12 maggio, 2021

12 maggio 1935 – Nadia Liani, dal nuoto alla canzone

Il 12 maggio 1935, nasce a Parma la cantante Nadia Liani, registrata all’anagrafe con il nome di Nadia Aliani. Da giovanissima viene avviata allo sport dai genitori e partecipa a varie gare di nuoto affermandosi come una delle più promettenti nuotatrici della sua provincia. Parallelamente coltiva la passione per la musica studiando violino nel conservatorio della sua città e canticchiando in feste della zona. La svolta nella sua vita arriva nel 1959 quando Nadia, che lavora come modellista in una fabbrica di giocattoli, vince il concorso per voci nuove della RAI e partecipa con un buon successo al programma radiofonico “Giudicateli voi”, dedicato ai nuovi talenti. Con la sua voce calda e sensuale l'anno dopo continua a esibirsi ai microfoni della radio prima con l'orchestra di Carlo Esposito e poi con quella di Cinico Angelini. Nel 1961 partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Jolanda Roaain cantando Una goccia di cielo, un brano che viene bocciato dalle giurie. Fra le sue interpretazioni sono da ricordare Mes mains, Febbre di musica e Parle-moi d'amour.


11 maggio, 2021

11 maggio 1926 - Beryl Bryden, la stella del jazz tradizionale britannico

L’11 maggio 1926 nasce a Norwich, in Inghilterra la cantante Beryl Bryden. Dopo aver cominciato giovanissima a cantare in vari gruppi jazz della sua zona nel 1945 si trasferisce a Londra. Qui diventa una delle interpreti più richieste e canta con una lunga serie di gruppi di jazz tradizionale compresi i celebrati Dixielanders di George Webb. Nei primi anni Cinquanta si esibisce a lungo a Parigi, dove ha partecipa anche a uno dei famosi concerti che Lionel Hampton tiene all'Olimpia. Canta poi in Germania, in Olanda e in altri paesi europei, con l'orchestra di Fatty George. Si esibisce in moltissimi rogrammi radiofonici e televisivi e dai primi anni Sessanta partecipa a numerosi festival di jazz, in Francia, Svizzera, Austria, Cecoslovacchia e in Polonia. Nel 1965 effettua una tournée in Africa e nei primi anni Settanta canta con Graeme Bell in Australia. Alla metà degli anni Settanta è in Olanda con Bud Freeman e Jimmy McPartland. Personaggio molto popolare, negli anni Cinquanta e Sessanta è considerata la stella più luminosa dell'ambiente del jazz tradizionale britannico. Muore il 14 luglio 1998.


10 maggio, 2021

10 maggio 1968 - "Les anarchistes", un inno per la notte delle barricate

Il 10 maggio 1968 alla Salle de la Mutualité, nel corso di uno spettacolo destinato a raccogliere fondi per la rivista anarchica “Le monde libertaire”, Léo Ferré interpreta per la prima volta la canzone Les anarchistes, (...Non son l’uno per cento, ma credetemi esistono/figli di troppo poco o di origine oscura/non li si vede che quando fan paura/sono gli anarchici...) un brano destinato a diventare una specie di inno degli “irregolari della rivoluzione” di tutto il mondo. Con quell’esibizione Leo Ferré lascia una sorta di firma su una notte particolare, ricordata ancora oggi come “la nuit des barricades”, la notte delle barricate. Proprio alla sera di quel 10 maggio 1968 più di ventimila manifestanti occupano il Quartiere Latino chiudendone le strade di accesso con barricate robuste che in qualche caso superano anche i tre metri d’altezza. Mentre la popolazione simpatizza con i giovani gli inviti a sgomberare non sortiscono alcun effetto. Dopo un lungo alternarsi di minacce e trattative, alle 2 e un quarto della notte le forze antisommossa della polizia francese muovono all’assalto della prima barricata. È quella di Rue Gay-Lussac. I manifestanti resistono accanitamente e solo alle prime luci dell’alba, cioè più di tre ore dopo l’inizio degli scontri, le forze dell’ordine completeranno lo sgombero dell’ultima barricata eretta dai rivoltosi. Il bilancio degli incidenti è di oltre trecentocinquanta feriti (duecentocinquanta tra i poliziotti e il resto tra i manifestanti). La notte delle barricate è considerata l’inizio del Maggio francese. Per una non troppo casuale coincidenza Les anarchistes di Leo Ferré ne è diventata la simbolica colonna sonora.


09 maggio, 2021

9 maggio 1946 - Addio al re senza rimpianti

Il 9 maggio 1946 tra le migliaia di emigrati costretti a lasciare il loro paese per cercare fortuna all’estero c’è, ovviamente in condizioni ben diverse, anche la famiglia Savoia, cui gli italiani non hanno perdonato l’acquiescenza verso il fascismo, le inique leggi razziali e, soprattutto, lo sbandamento e l’ingloriosa fuga dopo l’8 settembre, che aveva lasciato allo sbando gran parte del paese, caduto nelle mani degli occupanti tedeschi. Proprio il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III si imbarca sull’incrociatore Duca degli Abruzzi per andarsene in volontario esilio, dopo aver firmato l’atto di abdicazione in favore del figlio Umberto II, nell’estremo tentativo di salvare il destino della monarchia. Morirà un anno dopo ad Alessandria d’Egitto. Per l’istituzione monarchica non c’è, però, più niente da fare. Il 2 giugno si svolge il referendum istituzionale e il 54% degli elettori si pronuncia a favore della Repubblica. Umberto di Savoia lascia definitivamente l’Italia il 13 giugno partendo dall’aeroporto di Ciampino con destinazione Cascais, in Portogallo. Il 28 giugno l’Assemblea Costituente, con un gesto simbolico di riconciliazione tra le due fazioni che si sono confrontate con toni molto aspri nella campagna referendaria appena conclusa, elegge a capo provvisorio dello Stato un monarchico napoletano moderato, Enrico De Nicola.

