornate passano veloci scandite da discussioni, volantinaggi, riunioni, cinema e musica. Quando, come, in tante altre città italiane, la Camera del Lavoro di Milano organizza una grande manifestazione pacifista e di protesta contro l'aggressione statunitense, Giovanni e i suoi compagni sono, come sempre, in prima fila. È il 27 ottobre 1962, un sabato d'autunno. In piazza c'è molta gente e sono tanti, tantissimi i giovani. Dopo il discorso del segretario della CGIL è previsto un corteo per le vie del centro storico di Milano. Alla partenza non c'è particolare tensione. Nonostante la nutrita presenza di polizia, in particolare del Terzo Battaglione della Celere, corpo speciale di intervento anti-manifestazioni, giunto appositamente da Padova, non si registra alcun incidente. Quando la testa del corteo arriva in piazza del Duomo, però, il clima muta all'improvviso. Senza alcuna ragione plausibile la polizia riceve l'ordine di disperdere i manifestanti pacifisti. Scoppia un inferno di cariche, pestaggi, mentre il rombo dei motori delle jeep diventa la colonna sonora di un terrore del tutto ingiustificato. Impreparati all'attacco a freddo i manifestanti tentano di reagire con lanci di pietre e bastoni, ma il rapporto di forza è impari. Le gimkane motoristiche li costringono a rifugiarsi nelle vie adiacenti alla piazza alla mercé dei poliziotti che si scatenano in una vera e propria caccia all'uomo. Dove gli spazi sono più larghi le camionette si gettano a pazza velocità contro i partecipanti al corteo senza fermarsi davanti a nulla. Giovanni Ardizzone viene investito e travolto davanti alla Antica Loggia dei Mercanti, di fronte al Duomo. Poco più in là altri due partecipanti al corteo restano al suolo. Sono il muratore Nicola Giardino di 38 anni e l’operaio Luigi Scalmana, di 57 anni. Da subito si capisce che per il giovane studente non c'è nulla da fare. Giovanni Ardizzone muore poche ore dopo in ospedale. Agli altri due feriti va meglio. Dopo essere stati in fin di vita per alcuni giorni, riusciranno a riprendersi. La notizia dell'uccisione di Giovanni fa il giro della città. Nella notte tra il sabato e la domenica, gruppi di giovani operai, studenti e cittadini arrivano alla spicciolata nel luogo dove è stato ucciso, si siedono per terra e danno vita a una silenziosa veglia. Il giorno dopo, domenica 28 ottobre, i piccoli gruppi sono diventati una folla impressionante che occupa gran parte della Piazza del Duomo e dei dintorni. Il luogo dell'assassinio è sommerso da fiori e cartelli. I parlamentari comunisti e della sinistra presentano note di protesta e interrogazioni urgenti contro una versione "ufficiale" del ministero dell'interno, avallata da gran parte della stampa che parla di “banale, per quanto spiacevole, incidente stradale”. Lunedì 29 ottobre gli operai delle fabbriche milanesi entrano in sciopero e nelle università e nelle scuole superiori di Milano e hinterland vengono sospese le lezioni in segno di protesta contro l’assassinio di Ardizzone. Nella notte tra lunedì e martedì la foto del giovane caduto viene collocata nel vicino Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza, dove continua il pellegrinaggio della popolazione milanese e lombarda. L'emozione e lo sdegno per l'assassinio non si fermano, però, a Milano. In tutto il paese vengono indetti scioperi e manifestazioni di studenti e operai. Giovanni Ardizzone non resta solo neppure nel suo ultimo viaggio. Il giorno dei funerali Castano Primo è invaso da migliaia di persone, arrivate da ogni parte d'Italia per dare l'estremo saluto al giovane comunista caduto combattendo per la pace. Ispirandosi alla vicenda di Giovanni, il cantautore Ivan Della Mea scrive la sua Ballata per l’Ardizzone.


