Il 5 gennaio 1956 muore Mistinguett, una delle grandi interpreti della scena musicale francese. «Un bacio può essere una virgola, un punto interrogativo o un punto esclamativo. È una fondamentale regola ortografica che ogni donna dovrebbe conoscere». La frase, che replica al concetto del bacio come “apostrofo rosa” del Cyrano di Edmond Rostand, è sua e dà un’idea del carattere dell'artista. Decisa, determinata a sfondare nell’ambiente dello spettacolo in un’epoca in cui alle donne sono ancora relegati ruoli di frizzante e decorativo contorno la “môme de Paris”, la ragazza di Parigi trionfa in tutti i grandi locali della capitale francese nella prima metà del Novecento. Mistinguett è la prima vera e fulgida stella della scena parigina. Le sue canzoni ancora oggi a mezzo secolo dalla sua morte sono popolarissime e vivono ogni giorno in nuove interpretazioni. La Francia le ha dedicato un musical e un’altra grandissima interprete come Zizì Jeanmarie nei primi Anni Settanta ha riportato i brani che l’hanno resa famosa nel Casino de Paris, il teatro nel quale Mistinguett cantava insieme al suo pubblico Ça c’est Paris o l’autocelebrativa C’est vrai con la sua voce unica e affascinante, leggermente nasale ma capace di timbri inaspettati fino ad arrochirsi come il velluto a coste larghe e regalare brividi sui passaggi più delicatamente sensuali. C’è chi ha scritto che da ragazza fosse in grado di cavarsela bene sul palcoscenico ma non sapesse fare niente in modo straordinario, né danzare, né cantare e nemmeno recitare e che propria questa consapevolezza, unita a un’eccezionale forza di volontà, l’abbia spinta a migliorarsi fino a diventare una stella. Probabilmente è una delle tante leggende che si narrano nel mondo dello spettacolo, ma se è vera rafforza un carisma che non si è spento con il passare del tempo. Jeanne-Marie Bourgeois, la futura Mistinguett nasce il 3 aprile 1875 a Enghien-les-Bains, nell’Île de France. Figlia d’artigiani fin da piccola è affascinata dal mondo dello spettacolo. Quando è ancora piccolina vende mazzi di fiori. Il suo gioco preferito è piazzarsi davanti all’ingresso del Casino del suo borgo natale più per osservare l’andirivieni di uomini e donne della buona società che per vendere loro la sua merce floreale. I genitori si arrendono presto alle sue velleità di sperimentarsi nel mondo dello spettacolo e la lasciano frequentare un corso di violino a Parigi. Il tragitto in treno le dà l’occasione di fare incontri e conoscenze. Tra le persone conosciute c’è anche un autore di spettacoli che la ribattezza Miss Tinguette. Proprio con il nome di Mademoiselle Mistinguette fa il suo debutto cantando nei caffè concerto della capitale. È il 1893, ha dodici anni ma ne dimostra qualcuno di più. Si esibisce al Petit Casino, poi al Trianon Concert e, a partire dal 1897 si trasferisce in pianta stabile all’Eldorado dove resterà per dieci anni fino al 1907. Nel frattempo il suo nome d’arte perde sia l’appellativo di Mademoiselle che la “e” finale diventando definitivamente Mistinguett. Proprio all’Eldorado affina il mestiere lavorando prima nei siparietti in musica e poi ritagliandosi ruoli sempre più completi. Sono anni di lavoro duro che ne affinano le qualità. Mistinguett canta, danza e recita senza risparmio. Il pubblico lo capisce e comincia ad affezionarsi a questa ragazza che sul palcoscenico dà tutta se stessa. Dopo un’esperienza in teatro in un lavoro scritto da Georges Feydeau nel 1908 viene scritturata dal Moulin Rouge. È Max Dearly, uno dei personaggi più popolari di quel periodo, che la vuole al suo fianco per una nuova rivista. Insieme inventano la “valse chaloupée” (Valzer ondeggiante) una coreografia di suggestiva aggressività che mima il rapporto tra una ragazza di vita e il suo protettore. È nata una stella.Alla fine del primo decennio del Novecento il nome di Mistiguett sui manifesti degli spettacoli di rivista diventa sempre più grande. La sua voce e il suo corpo fanno innamorare perdutamente di lei uomini di spettacolo, ufficiali, principi e re. Nel 1910 viene scritturata dalle Folies-Bergère dove lavora con una giovane promessa che risponde al nome di Maurice Chevalier. Proprio con lui mette a punto una nuova coreografia destinata a restare nella storia del teatro di rivista. Viene chiamata “valse renversante” (valzer sconvolgente) e segna la nascita di una intensa storia d’amore. La splendida donna che fino a quel momento ha un po’ giocato con l’amore e con il suo fascino si innamora profondamente di questo giovane e impacciato artista che ha tredici anni meno di lei e tanta, tanta inesperienza. Gli insegna a muoversi sul palcoscenico con maggior grazia e lo stimola a lavorare di più anche sull’educazione della sua voce. Per Chevalier l’aiuto di Mistinguett si rivela preziosissimo e non solo dal punto di vista artistico. Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale e il giovane Chevalier viene spedito al fronte. Qui resta ferito e viene catturato dai tedeschi che lo rinchiudono nel campo di prigionia d’Alten Grabow. Non appena arriva a conoscenza del fatto Mistinguett si fa in quattro per recuperarlo. Muove le sue conoscenze, implora vecchi e nuovi spasimanti, chiede aiuto alla migliore nobiltà europea. Alla fine riesce a farlo liberare e a riportarlo a Parigi con sé. Dal 1916 i due riprendono il discorso artistico che si era interrotto due anni prima. I critici li applaudono come «…la miglior espressione della modernità nello spettacolo di rivista francese…» e i loro nomi svettano ormai grandissimi sui manifesti delle Folies-Bergère e del Ba-Ta-Clan. Mistinguett e Maurice Chevalier arrivano anche al Casino de Paris. Ricostruito nel 1917 il locale viene inaugurato dalla coppia formata da Gaby Deslys e Harry Pilcer, ma sotto le pressioni del pubblico del pubblico finiscono per sostituirla con Mistinguett e Chevalier. Niente però è eterno. All’apice del trionfo la coppia si rompe. Maurice Chevalier decide che è venuto il tempo di andare avanti da solo. La rottura inizialmente riguarda soltanto la sfera professionale e successivamente, litigio dopo litigio, finisce per diventare anche una separazione definitiva sul piano sentimentale. La fine della storia d’amore con Chevalier lascia un segno indelebile sulla sua vita e ispira la canzone Mon homme, uno dei suoi più grandi successi. Quel giovane artista resterà per sempre il suo più grande amore, un legame che lei spiegherà così: «La presenza di Maurice Chevalier non mi ha mai dato moltissimo, ma la sua assenza ha caratterizzato il resto della mia vita…». Negli anni Venti Mistinguett è l’incontrastata regina della notte parigina e ha conquistato l’intera Europa e gli Stati Uniti. Anche il cinema s’accorge di lei. Ala fine saranno una decina le pellicole interpretate anche se sono tutte mute tranne una, “Rigolboche” del 1936, l’unico suo film con la benedizione del sonoro. Per lei scrivono i migliori autori del periodo, compreso l’italiano Bixio che compone le musiche per la rivista “Paris qui brille”. Lei contraccambierà il dono portando al successo in Francia la sua canzone Il tango delle capinere, con il titolo di Le tango des fauvettes. Anno dopo anno però il tempo passa inesorabile e lei lentamente si accorge che è sempre più difficile mantenere il proprio nome scritto in grande sui manifesti dei teatri. Nel 1949 mette in scena quella che sarà la sua ultima rivista. Si intitola “Paris s’amuse” e resta in cartellone per nove mesi. Mistinguett ha ormai settantaquattro anni e da tempo quando è lontana dall’ambiente soffre di solitudine. Alla fine delle repliche decide che è tempo di chiudere definitivamente. Nel 1954 dà alle stampe anche la sua autobiografia intitolata “Tutta la mia vita”, ma la vita della pensionata non fa per lei. Lontano dal palcoscenico e dal pubblico finisce per ammalarsi. Muore sola il 5 gennaio 1956. Dopo la sua morte Chevalier la ricorderà così: «Ho perso il più grande amore della mia vita. Mistinguett mi ha dato le due cose più belle che io abbia avuto: l’amore e il successo».
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
05 gennaio, 2021
04 gennaio, 2021
4 gennaio 2003 – Bombardate i System Of A Down!
Considerati da molti giornali musicali la band dell’anno 2002 i System Of A Down con una lunga intervista rilasciata il 4 gennaio 2003 fanno sapere che a loro non importa nulla di quello che pensa Bush della loro musica anche se spesso il presidente tende a bombardare quello che gli dà fastidio, come dimostra l'Iraq. In effetti è difficile bombardare un gruppo capace di vendere ben tre milioni di copie in un periodo in cui chi arriva a un milione si segna con il gomito, ma non è da escludere che alla Casa Bianca decisionista e texana di questo periodo qualcuno abbia anche pensato di far loro qualche brutto scherzo. "Loro" sono i System Of A Down, una band dai suoni cattivi composta da quattro ragazzi d'origine armena che sta mettendo a soqquadro la scena musicale statunitense con canzoni che invitano a darsi una mossa per «fottere il sistema». E perché non si abbiano dubbi su quale sia il sistema che intendono abbattere puntano il dito sul loro paese adottivo, su quell'opulenta società americana colpevole di vivere fuori dal mondo, di essere intollerante e, soprattutto, di non aver mai riconosciuto il genocidio del popolo armeno perché quella dei diritti umani è una gran balla visto che «è più impostante la convenienza dell'alleanza strategica con la Turchia». Il loro successo ha messo in allarme il tranquillo mondo del music business, abituato a considerare la protesta musicale come una sorta di nicchia limitata, pittoresca e da incoraggiare più come elemento di curiosità che altro. Non è la prima volta che un artista o un gruppo arrivano al successo puntando il dito contro i mali della società in cui vivono, ma in genere si è sempre riusciti a depotenziarne la carica eversiva o con il miraggio di un "successo da consolidare" o con la trasformazione degli stessi in una sorta di icona sempre uguale a se stessa e slegata dalla vita reale. Con i System Of A Down il giochino non sta riuscendo. A distanza di un anno dall'album milionario Toxicity il gruppo ha pubblicato Steal this album!, un disco che si spinge ancora più avanti sulla strada della denuncia e della mobilitazione delle coscienze. I testi sono diretti e non si limitano al generico, pur se affascinante, "Fuck the System". In una nazione attraversata da un'ondata di orgoglio nazionalista dopo l'11 settembre dello scorso anno, i nostri eroi pubblicano un brano intitolato A.D.D.