Il 19 dicembre 1994, mentre tutti i suoi ammiratori attendono da mesi il suo nuovo album, Bruce Springsteen fa parlare di sé per ragioni di cronaca. Il rocker statunitense vince, infatti, la sua battaglia legale contro una piccola casa discografica britannica, la Dare, che era intenzionata a pubblicare un album di suoi vecchi brani, registrati nel 1971 in modo artigianale. Springsteen si era preoccupato di bloccare l’iniziativa perché, come dichiarato dai suoi legali, «I nastri, registrati nel New Jersey in modo poco professionale e in circostanze diverse da quelle attuali, potrebbero danneggiare la sua immagine». Tra le condizioni accessorie della sentenza c’è quella che prevede che la casa discografica debba restituire al “Boss” tutte le registrazioni oggetto della causa, di cui era venuta in possesso in modo del tutto casuale.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
19 dicembre, 2020
18 dicembre, 2020
18 dicembre 1965 – I Beatles al vertice della classifica con un singolo senza Lato B
Il 18 dicembre 1965 arriva al vertice delle classifiche britanniche l’ennesimo singolo dei Beatles. Il disco contiene due brani destinati a restare nella storia del gruppo: Day tripper e We can work it out. Nelle classifiche vengono indicati in coppia perché, come gli stessi interpreti hanno spiegato, non c’è un lato A e un lato B. Entrambi i brani sono considerati dello stesso valore. Più tranquillo e nella norma appare la ballata We can work it out , registrato in studio il 20 ottobre 1965, il cui testo sarebbe stato ispirato alla conclusione della relazione di Paul McCartney con Jane Asher. Decisamente più ricco di stimoli appare Day tripper, imperniata su un riff incisivo con un testo ricco di ambiguità. In un primo momento tanto Lennon che McCartney sostengono che la canzone è dedicata alla vicenda di ragazza intenzionata a diventare una cantante. Qualche mese più tardi, di fronte ad alcune argute osservazioni di parte della stampa, John Lennon cambia versione sostenendo che la canzone è dedicata a quelle persone che si dedicano a “viaggi” un po’ particolari. Nel 2005 anche Paul McCartney conferma questa versione aggiungendo che il brano irrideva la sua iniziale riluttanza a provare l'LSD, già usato da tempo da George e John.
17 dicembre, 2020
17 dicembre 2004 – Jim Morrison spiato dall’FBI
Il 17 dicembre 2004 arriva anche in Italia il libro di John Delmonico che raccoglie e analizza i dossier dell’FBI su Jim Morrison, il cantante, poeta e frontman dei Doors. Si intitola “I giorni del caos” ed è pubblicato da quella stessa Selene Edizioni che già si era aggiudicata l’asta per la pubblicazione italiana dei file dei servizi di sicurezza statunitensi su John Lennon. C’è una stretta interconnessione tra le due opere. Proprio dal confronto con l’assidua opera di sorveglianza, al limite della persecuzione, condotta nei confronti dell’ex Beatle, attivamente impegnato a finanziare e sostenere movimenti antagonisti, inizia il ragionamento attorno a cui ruota l’analisi della documentazione raccolta. In sostanza, si chiede Delmonico, se per John Lennon lo spionaggio aveva una sorta di para-giustificazione proprio nell’impegno politico dell’artista, quali potevano essere le ragioni di un massiccio utilizzo di uomini, mezzi e risorse da parte dei servizi di sicurezza di una grande potenza per passare al setaccio la vita privata di un artista il cui maggior gesto di ribellione era quello di fingere di masturbarsi sul palcoscenico? Per evitare che la domanda venga considerata poco più di una curiosità storica per topi da biblioteca, l’autore ricorda che ancora tre anni fa i Doors sono finiti nell’elenco dei brani e delle band censurate dal Patriot Act dopo l’11 settembre. Ironizza sulla censura postuma di un artista morto da trent’anni e dalla sua band («Strano… già allora non mi sembrava che avessero una chiara visione politica o, per dirla con Country Joe McDonald, che ne avessero una…») e cerca di riflettere sul perché. Liquida rapidamente le ipotesi semplicistiche che tendono a vedere in queste operazioni un semplice «…strumento per distogliere l’attenzione da ben più gravi problemi: allora il Vietnam, oggi l’Iraq…» e inizia un’accurata e documentata analisi del quadro in cui nascono, crescono e si sviluppa una lunga serie di “operazioni coperte” condotte dai servizi segreti degli Stati Uniti. Ne emerge un quadro inquietante, una lunga storia di abusi, persecuzioni, manipolazioni e atti criminosi perpetrati in nome della “sicurezza nazionale”. Il titolo stesso del libro “I giorni del caos” allude a una bizzarra coincidenza semantica tra una frase di Jim Morrison («Mi interessa qualunque cosa abbia a che fare con la rivolta, il disordine e il caos») e “Chaos”, il nome dato alla fine degli anni Sessanta alla principale iniziativa dei servizi segreti in territorio americano, un’azione coperta i cui documenti sono stati de-secretati da poco e i cui obiettivi non sono mai stato completamente chiariti. Delmonico nell’introduzione scrive che «Il ventesimo secolo è passato e quello nuovo, il presente e il futuro, non ha mostrato soluzioni di continuità: guerre, torture, disinformazione e le rock’n’roll band in una lista di proscrizione».
