03 maggio, 2021

3 maggio 1934 - Moustaki, il meteco

Il 3 maggio 1934 ad Alessandria d’Egitto nasce Yusef Mustacchi, destinato a diventare uno dei grandi cantautori europei del Novecento con il nome d’arte di Georges Moustaki. Figlio di tante culture, preferisce considerarsi le métèque, il meteco, il forestiero come lui stesso si definisce nell’omonima canzone che gli italiani hanno conosciuto con il titolo de Lo straniero. Conosce otto lingue, francese, arabo, ebraico, italiano, spagnolo, portoghese, inglese e greco, ma sostiene che la più importante, quella che gli ha consentito di comunicare con il mondo è la nona, cioè la musica. In lui convivono tutte le culture del Mediterraneo. Greco perché figlio di greci, ebreo per religione, egiziano per nascita, francese per destino e cosmopolita per animo, Moustaki ha fatto delle commistioni la sua scelta musicale e artistica. Nella sua carriera ha collezionato una serie impressionante di collaborazioni iniziando a scambiare note e atmosfere con altri artisti molti anni prima che questa pratica diventasse quasi una normale abitudine artistica nel mondo globalizzato. Pioniere delle moderne “contaminazioni” ha collezionato progetti comuni con cantanti e musicisti di ogni parte del mondo da Astor Piazzola a Mikis Theodorakis, da Francesco Guccini ad Antonio Carlos Jobim, da Bruno Lauzi a Henry Salvador, a Chico Buarque de Hollanda, a Ennio Morricone e a tantissimi altri. La sua ispirazione non si nutre solo di armonie e melodie, ma spesso chiede nuove parole e nuove atmosfere alle arti figurative e alla letteratura, un territorio nel quale si muove accompagnato dal suo “fratello di sangue” Jorge Amado perché «una bella canzone… nasce dallo scambio e dalla vicinanza con gli altri». In lui la tensione artistica e la ricerca continua coincidono in un’evoluzione artistica che è cominciata negli anni Cinquanta e dopo mezzo secolo non si è ancora fermata. Yussef Mustacchi, figlio di Nessim e Sarah, due ebrei greci originari dell’Isola di Corfù, nasce il 3 maggio 1934 ad Alessandria d’Egitto dove i suoi genitori gestiscono una libreria. Come ha avuto modi di dire lui stesso, fin da piccolo capisce che il mondo è complesso. Quando gioca nelle strade con i coetanei parla arabo, in casa un po’ di greco e anche italiano visto che una zia un po’ originale si esprime solo in questo idioma e si rifiuta di parlare greco per scelta personale. Siccome poi frequenta le scuole della comunità francese la sua conoscenza linguistica si arricchisce ancora di più. La scuola però non si limita a regalargli una lingua in più ma lo fa entrare in un mondo nuovo che gli tocca il cuore. Affascinato dalla letteratura e dagli chansonnier francesi nel 1951, dopo essersi diplomato va a Parigi per una breve vacanza e scopre di non aver più voglia di tornare a casa. Nel capoluogo francese sbarca il lunario con lavori occasionali e impara a suonare la chitarra che gli ha mandato sua madre dall’Egitto. Strimpella e scrive qualche canzone cercando di fare il verso a Georges Brassens, che ha ascoltato per la prima volta al Trois Baudets. Proprio Brassens lo incoraggia a continuare, gli dà qualche consiglio e alcuni indirizzi utili. Il giovane Yussef decide che il suo nome d’arte sarà Georges in omaggio allo chansonnier che per primo gli ha dato una mano mentre il complicato Mustacchi diventa Moustaki, più semplice da pronunciare per un francese. Nel 1954 incontra anche Henri Salvador che per primo porta al successo una canzone con la sua firma: Il n’ya plus d’amandes. Nel 1958 Georges Moustaki incontra Henri Crolla, uno dei personaggi chiave della scena musicale parigina di quel periodo, compositore di brani portati al successo da Yves Montand, Colette Renard e Barbara. Proprio Crolla gli presenta Edith Piaf. Tra i due è amore a prima vista e non solo sul piano professionale. Proprio per la Piaf nello stesso anno scrive canzoni come Eden blues o Le gitan et la fille. Il rapporto tra i due è burrascoso e alterna momenti di grandi intensità emotiva con liti improvvise seguite da altrettanto impreviste riappacificazioni. Il giovane segue la cantante in tutte le sue tournée e vive a stretto contatto con il suo entourage. Proprio insieme a Marguerite Monnot, l’inseparabile pianista, compositrice, amica e confidente di Edith Piaf nel 1959 scrive Milord, una canzone destinata a trasformarsi in uno dei più grandi successi internazionali dell’Usignolo di Francia. Proprio il successo del brano rende Moustaki uno degli autori più richiesti della scena musicale francese degli anni Sessanta e le sue composizioni finiscono nel repertorio di cantanti come Yves Montand, Colette Renard, Henri Salvador, Tino Rossi e Barbara solo per citarne alcuni. Se come autore gode di grande considerazione, come interprete fatica a imporsi nonostante la Pathé Marconi abbia pubblicato un paio di suoi dischi a quarantacinque giri. Nel 1961 dopo che la storia d’amore con la Piaf è finita male si trasferisce sull’isola di Saint-Louis a Parigi e inizia a lavorare al suo primo album che contiene qualche brano già conosciuto per essere stato interpretato da altri, un paio di canzoni già pubblicate in singolo e un buon numero di inediti. Quando l’album arriva nei negozi viene accolto tiepidamente dal pubblico. Nel 1966 incontra l’attore Serge Reggiani, che è intenzionato a debuttare anche come cantante. Moustaki scrive per lui brani di successo come Sarah, Votre fille a vingt ans, Ma liberté e Ma solitude. Nello stesso anno propone alla sua casa discografica un brano a cui tiene molto. È intitolato Le métèque, ma gli “esperti” pensano che non valga granché e glielo restituiscono. Nel 1968 inizia a tirare un’aria diversa, più favorevole anche al Moustaki interprete. In quell’anno infatti scrive per Barbara La dame brune, uno dei più bei pezzi del repertorio della cantante, che lui stesso canta in duo con lei in un tour che tocca anche l’Olympia. Proprio nel corso di questa tournée accade un episodio decisivo. A Mulhouse Barbara viene colta da una improvvisa indisposizione pochi minuti prima di salire sul palco. Mentre il pubblico rumoreggia gli organizzatori chiedono Georges Moustaki di esibirsi al posto della cantante. L’accoglienza calorosa degli spettatori fa capire che i tempi sono davvero cambiati. Nel 1969 finalmente registra Le métèque il brano che gli regala la grande popolarità internazionale e, per sfruttare il buon momento, un album che contiene versioni personalissime di brani come Ma solitude o Joseph, destinati a restare per anni nella sua scaletta dal vivo. Il grande successo è arrivato. Nel 1970 vince il Grand Prix della Académie Charles-Cros. e sale sul palco del Bobino per uno spettacolo che verrà poi pubblicato nell’album Bobino ’70. Le métèque gli regala la fama ma non ne condiziona il successivo percorso musicale. Moustaki non accetta di restare prigioniero di un brano né di un periodo. Il suo personaggio da garbato anticonformista, la sua voce quasi colloquiale, la sua capacità di fondere esperienze artistiche molto diverse sono gli elementi principali di una longevità artistica segnata da più di venti album, migliaia di concerti in luoghi diversi, dalla Carnegie Hall di New York alle Università occupate, dalle grandi piazze delle capitali d’Europa agli angusti locali del Folkclub di Roma. Georges Moustaki è la dimostrazione di come si possa lasciare un segno importante sulla scena musicale senza mai alzare la voce. L’aveva capito bene Leo Ferré che gli diceva «tu sussurri le stesse cose che io grido», ironizzando su quell’aria precoce da profeta che gli era stata regalata anche dal precoce imbianchimento della barba e dei suoi capelli lunghi. Nel 1996 la Francia lo insignisce dell’onorificenza di Commandeur des Arts et Lettres e la televisione trasmette uno speciale sulla sua vita. Tra anni dopo l’Unesco lo inserisce nel prestigioso elenco degli Artisti per la Pace. Lui ringrazia ma non si esalta. I troppi consensi sembrano spaventarlo ancora dopo tanti anni e le folle osannanti non gli scaldano il cuore perché «…quando hai di fronte a un milione di persone provi un’emozione grande, ma cerebrale perché non le vedi. Quando ne hai poche decine, invece, li guardi tutti negli occhi e loro guardano te, non c’è paragone…» Muore a Nizza il 23 maggio 2013. 