(American Dream Denial) (Rifiuto del sogno americano) e urlano il loro dissenso con strofe che recitano «Ce ne fottiamo del vostro mondo con i vostri profitti globali…». Il problema per il sistema non è tanto in quello che dicono, ma nell'incredibile successo di vendita che fa pensare quanto i loro ragionamenti siano condivisi da una larga fetta di giovani statunitensi. I System Of A Down sanno che quella è la loro forza d'urto e ci marciano: «Il nostro pubblico è giovane e variamente distribuito sul territorio. Molti frequentano i college e tra questi ci sarà la classe politica del futuro. Ecco, a noi piace pensare che stiamo parlando alla generazione dei protagonisti del futuro». Pur non essendo dei novellini (a parte il chitarrista Daron Malakian, ventisettenne, gli altri tre sono più vicini ai quarant'anni che ai trenta), la loro storia comune inizia solo nel 1993 a Los Angeles quando proprio Daron Malakian incontra in uno studio di registrazione a il cantante Serj Tankian. Entrambi militano in formazioni diverse, ma da quel momento decidono di unire gli sforzi in un progetto comune cui danno il nome di Soil. Per qualche tempo si adattano a fare i conti con una formazione variabile, ma nel giro di un paio d'anni finiscono per trovare un equilibrio definitivo con Shavo Odadjian al basso e John Dolmayan alla batteria. Proprio in quel periodo arriva anche il nuovo nome. Muoiono i Soil e nascono i System Of A Down, (il nome è ispirato a una poesia di Daron, intitolata "Victims of a Down") la prima band armena capace di ottenere una nomination ai Grammy Awards. Gli amanti delle definizioni schematiche si trovano subito in imbarazzo a classificarli in un genere definito, e a orecchio vengono quasi d'autorità piazzati tra gli alfieri del nu-metal. In realtà loro hanno le idee chiare. «Sono i critici a far confusione, noi siamo una heavy band, ma siamo aperti, svegli e intelligenti per misurarci anche con gli altri generi….» Non chiedete però se si possa parlare di heavy armeno, perché la risposta sarebbe una risata corale: «Noi suoniamo musica heavy e la musica armena solitamente non è heavy, ma è drammatica, come la nostra. Il popolo armeno ha subito un genocidio. Prendendo coscienza di quest'ingiustizia, commessa dalla Turchia, abbiamo aperto gli occhi sulle altre ingiustizie nel mondo. La nostra musica nasce da qui». In realtà non è solo nell'ispirazione che il loro rock duro, imbevuto di suoni degli anni Settanta, prende le strade dell'oriente. Se è vero che la struttura dei loro pezzi è quella classica di quattro quarti, è altrettanto vero che le sonorità sono ampiamente debitrici nei confronti delle suggestioni mediorientali. È sufficiente ascoltare Bubbles, uno dei brani di Steal this album! per rendersi conto che la chitarra di Daron suona come se fosse un bouzouki. Nelle loro esecuzioni c'è l'angoscia dell'esilio, ma anche la voglia di non considerare finita la partita, come raccontano in P.L.U.C.K.: «Un completo genocidio razziale/Ha cancellato il nostro orgoglio…» ma «…ora è il tempo della resa dei conti/Riconoscere, restituire, riparare…» altrimenti è tempo di «…rivoluzione, l'unica soluzione/La risposta armata di un'intera nazione…». È evidente che il music business USA non si senta troppo tranquillo quando tipetti come questi dimostrano di saper conquistare una fetta di consenso inimmaginabile. Figuriamoci poi ora che, mentre la bandiera a stelle e strisce viene innalzata per una nuova guerra loro dicono di essere stanchi di bombe e in Boom cantano «…l'unico obiettivo è il denaro/A nessuno importa un accidente se adesso muoiono di fame 400 bambini/mentre si spendono miliardi in bombe per piogge mortali…»
03 gennaio, 2021
3 gennaio 1928 - Al Belletto, un sax innovativo
Il 3 gennaio 1928 nasce a New Orleans, in Louisiana, Alphonse Joseph Belletto destinato a lasciare un segno importante nella storia del jazz come sassofonista con il nome di Al Belletto. Pur essendosi formato alla scuola jazzistica della sua città suonando con Sharkey Bonano, Louis Prima, Wingy Manone, Monk Hazel e i Dukes of Dixieland, il giovane Al abbandona rapidamente lo stile di New Orleans per cimentarsi con gruppi più innovativi. È l'ingresso nella big band di Woody Herman nel 1958 a orientarlo verso un jazz più moderno, che lo porterà poi ad accostarsi a Charlie Parker, a Stan Kenton e a tutti gli altri sperimentatori che, entro lo spazio di questa musica, cercano soluzioni nuove e diverse. Dotato di una buona conoscenza della musica classica Al Belletto utilizza strutture d’impianto classico nel suo fraseggio con risultati apprezzabili specialmente sul piano formale. Muore il 27 dicembre 2014 tra l'indifferenza dei media di tutto il mondo.
01 gennaio, 2021
1° gennaio 1965 – Fermate la British Invasion!
Il 1° gennaio 1965 la rivista New Musical Express denuncia che, con pretesti artificiosi, il governo statunitense sta negando il visto d'ingresso nel paese a vari gruppi inglesi che si vedono costretti ad annullare tour già previsti. Qualcuno pensa a uno scherzo dei redattori, ma la notizia è vera . Il Dipartimento Immigrazione degli Stati Uniti sta, infatti, cercando di limitare la "British Invasion", cioè l’arrivo delle band britanniche con lo scopo apparente di tutelare gli artisti locali. In realtà si vuole bloccare l’ondata di rinnovamento che l’esplosione del “beat” sta portando non soltanto nella musica. Come tutti i provvedimenti restrittivi e censori è destinato al fallimento. Per la prima volta la musica è assurta a linguaggio universale e una nuova generazione sta tentando di irrompere sulla scena della storia. Quello che in parte era già successo alla fine degli anni Cinquanta con il rock & roll, trova la sua esaltante continuità con un fenomeno come il beat e le successive evoluzioni. Le giovani generazioni iniziano a comunicare sulla stessa onda utilizzando la musica. Ben presto alle parole d’amore adolescenziale si sostituiscono contenuti diversi. Per la prima volta un comunista messo al bando dal maccartismo come Pete Seeger vede una sua canzone ai vertici delle classifiche di mezzo mondo, in Gran Bretagna si riciclano i più oltraggiosi interpreti del rock and roll statunitense, mentre l’opposizione alla guerra del Vietnam entra nelle canzoni e termini come “imperialismo” e “capitalismo” assumono in musica un’universale accezione negativa. Chiudere i confini non serve più.