16 dicembre, 2020
16 dicembre 1989 – Lee Van Cleef il cinico cacciatore d’uomini arrivato dal teatro
Il 16 dicembre 1989 muore Lee Van Cleef. Con i suoi occhi felini a fessura, lo sguardo acuto, il naso adunco e la notevole prestanza fisica è stato uno dei più popolari duri e cinici cacciatori di uomini che si siano mai aggirati sui sentieri del western all’italiana. Non poteva essere diversamente visto che il suo personaggio andava a pennello per un genere nel quale il ruolo del buono non è poi distinto tanto bene da quello del cattivo. Quando sbarca in Italia chiamato da Sergio Leone che gli affida il ruolo del colonnello Douglas Mortimer in “Per qualche dollaro in più” sfiora già i quarant’anni e sulle spalle ha una lunga carriera passata a dare volto e voce a personaggi destinati a finire male per mano del “buono” di turno. Il regista romano lo sceglie un po’ perché non costa moltissimo e un po’ perché si ricorda di aver visto la sua faccia in western entrati nella leggenda come “Mezzogiorno di fuoco”, “Sfida all’OK Corral” o “L’uomo che uccise Liberty Valance”. L’incontro con Sergio Leone e il successo di “Per qualche dollaro in più” danno inizio a una nuova fase della sua carriera. A differenza di Clint Eastwood non torna subito in patria, ma diventa una delle icone dell’intera epopea del western all’italiana. Lee Van Cleef nasce a Somerville, nel New Jersey, il 9 gennaio 1925. Il suo primo lavoro è quello di ragioniere nello studio di un commercialista anche se, come molti ragazzi di quel periodo, finisce per ritrovarsi in divisa, nel suo caso quella della Marina, per combattere nella seconda guerra mondiale. Dopo il 1945 recupera il suo vecchio impiego ritagliandosi un po’ di spazio nel tempo libero per recitare in teatro con una compagnia amatoriale. Proprio in una di queste esibizioni viene notato da Joshua Logan che lo convince a lasciare l’impiego per dedicarsi al teatro a tempo pieno. Dalle assi del palcoscenico agli studi di Hollywood il passo è meno lungo di quel che sembra e Lee Van Cleef si ritrova a interpretare la parte di uno dei cattivi con i quali deve fare i conti Gary Cooper in “Mezzogiorno di fuoco” di Fred Zinneman. È il 1952. Da quel momento il cinema diventa il suo unico mestiere e il western il genere nel quale viene scritturato con più frequenza. Quando sbarca in Italia non è una star, ma un onesto e rispettato caratterista di quarant’anni che Sergio Leone trasforma in un personaggio popolarissimo in tutto il mondo. Accompagna poi le successive evoluzioni del western all’italiana e dopo l’esaurimento del genere alla fine degli anni Settanta torna a lavorare prevalentemente negli Stati Uniti. Tra le ultime interpretazioni di rilievo c’è “1997 - fuga da New York” di John Carpenter. Il 16 dicembre 1989 muore per un infarto. Le sue ceneri riposano a Forest Lawn, vicino a Hollywood.
15 dicembre, 2020
15 dicembre 1930 – Lilian Terry, l'italiana d'Egitto
Il 15 dicembre 1930 da padre maltese e madre italiana nasce al Cairo in Egitto la cantante Lilian Terry. A nove anni inizia a studiare pianoforte e a diciassette, quando ormai si è trasferita a Roma con la famiglia, si diploma presso l'Accademia di Santa Cecilia. Qualche anno dopo è una delle ospiti fisse del Circolo del Jazz della capitale. Nel 1953 è la prima cantante jazz ad apparire in video, con Nicola Arigliano e Memo Remigi, in una trasmissione sperimentale della sede RAI di Milano. L'anno dopo conduce il programma radiofonico "Canta Lilian Terry" che la rivela al grande pubblico. La sua popolarità è destinata ad allargarsi a macchia d'olio dopo la partecipazione a programmi televisivi di grande successo come "Totò club" e "Il mattatore" con Vittorio Gassman. È una delle pochissime voci femminili del jazz italiano che riesca ad affermarsi senza rinunciare alle sue radici. Nel 1962 conduce il programma televisivo "Abito da sera" nel quale canta con una lunga serie di jazzisti italiani e stranieri. In questo periodo raggiunge l'apice del successo commerciale con il brano My hearts belongs to daddy. Fino al 1969 partecipa a moltissime manifestazioni musicali in tutto il mondo, lavora alla realizzazione di varie colonne sonore, conduce trasmissioni radiotelevisive e pubblica numerosi dischi. Successivamente, però, sceglie di ridurre l'attività di cantante privilegiando quella di organizzatrice e conduttrice di programmi radiotelevisivi. Tra i suoi impegni c'è anche quello di promozione della musica jazzistica nell'ambito della Federazione Jazz di cui è socia fondatrice.
14 dicembre, 2020
14 dicembre 1911 – Amundsen, un norvegese all’Antartide
Il 14 dicembre 1911 l’esploratore Roald Engelbregt Gravning Amundsen conquista per primo il cuore dell’Antartide. La possibilità che all’estremo polo meridionale della Terra ci fosse un continente è stata, infatti, intuita dagli antichi geografi molto tempo prima che il Circolo Polare Antartico fosse attraversato per la prima volta dal capitano Cook nel gennaio del 1773. Cook avvista i grandi iceberg piatti dell’Antartide, ma se ne torna a casa con il dubbio sulla reale esistenza di un continente sotto i ghiacci. Nei suoi appunti di viaggio scrive che se qualcuno «avesse la determinatezza e il coraggio di chiarire questo problema (l’esistenza di un continente) spingendosi ancora più a sud di quanto abbia fatto io, non gli invidierò la fama della scoperta, ma mi permetto di affermare che il mondo non ne ricaverà alcun beneficio». Ha torto. Contrariamente alle sue previsioni, la scoperta dell’Antartide consentirà al mondo di disporre del più grande laboratorio scientifico mai esistito, abitato da alcune centinaia di scienziati di nazioni diverse che collaborano tra loro in progetti di ricerca pura. Il continente antartico viene avvistato per la prima volta, da lati diversi, da spedizioni russe e britanniche nel 1820 e nel mese di febbraio dell’anno dopo l’americano John Davis diventa il primo uomo che consapevolmente mette piede sul suo territorio. Deve passare quasi un secolo, però, prima che questa massa di terra ghiacciata attiri l’attenzione degli esploratori. Il primo conquistatore del Polo Sud è proprio il norvegese Amundsen, che lo raggiunge il 14 dicembre 1911. In genere nelle esplorazioni conta solo il primo arrivato, ma non si può dimenticare il capitano inglese Robert Falcon Scott, che raggiunge il Polo Sud un mese dopo il rivale, nel gennaio del 1912, e muore di fame e di stenti nel viaggio di ritorno insieme a tutti i suoi compagni d’avventura. Dopo gli esploratori arriveranno i geografi e gli scienziati e, in pochi anni, il mondo riuscirà a scoprire cosa si celi in quella landa desolata all’estremo sud del nostro pianeta. Si stabilirà così con certezza che la regione antartica è costituita principalmente da un continente, l’Antartide, che ha un territorio pari a una volta e mezza quello degli Stati Uniti d’America. Il resto è costituito dal mare, in buona parte coperto dalla banchisa galleggiante e da isole deserte come la Georgia Australe, l’isola Heard e l’isola Bouvet.