26 ottobre, 2020

26 ottobre 1926 - Il massacro di Merca, l'altra faccia di "Faccetta nera"

Nella notte del 26 ottobre 1926 tra i coloni italiani della cittadina di Genale, in Somalia, si diffonde la notizia che lo sceicco Ali Mohamed Nur, un capo religioso sospettato di appoggiare la resistenza somala contro l’occupazione italiana si è rifugiato con un gruppo di suoi seguaci all’interno della moschea di El Hagi, a Merca, un villaggio poco distante. Invece di attendere l’esercito una cinquantina di ex squadristi insediatisi a Genale decidono di farsi giustizia da soli. Armati di moschetti e di fucili da caccia si dirigono verso Merca. Arrivati nel villaggio circondano la moschea e trucidano indistintamente tutte le persone che si trovano all’interno. Esaltati dall’impresa decidono di proseguire uccidendo tutta la popolazione indigena del villaggio. Il proposito viene però stroncato dall’intervento sia pur tardivo dei reparti dell’esercito. La strage, che resta nella storia come “Il massacro di Merca” è uno dei tanti episodi di crimini di cui s’è macchiata l’avventura coloniale italiana.

25 ottobre, 2020

25 ottobre 1948 – Anselmo Genovese, più autore che cantante

Il 25 ottobre 1948 a Camporosso, in provincia d’Imperia nasce il cantante e autore Anselmo Genovese. Nel 1965, a soli diciassette anni, firma Ora un brano beat che viene pubblicato su disco RCA dai Kites. Due anni dopo fonda i Sextons, un gruppo dalla breve vita che contribuisce a farlo conoscere. Successivamente passa con i Kidnappers, una band già affermata di cui diventa l’insostituibile chitarrista. Proprio con i Kidnappers incide nel 1968 il suo primo disco, un singolo con i brani E se un angelo e Ho sete. Scritturato come solista dalla Ariston pubblica nel 1969 come Anselmo (senza il cognome) il brano Il fuoco è spento, da lui stesso scritto e composto. L’anno successivo recupera il suo nome intero e partecipa a “Un disco per l'estate” con il brano Per 70 lire. Sempre nel 1970 Paolo Mengoli interpreta con buon successo la sua Muore il giorno ma l'amore no. La svolta nella sua carriera arriva quando Ornella Vanoni, colpita dal talento compositivo, lo convoca e decide di inserire nel suo repertorio Il tempo d’impazzire. Il brano, presentato dalla cantante a “Canzonissima '71” ottiene un grande successo sia in Italia che in Spagna. Due anni dopo Ornella Vanoni incide un altro brano scritto da Anselmo Genovese, Pazza d'amore, sigla della trasmissione radiofonica “Gran Varietà”, presentata da Johnny Dorelli e dalla stessa Ornella Vanoni. Ormai affermato come autore Anselmo Genovese scrive nel 1973 La grande risposta per Giovanna e nel 1974 Farei anche il meccanico per Piero Focaccia. Sempre nel 1974 Anselmo Genovese partecipa a “Un disco per l'estate” interpretando La prima volta, un brano originariamente destinato all’Equipe 84. L’anno dopo una sua canzone intitolata La nostra buona educazione viene pubblicato da Julio Iglesias in cinque lingue e vendendo più di diciotto milioni di copie in tutto il mondo. Nel 1976 partecipa al “Discoinverno” con Sensazione di un grande amore, e l’anno dopo porta al Festivalbar Un grido di gabbiani. Il successo di questo brano gli apre le porte del Festival di Sanremo cui partecipa nel 1978 con Tu sola. Nel 1979 Mina interpreta e porta al successo la sua Anche un uomo, sigla del rifacimento del programma a quiz “Lascia o raddoppia?” presentata Mike Bongiorno. Nel 1980 Genovese pubblica È facile e l’anno dopo Mia cara Brooklyn un brano scritto appositamente per il varietà televisino “Te la do io l’America” presentato da Beppe Grillo. Nel 1987 incide il suo ultimo singolo con i brani Anno 2000 e Senza umanità. Prende poi la decisione di non esibirsi più in pubblico pur continuando a scrivere canzoni come Anche un uomo, Il cigno dell'amore, Senza fiato, Un' aquila nel cuore, Senza umanità, Momento magico e tante altre.