31 dicembre, 2020
31 dicembre 1948 – Donna Summer, la voce sexy della disco
Il 31 dicembre 1948, a Boston nel Massachusetts, nasce Donna Summer. Il nome con il quale viene registrata all’anagrafe è LaDonna Gaines. Fin da piccola canta insieme alla sua numerosa famiglia nel coro della chiesa del quartiere mettendo in mostra notevoli qualità vocali tanto che a soli dieci anni si esibisce già in alcune parti da solista. Dopo aver partecipato a vari concorsi musicali si trasferisce a New York. Nella grande mela viene scritturata per il cast del musical "Hair". È il 1967. Quando la compagnia arriva in tournèe in Europa lei accetta di partecipare alla versione tedesca del musical e decide di non tornare negli Stati Uniti. A Monaco di Baviera incontra e sposa l’austriaco Helmut Sommer con il quale mette al mondo una figlia, Mimi Sommers. Proprio dall’anglicizzazione del primo marito nascerà il nome d’arte di Summer. Nel 1974 risponde a un’inserzione e trova lavoro come corista di studio entrando così in contatto con Pete Bellotte e Giorgio Moroder che la scritturano per la loro etichetta Oasis Records. Con la collaborazione di Moroder Donna realizza nello stesso anno l'album Lady of the night e il singolo estratto Hostage che, pur ottenendo un buon successo in Francia, in Germania e in Olanda, passano pressoché inosservati sui mercati anglosassoni. Nello stesso anno, sull'esempio del soul orchestrale di Barry White e del sound erotico della coppia Jane Birkin-Serge Gainsburg, pubblica Love to love baby, un brano che, pur non ottenendo particolare successo, attira l'attenzione di Neil Bogart, il presidente della statunitense Casablanca Records, la stessa etichetta dei Kiss. Proprio seguendo le sue indicazioni, viene realizzata una nuova versione del brano dilatandone la durata dagli iniziali tre minuti a oltre un quarto d'ora, con l'inserimento di vocalizzi, gemiti e sussurri inequivocabilmente erotici, che, pubblicata nel 1975 nell'album Love to love baby, diventa un successo mondiale, trascinando anche il singolo omonimo al primo posto della classifica statunitense e al quarto di quella inglese. L'album successivo, Love trilogy del 1976, con Try me, un altro lungo brano d'effetto, conferma il successo del team formato dalla Summer con Bellotte e Moroder e la ragazza è incoronata dai media di tutto il mondo “Regina della disco music”. Nello stesso anno analoga accoglienza ottengono l'album For seasons of love e il singolo Winter melody. Il rapido successo commerciale e l’innegabile sex appeal della ragazza finiscono per suscitare qualche invidia e non manca chi insinua che Donna sia soltanto una bella ragazza priva di talento canoro e che dal vivo canti in play back sulla base registrata da una corista professionista. Scioltesi come neve al sole le polemiche e le insinuazioni il suo successo continua nel 1977 con l'album I remember yesterday dal quale vengono estratti i singoli I feel love, Down deep inside, I remember yesterday, Love's unkind e I love you seguiti dal doppio album Once upon a time. Dopo il suo debutto cinematografico con il film "Grazie a Dio è venerdì” (Thank God, it's Friday) nel 1978 pubblica il doppio album dal vivo Live and more e il singolo MacArthur Park . L'anno dopo centra di nuovo in successo straordinario con il doppio album Bad girls che contiene anche la splendida Hot stuff, con cui vince il Grammy per la miglior interpretazione rock femminile. No more tears (Enough is enough) in duo con Barbra Streisand e un album antologico segnano la fine del suo rapporto con la Casablanca e il suo passaggio alla Geffen Records, l'etichetta di David Geffen. Nel 1980 con The wanderer finisce anche la sua collaborazione con Giorgio Moroder. È Quincy Jones a curare nel 1982 la produzione dell'album Donna Summer che contiene anche il brano State of indipendence scritto dall'ex Yes Jon Anderson. Nel 1983 esce She works hard for the money considerato un po’ il canto del cigno e l'ultimo suo grande successo commerciale di quel periodo. Sono anni complicati per la vita di Donna Summer che mette al mondo la piccola Amanda Grace, sposa il compositore Bruce Sudano e si converte al fondamentalismo dei “Cristiani rinati”. Al modesto Cats without claws del 1984 segue un lungo silenzio discografico interrotto nel 1987 dalla pubblicazione di All systems go un album i cui testi sono scritti in gran parte dalla stessa Summer realizzato con la collaborazione di arrangiatori come Harold Faltermayer e Richard Perry. Nel 1989 registra Another place and time, prodotto dal trio Stock, Aitken & Waterman, seguito, un paio d'anni dopo dall'album Mistaken identity. Negli anni Novanta si dedica a varie esperienze in duetto centrando alcuni successi più negli States che nel resto del mondo con brani come Love is The Healer, molto popolare oltreoceano e Carry On, con il quale vince anche un Grammy per il miglior singolo dance. Nel 2008 pubblica Crayons, il suo primo album di inediti dopo diciassette anni. Muore di cancro il 17 maggio 2012, all'età di 63 anni, nella sua casa al mare vicino a Naples, sulla costa ovest della Florida.
30 dicembre, 2020
30 dicembre 1952. Per Luciano Liggio un’assoluzione in quattro righe
«La Corte di Assise visto l'art. 479 cpp assolve Liggio Luciano, Criscione Pasquale e Collura Vincenzo dai reati loro rispettivamente ascritti per insufficienza di prove, ed ordina le scarcerazioni degli ultimi due se non detenuti per altra causa, e revoca il mandato di cattura nei confronti di Leggio Luciano». È il 30 dicembre 1952 quando la Corte d'Assise di Palermo per voce del suo presidente Gionfrida emette la sua sentenza nei confronti dei tre componenti di spicco del vertice mafioso di Corleone accusati di avere assassinato la sera del 10 marzo 1948 il sindacalista Placido Rizzotto. La lettura di quelle semplici e stringate quattro righe dattiloscritte vanifica quattro anni di pazienti indagini condotte dal capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’accusa non si arrende a quella conclusione e ricorre in appello, ma anche in questo grado di giudizio viene l’assoluzione viene confermata dalla sentenza di appello dell'11 luglio 1959. Un nuovo ricorso non sortisce alcun affetto. La sentenza d’assoluzione diventerà definitiva il 26 maggio 1961, quando la Corte di Cassazione si pronuncia contro il ricorso proposto dal pubblico ministero.