13 dicembre, 2020
13 dicembre 1969 – “Venus” sbarca negli Stati Uniti
Il 13 dicembre 1969 arriva nei negozi degli Stati Uniti il singolo di Venus, una canzone che sta spopolando in tutta Europa. È interpretata da una band fino quel momento sconosciuta al grande pubblico. Si chiamano Shocking Blue e sono olandesi. Il loro leader è il chitarrista Robert “Robbie” Van Leeuwen, ma la loro immagine è rappresentata principalmente dall’affascinante cantante Mariska Veres. La formazione è poi completata dal bassista Klasse van der Wal e dal batterista Cornelius van der Beek. Il brano, dopo essere stato al vertice delle classifiche di quasi tutti i paesi europei, arriverà anche al primo posto della classifica statunitense. A dispetto degli scettici gli Shocking Blue riusciranno a ripetersi portando al successo in tutto il mondo altri due singoli: Mighty Joe e Never marry a railroad man. Finito il periodo d’oro Leeuwen riuscirà a imporsi come autore, componendo brani fortunati come My love is growing dei Walker Brothers. Per dare un’idea del loro successo si calcola che a tutto il 1973 gli Shocking Blue abbiano venduto tredici milioni e mezzo di dischi. Venus verrà ripreso negli anni Ottanta dalle Bananarama che lo riporteranno al vertice delle classifiche di vendita.
12 dicembre, 2020
12 dicembre 1929 - Toshiko Akiyoshi, una pianista di grande personalità
Il 12 dicembre 1929 nasce a Dairen, in Manciuria la pianista Toshiko Akiyoshi. A soli sette anni comincia a studiare pianoforte classico. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la sua vita si fa più problematica, ma nonostante le drammatiche vicende di quel periodo la ragazza riesce a continuare in qualche modo lo studio. Nel 1946 si trasferisce in Giappone, dove si avvicina al jazz. Per alcuni anni suona con vari gruppi giapponesi fino a quando, nel 1953, viene ascoltata da Oscar Peterson, in tournée con la Jazz At The Philharmonic di Norman Granz. Colpito dalle sue capacità Peterson convince Granz a incidere un disco con la ragazza al quale lui stesso fornisce l’apporto ritmico. Considerata la miglior jazzista del Giappone nel 1956 Akiyoshi si trasferisce a Boston, negli Stati Uniti per studiare alla Berklee School of Music e perfezionarsi insieme a Margaret Chaloff. Protetta e stimata da George Wein riesce ad allargare rapidamente la cerchia dei suoi estimatori e nel 1959 sposa il sassofonista Charlie Mariano. Con lui torna in Giappone nel 1961 dove sviluppa vari progetti interrotti nel 1962 da una breve parentesi statunitense con il gruppo di Charlie Mingus e nel 1964 da un altrettanto breve tour in Europa. Sempre nel 1964 partecipa al tournée giapponese del trombonista Jay Jay Johnson. L’anno dopo decide di tornare negli Stati Uniti. Divorzia da Charlie Mariano, si dedica a varie esperienze didattiche a Reno nel Nevada e a Salt Lake City nello Utah ma soprattutto comincia a prestare maggior attenzione alla composizione e all'arrangiamento. Nel 1967 debutta con una propria grande orchestra alla Town Hall di New York e nel 1970 forma un quartetto con il secondo marito, il sassofonista Lew Tabackin. Due anni dopo trasferitasi a Los Angeles con il suo compagno forma una nuova grande orchestra di sedici elementi, la Toshiko Akiyoshi – Lew Tabackin Big Band, destinata con vari cambiamenti a durare a lungo. Influenzata inizialmente da Bud Powell e, in seguito, dalla raffinatezza armonica di Bill Evans, la Akiyoshi oltre a essere una pianista dallo stile fluente e articolato, si è rivelata una delicata compositrice e un’abile arrangiatrice. Nel 1984 Renée Cho le ha dedicato il film-documentario "Jazz Is My Native Language". Nel 1996 ha pubblicato la sua autobiografia “Life With Jazz” e nel 2007 ha ricevuto un riconoscimento alla carriera dalla prestigiosa “U.S. National Endowment for the Arts”.
11 dicembre, 2020
11 dicembre 1965 – Dave Barbour, la chitarra di Goodman e Peggy Lee
Il 11 dicembre 1965 a Malibu, in California, muore il chitarrista Dave Barbour. Nato a New York il 28 maggio 1912 viene registrato all’anagrafe con il nome di David Michael Harbour. Negli anni Trenta ottiene i primi ingaggi come banjoista ma ben presto lascia il banjo per la chitarra. Nel 1934 suona con Wingy Manone che lascia un anno dopo per entrare nel gruppo di Red Norvo. Nello stesso periodo partecipa anche a molte sedute di registrazione con Louis Armstrong, Lil Hardin, Mildred Bailey, Teddy Wilson, Bunny Berigan e molti altri. Pur non avendo particolari doti solistiche, grazie alla sua eccellente preparazione musicale non ha difficoltà a trovare lavoro nelle orchestre più rinomate dell’epoca. Nel 1939 suona con Artie Shaw e nel 1942 passa al servizio di Benny Goodman. La cantante di Goodman di quel periodo è Peggy Lee. Dave Barbour se ne innamora e nel 1943 la sposa. La loro unione dura fino al 1952. Lo stesso Dave accompagna Peggy in una serie di dischi e scrive con lei canzoni di successo come Mañana e It's a good day. Nel 1949 prende parte anche alla tournée cubana dell'orchestra di Woody Herman. Dopo il divorzio dalla Lee, registra con Nellie Lutcher, Jeri Southern e altre cantanti. Nel 1951 è accanto a Claudette Colbert nel film “Nozze infrante” (Secret fury). A partire dal 1952 si ritira a Malibu, in California, cessando ogni attività musicale salvo una breve parentesi per un disco con Benny Carter.