08 maggio, 2021

8 maggio 1899 - Jack Bland, il gelataio con l’hobby del banjo

L’8 maggio 1899 nasce a Sedalia, in Missouri, Jack Bland, uno dei personaggi più singolari del jazz del primo Novecento. Gelataio di professione e banjoista per diletto fa parte del nucleo originale dei Mound City Blue Blowers, il complesso novelty che Red McKenzie forma a St. Louis nel 1924. Con questo gruppo, nelle sue varie edizioni resta per parecchi anni. Cessata l’attività di gelataio, nel 1930 se ne va a New York dove ottiene scritture da vari gruppi. Nel 1932 partecipa alle sedute di registrazione dei Rhythm Makers. Nella Grande Mela dà vita anche a un proprio trio che tra il 1940 e il 1941 si esibisce al Billingsley Club. Nel 1942 passa con Marty Marsala e poi si unisce al gruppo di Art Hodes. Nel 1944 è di nuovo a capo di un proprio gruppo che suona al Club 51 di New York. Qualche anno dopo si stabilisce in California e, se si eccettua qualche occasionale apparizioni sulle scene di Los Angeles, si ritira a vita privata. Muore nel 1968.


07 maggio, 2021

7 maggio 1997 – L’Italia riconosce il diritto alla riservatezza

«Se non lede il diritto di altri la mia vita privata è un fatto personale e riservato». Sembra una frase ovvia, ma per lungo tempo in Italia non è stato così. Solo il 7 maggio 1997 infatti il nostro paese si dota di una legislazione sulla tutela della privacy, cioè della vita privata e del diritto alla riservatezza dei cittadini. La nuova legge istituisce la figura del Garante con il compito di controllare e coordinare la raccolta e la diffusione dei dati personali per rispettare i diritti, le libertà fondamentali e la dignità delle persone. Il cittadino che ha il sospetto di essere stato schedato da enti pubblici o privati può chiedere al Garante di verificare se tale schedatura violi il suo diritto alla riservatezza. Non possono essere divulgati i dati personali che rivelano origini razziali ed etniche, convinzioni religiose e idee politiche. È vietato anche rendere pubblici i dati personali sulla salute e sulla vita sessuale, se non per finalità di prevenzione e di accertamento. Ugualmente vietato è l’utilizzo di dati e notizie del casellario giudiziario, con l’eccezione di rilevanti finalità pubbliche e sempre con il permesso del Garante.

06 maggio, 2021

6 maggio 1880 - Jammo, jammo, 'ncoppa jammo, jà…

Il 6 maggio 1880 viene inaugurata la funicolare del Vesuvio, un mezzo di trasporto destinato a lasciare un segno anche nella storia della musica. Tutti conoscono l'aria e le parole di Funiculì funiculà, probabilmente la tarantella più famosa del mondo, ripresa anche da Richard Strauss nella sua Aus Italien. Pochi sanno però che si tratta di uno dei primi spot pubblicitari che la storia ricordi. La vicenda si svolge nel 1880 quando la "Thomas Albert Cook & Son" di Londra, che ha rilevato il pacchetto azionario dalla "Société anonyme du chemin del fer funiculaire du Vésuve", inaugura la funicolare vesuviana. L'inaugurazione avviene il 6 maggio, ma i napoletani non sembrano scomporsi più di tanto di fronte a questa meraviglia della tecnica. Un po' per il prezzo del biglietto, ma soprattutto per la diffidenza nei confronti della "carrozza 'e ferramenta", preferiscono continuare ad andare sul Vesuvio a cavallo del "ciuccio". In questa situazione il giornalista Peppino Turco scommette con gli amici che riuscirà a convincere i napoletani a usare la funicolare. Scrive di getto i versi destinati a restare immortali e li fa musicare dal compositore stabiese Luigi Denza. Presentata per la prima volta all’albergo Quisisana di Castellammare di Stabia, la canzone trionfa alla Piedigrotta del 1880. Il successo è incredibile. Nel giro di un anno lo spartito con il relativo testo viene venduto in milioni copie in tutto il mondo. La storia non racconta se i napoletani abbiano poi cominciato a utilizzare la funicolare, ma a Turco poco importava ormai della scommessa…


05 maggio, 2021

5 maggio 1968 – Tace il banjo di George Guesnon

Il 5 maggio 1968 muore a New Orleans, in Louisiana George Guesnon, uno dei più grandi banjoisti della storia del jazz. Nato nella stessa New Orleans il 25 maggio 1907 comincia a suonare il banjo sotto la guida di John Marrero, uno dei più rinomati maestri dello strumento, anche se si perfeziona da autodidatta. Ottiene il suo primo importante ingaggio professionale nel 1929 con gli Happy Pals di Kid Clayton che suonano all'Hummingbird Cabaret. A partire da quel momento lavora intensamente a fianco dei più prestigiosi leaders da Sam Morgan a Papa Celestin, da Chris Kelly a Buddy Petit. Tra il 1930 e il 1931 suona con la jazz band di Sam Morgan, in sostituzione del banjoista regolare Johnny Dave che avendo un lavoro fisso a New Orleans non può abbandonare la città. Nel corso degli anni Trenta si trasferisce a New York dove si esibisce alla testa di piccole formazioni da lui stesso organizzate e dirette eseguendo molte sue composizioni arrangiate da Jelly Roll Morton, con il quale per un certo periodo di tempo Guesnon si trova a coabitare. Nel 1935 si trasferisce a Jackson nel Mississippi dove si aggrega al gruppo del pianista Little Brother Montgomery. Sempre accompagnato da quest'ultimo si esibisce in veste di cantante l'anno successivo al St. Charles Hotel di New Orleans, registrando anche un disco dal vivo. Ancora in veste di blues-singer suona e incide a New York nel corso degli anni Quaranta alla testa di un suo gruppo nel quale si avvicendano buoni musicisti come Wingy Carpenter, Jimmy Shirley, Henry Goodwin, Art Hodes e Pops Foster. Nel dopoguerra torna alla ribalta nella sua città natale prima a fianco di Kid Thomas con il quale registra altri dischi per la American Music nel 1951 e quindi alla testa di una sua jazz band comprendente Kid Clayton, Joe Avery, Albert Burbank, Emma Barrett. Nel 1955 subentra a Lawrence Marrero nell'orchestra di George Lewis con la quale si esibisce prima in California e poi a New York, dove prende parte ad altre importanti sedute di incisione per la Blue Note. Nel biennio 1959-1960 realizza a New Orleans diversi dischi per la Icon, la Jazzology e la Jazz Crusade, in veste di cantante, chitarrista e banjoista solista, che lo consacrano definitivamente come uno dei più originali banjoisti che il jazz di New Orleans abbia avuto. Negli anni Sessanta effettua vari tour con i Livig Legends, esibendosi regolarmente alla Preservation Hall, sia alla testa di proprie formazioni sia come side-man di altri gruppi sino al 1965 anno in cui si ritira dalle scene attive.