02 maggio, 2021

2 maggio 2006 - Lo scandalo di Calciopoli

Il 2 maggio 2006 una serie di intercettazioni operate dalla Magistratura di Torino e Napoli e diffuse per opera di ignoti sconvolgono il mondo del calcio italiano. Definita ironicamente dalla stampa “Calciopoli” (per assonanza con “Tangentopoli”, lo scandalo delle tangenti che più di un decennio prima aveva travolto la classe politica ), l’inchiesta coinvolge i gruppi dirigenti di alcuni tra i più importanti club italiani come Juventus, Fiorentina, Lazio e Milan. L'accusa principale è di illecito sportivo, verificato nel tentativo di aggiustare le designazioni arbitrali per determinati incontri di campionato o di intimidire o corrompere gli arbitri assegnati affinché favorissero le azioni conclusive di una squadra a danno di altre. La vicenda, oltre a una serie di rinvii a giudizio, determinerà una serie di gravi provvedimenti disciplinari sul piano sportivo, compresa la revoca di alcuni titoli sportivi.

01 maggio, 2021

1° maggio 1994 - Addio ad Ayrton Senna

Durante il Gran Premio automobilistico di Imola di Formula 1, che si svolge il 1° maggio 1994, perde la vita il pilota brasiliano pluricampione del mondo Ayrton Senna. La sua morte getta nel lutto il mondo della Formula 1 e suscita grandissima emozione nel suo paese dove il pilota è un simbolo dell’orgoglio nazionale. In Brasile vengono proclamati tre giorni di lutto nazionale. Trentaquattrenne, Ayrton Senna, ha partecipato a centosessanta Gran Premi di Formula 1 vincendone quarantuno ed è stato Campione del Mondo di Formula 1 nel 1988, 1990 e 1991.


30 aprile, 2021

30 aprile 2004 - Gang e Crifiu insieme a Cutrofiano

Il 30 aprile 2004 nella splendida cornice del Palazzo della Principessa di Cutrofiano, un borgo in provincia di Lecce, parte “Trans-world express”, il nuovo spettacolo live dei Crifiu, un gruppo tra i più rappresentativi, insieme ai Folkabbestia, della nutrita covata che si è schiusa in nei primi anni del nuovo millennio al sole della terra salentina. Dopo un paio d’album accolti con molto interesse i Crifiu si accingono con quel tour a fare un salto di qualità portando nelle piazze d’Europa un concerto che segna una svolta “elettronica” nel loro repertorio sospeso tra rock e suoni del folklore tradizionale. Nel corso della serata di Cutrofiano i loro suoni si mescolano con quelli di un gruppo ospite d’eccezione. Per l’occasione, infatti, si esibiscono al loro fianco, in versione semiacustica, i Gang di Marino e Sandro Severini.

29 aprile, 2021

29 aprile 1986 - Chernobyl, una lezione da non dimenticare

Il 29 aprile 1986 i satelliti che sorvolano la terra segnalano che a Chernobyl, uno dei grandi impianti elettronucleari sovietici, situato a sessanta chilometri da Kiev, c’è stato un incidente di notevoli proporzioni. Mentre mancano ancora notizie ufficiali viene rilevata la formazione di grandi nubi radioattive che si stanno rapidamente spostando, seguendo le correnti in quota, verso i paesi dell’Europa occidentale. Le autorità sovietiche confermano che è accaduto un grave incidente a uno dei reattori di Chernobyl e gran parte dei paesi europei si attrezzano per evitare i rischi connessi all’aumento della radioattività. La nube arriva sull’Italia il 2 maggio e il governo, oltre a diffondere una serie di generiche raccomandazioni, proibisce la vendita delle verdure, in particolare di quelle "a foglia larga" e la somministrazione del latte fresco ai bambini.