10 dicembre, 2020
10 dicembre 2002 – Ute Lemper, la star tedesca poco amata in patria
Il 10 dicembre 2002 Ute Lemper inizia a Udine una breve tournée italiana destinata poi a toccare Venezia, Bologna e Milano. Le sue straordinarie qualità vocali sono note, così come la sua ecletticità artistica che le consente di passare con disinvoltura dal repertorio jazz e pop alle esibizioni con la London Symphony Orchestra. C'è, però, un lato di questa straordinaria artista da molti avvicinata a Marlene Dietrich che il pubblico italiano conosce poco. Ute Lemper non è soltanto una voce, ma una donna impegnata, capace di scelte provocatorie e coraggiose, soprattutto contro il pericoli del risorgente neonazismo nel suo paese d'origine e nel mondo. La provocazione più eclatante risale a qualche anno prima quando, in diretta televisiva da Berlino, osò aggiungere la sua voce all'esecuzione dell'inno nazionale tedesco, declamando un proclama contro il razzismo. Non è un mistero che i tedeschi la ritengano un personaggio scomodo e imbarazzante, da applaudire, ma anche da temere. Nessuno è profeta in patria, tantomeno lei. I suoi connazionali si spellano le mani durante i concerti, ma non amano quella donna affascinante che mette il dito sulle piaghe della storia e sulle ingiustizie sociali. Ute Lemper per la Germania è una presenza fastidiosa che non si è fatta condizionare dal successo e ama ricordare ai tedeschi ciò che essi vorrebbero per sempre rimuovere. Lei, del resto, ha detto più volte di non riconoscersi in alcun patria e qualche anno fa ha "osato" replicare direttamente a chi voleva mummificarla nel ruolo del "nuovo Angelo Azzurro": «Non sono la nuova Lola e non mi sento tedesca. In Germania non sei quello che vali e quello che vuoi esprimere. Meglio vivere a Parigi». La sua patria è il mondo e l'arte è per lei un'esperienza globale aperta a molteplici interessi che vanno dalla danza alla pittura, dal giornalismo alla recitazione, spesso mescolati con l'impegno politico e sociale. La sua vita artistica è lo specchio di questa sua multiforme capacità di espressione. In Ute oggi convivono felicemente gli studi di canto dell'infanzia, quelli all’Accademia della Danza di Colonia e alla Scuola d’Arte Drammatica di Vienna, le esibizioni nei piano-bar a quindici anni, l'esperienza punk con la Panama Drive Band, i musical e l'amore per Kurt Weill. Si mescolano e convivono con la disinvoltura di chi ritiene l'arte un mezzo per comunicare, oltre che per esprimersi. L'amore per Weill nasce proprio dalla voglia di rompere con gli schemi classici del sentimentalismo romantico: «Le canzoni di Weill sono intrise di sehnsucht (malinconica nostalgia), ma in esse il romanticismo è continuamente rotto dall'aggressività e non diventa mai sentimentalismo…» E a chi le ricorda che questa è una peculiarità del popolo tedesco lei risponde che «questo stato d'animo non è solo dei tedeschi, lo si ritrova nei norvegesi, in Strindberg, come pure negli scrittori russi…. In fondo è sempre presente in chi vive in situazioni limite sottoposto a forti pressioni emotive». La voglia di non restare prigioniera di stereotipi ne alimenta l'intera esperienza artistica combinando la musica a interessanti parentesi cinematografiche, con registi come Peter Greenaway e Robert Altman, alla danza, il suo primo amore cui torna con uno spettacolo di Maurice Bejart, alla pittura e alla parola scritta. Nonostante tutto, però, non possiamo neanche noi sfuggire al parallelo con Marlene Dietrich. Nonostante le sue resistenze (sappiamo che non ci amerà più), ci sono ragioni fondate nel fatto che per una parte della critica e per l'opinione pubblica Ute Lemper sia sempre più Dietrich, soprattutto oggi. Troppi i segni evidenti per non farci caso: una rapida e folgorante scalata al successo, un fascino che va al di là della pur notevole avvenenza, e uno sguardo che ipnotizza. A tutto ciò si aggiunge anche il distacco dal paese d'origine per una scelta esistenziale (gli invidiosi la chiamano snobistica) supportata da motivi politici. Ieri la Dietrich scelse di lasciarsi dietro alle spalle la Germania rifiutando di cantare per i nazisti e la sua più che una fuga divenne una scelta di campo. Oggi Ute Lemper accompagna il suo rifiuto di scegliere una patria con la insopprimibile voglia di non assistere indifferente a ciò che accade. Il suo non è soltanto un rifiuto, ma un impegno contro quei vizi che di volta in volta ama chiamare con il loro nome: intolleranza, razzismo o neonazismo. Il 10 dicembre 2002 arriva in Italia per regalare un po' della sua arte a un paese come tanti di quel mondo che lei considera la sua unica vera patria.