04 maggio, 2021

4 maggio 1959 - Randy Travis, una stella del country

Il 4 maggio 1959 nasce a Marshville, nel North Carolina, Randy Bruce Traywick, destinato a lasciare un segno importante nel country con il nome di Randy Travis. Trasferitosi a Nashville nel 1981, dopo aver pubblicato, senza grandi risultati, alcuni dischi con gli pseudonimi di Randy Ray e Randy Traywick, nel 1986 centra il suo primo grande successo con l'album Storms of life arrivando al primo posto della classifica country statunitense ed entrando anche nei primi cento posti della classifica nazionale. Considerato uno dei personaggi più interessanti del nuovo country Randy pubblica poi vari album. Tra i più curiosi c’è Heroes and friends del 1990 che contiene duetti con Dolly Parton, Willie Nelson, Merle Haggard, B.B. King, Loretta Lynn, Kris Kristofferson, Tammy Wynette, Clint Eastwood, Conway Twitty, Roy Rogers e altri.



03 maggio, 2021

3 maggio 1934 - Moustaki, il meteco

Il 3 maggio 1934 ad Alessandria d’Egitto nasce Yusef Mustacchi, destinato a diventare uno dei grandi cantautori europei del Novecento con il nome d’arte di Georges Moustaki. Figlio di tante culture, preferisce considerarsi le métèque, il meteco, il forestiero come lui stesso si definisce nell’omonima canzone che gli italiani hanno conosciuto con il titolo de Lo straniero. Conosce otto lingue, francese, arabo, ebraico, italiano, spagnolo, portoghese, inglese e greco, ma sostiene che la più importante, quella che gli ha consentito di comunicare con il mondo è la nona, cioè la musica. In lui convivono tutte le culture del Mediterraneo. Greco perché figlio di greci, ebreo per religione, egiziano per nascita, francese per destino e cosmopolita per animo, Moustaki ha fatto delle commistioni la sua scelta musicale e artistica. Nella sua carriera ha collezionato una serie impressionante di collaborazioni iniziando a scambiare note e atmosfere con altri artisti molti anni prima che questa pratica diventasse quasi una normale abitudine artistica nel mondo globalizzato. Pioniere delle moderne “contaminazioni” ha collezionato progetti comuni con cantanti e musicisti di ogni parte del mondo da Astor Piazzola a Mikis Theodorakis, da Francesco Guccini ad Antonio Carlos Jobim, da Bruno Lauzi a Henry Salvador, a Chico Buarque de Hollanda, a Ennio Morricone e a tantissimi altri. La sua ispirazione non si nutre solo di armonie e melodie, ma spesso chiede nuove parole e nuove atmosfere alle arti figurative e alla letteratura, un territorio nel quale si muove accompagnato dal suo “fratello di sangue” Jorge Amado perché «una bella canzone… nasce dallo scambio e dalla vicinanza con gli altri». In lui la tensione artistica e la ricerca continua coincidono in un’evoluzione artistica che è cominciata negli anni Cinquanta e dopo mezzo secolo non si è ancora fermata. Yussef Mustacchi, figlio di Nessim e Sarah, due ebrei greci originari dell’Isola di Corfù, nasce il 3 maggio 1934 ad Alessandria d’Egitto dove i suoi genitori gestiscono una libreria. Come ha avuto modi di dire lui stesso, fin da piccolo capisce che il mondo è complesso. Quando gioca nelle strade con i coetanei parla arabo, in casa un po’ di greco e anche italiano visto che una zia un po’ originale si esprime solo in questo idioma e si rifiuta di parlare greco per scelta personale. Siccome poi frequenta le scuole della comunità francese la sua conoscenza linguistica si arricchisce ancora di più. La scuola però non si limita a regalargli una lingua in più ma lo fa entrare in un mondo nuovo che gli tocca il cuore. Affascinato dalla letteratura e dagli chansonnier francesi nel 1951, dopo essersi diplomato va a Parigi per una breve vacanza e scopre di non aver più voglia di tornare a casa. Nel capoluogo francese sbarca il lunario con lavori occasionali e impara a suonare la chitarra che gli ha mandato sua madre dall’Egitto. Strimpella e scrive qualche canzone cercando di fare il verso a Georges Brassens, che ha ascoltato per la prima volta al Trois Baudets. Proprio Brassens lo incoraggia a continuare, gli dà qualche consiglio e alcuni indirizzi utili. Il giovane Yussef decide che il suo nome d’arte sarà Georges in omaggio allo chansonnier che per primo gli ha dato una mano mentre il complicato Mustacchi diventa Moustaki, più semplice da pronunciare per un francese. Nel 1954 incontra anche Henri Salvador che per primo porta al successo una canzone con la sua firma: Il n’ya plus d’amandes. Nel 1958 Georges Moustaki incontra Henri Crolla, uno dei personaggi chiave della scena musicale parigina di quel periodo, compositore di brani portati al successo da Yves Montand, Colette Renard e Barbara. Proprio Crolla gli presenta Edith Piaf. Tra i due è amore a prima vista e non solo sul piano professionale. Proprio per la Piaf nello stesso anno scrive canzoni come Eden blues o Le gitan et la fille. Il rapporto tra i due è burrascoso e alterna momenti di grandi intensità emotiva con liti improvvise seguite da altrettanto impreviste riappacificazioni. Il giovane segue la cantante in tutte le sue tournée e vive a stretto contatto con il