24 ottobre, 2020

24 ottobre 2006 - Bruno Lauzi, l’impegno e l’ironia

Il 24 ottobre 2006 muore Bruno Lauzi. Nato l’8 agosto 1937 a l’Asmara, in Etiopia, con la sua famiglia rientra in Italia negli anni Cinquanta e nel 1953 fa parte della Jelly Roll Morton Boys Jazz Band dove viene accettato grazie a una presentazione del suo amico Luigi Tenco. Nel gruppo jazz si fa notare per il particolare arrangiamento per banjo della Rapsodia in blu di George Gershwin. Nel 1960, compone 'O frigideiro un brano in dialetto genovese dalla ritmica brasiliana, seguita, tre anni dopo, dalla divertente Garibaldi blues e dalla pubblicazione del suo primo singolo di successo intitolato Ritornerai. Nel 1964 partecipa "Un disco per l'estate" con il brano Viva la libertà e, nel 1965, interpreta al Festival di Sanremo Il tuo amore in coppia con Kiki Dee. Nello stesso anno vince anche l'Oscar del disco con l'album Lauzi al cabaret e nel 1966 vince la Caravella d'oro di Bari come miglior cantautore. Parte quindi per un lungo tour con Mina in Sudamerica e nel 1968 vince ancora l'Oscar del disco con l'album Cara. Parallelamente all'attività di cantautore è un apprezzato traduttore di brani francesi. Sono sue le versioni italiane di canzoni come Lo straniero di Georges Moustaki e Quanto ti amo di Johnny Hallyday, mentre la sua canzone Il poeta, considerata un po’ il manifesto della cosiddetta "scuola genovese" viene portata al successo da Mina e Gino Paoli. Nel 1970 ottiene un altro riconoscimento con Arrivano i cinesi e nel 1971 arriva al primo posto della classifica italiana con Amore caro amore bello firmata dalla coppia Mogol-Battisti, cui segue l'album Bruno Lauzi. Da quel momento continua l'attività pubblicando album dignitosi e lavorando soprattutto come traduttore dei grandi artisti francesi e brasiliani. Muore a Peschiera Borromeo in provincia di Milano il 24 ottobre 2006.


23 ottobre, 2020

23 ottobre 1928 - Domenico Attanasio dalla lirica alla canzone

Il 23 ottobre 1928 nasce a Napoli Domenico Attanasio. Cantante in possesso di una voce estesa e pastosa, all’inizio della sua carriera tenta la strada della lirica e debutta come tenore sotto la direzione del maestro Gianandrea Gavazzeni nell'opera "Nina pazza per amore" di Giovanni Paisiello al Teatro San Carlo di Napoli. Come molti altri protagonisti della scena lirica di quel periodo, però, si lascia tentare dalle lusinghe di della cosiddetta “musica leggera” e passa alla canzone vincendo un concorso organizzato dalla RAI che lo assume. Ai microfoni della radio canta con le orchestre Anepeta, Fragna e Vinci. Nel 1952, in coppia con Oscar Carboni, si piazza al secondo posto con Varca lucente alla prima edizione del festival di Napoli. La sua carriera è costellata da grandi soddisfazioni e da un successo che supera anche i confini d’Italia.


22 ottobre, 2020

22 ottobre 2004 – Meg inaspettata e dolce

Il 22 ottobre 2004 Meg presenta il suo primo disco da solista. «Un parto travagliato. È una figlia, una piccola creatura di sesso femminile che io trovo graziosissima» Così Meg descrive l’album che porta il suo nome, il primo da solista dopo tanti anni con i 99 Posse e la più recente esperienza nei Nous in coppia con l’altro ex 99 Marco Messina. È un lavoro inaspettato per chi si è abituato a vederla sulla scena con Zulù e compagni. Delicato, musicalmente curato fin nei minimi dettagli, in qualche passaggio deliziosamente retrò, Meg è un album pop dove le alchimie elettroniche fanno l’amore con gli strumenti veri, fiati e archi compresi. Lei sostiene che al fascino sottile dei suoi brani non sia estranea una questione di genere: «C’è una grande differenza tra la sensibilità maschile e quella femminile. Io ho cantato al femminile». Ci vuole coraggio, però, a imbarcarsi su rotte nuove visto che avresti potuto continuare a navigare nello stesso mare in cui avevi veleggiato con i 99 Posse… «Nel momento in cui il gruppo ha incominciato a starci stretto e abbiamo deciso che era tempo di prenderci una boccata d’aria, ciascuno di noi ha finito per radicalizzare le proprie ispirazioni artistiche e stilistiche…» E le tue quali sono? «Quelle che ritrovi nel disco. Una cultura ricca, non prigioniera di un genere specifico, una sorta di liquido amniotico in cui convivono felicemente la tradizione classica napoletana, il pop dei Beatles, il jazz e la musica classica…» … e il Brasile, visto che nell’album l’unico pezzo che non porta la tua firma è Senza paura, un brano di molti anni fa scritto da Toquinho, Vinicius De Moraes e Sergio Bardotti. Caldo, molto luminoso, insieme a Simbiosi sembra un po’ la chiave di lettura dell’intero disco, uno squarcio di ottimismo, un invito a non credere alle cose come sono e a non avere paura. «È un solare esorcismo alla paura, una canzone che ha illuminato la mia infanzia. Per questo ho voluto cantarla e ho chiesto a mio padre di suonarci». Tu sei ottimista? «Come tutti alterno momenti di pessimismo nero a squarci di speranza e ottimismo. Tutto sommato mi considero positiva, anche se di questi tempi è sempre più difficile. Ciò che di peggio si poteva immaginare è diventato realtà: guerra, falsificazione, desolazione, sopraffazione e, in più, la caduta del significato delle parole. Opporsi è possibile solo se si sfugge a queste logiche». In Simbiosi sembri quasi rivalutare il sogno da contrapporre alla realtà. Non è una fuga? «No, tutt’altro. Io credo che la speranza del mondo sia proprio affidata a quella rete delicatissima, eppur fittissima, di persone che riescono ancora a sognare spostando più in là l’orizzonte. È quello che mi piace chiamare “esercito mondiale dei sognatori” e che raggruppa tutti quelli che non hanno smesso di sognare, progettare e lottare per un mondo diverso».