09 dicembre, 2020
9 dicembre 1930 - Citto Maselli, tra denuncia e poesia
Il 9 dicembre 1930 nasce a Roma Francesco Maselli, detto Citto. Dopo essersi diplomato nel 1949 presso il Centro Sperimentale di Cinematografia fa l’assistente di Luigi Chiarini, lavora alle sceneggiature di vari film di Michelangelo Antonioni e dirige documentari di pregio. Nel 1953 gira, insieme a Cesare Zavattini, “Storia di Caterina” un episodio di “Amori in città” e due anni dopo firma il suo primo film, “Gli sbandati”, con Lucia Bosè e Antonio De Teffé, il futuro Anthony Steffen degli western all’italiana, che ottiene un grande successo alla Mostra di Venezia. Nel 1960 gira “I delfini” con Claudia Cardinale e Tomas Milian che quattro anni dopo dirige anche ne “Gli indifferenti” dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia cui partecipano anche Paulette Goddard, Shelley Winters e Rod Steiger. Due commedie sofisticate come “Fai in fretta ad uccidermi... ho freddo” del 1968 e “Ruba al prossimo tuo” del 1969 precedono il ritorno al cinema di denuncia e d’impegno politico con “Lettera aperta a un giornale della sera” del 1970, seguito cinque anni dopo da “Il sospetto di Francesco Maselli”. Negli anni successivi si dedica alla produzione di film per la televisione fino al 1986 quando a sorpresa realizza il film “Storia d'amore” che si aggiudica il Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia e il premio per la migliore interpretazione femminile, assegnato a Valeria Golino. Seguono “Codice privato” del 1988 e “Il segreto” del 1990 interpretato da Nastassja Kinski che è protagonista anche del successivo “L'alba” del 1991. Nel 1996 dirige “Cronache del terzo millennio” presentato alla Mostra di Venezia e nel 1999 realizza la versione televisiva de “Il compagno” di Cesare Pavese. Nel 2005 ha diretto “Cronache del Terzo Millennio”, nel 2007 “Civico Zero” e nel 2011 "Scossa" un film nato dalla regia collettiva con Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani e Nino Russo.
08 dicembre, 2020
8 dicembre 2000 – All’Avana un monumento a John Lennon
«Direte che sono un sognatore, ma non sono l'unico». Questa frase presa in prestito dal testo di Imagine è incisa sul basamento della statua in bronzo di John Lennon realizzata dallo scultore José Villa Soberon che viene inaugurata l’8 dicembre 2000, in un parco dell'Avana, a Cuba. La scultura, che lo ritrae in camicia, seduto su una panchina, sarebbe piaciuta al buon Lennon. Non possiamo, però, giurare sulla sua approvazione per le celebrazioni del ventennale della sua morte a pochi mesi dal suo sessantesimo compleanno, festeggiato proprio nello stesso anno perché «quelli come lui non muoiono mai». Avrebbe probabilmente irriso i sacerdoti degli "anniversari-ombra". Le sue celebrazioni postume sembrano un paradosso ma non lo sono. Sono figlie dei tempi. È il destino dei poeti mediatici di questi anni confusionari sempre in bilico tra emozioni, eventi e mercato. E forse un po' di ragione ce l'ha anche sua sorella Julia che, con rabbia, chiede alle autorità di Liverpool di annullare le commemorazioni ufficiali della morte perché «non si celebra un assassinio».
07 dicembre, 2020
7 Dicembre 1915 - Eli Wallach, più di un caratterista
Il 7 Dicembre 1915 nasce a Brooklyn, New York, l’attore Eli Wallach. Perfezionista e molto professionale debutta come attore relativamente tardi dopo essersi laureato nel 1936 all'università del Texas e aver studiato poi alla Sandford Meisner con Lee Strasberg. Appartenente alla prima generazione formatasi all'Actors' Studio inizia la sua carriera nel 1945 con l’opera teatrale “Skychift” e ottiene il primo grande successo nel 1951 con “La rosa tatuata” di Williams che gli vale la conquista del prestigioso Tony Award. Dopo varie conferme teatrali debutta nel cinema nel 1956 vestendo i panni del volgare e ambiguo Vaccaro, seduttore di Carroll Baker in “Baby Doll, la bambola di carne” di Elia Kazan, il regista che fin dai tempi dell’Actors’ Studio lo considera uno dei più grandi talenti in circolazione. Nel western hollywoodiano è il cattivo de “I magnifici sette” di John Sturges e il rapinatore di treni ne “La conquista del West” di George Marshall. Il grande successo internazionale arriva, inaspettatamente, quando Sergio Leone lo sceglie per la parte di Tuco ne “Il buono, il brutto e il cattivo”. Proprio l’impostazione teatrale gli consente di gigioneggiare in ruoli ruvidi al limite dell’eccesso senza mai dare l’impressione di prendersi troppo sul serio. Sergio Leone questo vuole da lui quando lo sceglie per il ruolo di Tuco nel film che chiude la cosiddetta “trilogia del dollaro”. Wallach entra quindi nella storia del western all’italiana interpretando un fuorilegge che a parole spacca il mondo, ma che nella realtà è più pasticcione e opportunista che crudele. Tuco sembra la rilettura vagamente ironica di un altro personaggio western da lui interpretato: il beffardo, prepotente e sanguinario Calvera contro il quale si battono i magnifici sette del film di John Sturges. Il grande successo del film di Leone e la felice caratterizzazione del suo personaggio finiscono per condizionare le esperienze successive nel genere rinchiudendolo in una sorta di stereotipo. Abilissimo nel dare spessore alla personalità dei personaggi grazie alle tecniche imparate a teatro, parteciperà a moltissimi film senza però mai trascurare completamente la carriera teatrale. Muore il 24 giugno 2014.
06 dicembre, 2020
6 dicembre 1928 - Frankie Dunlop, dal pianoforte alla batteria
Il 6 dicembre 1928 a Buffalo, nello stato di New York, nasce il batterista Frankie Dunlop. Registrato all’anagrafe con il nome di Francis Dunlop cresce in una famiglia di musicisti e inizia a studiare musica pigiando i tasti bianchi e neri di un pianoforte. A dieci anni, però, si stanca e comincia a frequentare i corsi di batteria. Dotato di notevole talento comincia a suonare come professionista a soli sedici anni e a venti gira in lungo e in largo gli Stati Uniti con vari gruppi. Nel 1953, terminato il servizio militare, dà vita a un proprio gruppo e successivamente lavora con Skippy Williams, Sonny Stitt, Charlie Mingus, Thelonious Monk e Sonny Rollins. Sua è la batteria nella registrazione di Tijuana Moods di Mingus. Nel 1958 entra nell'orchestra di Maynard Ferguson con la quale resta fino al gennaio del 1960 quando si unisce alla formazione di Duke Ellington. Terminata anche questa esperienza riprende a lavorare con Monk, con cui resta a lungo. Tra il 1966 e il 1967 suonato nuovamente con Rollins, prendendo anche parte alla realizzazione della colonna sonora del film “Alfie”. Negli anni seguenti dà vita a vari gruppi in proprio senza rinunciare, quando richiesto, a prestare la sua batteria ad altri jazzisti. Muore il 7 luglio 2014.