suo entourage. Proprio insieme a Marguerite Monnot, l’inseparabile pianista, compositrice, amica e confidente di Edith Piaf nel 1959 scrive Milord, una canzone destinata a trasformarsi in uno dei più grandi successi internazionali dell’Usignolo di Francia. Proprio il successo del brano rende Moustaki uno degli autori più richiesti della scena musicale francese degli anni Sessanta e le sue composizioni finiscono nel repertorio di cantanti come Yves Montand, Colette Renard, Henri Salvador, Tino Rossi e Barbara solo per citarne alcuni. Se come autore gode di grande considerazione, come interprete fatica a imporsi nonostante la Pathé Marconi abbia pubblicato un paio di suoi dischi a quarantacinque giri. Nel 1961 dopo che la storia d’amore con la Piaf è finita male si trasferisce sull’isola di Saint-Louis a Parigi e inizia a lavorare al suo primo album che contiene qualche brano già conosciuto per essere stato interpretato da altri, un paio di canzoni già pubblicate in singolo e un buon numero di inediti. Quando l’album arriva nei negozi viene accolto tiepidamente dal pubblico. Nel 1966 incontra l’attore Serge Reggiani, che è intenzionato a debuttare anche come cantante. Moustaki scrive per lui brani di successo come Sarah, Votre fille a vingt ans, Ma liberté e Ma solitude. Nello stesso anno propone alla sua casa discografica un brano a cui tiene molto. È intitolato Le métèque, ma gli “esperti” pensano che non valga granché e glielo restituiscono. Nel 1968 inizia a tirare un’aria diversa, più favorevole anche al Moustaki interprete. In quell’anno infatti scrive per Barbara La dame brune, uno dei più bei pezzi del repertorio della cantante, che lui stesso canta in duo con lei in un tour che tocca anche l’Olympia. Proprio nel corso di questa tournée accade un episodio decisivo. A Mulhouse Barbara viene colta da una improvvisa indisposizione pochi minuti prima di salire sul palco. Mentre il pubblico rumoreggia gli organizzatori chiedono Georges Moustaki di esibirsi al posto della cantante. L’accoglienza calorosa degli spettatori fa capire che i tempi sono davvero cambiati. Nel 1969 finalmente registra Le métèque il brano che gli regala la grande popolarità internazionale e, per sfruttare il buon momento, un album che contiene versioni personalissime di brani come Ma solitude o Joseph, destinati a restare per anni nella sua scaletta dal vivo. Il grande successo è arrivato. Nel 1970 vince il Grand Prix della Académie Charles-Cros. e sale sul palco del Bobino per uno spettacolo che verrà poi pubblicato nell’album Bobino ’70. Le métèque gli regala la fama ma non ne condiziona il successivo percorso musicale. Moustaki non accetta di restare prigioniero di un brano né di un periodo. Il suo personaggio da garbato anticonformista, la sua voce quasi colloquiale, la sua capacità di fondere esperienze artistiche molto diverse sono gli elementi principali di una longevità artistica segnata da più di venti album, migliaia di concerti in luoghi diversi, dalla Carnegie Hall di New York alle Università occupate, dalle grandi piazze delle capitali d’Europa agli angusti locali del Folkclub di Roma. Georges Moustaki è la dimostrazione di come si possa lasciare un segno importante sulla scena musicale senza mai alzare la voce. L’aveva capito bene Leo Ferré che gli diceva «tu sussurri le stesse cose che io grido», ironizzando su quell’aria precoce da profeta che gli era stata regalata anche dal precoce imbianchimento della barba e dei suoi capelli lunghi. Nel 1996 la Francia lo insignisce dell’onorificenza di Commandeur des Arts et Lettres e la televisione trasmette uno speciale sulla sua vita. Tra anni dopo l’Unesco lo inserisce nel prestigioso elenco degli Artisti per la Pace. Lui ringrazia ma non si esalta. I troppi consensi sembrano spaventarlo ancora dopo tanti anni e le folle osannanti non gli scaldano il cuore perché «…quando hai di fronte a un milione di persone provi un’emozione grande, ma cerebrale perché non le vedi. Quando ne hai poche decine, invece, li guardi tutti negli occhi e loro guardano te, non c’è paragone…» Muore a Nizza il 23 maggio 2013. 


02 maggio, 2021

2 maggio 2006 - Lo scandalo di Calciopoli

Il 2 maggio 2006 una serie di intercettazioni operate dalla Magistratura di Torino e Napoli e diffuse per opera di ignoti sconvolgono il mondo del calcio italiano. Definita ironicamente dalla stampa “Calciopoli” (per assonanza con “Tangentopoli”, lo scandalo delle tangenti che più di un decennio prima aveva travolto la classe politica ), l’inchiesta coinvolge i gruppi dirigenti di alcuni tra i più importanti club italiani come Juventus, Fiorentina, Lazio e Milan. L'accusa principale è di illecito sportivo, verificato nel tentativo di aggiustare le designazioni arbitrali per determinati incontri di campionato o di intimidire o corrompere gli arbitri assegnati affinché favorissero le azioni conclusive di una squadra a danno di altre. La vicenda, oltre a una serie di rinvii a giudizio, determinerà una serie di gravi provvedimenti disciplinari sul piano sportivo, compresa la revoca di alcuni titoli sportivi.