21 ottobre, 2020

21 ottobre 1940 - Plinio Maggi, da Sanremo alla farmacia

Il 21 ottobre 1940 nasce a Catania Plinio Maggi. Cantante e autore soprattutto di testi, fin da ragazzo frequenta corsi di canto e di pianoforte, affiancando agli studi universitari l’attività musicale in varie orchestre. Nei primi anni Sessanta partecipa a vari concorsi canori e nel 1965 vince il Festival per voci nuove di Castrocaro, il più importante di quel periodo anche perché dà la possibilità al vincitore di partecipare al Festival di Sanremo. La sua voce melodico moderna è estremamente funzionale ai primi tentativi di costruzione di un pop all’italiana che mescola i ritmi del beat alle melodie tradizionali. Nel 1966 partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Anna Marchetti cantando il brano Io ti amo. Nello stesso anno vola in America dove ottiene un discreto successo partecipando all’Andy Williams Show. Dopo alcune fortunate tournée all'estero e qualche disco senza grandi risultati, all'inizio degli anni Settanta decide di lasciare le scene per fare il farmacista. Fra i suoi dischi sono da ricordare Quando tu partirai e Questa sera noi ci lasceremo. Muore a Catania il 20 ottobre 2019.


20 ottobre, 2020

20 ottobre 1986 – “Caruso” canzone dell’anno

La più bella canzone del 1986 è Caruso di Lucio Dalla. La giuria del Club Tenco di Sanremo, composta da critici, autori e giornalisti, non ha dubbi in proposito, tanto che il premio viene assegnato quasi all’unanimità. Il 20 ottobre 1986 nel corso dell’annuale manifestazione organizzata dallo stesso Club Tenco, Lucio Dalla riceve quello che lui considera uno dei premi più prestigiosi della sua carriera. La canzone nasce da una leggenda. Si racconta che il grande tenore Enrico Caruso, negli ultimi mesi della sua vita, ormai malato irrimediabilmente di cancro alla gola, continuasse a tenere lezioni di canto a una giovane ragazza di cui era anche segretamente innamorato. In una delle ultime sere della sua vita avrebbe fatto trasportare il suo pianoforte in terrazza per poter cantare una lunga serenata alla luna e allo stupendo Golfo di Sorrento. Commosso e ispirato da questa storia Lucio Dalla compone Caruso, un brano dalla melodia e dal testo ricchi di citazioni attinte direttamente alla tradizione napoletana e operistica. La canzone, pubblicata in singolo e inserita nell’album Dallamericacaruso arriva rapidamente al vertice della classifica dei dischi più venduti. Considerata il capolavoro del cantautore bolognese diventa un successo in varie parti del mondo grazie anche alle numerose versioni realizzate da diversi artisti. Tra i cantanti che l’hanno inserita nel loro repertorio ci sono Luciano Pavarotti, Anna Oxa, Roberto Murolo, Mireille Mathieu e Tom Robinson.