05 dicembre, 2020
5 dicembre 1970 - Morte accidentale di un anarchico
Il 5 dicembre 1970 Dario Fo, il futuro vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1997, si cimenta per la prima volta nella sua carriera con il tema della morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico “caduto” dalla finestre della Questura di Milano nel corso di un interrogatorio svoltosi nei giorni successivi alla strage di piazza Fontana. Lo fa con “Morte accidentale di un anarchico” una sue opere più conosciute, la cui prima rappresentazione avviene il 5 dicembre 1970 a Varese. Il protagonista principale è lui stesso affiancato dal suo gruppo teatrale "La Comune". Il lavoro, che ha i tratti caustici della commedia satirica, si basa sulle documentazioni ufficiali e sulle inchieste dei gruppi di controinformazione. Questa impostazione consente costanti aggiornamenti tanto che è soggetto a frequenti riscritture e adattamenti. Per aggirare censure e accuse di diffamazione Fo decide di spostare la storia messa in scena dalla Milano del dicembre 1969 alla New York del mese di maggio 1920 quando Andrea Salsedo, un anarchico amico di Bartolomeo Vanzetti, dopo essere stato tenuto in carcere d’isolamento per otto settimane precipita da una finestra del quattordicesimo piano di un palazzo dove hanno sede alcuni uffici del Dipartimento di Giustizia. Nonostante le precauzioni l’impietosa versione teatrale costa a Fo una lunga serie di denunce che lo costringeranno a subire decine di processi in varie parti d’Italia.
04 dicembre, 2020
4 dicembre 2005 – Gloria Lasso, il simbolo della chanson exotique
Il 4 dicembre 2005 muore d’infarto a Cuernavaca, in Messico, l’ottantatreenne cantante e attrice Gloria Lasso, la spagnola che negli anni Cinquanta ha ammaliato i francesi con la sua voce sensuale. «Eccessi? Forse nel matrimonio, visto che mi sono sposata sei volte. Il resto sono invenzioni dei media...». Così nel 2003 l’ottantenne Gloria Lasso dalle colonne di “France Soir” risponde a chi la vuole espressione dell’anticonformismo eccessivo del dopoguerra. Nata in Spagna, o meglio in Catalogna, ma francese d’adozione negli anni Cinquanta ammalia i francesi con la sua voce e con la sua sensualità diventando una delle stelle più luminose del firmamento musicale di quel periodo. È anche la prima cantante di music hall a vendere più di un milione di dischi. Per lungo tempo con il suo delicato accento “straniero” da spagnola è la voce e il simbolo della “chanson exotique”, un genere in cui la melodia degli chansonnier si mescola con le suggestioni sensuali dei profumi di paesi immaginari e lontani. Gran parte delle sue canzoni, adorate dal pubblico, vengono maltrattate dalla critica dell’epoca che le definisce «paccottiglia pseudoesotica buona per gli allocchi». Questi giudizi non la sfiorano neppure. Le basta l’amore del pubblico per farsi scivolare addosso la ferocia dei critici suoi contemporanei. Ha ragione lei. È ormai dimostrato che soprattutto di fronte a fenomeni di massa la critica che li vive “in diretta” fatica a separare il successo commerciale dai contenuti artistici. Paradossalmente si fa abbagliare dai lustrini e dagli eccessi legati alla commercializzazione e non riesce a guardare oltre. In genere accade che qualche anno dopo, esauritasi la spinta commerciale, il fenomeno venga analizzato con un occhio meno legato alle passioni del contingente e spesso recuperato anche dalla critica. Gloria Lasso non sfugge alla regola. Rivalutata dai critici a partire dagli anni Ottanta diventa un’icona della comunità gay che vede negli eccessi kitsch del periodo della “chanson exotique” un simbolo di ribellione al perbenismo della società francese del dopoguerra. Rosa Maria Coscolin, la futura Gloria Lasso, nasce il 22 dicembre 1922 a Barcellona. Il racconto della sua infanzia è complicato da ricostruzioni spesso fantasiose di cui la stessa cantante si è fatta talvolta complice non curandosi di smentirle o lasciando cadere allusioni che sembravano confermarle. La piccola Rosa Maria non conoscerà mai la donna che l’ha data alla luce. Di lei non si sa niente. Muore nel parto? Se ne va? Chissà... Di certo si sa che dopo la nascita della bambina la madre non c’è più visto che di lei si occupa la seconda moglie di suo padre. Molti anni dopo la stessa Gloria non sarà tenera nella descrizione di quel periodo e non risparmierà quasi nessuna delle persone che hanno popolato la sua infanzia, nemmeno il padre, un maestro elementare descritto come un despota violento che la costringeva a mendicare. Del resto non è facile la sopravvivenza per chi è costretto ad abitare nella Spagna di quel periodo, attraversata per tre lunghi anni dal 1936 al 1939 da una crudele, sanguinaria e devastante Guerra Civile tra le forze fedeli al governo repubblicano e i seguaci del fascista Francisco Franco. All’inizio della guerra Rosa Maria Coscolin ha quattordici anni. Racconta che in quel periodo si è nutrita di carne di topo e ha subito abusi «…da parte di molti uomini prima ancora di diventare donna». Quando finisce la bufera della Guerra Civile ciascuno, dopo aver seppellito i propri morti, cerca di continuare a vivere. Per l’adolescente Gloria arriva anche il primo lavoro come assistente in un gabinetto medico. Il suo compito è quello di raccogliere le prenotazioni, accogliere e mettere a proprio agio i pazienti in attesa. È una tappa di passaggio. Qualche anno dopo grazie alla sua facilità nelle relazioni, al suo linguaggio sciolto e fluente e alla sua innata simpatia viene assunta come presentatrice alla radio spagnola. Rosa Maria Coscolin adora le canzoni. Guarda le cantanti che arrivano negli studi radiofonici dove lavora e un po’ le