28 aprile, 2021

28 aprile 1916 – Ferruccio, l’inventore della Lamborghini

Tra i grandi marchi che hanno caratterizzato nel mondo la produzione delle auto sportive italiane la Lamborghini è quella relativamente più “giovane” anche è rapidamente entrata nell'immaginario degli amanti delle dreamcar, automobili da sogno. La sua leggenda inizia il 28 aprile 1916 quando, a Renazzo di Cento, in provincia di Ferrara, nasce da una modesta famiglia di agricoltori Ferruccio Lamborghini. La sua innata passione per i motori e per le macchine in genere lo porta a Bologna, la grande città dove un giovane appassionato può studiare ingegneria meccanica. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, viene spedito nella base dell’aviazione militare italiana a Rodi dove opera come tecnico riparatore. Alla fine del conflitto la crescente domanda di trattori del mercato italiano e l'acquisita esperienza nelle riparazioni spingono Ferruccio Lamborghini a impegnarsi nella produzione di trattrici comperando veicoli militari sopravvissuti alla guerra e trasformandoli in macchine agricole. Nel 1948, a Pieve di Cento, nasce la Lamborghini Trattori, la prima azienda ad avere nel logo il toro, segno zodiacale di Ferruccio Lamborghini. In breve tempo diventa una delle case leader del mercato italiano delle macchine agricole. Successivamente, dopo aver impiantato la produzione di bruciatori a nafta e di condizionatori, il fondatore pensa di allargare i propri orizzonti aziendali alla produzione di elicotteri, ma si scontra con il diniego del governo italiano. Siamo all’inizio degli anni Sessanta e, chiuso il sogno degli elicotteri, decide di mettersi in concorrenza con Ferrari nel settore della vetture sportive. La leggenda racconta che tutto era iniziato dopo un problema sul cambio della sua nuova Ferrari. Alle sue proteste il focoso ingegnere Enzo avrebbe risposto « Tu continua a costruire trattori e a me lascia costruire le mie macchine sportive». Piccato e offeso nell’orgoglio il buon Ferruccio avrebbe risposto con i fatti. Cosi nel 1963 nasce la Automobili Ferruccio Lamborghini SpA. Quasi contemporaneamente vede si inaugura la fabbrica a Sant’Agata Bolognese, da cui negli anni successivi usciranno alcune fra le più belle e potenti auto della storia dell’automobilismo italiano. Basta citare nomi come Miura, 350GTV, Espada, Jalpa, LM004 o Countah per capire la filosofia della Lamborghini: innovazione, scelte tecnologiche a volte radicali e senza compromessi e, soprattutto, una fortissima e decisa personalità stilistica. Lamborghini si appassiona alla fabbrica, alle sue vetture, ma non intende lasciarsi condizionare la vecchiaia. Nel 1973, quando vede che in famiglia non c’è nessuno interessato a seguirne le orme inizia a pensare al ritiro dalle scene. Vende l’intero pacchetto azionario a due svizzeri, Georges ed Henri Rossetti, si ritira in Umbria in un grande vigneto di sua proprietà e si dedica con successo alla produzione di vino. Il campione delle sue cantine è un vino rosso dei Colli del Tradimento, ma il marchio con cui viene commercializzato, indelebile e conosciuto da tutti, è "Sangue di Miura". Proprio nella tenuta umbra morirà a settantasette anni, il 20 febbraio 1993. La sua casa, nonostante varie vicissitudini, saprà sopravvivere alla crisi del settore degli anni Settanta e a una serie di passaggi di mano azionari tra gruppi di emisferi diversi.

27 aprile, 2021

27 aprile 2002 – Giovanna Marini, domande e risposte su un disco e un concerto

«È inesatto parlare di me e Francesco De Gregori insieme in concerto, perché il concerto è suo e io sono ospite». Così, con la sua consueta modestia Giovanna Marini, il 27 aprile 2002 si schernisce di fronte al cronista che cerca di strapparle qualche impressione su “Viva l’Italia”, il concerto in programma quella sera e la successiva all’Auditorium – Parco della musica di Roma che la vede sullo stesso palco con De Gregori. «Conosco Francesco da almeno trent’anni, quando lo ascoltavo o, meglio, ci ascoltavamo, al Folkstudio. Mi piacciono i suoi pezzi anche se, come ho già detto tante volte, non capisco niente di country, rock e generi simili. Non appartengono alla mia cultura musicale e quindi non me li sento addosso. Trovo, però, che quello sia un mondo sonoro che ci sta vicino, che è prossimo alla nostra esperienza di cantanti della tradizione popolare. Canzoni come le mie, quelle di Gualtiero Bertelli o Ivan Della Mea, pur viaggiando su onde differenti da quelle di De Gregori, finiscono per incontrarsi». E per due sere si incontreranno a Roma in uno spettacolo che ha per titolo “Viva l’Italia”. A proposito, c’è una ragione speciale per il titolo? «La risposta più banale che potrei darti è che si tratta del titolo di una canzone di Francesco, ma, appunto, sarebbe banale. Le ragioni sono più complesse e nascono dal fatto che in quel brano c’è un passaggio in cui si dice “viva l’Italia che resiste”. Trovo che, come ha dimostrato questo 25 aprile, nel nostro paese ci sia un’ondata di nuovo patriottismo in cui alla parola “patria” si sostituiscono libertà, diritti, democrazia. È una sorta di patriottismo senza patria che trovo stimolante e coinvolgente, una nuova resistenza». Come vivi questo periodo? «Non so se è politicamente corretto definirsi “ansiosi”, ma se devo definire il mio stato d’animo non conosco parole più precise. A me non vengono facili i discorsi politici, mi è più facile dare risposte emotive». Nessuna speranza, dunque? «No, non volevo dire questo. Non sono pessimista. Mi sembra, anzi, che in questi tempi si sia alzato il livello d’attenzione. Vedo atti politici di segno negativo ai quali corrispondono risposte immediate che fino a qualche tempo fa erano impensabili. Sentiamo che si sta giocando una partita difficile, forse decisiva sulla nostra vita e stiamo tutti sul chi vive. C’è una disponibilità maggiore a muoversi, a darsi da fare, a stare al fianco dei più deboli. Chissà, forse perché non sono l’unica a vivere emotivamente questi tempi…» Poi, pian piano, si scioglie e parla anche del concerto. Scopriamo così che sarà sul palco dall’inizio alla fine «Già, non sarà l’accoppiata tradizionale: un’ora per uno con qualche pezzo insieme. La presenza mia e del Quartetto Vocale sarà parte dell’intero spettacolo». Fermati un attimo. Prova a spiegare in poche parole che cos’è il Quartetto Vocale. «Il Quartetto Vocale nasce nel 1976 con lo scopo di eseguire musiche polifoniche da me composte che però mi ritrovavo a cantare quasi sempre da sola perché non avevo amici musicisti in grado di leggere la musica, né tantomeno di cantarla come avevo in mente io. Erano gli anni della ricerca e della canzone politica. In giro c’era tanta passione, ma poca conoscenza specifica in campo strettamente musicale. Proprio in quegli anni ho cominciato a scrivere molti madrigali che oggi fanno parte del repertorio del Quartetto Vocale». In qualche caso si può parlare di vere e proprie acrobazie vocali… «Si, concordo, anche se il merito non è mio, ma di Patrizia Bovi, Francesca Breschi e Patrizia Nasini. Quest’ultima è arrivata al Quartetto nel 1981, mentre Patrizia Bovi e Francesca sono con me dal 1990. il merito della straordinaria freschezza scenica dell’insieme è tutto loro. Io scrivo le partiture, loro si inventano il modo di cantare e ogni volta che ci incontriamo sul palco è una grande gioia». Quale Giovanna Marini sarà sul palco al fianco di De Gregori? «La Giovanna Marini di sempre. Interverremo in qualche brano di Francesco e lui darà il suo apporto ai nostri». Qualche anticipazione sulla scaletta… «La stiamo costruendo insieme nelle prove. Posso già dirti, però, che per quel che riguarda il nostro repertorio presenteremo il Canto per il giudice Falcone, il Lamento per la morte di Pasolini, uno struggente Lamento albanese accompagnato da un “Kyrie” ascoltato nella liturgia di Piana degli Albanesi e poi, come poteva mancare?, Nina di Gualtiero Bertelli, una canzone che amo moltissimo. Con Francesco, invece, ci lanceremo in una serie di canzoni popolari. Oltre a L’attentato a Togliatti faremo anche La partenza degli italiani per l’Albania, che ascoltata in un periodo in cui gli Albanesi si imbarcano per venire in Italia, assume un sapore particolare…».