01 maggio, 2021

1° maggio 1994 - Addio ad Ayrton Senna

Durante il Gran Premio automobilistico di Imola di Formula 1, che si svolge il 1° maggio 1994, perde la vita il pilota brasiliano pluricampione del mondo Ayrton Senna. La sua morte getta nel lutto il mondo della Formula 1 e suscita grandissima emozione nel suo paese dove il pilota è un simbolo dell’orgoglio nazionale. In Brasile vengono proclamati tre giorni di lutto nazionale. Trentaquattrenne, Ayrton Senna, ha partecipato a centosessanta Gran Premi di Formula 1 vincendone quarantuno ed è stato Campione del Mondo di Formula 1 nel 1988, 1990 e 1991.


30 aprile, 2021

30 aprile 2004 - Gang e Crifiu insieme a Cutrofiano

Il 30 aprile 2004 nella splendida cornice del Palazzo della Principessa di Cutrofiano, un borgo in provincia di Lecce, parte “Trans-world express”, il nuovo spettacolo live dei Crifiu, un gruppo tra i più rappresentativi, insieme ai Folkabbestia, della nutrita covata che si è schiusa in nei primi anni del nuovo millennio al sole della terra salentina. Dopo un paio d’album accolti con molto interesse i Crifiu si accingono con quel tour a fare un salto di qualità portando nelle piazze d’Europa un concerto che segna una svolta “elettronica” nel loro repertorio sospeso tra rock e suoni del folklore tradizionale. Nel corso della serata di Cutrofiano i loro suoni si mescolano con quelli di un gruppo ospite d’eccezione. Per l’occasione, infatti, si esibiscono al loro fianco, in versione semiacustica, i Gang di Marino e Sandro Severini.

29 aprile, 2021

29 aprile 1986 - Chernobyl, una lezione da non dimenticare

Il 29 aprile 1986 i satelliti che sorvolano la terra segnalano che a Chernobyl, uno dei grandi impianti elettronucleari sovietici, situato a sessanta chilometri da Kiev, c’è stato un incidente di notevoli proporzioni. Mentre mancano ancora notizie ufficiali viene rilevata la formazione di grandi nubi radioattive che si stanno rapidamente spostando, seguendo le correnti in quota, verso i paesi dell’Europa occidentale. Le autorità sovietiche confermano che è accaduto un grave incidente a uno dei reattori di Chernobyl e gran parte dei paesi europei si attrezzano per evitare i rischi connessi all’aumento della radioattività. La nube arriva sull’Italia il 2 maggio e il governo, oltre a diffondere una serie di generiche raccomandazioni, proibisce la vendita delle verdure, in particolare di quelle "a foglia larga" e la somministrazione del latte fresco ai bambini.


28 aprile, 2021

28 aprile 1916 – Ferruccio, l’inventore della Lamborghini

Tra i grandi marchi che hanno caratterizzato nel mondo la produzione delle auto sportive italiane la Lamborghini è quella relativamente più “giovane” anche è rapidamente entrata nell'immaginario degli amanti delle dreamcar, automobili da sogno. La sua leggenda inizia il 28 aprile 1916 quando, a Renazzo di Cento, in provincia di Ferrara, nasce da una modesta famiglia di agricoltori Ferruccio Lamborghini. La sua innata passione per i motori e per le macchine in genere lo porta a Bologna, la grande città dove un giovane appassionato può studiare ingegneria meccanica. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, viene spedito nella base dell’aviazione militare italiana a Rodi dove opera come tecnico riparatore. Alla fine del conflitto la crescente domanda di trattori del mercato italiano e l'acquisita esperienza nelle riparazioni spingono Ferruccio Lamborghini a impegnarsi nella produzione di trattrici comperando veicoli militari sopravvissuti alla guerra e trasformandoli in macchine agricole. Nel 1948, a Pieve di Cento, nasce la Lamborghini Trattori, la prima azienda ad avere nel logo il toro, segno zodiacale di Ferruccio Lamborghini. In breve tempo diventa una delle case leader del mercato italiano delle macchine agricole. Successivamente, dopo aver impiantato la produzione di bruciatori a nafta e di condizionatori, il fondatore pensa di allargare i propri orizzonti aziendali alla produzione di elicotteri, ma si scontra con il diniego del governo italiano. Siamo all’inizio degli anni Sessanta e, chiuso il sogno degli elicotteri, decide di mettersi in concorrenza con Ferrari nel settore della vetture sportive. La leggenda racconta che tutto era iniziato dopo un problema sul cambio della sua nuova Ferrari. Alle sue proteste il focoso ingegnere Enzo avrebbe risposto « Tu continua a costruire trattori e a me lascia costruire le mie macchine sportive». Piccato e offeso nell’orgoglio il buon Ferruccio avrebbe risposto con i fatti. Cosi nel 1963 nasce la Automobili Ferruccio Lamborghini SpA. Quasi contemporaneamente vede si inaugura la fabbrica a Sant’Agata Bolognese, da cui negli anni successivi usciranno alcune fra le più belle e potenti auto della storia dell’automobilismo italiano. Basta citare nomi come Miura, 350GTV, Espada, Jalpa, LM004 o Countah per capire la filosofia della Lamborghini: innovazione, scelte tecnologiche a volte radicali e senza compromessi e, soprattutto, una fortissima e decisa personalità stilistica. Lamborghini si appassiona alla fabbrica, alle sue vetture, ma non intende lasciarsi condizionare la vecchiaia. Nel 1973, quando vede che in famiglia non c’è nessuno interessato a seguirne le orme inizia a pensare al ritiro dalle scene. Vende l’intero pacchetto azionario a due svizzeri, Georges ed Henri Rossetti, si ritira in Umbria in un grande vigneto di sua proprietà e si dedica con successo alla produzione di vino. Il campione delle sue cantine è un vino rosso dei Colli del Tradimento, ma il marchio con cui viene commercializzato, indelebile e conosciuto da tutti, è "Sangue di Miura". Proprio nella tenuta umbra morirà a settantasette anni, il 20 febbraio 1993. La sua casa, nonostante varie vicissitudini, saprà sopravvivere alla crisi del settore degli anni Settanta e a una serie di passaggi di mano azionari tra gruppi di emisferi diversi.