29 dicembre, 2020
29 dicembre 1902 – Al Moulin Rouge si danza per l’ultima volta
All’inizio del Novecento nei music hall si comincia a ballare sempre meno. Il pubblico danzerino trova altri e meno costosi spazi per divertirsi e per le grandi sale tira una tremenda aria di crisi. Il Moulin Rouge non fa eccezione ma, a differenza di altri locali, trova modo di lasciarsi alle spalle la crisi cambiando registro. Il 29 dicembre 1902 in quella che era una delle più grandi sale da ballo della capitale francese si danza per l’ultima volta. La sala chiude, il locale no. Giusto il tempo di adattare gli interni e il Moulin Rouge è pronto per riaprire i battenti. Il nuovo direttore Paul-Louis Flers, impresario di riviste tra i più popolari sulla piazza parigina, ha deciso di percorrere una strada diversa dal passato e lo trasforma in un teatro-concerto. Il locale sopravvive alla crisi e diventa uno dei monumenti inamovibili della notte parigina. Non così l’ideatore della svolta che sulla plancia di comando del Moulin Rouge resta per soli… nove mesi e poi se ne va per varie incomprensioni. La strada comunque è tracciata e tutti coloro i quali via via gli succederanno non ne cambieranno l’impostazione.
28 dicembre, 2020
28 dicembre 1915 - Al Klink, il sassofono di Glenn Miller
Il 28 dicembre 1915 nasce a Danbury, nel Connecticut, il sassofonista Al Klink. Nel 1939 entra a far parte dell'orchestra di Glenn Miller, con la quale lavora per molti anni conquistandosi uno spazio importante e una notevole popolarità. Tra i suoi dischi più significativi registrati durante il lungo sodalizio con Miller c’è anche il leggendario In the mood nel quale duetta con Tex Beneke e Boulder Buff. Dopo la morte di Miller e lo scioglimento dell'orchestra Al Klink entra a far parte per un breve periodo della big band di Benny Goodman e nel 1943 di quella di Tommy Dorsey nella quale emergere come solista di sax tenore denunciando l'influenza esercitata da Lester Young sulla sua maturazione artistico-strumentale. Nel 1947 entra a far parte dello staff della stazione radio WNEW. Negli anni Cinquanta suona e incide con le orchestre di Steve Allen, Mundell Lowe, Sauter Finegan e Jim Timmens oltre che con una sua formazione comprendente il pianista Dick Hyman, il chitarrista Mundell Lowe, il bassista Trigger Alpert e il batterista Eddie Shaughessy. Sempre nel corso degli anni Cinquanta lavora per un breve periodo come musicista di studio per la stazione radio NBC. Negli anni successivi sostituisce Bud Freeman nella World Greatest Jazz Band di Yank Lawson e Bob Haggart. Verso la fine degli anni Settanta si esibisce a New York con un quintetto comprendente George Masso, già con lui nella World Greatest Jazz Band, John Bunch, Milt Hinton e Butch Miles. Muore il 7 marzo 1991 a Bradenton, in Florida.
27 dicembre, 2020
27 dicembre 1911 - Clarence “Bon Ton” Garlow, uno dei profeti dello zydeco
Il 27 dicembre 1911 nasce a Weish, in Louisiana, il cantante e chitarrista di blues Clarence "Bon Ton" Garlow, il cui vero nome è Clarence Joseph Garlow. Originale interprete della musica popolare del sud la non limita il suo repertorio al blues, ma tende a contaminarlo con altri generi, in particolare con il rock. Con Big Morris Chenier e Boozoo Chavis è considerato uno dei primo artefici della diffusione di un genere come lo zydeco al di fuori dei ristretti confini della sua regione. Figlio di un cantante e leader di una piccola orchestra locale inizia a suonare all'età di otto anni. Nei primi tempi studia il violino, quindi la fisarmonica e la chitarra esibendosi in pubblico nella zona intorno alla città di Beaumont nel Texas, dove si è trasferito con la famiglia. La scelta di dedicarsi professionalmente alla musica avviene sotto la spinta di T-Bone Walker. Nel 1949, registra per Macy's Bon Ton Roulet che ottiene un grande successo e gli regala lo pseudonimo di Bon Ton. Con il suo gruppo, i Bon Ton Boys, si esibisce poi nel Texas e nella Louisiana. Nel corso degli gli anni Cinquanta registra per Feature, Flair, Folk Star, Goldband, Alladin e si esibisce anche al fianco di Clifton Chenier di cui resta uno dei maggiori ispiratori. Ingaggiato come disc-jockey dalla stazione radio KJET di Beaumont, per vari anni conduce il “Bon Ton Show”. All'inizio degli anni Sessanta dopo aver registrato con T Baby Green per la propria etichetta Bon Ran abbandona l'attività musicale per diventare un tecnico riparatore di televisori. Muore il 24 luglio 1986.