26 aprile, 2021

26 aprile 1921 – Il piccolo Tajoli ha la poliomielite

Il 26 aprile 1921 è un sabato. La serata tiepida che anticipa l’estate invoglia a uscire e i genitori di Luciano Tajoli non sono diversi dal resto del mondo. Mamma Antonia chiede a papà Francesco di accompagnarla a fare quattro passi. «Luciano dorme come un ghiro come sempre. Lasciamo la porta socchiusa e chiediamo alla vicina di controllarlo ogni tanto, nel caso si svegliasse, ma sai bene che non succede mai. Fino a domani mattina il piccolo dormirà». Il giorno dopo è domenica e Francesco non deve andare a lavorare. Prende sottobraccio la moglie ed esce con lei nella strada. Quando rientrano il campanile ha già battuto il tocco delle undici e mezza. Ringraziano la vicina e si preparano ad andare a letto. Mamma Antonia, come sempre, si china sul piccolo Luciano per stampargli sulla fronte un silenzioso bacio della buonanotte. Quando le labbra sfiorano la pelle del bambino riceve un’impressione di calore. Allunga una mano per controllare: Luciano ha la fronte molto calda. Sembra abbia la febbre. Chiama papà Francesco. «Aiutami, Luciano è ammalato. Potrebbe essere qualcosa di grave!». L’uomo cerca di tranquillizzarla. Insieme cercano freneticamente il termometro, gli misurano la temperatura e la linea argentea del mercurio si ferma in prossimità del segno che indica i quaranta gradi. Il bambino, che nel frattempo si è risvegliato, si lamenta debolmente. L’uomo si riveste e corre nella notte a cercare aiuto. Alle due ritorna accompagnato dal medico di famiglia. Luciano ora piange forte e agita le manine come volesse liberarsi da qualcosa che lo disturba. Il medico lo visita, ma appare perplesso: «Non so. Non riesco a capire. Stomaco, polmoni e vie respiratorie sono a posto. Apparentemente il bambino non ha niente. Non ci resta che seguire il corso della malattia e attendere...» La febbre che sembra consumare Luciano Tajoli non accenna a diminuire e il piccolo si lamenta sempre più forte, come se il suo corpo fosse attraversato da un dolore acutissimo. Gli strilli arrivano in strada, attraversano le vie sonnacchiose del quartiere quasi volessero chiedere aiuto. Tutti capiscono che in casa Tajoli c’è qualcosa che non va. Alle prime luci dell’alba i vicini si precipitano nel piccolo appartamento pronti a offrire aiuto e, soprattutto, consigli alla giovane coppia. Mamma Antonia, disperata di fronte al pianto continuo del piccolo implora papà Francesco di cercare un altro medico, uno che possa capire cos’ha suo figlio, cosa lo ha ridotto così, quale sia la ragione del male che lo tormenta. «È domenica. Come faccio a trovare un medico? Oltre al nostro non ne conosco nessuno. E poi il nostro ha detto che dobbiamo aspettare...». Interviene una vicina: «Glielo do’ io l’indirizzo di un dottore bravo, ma abita in centro...». L’uomo memorizza le indicazioni e, nella mattina un po’ distratta del giorno di festa, corre come un pazzo per la città deserta a cercarlo. Con l’arrivo del nuovo medico sembra ripetersi un film già visto. Visita accuratamente il bambino, lo ausculta e poi allarga le braccia: «Non capisco. È uno strano male. Non vorrei che... ma no... Eppure potrebbe essere. Non vorrei allarmarla, signora, ma da quello che ho letto, alcuni sintomi sembrano quasi quelli della ‘paralisi infantile’. È una malattia nuova che sta dando luogo a varie epidemie. La chiamano poliomielite e non è facile da curare. Ma prima di fasciarci la testa stiamo a vedere...». La donna prega e veglia accanto alla culla mentre passano lente le ore di quella triste domenica. Verso sera la febbre inizia a calare. Il bambino si lamenta sempre meno e pian piano il viso riprende i colori normali. «È passata. Guarda Francesco, sta meglio. Altro che paralisi infantile, il mio bambino è guarito. Dio, che paura...» Lo prende in braccio, lo appoggia in piedi sul tavolo e, con terrore, si accorge che Luciano non fa più forza sulle gambe. Lo alza e lo rialza ma i due arti si afflosciano e ricadono inerti. È poliomielite.