27 aprile, 2021

27 aprile 2002 – Giovanna Marini, domande e risposte su un disco e un concerto

«È inesatto parlare di me e Francesco De Gregori insieme in concerto, perché il concerto è suo e io sono ospite». Così, con la sua consueta modestia Giovanna Marini, il 27 aprile 2002 si schernisce di fronte al cronista che cerca di strapparle qualche impressione su “Viva l’Italia”, il concerto in programma quella sera e la successiva all’Auditorium – Parco della musica di Roma che la vede sullo stesso palco con De Gregori. «Conosco Francesco da almeno trent’anni, quando lo ascoltavo o, meglio, ci ascoltavamo, al Folkstudio. Mi piacciono i suoi pezzi anche se, come ho già detto tante volte, non capisco niente di country, rock e generi simili. Non appartengono alla mia cultura musicale e quindi non me li sento addosso. Trovo, però, che quello sia un mondo sonoro che ci sta vicino, che è prossimo alla nostra esperienza di cantanti della tradizione popolare. Canzoni come le mie, quelle di Gualtiero Bertelli o Ivan Della Mea, pur viaggiando su onde differenti da quelle di De Gregori, finiscono per incontrarsi». E per due sere si incontreranno a Roma in uno spettacolo che ha per titolo “Viva l’Italia”. A proposito, c’è una ragione speciale per il titolo? «La risposta più banale che potrei darti è che si tratta del titolo di una canzone di Francesco, ma, appunto, sarebbe banale. Le ragioni sono più complesse e nascono dal fatto che in quel brano c’è un passaggio in cui si dice “viva l’Italia che resiste”. Trovo che, come ha dimostrato questo 25 aprile, nel nostro paese ci sia un’ondata di nuovo patriottismo in cui alla parola “patria” si sostituiscono libertà, diritti, democrazia. È una sorta di patriottismo senza patria che trovo stimolante e coinvolgente, una nuova resistenza». Come vivi questo periodo? «Non so se è politicamente corretto definirsi “ansiosi”, ma se devo definire il mio stato d’animo non conosco parole più precise. A me non vengono facili i discorsi politici, mi è più facile dare risposte emotive». Nessuna speranza, dunque? «No, non volevo dire questo. Non sono pessimista. Mi sembra, anzi, che in questi tempi si sia alzato il livello d’attenzione. Vedo atti politici di segno negativo ai quali corrispondono risposte immediate che fino a qualche tempo fa erano impensabili. Sentiamo che si sta giocando una partita difficile, forse decisiva sulla nostra vita e stiamo tutti sul chi vive. C’è una disponibilità maggiore a muoversi, a darsi da fare, a stare al fianco dei più deboli. Chissà, forse perché non sono l’unica a vivere emotivamente questi tempi…» Poi, pian piano, si scioglie e parla anche del concerto. Scopriamo così che sarà sul palco dall’inizio alla fine «Già, non sarà l’accoppiata tradizionale: un’ora per uno con qualche pezzo insieme. La presenza mia e del Quartetto Vocale sarà parte dell’intero spettacolo». Fermati un attimo. Prova a spiegare in poche parole che cos’è il Quartetto Vocale. «Il Quartetto Vocale nasce nel 1976 con lo scopo di eseguire musiche polifoniche da me composte che però mi ritrovavo a cantare quasi sempre da sola perché non avevo amici musicisti in grado di leggere la musica, né tantomeno di cantarla come avevo in mente io. Erano gli anni della ricerca e della canzone politica. In giro c’era tanta passione, ma poca conoscenza specifica in campo strettamente musicale. Proprio in quegli anni ho cominciato a scrivere molti madrigali che oggi fanno parte del repertorio del Quartetto Vocale». In qualche caso si può parlare di vere e proprie acrobazie vocali… «Si, concordo, anche se il merito non è mio, ma di Patrizia Bovi, Francesca Breschi e Patrizia Nasini. Quest’ultima è arrivata al Quartetto nel 1981, mentre Patrizia Bovi e Francesca sono con me dal 1990. il merito della straordinaria freschezza scenica dell’insieme è tutto loro. Io scrivo le partiture, loro si inventano il modo di cantare e ogni volta che ci incontriamo sul palco è una grande gioia». Quale Giovanna Marini sarà sul palco al fianco di De Gregori? «La Giovanna Marini di sempre. Interverremo in qualche brano di Francesco e lui darà il suo apporto ai nostri». Qualche anticipazione sulla scaletta… «La stiamo costruendo insieme nelle prove. Posso già dirti, però, che per quel che riguarda il nostro repertorio presenteremo il Canto per il giudice Falcone, il Lamento per la morte di Pasolini, uno struggente Lamento albanese accompagnato da un “Kyrie” ascoltato nella liturgia di Piana degli Albanesi e poi, come poteva mancare?, Nina di Gualtiero Bertelli, una canzone che amo moltissimo. Con Francesco, invece, ci lanceremo in una serie di canzoni popolari. Oltre a L’attentato a Togliatti faremo anche La partenza degli italiani per l’Albania, che ascoltata in un periodo in cui gli Albanesi si imbarcano per venire in Italia, assume un sapore particolare…».