invidia. Vede in loro delle privilegiate che hanno maggior possibilità di esprimersi di quanta non ne abbia lei. Più il tempo passa e più si sente come una sorta di pappagallo che ripete parole a comando. A volte, per rompere la noia, canta a squarciagola le canzoni più ascoltate in quel frizzante inizio degli anni Cinquanta. Per interrompere la monotonia di una vita nella quale ogni giorno è uguale all’altro ci vorrebbe un colpo di fortuna. La svolta arriva quando una cantante che dovrebbe esibirsi dai microfoni della radio dove la ragazza lavora viene bloccata da un contrattempo. La produzione, disperata, non sa con chi sostituirla. Con una buona dose di faccia tosta Rosa Maria, che conosce tutto le canzoni in voga in quel periodo, si propone come sostituta. Non avendo altre scelte la produzione accetta. La sua esibizione conquista il cuore del pubblico. Da quel giorno Rosa Maria Coscolin diventa per sempre Gloria Lasso, la bellissima cantante dalla voce sensuale capace di far perdere la testa a un numero incalcolabile di uomini. Ben presto, nonostante il successo, comincia a sentirsi un po’ soffocata dalle censure e dalle limitazioni che le vengono imposte nella Spagna grigia e conservatrice della dittatura franchista. Per questa ragione nel 1954 coglie al volo l’offerta di una breve tournée parigina. Arrivata a Parigi con un contratto che prevede alcune esibizioni nei cabaret spagnoli viene notata a “La Puerta del Sol” dal produttore Maurice Tézé e convinta a non tornare in patria. Se Maurice Tézé è l’uomo che convince Gloria Lasso a restare in Francia, dietro ai suoi primi successi c’è la mano esperta del compositore basco Francis Lopez, uno dei protagonisti del periodo di maggior splendore dell’Operetta parigina. Ben presto grazie al suo accento spagnoleggiante e a una serie di astuti brani costruiti appositamente per le sue caratteristiche contende a Rina Ketty lo scettro di regina della “chanson exotique”. Brani come Hola que tal, Amour, castagnettes et tango, Le pauvre muletier o Le valse mexicaine ne accompagnano la scalata al successo. Nel 1956 la sua versione di Étranger au Paradis, un adattamento di un brano del compositore russo Alexander Borodin con un testo di Francis Blanche fa di Gloria Lasso la prima cantante di music hall capace di vendere un milione di dischi. Al grande successo non è estraneo l’aiuto di Lucien Morisse, il direttore artistico della nuova e ascoltatissima emittente radiofonica Europe 1. Proprio con la sua canzone, infatti, il geniale produttore sperimenta per la prima volta quello che i francesi chiamano “matraquage”, cioè la trasmissione ripetuta di un brano nel corso della programmazione giornaliera. Fino alla fine degli anni Cinquanta il suo successo è scandito da brani come La cuillette du coton, Toi, mon démon, Bon voyage, Muchas gracias o Buenas noches mi amor, ripresa anche da Henri Salvador in un’esilarante versione umoristica. Con l’inizio degli anni Sessanta la popolarità di Gloria Lasso deve fare i conti con le nuove stelle emergenti della “chanson exotique”, soprattutto l’italo-egiziana Dalida, la nuova pupilla di Lucien Morisse che con la sua Bambino, versione francese dell’italiana Guaglione, ha ottenuto un successo maggiore di quello che a suo tempo aveva benedetto la sua Étranger au Paradis. Gloria capisce che i temi stanno cambiando e cerca di reagire. Trova nuovi autori in Serge Gainsbourg e Gilbert Bécaud, modifica gli arrangiamenti e nel 1962 si ripropone con grande successo sul palcoscenico dell’ABC. Poi lascia la Francia e si trasferisce in Messico da dove parte alla conquista del Sudamerica. Il suo non è un addio definitivo al paese che più l’ha amata e che per primo ha saputo valorizzare le sue doti. Gloria Lasso torna più volte in Francia e nel 1985 si esibsce ancora sul palcoscenico de l’Olympia. Non si ritira mai dalle scene fino alla morte per infarto che arriva all’improvviso alle ore 16 di domenica 4 dicembre 2005 mentre la cantante è nella sua casa di Cuernavaca, in Messico. Gloria Lasso ha ottantatre anni e soltanto quindici giorni prima si è esibita in concerto proprio a Cuernavaca.
03 dicembre, 2020
3 dicembre 1965 – Hank D'Amico, dal violino al clarino
Il 3 dicembre 1965 a Queen's, New York, muore il sassoclarinettista Hank D’Amico, registrato all’anagrafe come Henry D'Amico. Nato a New York il 21 marzo 1915 muove i primi passi nel mondo della musica suonando in un'orchestra scolastica, dapprima come violinista, e poi come clarinettista. Il suo primo ingaggio professionale è su una battello di linea che fa la spola tra i due porti lacustri di Buffalo e Chicago. Nel 1936 suona con l'orchestra di Paul Specht e l’anno dopo entra a far parte del complesso del vibrafonista-xilofonista Red Norvo. Dal 1939 all'aprile 1940 è con Richard Timber e quindi con Bob Crosby con cui resta un annetto scarso prima di dare vita a una propria orchestra che non avrà però vita lunga. Nell'estate del 1942 suona con la band di Les Brown prima di tornare con quella di Red Norvo e successivamente, per un breve periodo, entra nella formazione di Benny Goodman. Nel 1943 è musicista di studio alla C.B.S. lavorando con vari jazzisti prima di una breve esperienza con l'orchestra di Tommy Dorsey. Dal 1944 al 1954 si dedica stabilmente al lavoro di musicista di studio alla A.B.C.. Nel 1954 suona per un breve periodo con Jack Teagarden e fra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta lavora in piccoli gruppi, in qualche caso messi in piedi da lui stesso. Nel 1964 è uno dei componenti del trio capitanato dal batterista Morey Feld. Colpito da un cancro lascia l’attività per sottoporsi a cure specifiche ma in pochi mesi la malattia lo porta alla morte.