25 aprile, 2021

25 aprile 1913 – Earl Bostic, il jazzista che non disprezzava il rhytm and blues

25 aprile 1913 a Tulsa, in Oklahoma nasce il clarinettista e sassofonista Earl Bostic. Comincia a suonare il clarinetto quando è ancora ragazzo, perfezionandosi negli studi di musica all'università di Xavier a New Orleans, seguendo dei corsi di armonia, teoria e composizione e cimentandosi con vari strumenti. È ancora adolescente quando ottiene i suoi primi ingaggi professionali con le orchestre che suonano sui battelli fluviali e in particolare con quelle di Charlie Creath e di Fats Marable senza peraltro incidere dischi. Nei corso degli anni Trenta si trasferisce a New York dove lavora con le orchestre di Edgar Hayes, Don Redman, Hot Lips Page e Cab Calloway, prima di formare una sua orchestra nella quale suona tutti i sassofoni, il clarinetto, la tromba e la chitarra, mettendo a frutto le lezioni prese all'università di Xavier. Nel 1939 viene ingaggiato per la prima volta dall'orchestra di Lionel Hampton, con la quale registra i suoi primi dischi degni di nota. Nel 1941 è al Mimo's Club di Harlem alla testa di una sua formazione con la quale lavora per circa due anni. Successivamente si riassocia ad Hampton e a partire dal 1945 comincia ad agire come capo orchestra evolvendo il suo stile. Se i suoi primi dischi registrati per la Majestic possono ancora farsi rientrare nel filone swing, infatti, quelli successivi, registrati per la Gotham e la King appartengono più al rhythm and blues che al jazz, anche se si tratta di un rhythm and blues di alto livello, sia per la sua indubbia abilità solistica, sia per le sue rilevanti doti di arrangiatore, sia infine per l'apporto di prim'ordine forbitogli dal musicisti di cui si avvale: da John Coltrane a Stanley Turrentine, da Blue Mitchell a Benny Goison, da Benny Carter a Sir Charles Thompson, da Barney Kessel a Joe Pass. Le sue registrazioni di Temptation, Flamingo, Sleep, Moonglow, Cherokee, vendute in milioni di copie, gli danno una straordinaria popolarità, contribuendo ad avvicinare al jazz molti giovani provenienti dal rhythm and blues. Muore nel 1965 a soli cinquantadue anni.


24 aprile, 2021

24 aprile 1975 – L’ultimo squalo

Il 24 aprile 1975 viene prodotta l’ultima Citroën Ds. È una 23 i.e. di colore blu. Dopo 1.456.115 vetture (1.330.755 prodotte in Francia, il resto in Gran Bretagna e Belgio) la linea di montaggio della Ds si ferma per sempre. Per i francesi resta per sempre la “Dea”, una sorta di maestosa divinità delle strade, anche grazie al gioco di parole (Ds in francese si legge “Déesse”, come il termine che significa appunto “Dea”). Nell’immaginario collettivo dell’Europa però la Ds è “lo Squalo”, un placido, sonnacchioso e indistruttibile squalo pronto a divorare chilometri di strada con sicurezza e affidabilità. Quando viene presentata per la prima volta al pubblico il 5 ottobre 1955, all’apertura del Salone dell’Automobile di Parigi, segna un salto di qualità nelle tecniche di costruzione. Si può dire che al suo apparire tutte le altre auto appaiono improvvisamente superate. Quel salone sancisce un successo incredibile con un migliaio di prenotazioni nella prima ora, che diventano più di diecimila il primo giorno e circa ottantamila a fine esposizione. Un bel risultato per una vettura non proprio alla portata di tutte le tasche visto che costa 930.000 franchi (oltre 25.000 Euro di oggi!). Per dare un’idea della qualità delle innovazioni basta pensare che ancora oggi le soluzioni tecniche adottate dalla Ds sono utilizzate, sia pur con qualche ammodernamento, su moltissimi modelli. È il caso del cambio semiautomatico, delle sospensioni autolivellanti o del ripartitore di frenata, soltanto per fare qualche esempio. Un bel risultato per un’auto la cui progettazioni si può dire inizi nel 1938 quando Pierre Jules Boulanger, allora presidente della Citroën lancia l’idea della VGD (Vehicle à Grande Diffusion), una vettura di classe superiore, altamente tecnologica e dall’aerodinamica innovativa. Il lancio dell’auto è fissato per il 1940, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale cambia le prospettive. Gli studi riprendono nel 1950. Ci si mettono in tre: l’ingegnere André Lefebvre, il meccanico-stilista Flaminio Bretoni e il geniale sperimentatore idraulico Paul Magès. La Ds è pronta già nel 1954, ma allo Squalo manca un motore adeguato. Inizialmente si pensa a un sei cilindri totalmente nuovo, ma le difficoltà costringono il team di progettisti a ripiegare sul già collaudato motore della Traction 11 Cv aggiornandolo. Superato anche l’ultimo ostacolo la Ds è pronta a farsi ammirare dal mondo e a lasciare un segno indelebile nella storia dell’automobilismo.

23 aprile, 2021

23 aprile 2004 – I Radiodervish e i 100.000 uccelli di Simurgh

Il 23 aprile 2004 i Radiodervish presentano il loro nuovo album intitolato In search of Simurgh. Lo fanno raccontando una storia. Centomila uccelli partono alla ricerca del Simurgh, il loro re. Per trovarlo devono attraversare sette valli: dell’Amore, della Conoscenza, del Distacco, Dell’Unificazione, dello Stupore, della Privazione e dell’Annientamento. Partono in centomila, arrivano in trenta e scoprono che il re che cercano sono loro (Simurgh significa infatti “trenta uccelli”). Proprio a questa metafora del cammino della conoscenza, descritta da Farid ad-din Attar nell’opera “Mantiq al-Tayr”, un poeta sufi vissuto fra il 1100 e il 1200 e pubblicata in Italia con il titolo “Il verbo degli uccelli”, si ispira l’album In search of Simurgh. Due anni dopo Centro del mundo il duo italo-palestinese formato da Michele Lobaccaro e Nabil Salameh si ripropone al pubblico con un lavoro insolito, una sorta di suite orientale apparentemente slegata dalle loro precedenti fatiche discografiche. È un lungo volo in una terra fantastica popolata da re e principesse, da fanciulle con il volto di luna e da sufi erranti, sembra un concept album… «Ciò che appare è… - commenta Michele Lobaccaro – in effetti questo per i Radiodervish è un progetto speciale in un territorio sospeso tra la musica e la letteratura che ci affascinava da tanto tempo. Abbiamo fatto un’incursione in Oriente…». Incursione? Non è un termine un po’ forte? «Di questi tempi tutto è forte quando si parla di occidentali che si rivolgono all’oriente. La nostra incursione, però, a differenza di quel che accade con gli americani e gli occidentali in questo periodo, non ha lasciato morti sul terreno e ha stabilito un ponte tra culture». Non è singolare che riusciate a realizzare questo progetto di incontro culturale proprio nell’aprile 2004 mentre qualcuno tenta di innalzare steccati e di mettere in atto drammatiche prove di forza? «Abbiamo voluto farlo adesso anche per costruire un territorio di pace, fuori dal terrore della guerra, un rifugio che consoli lo spirito senza far perdere la consapevolezza della realtà. Siamo contro questa guerra assurda non da oggi e spesso abbiamo pagato il prezzo delle nostre posizioni». Tornando all’album, si può dire che i testi pesino meno delle altre volte… «Non è solo una questione di peso. Direi che il rapporto tra testo e musica esce dai classici schemi della forma canzone e prova a muoversi su un piano più articolato. È un progetto speciale per far scoprire al nostro pubblico nuovi orizzonti non soltanto musicali». Leggero, delicato e intenso di profumi, In search of Simurgh come gli altri lavori dei Radiodervish parla tante lingue distinte, ma legate da un progetto comune, quasi a dimostrare che «…gli uomini sulla Terra sono uccelli di diverso piumaggio, ciascuno con il proprio tipo di musica e il proprio canto…» come recita la citazione da el-Ramak trascritta sulla prima pagina del libretto che lo accompagna.