26 dicembre, 2020
26 dicembre 2003 – Il calore del Festival Trasporti Marittimi
Passare le Feste sotto un tendone da Circo con il caldo abbraccio della musica che rinfranca lo spirito, fa muovere le gambe e, magari, mette in moto il cervello: la bella idea è venuta agli organizzatori del Festival Trasporti Marittimi, una rassegna itinerante che si svolge nella provincia di Lecce dal 26 dicembre al 31 gennaio del 2003. Una tenda circense da settecento posti, adeguatamente riscaldata viaggerà per il Salento offrendo ospitalità e buona musica di tutti i generi, dall'avant rock, all'avant jazz, al reggae, al dub alla contemporanea, all'elettronica e via con le definizioni… La manifestazione è anche un'occasione per ascoltare alcune delle realtà più importanti di altre scene musicali. Sono, infatti, previste le esibizioni di artisti spagnoli, francesi, tedeschi, greci, statunitensi, canadesi e inglesi. Si comincia il 26 a Monteroni con una grande festa d'apertura dalle tinte reggae destinata a protrarsi fino all'alba. Aperta e chiusa dal drum'n'bass dell'High Grade Sound System e di Delroy e Plunk, ha il suo momento centrale nella sfida all'ultimo suono tra il dj britannico Rootsman, affiancato da Mc D. Bo General, e la crew bolognese Kaly Weed. Il 27 ci si sposta a Porto Cesareo per ascoltare i francesi Arca e Angle esibirsi insieme al loro connazionale Sylvain Chauveu e al duo franco-statunitense Convolution al suo primo concerto nei confini italiani. Domenica 28 il Festival fa tappa a Cursi. Sotto il tendone quella sera ci sono i folli canadesi de La Grand Orchestre Du Desastre, il batterista Thomas Belhom, già con David Grubbs, i francesi Santa Cruz e gli italiani Proteus 911, uno dei gruppi italiani più apprezzati dalla scena avant rock europea. Senza rallentare il giorno dopo, lunedì 29 si va a Cutrofiano dove sono annunciati il duo francese de Le Project Aleatoire e ben tre protagonisti della scena alternativa italiana: Jelted Meat, Cut e Pleo. Martedì 30 il caravanserraglio si sposta ad Arnesano per ospitare le sonorità degli italiani To The Ansaphone, dei madrileni Migala e del gruppo franco italiano con base tunisina dei L'Enfance Rouge. Il passaggio della notte di capodanno vede il tendone del Festival fare bella mostra di sé a Matino. Qui fino all'alba del 2004 si esibiscono, uno dopo l'altro, i Lumiére, gli Aerodynamics e i Dubital, precedenti, inframmezzati e seguiti da una nutrita pattuglia di dj. Finito l'anno non finisce la musica. Il Festival dei Trasporti Marittimi si conclude, infatti, il giorno (o, meglio) la sera del 2 gennaio a Novoli con la scandaloso blog core di Violetta Beauregarde, il muro del suono dei Bz Bz Ueu e gli Ovo, un progetto messo in piedi dall'ex Wolfango Bruno Dorella con Stefania Pedretti delle Allun.
25 dicembre, 2020
25 dicembre 1948 - Barbara Mandrell, una stella del country
Il 25 dicembre 1948 nasce a Houston, in Texas, la cantante, showgirl e polistrumentista Barbara Mandrell, uno dei simboli del country più tradizionale e popolare. Passa gli anni della sua giovinezza a Oceanside in California dove inizia a cantare e recitare nell’età in cui le sue compagne giocano ancora con le bambole. Nel 1962, a soli quattordici anni si esibisce in concerto con Johnny Cash e tra il 1967 e il 1968 vola nel sudest asiatico per partecipare ad alcuni spettacoli organizzati per tenere alto il morale delle truppe statunitensi impegnate nella “sporca guerra” del Vietnam. Nel 1969, suo marito, il batterista Ken Dudney, e suo padre la convincono a sfruttare meglio il suo personaggio e a trasferirsi a Nashville, dove inizia una carriera discografica coronata da molti successi. Nel 1980 e nel 1981 è la prima donna a essere proclamata "artista country dell'anno". Nel 1984 la sua carriera viene interrotta da un incidente automobilistico a Henderson, nel Tennessee. Per due anni se ne sta lontana dalle scene ma nel 1987 rientra con l’album Sure feels good ritrovando il suo pubblico.
24 dicembre, 2020
24 dicembre 2004 - Lisa Marie Presley vende il padre
Il 24 dicembre 2004 i giornali di tutto il mondo pubblicano una notizia che lascia perplessi gli appassionati di rock and roll. Lisa Marie Presley, la figlia del leggendario Elvis, ha venduto i diritti sulle opere, sul nome, sull’immagine e sul catalogo del padre. In cambio di cento milioni di dollari versati parte in contanti e parte sotto altre forme, infatti, ha ceduto quasi interamente la Elvis Presley Enterprises alla CKX, una società dietro la quale si muove Robert Sillerman, uno dei guru del music business. La CKX, quindi, controllerà tutti i diritti assumendo il controllo dell’intera discografia. A Lisa Marie resteranno Graceland, la dimora-museo di Memphis, gran parte degli effetti personali del Re del rock and roll e il 15% della sua ex società. Finisce così, un po’ malinconicamente, il tentativo avviato da Priscilla, l’ex moglie di Presley, nel 1980 di gestione diretta da parte degli eredi dell’immenso patrimonio non soltanto materiale lasciato dal grande Elvis.
23 dicembre, 2020
23 dicembre 1971 – Livio Lorenzon, il cattivo del cinema di genere italiano
Il 23 dicembre 1971 muore Livio Lorenzon, un attore che con la sua testa pelata e la faccia da cattivo è stato uno dei “cattivi” più amati dal pubblico nel periodo d’oro del cinema di genere italiano. Nato a Trieste il 6 maggio 1923 prima di lavorare nello spettacolo si adatta a fare un po’ di tutto. Lavora al rimboschimento del Carso, fa lo scaricatore di porto e accetta vari lavoretti fino a quando viene assunto a Radio Trieste dove diventa popolarissimo per una serie di macchiette. I primi passi nel mondo del cinema li muove recitando con lo pseudonimo di Elio Ardan in “Ombre su Trieste”. Nel 1959 è il sergente Battiferri in “La grande guerra” di Mario Monicelli, ma la sua grande popolarità è legata alle pellicole di genere dove il suo cranio lucido e pelato e il ghigno satanico ne fanno il cattivo per eccellenza. Famosissima è la sua frase «I buoni sentimenti mi hanno sempre fatto schifo» pronunciata vestendo i panni del perfido pretoriano Mansurio in “Ercole contro Roma”. Dai “peplum” passa ai film d’avventura (è Portos in “Zorro e i Tre Moschettieri”) e anche al western all’italiana, un genere nel quale lo stesso Sergio Leone si avvale delle sue qualità affidandogli la parte di Baker in “Il buono, il brutto, il cattivo” del 1966.