26 aprile, 2021

26 aprile 1921 – Il piccolo Tajoli ha la poliomielite

Il 26 aprile 1921 è un sabato. La serata tiepida che anticipa l’estate invoglia a uscire e i genitori di Luciano Tajoli non sono diversi dal resto del mondo. Mamma Antonia chiede a papà Francesco di accompagnarla a fare quattro passi. «Luciano dorme come un ghiro come sempre. Lasciamo la porta socchiusa e chiediamo alla vicina di controllarlo ogni tanto, nel caso si svegliasse, ma sai bene che non succede mai. Fino a domani mattina il piccolo dormirà». Il giorno dopo è domenica e Francesco non deve andare a lavorare. Prende sottobraccio la moglie ed esce con lei nella strada. Quando rientrano il campanile ha già battuto il tocco delle undici e mezza. Ringraziano la vicina e si preparano ad andare a letto. Mamma Antonia, come sempre, si china sul piccolo Luciano per stampargli sulla fronte un silenzioso bacio della buonanotte. Quando le labbra sfiorano la pelle del bambino riceve un’impressione di calore. Allunga una mano per controllare: Luciano ha la fronte molto calda. Sembra abbia la febbre. Chiama papà Francesco. «Aiutami, Luciano è ammalato. Potrebbe essere qualcosa di grave!». L’uomo cerca di tranquillizzarla. Insieme cercano freneticamente il termometro, gli misurano la temperatura e la linea argentea del mercurio si ferma in prossimità del segno che indica i quaranta gradi. Il bambino, che nel frattempo si è risvegliato, si lamenta debolmente. L’uomo si riveste e corre nella notte a cercare aiuto. Alle due ritorna accompagnato dal medico di famiglia. Luciano ora piange forte e agita le manine come volesse liberarsi da qualcosa che lo disturba. Il medico lo visita, ma appare perplesso: «Non so. Non riesco a capire. Stomaco, polmoni e vie respiratorie sono a posto. Apparentemente il bambino non ha niente. Non ci resta che seguire il corso della malattia e attendere...» La febbre che sembra consumare Luciano Tajoli non accenna a diminuire e il piccolo si lamenta sempre più forte, come se il suo corpo fosse attraversato da un dolore acutissimo. Gli strilli arrivano in strada, attraversano le vie sonnacchiose del quartiere quasi volessero chiedere aiuto. Tutti capiscono che in casa Tajoli c’è qualcosa che non va. Alle prime luci dell’alba i vicini si precipitano nel piccolo appartamento pronti a offrire aiuto e, soprattutto, consigli alla giovane coppia. Mamma Antonia, disperata di fronte al pianto continuo del piccolo implora papà Francesco di cercare un altro medico, uno che possa capire cos’ha suo figlio, cosa lo ha ridotto così, quale sia la ragione del male che lo tormenta. «È domenica. Come faccio a trovare un medico? Oltre al nostro non ne conosco nessuno. E poi il nostro ha detto che dobbiamo aspettare...». Interviene una vicina: «Glielo do’ io l’indirizzo di un dottore bravo, ma abita in centro...». L’uomo memorizza le indicazioni e, nella mattina un po’ distratta del giorno di festa, corre come un pazzo per la città deserta a cercarlo. Con l’arrivo del nuovo medico sembra ripetersi un film già visto. Visita accuratamente il bambino, lo ausculta e poi allarga le braccia: «Non capisco. È uno strano male. Non vorrei che... ma no... Eppure potrebbe essere. Non vorrei allarmarla, signora, ma da quello che ho letto, alcuni sintomi sembrano quasi quelli della ‘paralisi infantile’. È una malattia nuova che sta dando luogo a varie epidemie. La chiamano poliomielite e non è facile da curare. Ma prima di fasciarci la testa stiamo a vedere...». La donna prega e veglia accanto alla culla mentre passano lente le ore di quella triste domenica. Verso sera la febbre inizia a calare. Il bambino si lamenta sempre meno e pian piano il viso riprende i colori normali. «È passata. Guarda Francesco, sta meglio. Altro che paralisi infantile, il mio bambino è guarito. Dio, che paura...» Lo prende in braccio, lo appoggia in piedi sul tavolo e, con terrore, si accorge che Luciano non fa più forza sulle gambe. Lo alza e lo rialza ma i due arti si afflosciano e ricadono inerti. È poliomielite.


25 aprile, 2021

25 aprile 1913 – Earl Bostic, il jazzista che non disprezzava il rhytm and blues

25 aprile 1913 a Tulsa, in Oklahoma nasce il clarinettista e sassofonista Earl Bostic. Comincia a suonare il clarinetto quando è ancora ragazzo, perfezionandosi negli studi di musica all'università di Xavier a New Orleans, seguendo dei corsi di armonia, teoria e composizione e cimentandosi con vari strumenti. È ancora adolescente quando ottiene i suoi primi ingaggi professionali con le orchestre che suonano sui battelli fluviali e in particolare con quelle di Charlie Creath e di Fats Marable senza peraltro incidere dischi. Nei corso degli anni Trenta si trasferisce a New York dove lavora con le orchestre di Edgar Hayes, Don Redman, Hot Lips Page e Cab Calloway, prima di formare una sua orchestra nella quale suona tutti i sassofoni, il clarinetto, la tromba e la chitarra, mettendo a frutto le lezioni prese all'università di Xavier. Nel 1939 viene ingaggiato per la prima volta dall'orchestra di Lionel Hampton, con la quale registra i suoi primi dischi degni di nota. Nel 1941 è al Mimo's Club di Harlem alla testa di una sua formazione con la quale lavora per circa due anni. Successivamente si riassocia ad Hampton e a partire dal 1945 comincia ad agire come capo orchestra evolvendo il suo stile. Se i suoi primi dischi registrati per la Majestic possono ancora farsi rientrare nel filone swing, infatti, quelli successivi, registrati per la Gotham e la King appartengono più al rhythm and blues che al jazz, anche se si tratta di un rhythm and blues di alto livello, sia per la sua indubbia abilità solistica, sia per le sue rilevanti doti di arrangiatore, sia infine per l'apporto di prim'ordine forbitogli dal musicisti di cui si avvale: da John Coltrane a Stanley Turrentine, da Blue Mitchell a Benny Goison, da Benny Carter a Sir Charles Thompson, da Barney Kessel a Joe Pass. Le sue registrazioni di Temptation, Flamingo, Sleep, Moonglow, Cherokee, vendute in milioni di copie, gli danno una straordinaria popolarità, contribuendo ad avvicinare al jazz molti giovani provenienti dal rhythm and blues. Muore nel 1965 a soli cinquantadue anni.