22 aprile, 2021

22 aprile 1946 – Nannarella, voce di Roma

Il 22 aprile 1946 nasce a Roma la cantante e autrice Anna Nannuzzi, in arte Nannarella. Personaggio di punta della musica popolare romana dei primi anni Settanta fa il suo debutto nel 1971 nei vari locali che all’epoca compongono il circuito del folk della capitale. Nelle sue esibizioni si accompagna con la chitarra, che ha imparato a suonare da autodidatta, con uno stile derivato dall’antica arte dei posteggiatori. Ricercatrice attenta riporta alla luce e ripropone sia negli spettacoli che nei dischi i canti della tradizione orale altrimenti destinati a perdersi. Il suo repertorio parla d’amore, di lavoro, di carcere, dei momenti tristi e lieti della vita del popolo romano. Nel 1975 partecipa anche al Festival di Sanremo con la canzone Sotto le stelle. Tra i suoi album il più conosciuto è Chi offenne Roma offenne mamma mia (1979).

21 aprile, 2021

21 aprile 1935 - Don Habib, non soltanto contrabbasso

Il 21 aprile 1935 nasce a Montreal, in Canada, il contrabbassista e compositore Don Habib, all’anagrafe Donald Habib Proveniente da una famiglia di musicisti studia per sei anni al Provincial Conservatory di Montreal e poi con Carmine Caruso e Benny Baker a New York. All' Eastman School il suo insegnante di contrabbasso è Fred Zimmerman, quello di composizione è Jimmy Giuffré, quello di improvvisazione è Adolphe Sandole, mentre per l’arrangiamento e l’orchestrazione si avvale degli insegnamenti di Rayburn Wright e Manny Albam. Musicista assai versatile, suona anche la tromba, il pianoforte e le percussioni. Tra i grandi jezzisti con i quali ha avuto occasione di suonare ci sono Charlie Mariano, Jay Jay Johnson, Paul Bley, Sonny Stitt, René Thomas, Maynard Ferguson, Toshiko, Michel Legrand e Skitch Henderson.

20 aprile, 2021

20 aprile 1939 - Johnny Tillotson, rocker per emulare Elvis

Il 20 aprile 1939 a Jacksonville, in Florida, nasce il cantante Johnny Tillotson. Bambino prodigio a soli nove anni si esibisce nelle festicciole suonando la chitarra e cantando brani country. Nel 1955, dopo aver assistito a un concerto di Elvis Presley si innamora dei suoni del rock and roll e decide di diventare un cantante professionista. Inizia così a sottoporsi a varie audizioni finché, in un concorso per voci nuove che si svolge a Nashville, viene notato da Archie Bleyer, il manager di artisti come gli Everly Brothers, Link Wray e altri, che gli procura, nel 1958 il suo primo contratto discografico. Johnny ottiene così una serie di buoni successi con singoli come Dreamy eyes, Without you, Talk back trembling lips e, soprattutto, Poetry in motion che resta per molto tempo al vertice delle classifiche dei dischi più venduti. L’ultimo disco di successo prima della partenza per il servizio militare è il singolo del brano It keeps right on a-hurtin'. Dopo un periodo di silenzio forzato dovuto proprio al servizio di leva, pubblica con buoni risultati altri brani come Send me the pillow that you dream on, You can never stop me loving you, Heartaches by the number e Talk back trembling lips. Nella seconda metà degli anni Sessanta, ormai lontano dai suoi momenti migliori Johnny Tillotson sceglie di esibirsi nel circuito del revival e dei grandi club senza mai smettere di pubblicare dischi.


19 aprile, 2021

19 aprile 2003 – Il giorno in cui Ani DiFranco tornò a registrare

«Nascondersi non paga mai». Così il 19 aprile 2003 viene annunciato l’arrivo nei negozi italiani del nuovo album di Ani DiFranco, la ribelle, femminista e anticonformista alfiera di quel pugno di ragazze sospese tra la ribellione del punk e le radici del folk chiamate "riot grrrl". L’album in questione si intitola Evolve, un disco che, come il precedente doppio Revelling reckoning, dal folk sembra spostare la ricerca musicale verso umori funky. «I’m trying to evolve» (sto cercando di evolvere), in queste parole, che regalano il titolo al disco c'è il senso della vita e della carriera di Ani DiFranco, in continua fuga dai compromessi e dalle trappole della normalità quotidiana, non per snobismo o per scarso senso di responsabilità, ma perché vive le lezioni del femminismo e sa bene che il mondo si cambia cominciando da sé. Evolve è arrivato inaspettato, ad appena sei mesi dal doppio live So much shouting, so much laughter, smentendo quei critici che vedevano il live come la chiusura di una tappa del percorso musicale della cantautrice. Non è un caso che con lei nel disco ci sia la band che l'ha accompagnata negli ultimi concerti, composta da Julie Wolf, Jason Mercer, Daren Hahn e Hans Teuber più il trio di trombe formato da Ravi Best, Shane Endsley e Todd Horton. Che l'ultima tappa sia questa e dopo ci sia un ritorno alle esibizioni solitari con chitarra e sentimento? In fondo se anche fosse così a chi importa? Ani DiFranco fin dal debutto si è sempre sottratta alle regole del music business seguendo più l'ispirazione che gli uffici marketing. Per questo torna puntuale a regalare ai suoi ammiratori una serie di preziose perle musicali condite da testi mai banali in un disco che spazia dal folk nero al talkin’ blues al jazz passando per le sue ballate tenere e cattive nello stesso tempo. L'uscita del disco e l'inevitabile campagna promozionale non le hanno impedito di prendere posizione sulla guerra che, come chi la conosce poteva immaginare, è stata dura, diretta e senza alcuna mediazione: «George W. Bush non è un presidente, l'America non è una vera democrazia. I mass media non mi prendono in giro e questa guerra fa schifo». Chiaro? Nessuno può permettersi di dubitare sulla capacità di discernimento della "riot grrrl", che, sia detto per inciso, nel 1999, ha inciso una versione de L'internazionale insieme a un altro folk singer, Utah Phillips, in un album dal titolo Fellow Workers (compagni lavoratori). Del resto chi può permettersi di farla tacere? Le minacce dello star system fanno il solletico a una come lei, che si autogestisce fin dal primo album, e, senza venire mai a patti con il music-business, è riuscita ugualmente a vendere milioni di dischi. La radicalità è parte essenziale della sua stessa concezione artistica, aggressiva quando è necessario («…ogni cosa può essere un’arma, se tu ti aspetti che lo sia»), ma capace di slanci solidaristici e di un rapporto profondo con gli emarginati del suo paese. L'America nella quale lei si riconosce è la stessa di Woody Guthrie e dei grandi folksinger di strada, anima e voce della lotta di classe e per i diritti civili. «Mi sento figlia dell’esperienza storica del folk. Ho cominciato come tanti folksinger a suonare nelle "coffee house" e il mio percorso è stato simile a moltissimi altri: son partita da una comunità ben definita per poi cercare di parlare al numero maggiore di persone possibile».