22 dicembre, 2020
22 dicembre 1994 – Si dimette Berlusconi
Il 22 dicembre 1994 con la presentazione delle dimissioni al Presidente della Repubblica si chiude la breve esperienza del governo di destra guidato da Silvio Berlusconi. Il Presidente del Consiglio, contro le cui proposte di legge finanziaria e di riforma del sistema pensionistico, era stato indetto il 14 ottobre 1994 uno sciopero generale, non ha più la maggioranza per governare dopo che la Lega Nord ha deciso di non sostenere più la coalizione di governo. Berlusconi, popolarissimo proprietario di una rete di imprese nel settore della comunicazione, dello spettacolo e dei servizi, dopo aver fondato il movimento Forza Italia, è diventato il leader di uno schieramento di destra che aveva trionfato alle elezioni politiche di sei mesi prima. Il 27 e il 28 marzo infatti gli italiani erano stati chiamati alle urne per la prima volta con un sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali. La coalizione guidata da Berlusconi aveva raccoglie il 46,2 % dei voti, contro il 34,3 % della sinistra e il 16,2 % del centro. Incaricato di formare il nuovo governo aveva ottenuto la fiducia dalle due Camere il 16 e il 18 maggio.
21 dicembre, 2020
21 dicembre 1918 - Panama Francis, un batterista dallo swing marcato
Il 21 dicembre 1918 nasce a Miami, in Florida, David Francis, un batterista destinato a lasciare un segno importante nella storia del jazz con il nome di Panama Francis. Dotato di una forte carica di swing, nel corso della sua carriera jazzistica suona con alcune fra le più importanti orchestre statunitensi degli anni Quaranta e Cinquanta. Nel 1938, quando ha soltanto vent’anni, entra a far parte del gruppo di Tab Smith e l’anno dopo passa alla band di Roy Eldridge. Solido accompagnatore di solisti, ma considerato anche un insostituibile e preciso leader della sezione ritmica, Panama Francis suona con due delle più leggendarie big band dell'epoca. Dal 1940 al 1946 è il batterista della grande orchestra di Lucky Millinder e dal 1947 al 1952 innerva con il suo ritmo quella di Cab Calloway. La prima di queste due orchestre significato molto nell'era dello swing e proprio la presenza di Francis alla batteria le regala il necessario equilibrio. Diverso è il suo ruolo nell’ensemble di Cab Calloway, nel quale i musicisti sono chiamati anche a far spettacolo. In questa orchestra Panama Francis mette in mostra qualità insospettabili di showman che lo caratterizzeranno nel periodo successivo all’epoca d’oro dello swing. Muore a Miami, in Florida, il 13 novembre 2001.
20 dicembre, 2020
20 dicembre 1981 – Le Supremes diventano un musical
Il 20 dicembre 1981 all’Imperial Theatre di Broadway va in scena, per la prima volta, il musical “Dreamgirl”, un lavoro ispirato alla storia delle Supremes che otterrà uno straordinario successo e nel 2006 diventerà anche un film. Replicato senza interruzioni per venticinque anni, il musical porta sul palcoscenico la storia dell’ascesa al successo di un gruppo femminile, The Dreamettes, guidate con mano ferma e grande intuito dal produttore Curtis Taylor jr.. Le vicende dell’ensemble si intersecano con una serie di crisi, gelosie e momenti drammatici come la sostituzione della componente dotata di maggiori qualità vocali che però ha il torto di essere meno sexy delle sue compagne. Per gli appassionati di musica è facile leggere nello spirito imprenditoriale e nel fiuto musical di Curtis Taylor jr. il ritratto di Berry Gordy e nelle vicende delle Dreamettes le contraddittorie vicissitudini delle Supremes e della loro leader, Diana Ross.
19 dicembre, 2020
19 dicembre 1994 – Restituite le registrazioni a Springsteen!
Il 19 dicembre 1994, mentre tutti i suoi ammiratori attendono da mesi il suo nuovo album, Bruce Springsteen fa parlare di sé per ragioni di cronaca. Il rocker statunitense vince, infatti, la sua battaglia legale contro una piccola casa discografica britannica, la Dare, che era intenzionata a pubblicare un album di suoi vecchi brani, registrati nel 1971 in modo artigianale. Springsteen si era preoccupato di bloccare l’iniziativa perché, come dichiarato dai suoi legali, «I nastri, registrati nel New Jersey in modo poco professionale e in circostanze diverse da quelle attuali, potrebbero danneggiare la sua immagine». Tra le condizioni accessorie della sentenza c’è quella che prevede che la casa discografica debba restituire al “Boss” tutte le registrazioni oggetto della causa, di cui era venuta in possesso in modo del tutto casuale.
18 dicembre, 2020
18 dicembre 1965 – I Beatles al vertice della classifica con un singolo senza Lato B
Il 18 dicembre 1965 arriva al vertice delle classifiche britanniche l’ennesimo singolo dei Beatles. Il disco contiene due brani destinati a restare nella storia del gruppo: Day tripper e We can work it out. Nelle classifiche vengono indicati in coppia perché, come gli stessi interpreti hanno spiegato, non c’è un lato A e un lato B. Entrambi i brani sono considerati dello stesso valore. Più tranquillo e nella norma appare la ballata We can work it out , registrato in studio il 20 ottobre 1965, il cui testo sarebbe stato ispirato alla conclusione della relazione di Paul McCartney con Jane Asher. Decisamente più ricco di stimoli appare Day tripper, imperniata su un riff incisivo con un testo ricco di ambiguità. In un primo momento tanto Lennon che McCartney sostengono che la canzone è dedicata alla vicenda di ragazza intenzionata a diventare una cantante. Qualche mese più tardi, di fronte ad alcune argute osservazioni di parte della stampa, John Lennon cambia versione sostenendo che la canzone è dedicata a quelle persone che si dedicano a “viaggi” un po’ particolari. Nel 2005 anche Paul McCartney conferma questa versione aggiungendo che il brano irrideva la sua iniziale riluttanza a provare l'LSD, già usato da tempo da George e John.