24 aprile, 2021

24 aprile 1975 – L’ultimo squalo

Il 24 aprile 1975 viene prodotta l’ultima Citroën Ds. È una 23 i.e. di colore blu. Dopo 1.456.115 vetture (1.330.755 prodotte in Francia, il resto in Gran Bretagna e Belgio) la linea di montaggio della Ds si ferma per sempre. Per i francesi resta per sempre la “Dea”, una sorta di maestosa divinità delle strade, anche grazie al gioco di parole (Ds in francese si legge “Déesse”, come il termine che significa appunto “Dea”). Nell’immaginario collettivo dell’Europa però la Ds è “lo Squalo”, un placido, sonnacchioso e indistruttibile squalo pronto a divorare chilometri di strada con sicurezza e affidabilità. Quando viene presentata per la prima volta al pubblico il 5 ottobre 1955, all’apertura del Salone dell’Automobile di Parigi, segna un salto di qualità nelle tecniche di costruzione. Si può dire che al suo apparire tutte le altre auto appaiono improvvisamente superate. Quel salone sancisce un successo incredibile con un migliaio di prenotazioni nella prima ora, che diventano più di diecimila il primo giorno e circa ottantamila a fine esposizione. Un bel risultato per una vettura non proprio alla portata di tutte le tasche visto che costa 930.000 franchi (oltre 25.000 Euro di oggi!). Per dare un’idea della qualità delle innovazioni basta pensare che ancora oggi le soluzioni tecniche adottate dalla Ds sono utilizzate, sia pur con qualche ammodernamento, su moltissimi modelli. È il caso del cambio semiautomatico, delle sospensioni autolivellanti o del ripartitore di frenata, soltanto per fare qualche esempio. Un bel risultato per un’auto la cui progettazioni si può dire inizi nel 1938 quando Pierre Jules Boulanger, allora presidente della Citroën lancia l’idea della VGD (Vehicle à Grande Diffusion), una vettura di classe superiore, altamente tecnologica e dall’aerodinamica innovativa. Il lancio dell’auto è fissato per il 1940, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale cambia le prospettive. Gli studi riprendono nel 1950. Ci si mettono in tre: l’ingegnere André Lefebvre, il meccanico-stilista Flaminio Bretoni e il geniale sperimentatore idraulico Paul Magès. La Ds è pronta già nel 1954, ma allo Squalo manca un motore adeguato. Inizialmente si pensa a un sei cilindri totalmente nuovo, ma le difficoltà costringono il team di progettisti a ripiegare sul già collaudato motore della Traction 11 Cv aggiornandolo. Superato anche l’ultimo ostacolo la Ds è pronta a farsi ammirare dal mondo e a lasciare un segno indelebile nella storia dell’automobilismo.

23 aprile, 2021

23 aprile 2004 – I Radiodervish e i 100.000 uccelli di Simurgh

Il 23 aprile 2004 i Radiodervish presentano il loro nuovo album intitolato In search of Simurgh. Lo fanno raccontando una storia. Centomila uccelli partono alla ricerca del Simurgh, il loro re. Per trovarlo devono attraversare sette valli: dell’Amore, della Conoscenza, del Distacco, Dell’Unificazione, dello Stupore, della Privazione e dell’Annientamento. Partono in centomila, arrivano in trenta e scoprono che il re che cercano sono loro (Simurgh significa infatti “trenta uccelli”). Proprio a questa metafora del cammino della conoscenza, descritta da Farid ad-din Attar nell’opera “Mantiq al-Tayr”, un poeta sufi vissuto fra il 1100 e il 1200 e pubblicata in Italia con il titolo “Il verbo degli uccelli”, si ispira l’album In search of Simurgh. Due anni dopo Centro del mundo il duo italo-palestinese formato da Michele Lobaccaro e Nabil Salameh si ripropone al pubblico con un lavoro insolito, una sorta di suite orientale apparentemente slegata dalle loro precedenti fatiche discografiche. È un lungo volo in una terra fantastica popolata da re e principesse, da fanciulle con il volto di luna e da sufi erranti, sembra un concept album… «Ciò che appare è… - commenta Michele Lobaccaro – in effetti questo per i Radiodervish è un progetto speciale in un territorio sospeso tra la musica e la letteratura che ci affascinava da tanto tempo. Abbiamo fatto un’incursione in Oriente…». Incursione? Non è un termine un po’ forte? «Di questi tempi tutto è forte quando si parla di occidentali che si rivolgono all’oriente. La nostra incursione, però, a differenza di quel che accade con gli americani e gli occidentali in questo periodo, non ha lasciato morti sul terreno e ha stabilito un ponte tra culture». Non è singolare che riusciate a realizzare questo progetto di incontro culturale proprio nell’aprile 2004 mentre qualcuno tenta di innalzare steccati e di mettere in atto drammatiche prove di forza? «Abbiamo voluto farlo adesso anche per costruire un territorio di pace, fuori dal terrore della guerra, un rifugio che consoli lo spirito senza far perdere la consapevolezza della realtà. Siamo contro questa guerra assurda non da oggi e spesso abbiamo pagato il prezzo delle nostre posizioni». Tornando all’album, si può dire che i testi pesino meno delle altre volte… «Non è solo una questione di peso. Direi che il rapporto tra testo e musica esce dai classici schemi della forma canzone e prova a muoversi su un piano più articolato. È un progetto speciale per far scoprire al nostro pubblico nuovi orizzonti non soltanto musicali». Leggero, delicato e intenso di profumi, In search of Simurgh come gli altri lavori dei Radiodervish parla tante lingue distinte, ma legate da un progetto comune, quasi a dimostrare che «…gli uomini sulla Terra sono uccelli di diverso piumaggio, ciascuno con il proprio tipo di musica e il proprio canto…» come recita la citazione da el-Ramak trascritta sulla prima pagina del libretto che lo accompagna.