02 dicembre, 2020
2 dicembre 1959 – Maurizio Colonna, il primo chitarrista classico al Festival di Sanremo
Il 2 dicembre 1959 nasce a Torino Maurizio Colonna, considerato uno dei più dotati chitarristi classici di questa epoca. Eclettico e geniale non disprezza di cimentarsi su terreni diversi da quelli più tradizionali misurandosi con linguaggi e stili di confine tra i vari generi. Dopo aver debuttato come chitarrista classico, suonando ad Alessandria la chitarra classica nel brano Concerto di Aranjuez di Joaquim Rodrigo alla presenza del compositore, nel 1978 pubblica Colonna, un album ricco di spunti classici cui collaborano musicisti come Alberto Radius, Tullio De Piscopo, Ares Tavolazzi e Bernardo Lanzetti. Autore di libri storico-musicali e di tecnica chitarristica, di numerose opere discografiche e di musiche da film realizzate in veste di compositore ed interprete principale, è stato più volte insignito di riconoscimenti prestigiosi quali il Premio Speciale, conferito dall’Ente Nazionale dello Spettacolo, in occasione del IX Festival Colonna Sonora e il Premio Internazionale dello Spettacolo, entrambi nel 1991. Nel 1996 è il primo chitarrista classico chiamato in qualità di ospite al Festival di Sanremo. Per l’occasione esegue Panarea, una sua composizione virtuosistica per chitarra sola. Torna ancora a Sanremo nel 2005 con Antonella Ruggiero e Frank Gambale. Nel 2007 ha pubblicato Bon Voyage in duo con Frank Gambale. Oggi è considerato tra i migliori dieci chitarristi classici al mondo viventi.
01 dicembre, 2020
1° dicembre 1947 - Leo Cuypers, un intelligente sperimentatore
Il 1° dicembre 1947 nasce a Heemstede, in Olanda il pianista e compositore Leo Cuypers. Proprio nella sua città natale si diploma al liceo musicale di Heemstede passando poi al Conservatorium di Maastricht . Nel 1968 ottiene le prime scritture importanti suonando con i gruppi Pierre Courbois, John Engels e Han Bennink. L’anno dopo forma un proprio trio e nel 1970 incontra il sassofonista e compositore Willem Breuker con in quale istaura un rapporto di collaborazione destinato a durare nel tempo. Nel 1969 ottiene il primo premio come pianista solista al festival di Loosdrecht. Dal 1971 al 1974 suona prevalentemente con il Theo Loevendie Consort pur senza rinunciare alla formazione di propri gruppi e alla collaborazione, soprattutto discografica, con Breuker. Pianista molto dotato è un compositore geniale i cui interessi vanno ben al di là di una semplice esecuzione jazzistica. La critica scrive che «…Se Breuker è l'anima del celebre Willem Breuker Kollektief, certo Cuypers sa ben esserne l'alter ego, rappresentando forse la parte più spiccatamente sardonica e ambigua. Certo, per qualcuno potrà persino sembrare che, nella propria ambiguità, egli rappresenti il lato più volgare, più pesantemente allusivo dello ensemble: diciamo, piuttosto, che g1i interessi di Cuypers e Breuker coincidono e si completano a vicenda, contribuendo così a creare un quadro multiforme, vario, mutevole, in costante movimento, oscillante tra volgarità, ambiguità, allusività, denuncia, ironia, sarcasmo, teatro, cabaret, café-chantant, jazz, improvvisazione, citazioni, trasgressioni, Brecht, Eisler, Weiss, Toller, musica colta ed extra-colta…». Muore a Maastricht il 5 settembre 2027.
30 novembre, 2020
30 novembre 2002 – Mike Francis con i Mystic Diversions
Il 30 novembre 2002 arriva nei negozi un nuovo album dei Mystic Diversions. Si intitola
Beneath another sky e, a distanza di un anno dall'album del debutto Crossing the Liquid Mirror, conferma la bontà di un progetto che esce dai canoni un po' stanchi della world music standardizzata e si mostra capace di emozionare. Le influenze latine, brasiliane, afro, R&B e ambient sono percepibili e dichiarate ma, allo stesso tempo vanno via leggere senza appesantimenti in una contaminazione riuscita e nuova. Una buona prova, dunque, del progetto ideato da Francesko e realizzato, oltre che con i fidi Mari-One e Aidan Zammit, con una lunga serie di artisti tra i quali spiccano i nomi di Maya Fiennes, Dhany, Wendy Lewis, Giovanni Imparato, Marco Rinalduzzi, Vittorio Cosma, Natalio Luis Mangalavite, Michele Ascolese, Pieraja e Ingo Schwartz. La notizia non finisce qui perché nasconde una sorpresa. Dietro al nome d'arte di Francesko, infatti, c’è una vecchia conoscenza della scena discografica come Mike Francis, uno dei protagonisti della stagione disco degli anni Ottanta che, con Survivor e Friends aveva fatto sfracelli in classifica e in discoteca confermandosi l'anno dopo con Together, in coppia con Amii Stewart. Fiorentino e registrato all'anagrafe come Francesco Puccioni, Francesko è proprio la stessa persona .
Beneath another sky e, a distanza di un anno dall'album del debutto Crossing the Liquid Mirror, conferma la bontà di un progetto che esce dai canoni un po' stanchi della world music standardizzata e si mostra capace di emozionare. Le influenze latine, brasiliane, afro, R&B e ambient sono percepibili e dichiarate ma, allo stesso tempo vanno via leggere senza appesantimenti in una contaminazione riuscita e nuova. Una buona prova, dunque, del progetto ideato da Francesko e realizzato, oltre che con i fidi Mari-One e Aidan Zammit, con una lunga serie di artisti tra i quali spiccano i nomi di Maya Fiennes, Dhany, Wendy Lewis, Giovanni Imparato, Marco Rinalduzzi, Vittorio Cosma, Natalio Luis Mangalavite, Michele Ascolese, Pieraja e Ingo Schwartz. La notizia non finisce qui perché nasconde una sorpresa. Dietro al nome d'arte di Francesko, infatti, c’è una vecchia conoscenza della scena discografica come Mike Francis, uno dei protagonisti della stagione disco degli anni Ottanta che, con Survivor e Friends aveva fatto sfracelli in classifica e in discoteca confermandosi l'anno dopo con Together, in coppia con Amii Stewart. Fiorentino e registrato all'anagrafe come Francesco Puccioni, Francesko è proprio la stessa persona .
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