18 aprile, 2021

18 aprile 1963 – Lo scandalo del figlio di Mina

Il 18 aprile 1963 vede la luce il piccolo Massimiliano Pani, figlio di Mina, protagonista involontario di uno scandalo che costa alla cantante un lungo periodo di epurazione dai programmi televisivi e radiofonici. Tutto inizia nel mese di settembre del 1961 quando Mina, che con le gemelle Kessler è la vedette di “Studio Uno”, uno dei più famosi programmi televisivi di varietà, incontra al bar della Rai di Via Teulada a Roma l’attore Corrado Pani. Il regista televisivo Guido Sacerdote fa le presentazioni. Tra l’attore affermato, pupillo di Luchino Visconti, e la cantante scocca una scintilla di simpatia. Passano insieme la serata, si rivedono di nuovo e in breve tempo la simpatia diventa amore. C’è, però, un problema non secondario nell’Italietta bigotta e conformista di quel periodo: l’attore è sposato. Per un po’ si vedono di nascosto, ma la relazione diventa di dominio pubblico quando una giornalista milanese sorprende Pani che sta telefonando alla cantante dal set del film “La monaca di Monza”. Mina, stanca di sotterfugi e mezze verità ammette: «Sì, sono innamorata e con questo?» La situazione è destinata a complicarsi ancora di più quando, all’inizio del 1963, diventa di pubblico dominio la notizia che la cantante aspetta un figlio da Corrado Pani. La situazione si fa insostenibile per la moralità dell’epoca, ma lei tira dritto e va fino in fondo. «Sarebbe semplice rinunciare a un figlio, ma io voglio questa creatura perché è il figlio dell’uomo che amo, anche se la legge degli uomini ha la sua importanza e mi è contro». Il 18 aprile 1963 vede la luce il piccolo Massimiliano Pani, destinato a diventare ben presto un protagonista involontario delle cronache dell’epoca con il soprannome di “paciughino” datogli dalla madre. Mina è costretta a pagare duramente la scelta con un ostracismo televisivo spietato. La Rai non può accettare di dare spazio a una ragazza-madre mentre gli ambienti più bigotti le voltano le spalle e non perdono occasione per attaccarla. Nella sua battaglia è sola. Molti amici o supposti tali se la squagliano. Le restano le serate e i dischi. Per la prima volta scopre che può mantenere vivo il rapporto con il suo pubblico anche senza apparire in televisione.


17 aprile, 2021

17 aprile 1967 – Henry “Red” Allen Jr il mediatore

Il 17 aprile 1967 muore a New York il trombettista e cantante Henry Allen jr. detto Red. Nato ad Algiers, in Louisiana, il 7 gennaio 1908 è figlio di uno dei più noti componenti delle brass band che si esibivano a New Orleans durante i festini e i funerali, rituali caratteristici della città del delta. Vive la propria la propria infanzia prima marciando nelle cerimonie con il gruppo del padre e poi suonando sui battelli del Mississippi con vari gruppi jazz come quelli di George Lewis, John Handy e soprattutto Fate Marable che negli anni Venti era uno dei personaggi più richiesti per intrattenere i viaggiatori e i turisti che navigavano sui riverboat del grande fiume. Si tratta di esperienze molto formative per il giovane "Red" Allen poiché nelle orchestre che solcano il fiume non è sufficiente suonare la tromba, ma bisogna anche divertire il pubblico con il canto e con qualche sketch. Nel 1927, dopo un anno di sodalizio con Fate Marable, Allen raggiunge il gruppo di Fats Pichon, pianista e compositore leggendario oltre che arrangiatore dell'orchestra di Chick Webb. Dopo un paio d'anni con Pichon "Red" Allen se ne va a New York dove nel 1929 suona nell'orchestra di King Oliver che non attraversa un momento particolarmente brillante e viene tenuta in piedi con molti sacrifici, un po' per i capricci del capo e un po' per le difficoltà obiettive di carattere economico che i gruppi incontrano in quegli periodo che precede la crisi del 1929. La Victor, per esempio, pretende che alcuni assoli venissero eseguiti anche dalle altre trombe, oltre che da Oliver e ciò urta contro la voglia di primeggiare di uno strumentista che un tempo era il dominatore assoluto dei locali di New Orleans. Gli arrangiamenti sono in gran parte opera del trombettista Dave Nelson, nipote di Oliver, e "Red" Allen quando si unisce all’orchestra incontra le stesse difficoltà sperimentate negli anni precedenti da Louis Armstrong, oggetto di continua invidia da parte del leader. Allen però mostra una maggior capacità d’adattamento di “Satchmo” e riesce a convivere meglio con King Oliver. L'esperienza acquisita con un leader così difficile gli serve anche in seguito quando si unisce prima all'orchestra di Louis Russell, poi a quella di Fletcher Henderson e infine alla Blue Rhythm Band considerata una delle migliori orchestre da ballo. Tra il 1934 e il 1936 entra a far parte di un grande gruppo orchestrale di Louis Armstrong e poi decide di continuare in proprio. Diventa così un personaggio di primo piano della scena newyorkese a capo di un sestetto che si esibisce per lungo tempo al Café Society e al Kelly's Stable. Negli anni Cinquanta entra a far parte dei gruppi di stile dixieland che suonano al Metropol e nel 1957 partecipa alla serie della CBS-TV, “The sound of jazz”, una delle più memorabili imprese televisive dedicate al jazz. Nel 1959 suona nel gruppo del trombonista di New Orleans Kid Ory. Allen è considerato ancora oggi dalla critica come una sorta di “mediatore” fra gli innovatori e lo stile tradizionale. Muore a New York il 17 aprile 1967.