17 dicembre, 2020
17 dicembre 2004 – Jim Morrison spiato dall’FBI
Il 17 dicembre 2004 arriva anche in Italia il libro di John Delmonico che raccoglie e analizza i dossier dell’FBI su Jim Morrison, il cantante, poeta e frontman dei Doors. Si intitola “I giorni del caos” ed è pubblicato da quella stessa Selene Edizioni che già si era aggiudicata l’asta per la pubblicazione italiana dei file dei servizi di sicurezza statunitensi su John Lennon. C’è una stretta interconnessione tra le due opere. Proprio dal confronto con l’assidua opera di sorveglianza, al limite della persecuzione, condotta nei confronti dell’ex Beatle, attivamente impegnato a finanziare e sostenere movimenti antagonisti, inizia il ragionamento attorno a cui ruota l’analisi della documentazione raccolta. In sostanza, si chiede Delmonico, se per John Lennon lo spionaggio aveva una sorta di para-giustificazione proprio nell’impegno politico dell’artista, quali potevano essere le ragioni di un massiccio utilizzo di uomini, mezzi e risorse da parte dei servizi di sicurezza di una grande potenza per passare al setaccio la vita privata di un artista il cui maggior gesto di ribellione era quello di fingere di masturbarsi sul palcoscenico? Per evitare che la domanda venga considerata poco più di una curiosità storica per topi da biblioteca, l’autore ricorda che ancora tre anni fa i Doors sono finiti nell’elenco dei brani e delle band censurate dal Patriot Act dopo l’11 settembre. Ironizza sulla censura postuma di un artista morto da trent’anni e dalla sua band («Strano… già allora non mi sembrava che avessero una chiara visione politica o, per dirla con Country Joe McDonald, che ne avessero una…») e cerca di riflettere sul perché. Liquida rapidamente le ipotesi semplicistiche che tendono a vedere in queste operazioni un semplice «…strumento per distogliere l’attenzione da ben più gravi problemi: allora il Vietnam, oggi l’Iraq…» e inizia un’accurata e documentata analisi del quadro in cui nascono, crescono e si sviluppa una lunga serie di “operazioni coperte” condotte dai servizi segreti degli Stati Uniti. Ne emerge un quadro inquietante, una lunga storia di abusi, persecuzioni, manipolazioni e atti criminosi perpetrati in nome della “sicurezza nazionale”. Il titolo stesso del libro “I giorni del caos” allude a una bizzarra coincidenza semantica tra una frase di Jim Morrison («Mi interessa qualunque cosa abbia a che fare con la rivolta, il disordine e il caos») e “Chaos”, il nome dato alla fine degli anni Sessanta alla principale iniziativa dei servizi segreti in territorio americano, un’azione coperta i cui documenti sono stati de-secretati da poco e i cui obiettivi non sono mai stato completamente chiariti. Delmonico nell’introduzione scrive che «Il ventesimo secolo è passato e quello nuovo, il presente e il futuro, non ha mostrato soluzioni di continuità: guerre, torture, disinformazione e le rock’n’roll band in una lista di proscrizione».
16 dicembre, 2020
16 dicembre 1989 – Lee Van Cleef il cinico cacciatore d’uomini arrivato dal teatro
Il 16 dicembre 1989 muore Lee Van Cleef. Con i suoi occhi felini a fessura, lo sguardo acuto, il naso adunco e la notevole prestanza fisica è stato uno dei più popolari duri e cinici cacciatori di uomini che si siano mai aggirati sui sentieri del western all’italiana. Non poteva essere diversamente visto che il suo personaggio andava a pennello per un genere nel quale il ruolo del buono non è poi distinto tanto bene da quello del cattivo. Quando sbarca in Italia chiamato da Sergio Leone che gli affida il ruolo del colonnello Douglas Mortimer in “Per qualche dollaro in più” sfiora già i quarant’anni e sulle spalle ha una lunga carriera passata a dare volto e voce a personaggi destinati a finire male per mano del “buono” di turno. Il regista romano lo sceglie un po’ perché non costa moltissimo e un po’ perché si ricorda di aver visto la sua faccia in western entrati nella leggenda come “Mezzogiorno di fuoco”, “Sfida all’OK Corral” o “L’uomo che uccise Liberty Valance”. L’incontro con Sergio Leone e il successo di “Per qualche dollaro in più” danno inizio a una nuova fase della sua carriera. A differenza di Clint Eastwood non torna subito in patria, ma diventa una delle icone dell’intera epopea del western all’italiana. Lee Van Cleef nasce a Somerville, nel New Jersey, il 9 gennaio 1925. Il suo primo lavoro è quello di ragioniere nello studio di un commercialista anche se, come molti ragazzi di quel periodo, finisce per ritrovarsi in divisa, nel suo caso quella della Marina, per combattere nella seconda guerra mondiale. Dopo il 1945 recupera il suo vecchio impiego ritagliandosi un po’ di spazio nel tempo libero per recitare in teatro con una compagnia amatoriale. Proprio in una di queste esibizioni viene notato da Joshua Logan che lo convince a lasciare l’impiego per dedicarsi al teatro a tempo pieno. Dalle assi del palcoscenico agli studi di Hollywood il passo è meno lungo di quel che sembra e Lee Van Cleef si ritrova a interpretare la parte di uno dei cattivi con i quali deve fare i conti Gary Cooper in “Mezzogiorno di fuoco” di Fred Zinneman. È il 1952. Da quel momento il cinema diventa il suo unico mestiere e il western il genere nel quale viene scritturato con più frequenza. Quando sbarca in Italia non è una star, ma un onesto e rispettato caratterista di quarant’anni che Sergio Leone trasforma in un personaggio popolarissimo in tutto il mondo. Accompagna poi le successive evoluzioni del western all’italiana e dopo l’esaurimento del genere alla fine degli anni Settanta torna a lavorare prevalentemente negli Stati Uniti. Tra le ultime interpretazioni di rilievo c’è “1997 - fuga da New York” di John Carpenter. Il 16 dicembre 1989 muore per un infarto. Le sue ceneri riposano a Forest Lawn, vicino a Hollywood.
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