16 aprile, 2021

16 aprile 2004 - Se non rinneghi Cuba non entri negli USA

Il 16 aprile 2004 dopo quello di Carlos Varela anche il tour statunitense dei Cubanismo!, una delle band cubane più popolari di quel periodo, viene annullato. La ragione dell’annullamento è nel fatto che le autorità statunitensi non hanno concesso il visto d’ingresso nel loro paese applicando per l’ennesima volta l’odiosa pratica dell’embargo sulla cultura. Nonostante gli appelli di moltissimi artisti nordamericani, decisi a difendere la libertà d’espressione, l’amministrazione Bush conferma così la sua subalternità alle pressioni della lobby dei cubani anticastristi di Miami che da qualche tempo ha alzato il tiro sui musicisti in arrivo dall’Isola accusati di “fare il gioco di Fidel Castro”. La sospensione dei visti arriva dopo un lungo periodo in cui le esibizioni degli artisti cubani negli Stati Uniti e a Miami in particolare sono state spesso interrotte da insulti, provocazioni, disordini e qualche aggressione nel disinteresse dei media internazionali. Tra le vittime ci sono nomi illustri, dai Buena Vista Social Club il cui concerto a Miami è stato annullato per ragioni d’ordine pubblico, a Los Van Van accolti da un fitto lancio di bottiglie, agli Irakere impossibilitati a continuare la loro tournée al jazzista Gonzalo Rubalcaba bersagliato d’insulti e sputi tra l’indifferenza degli addetti all’ordine pubblico fino alla sospensione della sua esibizione.

15 aprile, 2021

15 aprile 1898 - Wingy Carpenter, il trombettista con un braccio solo

Il 15 aprile 1898 nasce a St. Louis, nel Missouri, il trombettista e cantante Theodore Carpenter, detto Wingy. All’età di dieci anni perde un braccio a causa di un incidente. Il chirurgo che effettua l’amputazione è lo zio del trombettista Doc Cheatman. Qualche anno dopo inizia a studiare la tromba e nel 1920 trova un ingaggio nella troupe di uno spettacolo viaggiante. L'anno dopo passa nella Herbert's Minstrel Band e poi si trasferisce a Cincinnati dove resta per qualche anno guadagnandosi da vivere suonando nelle orchestre di Wes Helvey e Clarence Paige ed entrando poi nella formazione diretta da Zack White. Nel 1926 suona nell’orchestra di Speed Webb. Dalla fine dell’anno e fino al 1928 partecipa allo show delle Whitman Sisters nell'orchestra diretta dal pianista Troy Snapp All'inizio degli anni Trenta è l'attrazione degli Smiling Billy Stewart's Celery City Serenaders e in seguito lavora con la Florida Band diretta da Bill Lacey. Verso la metà degli anni Trenta suona con varie orchestre dirette di volta in volta da Jack Ellis, Dick Bunch e Jesse Stone. Fra il 1936 e il 1939 è a New York con Campbell “Skeets” Tolbert e Fitz Weston e verso la seconda metà di quell'anno dirige un suo piccolo gruppo. Negli anni Quaranta e Cinquanta suona e dirige proprie formazioni in vari club di New York come il Black Cat, il New Capitol, lo Yeah Man e il Da Tony Pastor's. A partire dagli anni Sessanta inizia a rallentare la sua attività. Muore il 21 luglio 1975.


14 aprile, 2021

14 aprile 1982 - Silvio, il più piccolo dei Muccino

Il 14 aprile 1982 nasce a Roma Silvio Muccino, il più piccolo dei tre figli del dirigente RAI Luigi Muccino e della pittrice Antonella Cappuccio. Prima di lui ci sono Gabriele, regista affermato in tutto il mondo, e Laura, che pure lavora nell’ambiente dello spettacolo occupandosi soprattutto di casting. Allievo del Liceo Mamiani ha soltanto diciassette anni quando, con la sua amica e compagna d scuola Adele Tulli, affianca il fratello maggiore Gabriele Muccino nella stesura dello script di “Come te nessuno mai”, un film ambientato tra i liceali romani nel quale ricopre anche il ruolo del protagonista. Quello che sembra un episodio diventa segna invece la svolta decisiva nella sua vita. Alcune apparizioni in “Un delitto impossibile” di Antonio Luigi Grimaldi, “CQ” di Roman Coppola e “L'ultimo bacio” di suo fratello Gabriele precedono una nuova fortunata interpretazione da protagonista in “Ricordati di me”, sempre di Gabriele. A vent’anni è ormai considerato più di una promessa del cinema italiano grazie alla sua ecletticità. Nel 2004 dopo aver partecipato a “Il cartaio” di Dario Argento collabora alla sceneggiatura del film “Che ne sarà di noi” di Giovanni Veronesi nel quale interpreta anche la parte del protagonista. Due anni dopo scrive e gira “Il mio miglior nemico” insieme a Carlo Verdone. Sempre nel 2006 pubblica il romanzo di successo “Parlami d’amore”, scritto a quattro mani con Carla Vangelista, del quale cura anche la trasposizione cinematografica.. Il film tratto dal romanzo arriva nelle sale italiane il giorno di San Valentino del 2008 e conferma le buone qualità registiche già messe in mostra in vari videoclip da lui realizzati per vari protagonisti della musica italiana come Stadio, Gianluca Grignani e Ligabue. Nel 2009 viene scelto per prestare la voce al film di animazione Astro Boy. Nel 2010 torna al doppio ruolo di attore-regista in "Un altro mondo", film tratto dal secondo romanzo di Carla Vangelista e con la quale scrive la sceneggiatura. Il film, distribuito Universal, esce a Natale e ottiene il plauso della critica oltre che del pubblico. Nel 2011 pubblica "Rivoluzione n. 9", il suo secondo romanzo. Dopo cinque anni di pausa, a febbraio 2015 esce nelle sale la sua terza opera da regista "Le leggi del desiderio", scritto assieme a Carla Vangelista e interpretato con Nicole Grimaudo, Carla Signoris e Maurizio Mattioli. Nel 2017 esce il suo romanzo "Quando eravamo eroi".