07 ottobre, 2021

7 ottobre 1948 – Quattro ruote sotto un ombrello, nasce la Citroën 2Cv

Il 7 ottobre 1948 la Citroën 2 Cv viene presentata per la prima volta al Presidente della Repubblica Francese. “Quatre rues sous un parapluie”, quattro ruote sotto un ombrello, così nella casa d’oltralpe avevano definito negli anni Trenta l’idea di un’utilitaria ridotta all’essenziale per quel che riguarda gli accessori, ma robusta, capiente ed economica. Nel 1935, l’anno della scomparsa di André Citroën, il fondatore della casa automobilistica tocca a Pierre Boulanger dettare le caratteristiche di un’auto destinata a favorire una rapida motorizzazione di massa della Francia. Il suo nome provvisorio era TPV, acronimo di Toute Petite Voiture (Vettura piccola in tutto), e le linee progettuali dovevano garantire due posti a sedere, una capacità di carico tale da consentire il trasposto di 50 kg. di patate o una damigiana di vino, una struttura robusta per poter percorrere le strade sterrate del tempo, grande facilità di guida, economicità nei consumi (non più di tre litri ogni cento chilometri) e una velocità massima di almeno sessanta chilometri orari. La TPV è pronta per il pubblico nel 1939 in occasione del Salone dell’Automobile francese di quell’anno, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale sembra spegnere per sempre il sogno di Boulanger. La TPV resta un segreto ben custodito dallo staff della Citroën fino al 7 ottobre 1948 quando la 2 Cv viene presentata per la prima volta al Presidente della Repubblica Francese. Il modello è praticamente lo stesso ideato nel 1935 dallo stesso Boulanger, nel frattempo divenuto amministratore delegato della Citroën e realizzato dall’ingegnere meccanico André Lefevre su una carrozzeria dello stilista meccanico Flaminio Bertoni che la leggenda vuole sia stata disegnata in una sola notte. Rispetto al progetto della TPV i cambiamenti sono modesti ma sostanziali. Il raffreddamento ad aria viene preferito all’originario radiatore ad acqua, mentre le strutture della carrozzeria sono in acciaio e non in una mescola di magnesio e alluminio. Per la verità ci sono anche due tergicristalli invece di uno e un cambio a quattro marce invece di tre, ma questi piccoli cambiamenti sono una sorta di aggiornamento tecnico di un progetto che ha avuto origine più di dieci anni prima. In quel Salone diventa realtà il sogno di un’auto capace di affascinare milioni di uomini e donne in tutto il mondo con il disegno buffo della sua carrozzeria, la sua economicità e la sua praticità. Al suo primo apparire la 2 Cv non viene accolta con grande entusiasmo dalla stampa specializzata e dai critici. In molti ne criticano la linea, giudicata un po’ azzardata e goffa, e lo scarto apparentemente eccessivo tra le grandi dimensioni della carrozzeria e la piccola cilindrata del motore. Non mancano i burloni dediti a inventare storie inventate di sana pianta, come quella che la lamiera ondulata utilizzata per rendere più forte la grande carrozzeria era stata recuperata dalla rottamazione delle saracinesche dei negozi francesi danneggiate dalle vicende belliche. Questi atteggiamenti, però, non durano a lungo. Bastano alcune prove su strada per far cessare ironie e motteggi. I giudizi superficiali si tramutano in consensi e in pochi mesi le prenotazioni della vettura salgono vertiginosamente. Nel 1951, tre anni dopo la sua prima presentazione, chi vuole acquistare una 2 Cv deve rassegnarsi a un tempo di consegna non inferiore ai diciotto mesi. Senza cambiare mai forma esteriore se non in qualche dettaglio non sostanziale, la vettura ideata nel lontano 1935 attraverserà da protagonista più di quarant’anni di storia e la sua produzione cesserà definitivamente soltanto nel 1990.

06 ottobre, 2021

6 ottobre 2004 - Le CocoRosie in tour con Devendra Banhart

Il 6 ottobre 2004 inizia in Italia quello che negli ambienti dell’indie rock è considerato un po’ il tour dell’anno. Ci si riferisce all’accoppiata tra la genialità stralunata di Devendra Banhart e i giochi sonori sottili e metafisici delle sorelle Casady, in arte CocoRosie. La notizia non è tanto il fatto che arrivino nel nostro paese (sia Banhart che le CocoRosie hanno già fatto più di una capatina da queste parti), ma l’idea di accoppiarli, di farli salire uno dopo le altre sullo stesso palco in un momento felice della loro carriera. La critica in quel periodo ha definito, senza aggettivi o filtri di moderazione, “un genio” Devendra Banhart, una sorta di meticciato naturale in cui si incrociano Venezuela, India e Stati Uniti. Alchimista dei sentimenti sta regalando al mondo emozioni fortissime che affondano le loro radici nelle atmosfere degli anni Settanta e nei colori di un mondo che non esiste più se non nei sogni e nella nostalgia. I suoi tempi non sono quelli del marketing. Non si è ancora raffreddato il successo dell’album Rejoicing in the hands che già incalza un nuovissimo lavoro in studio, Niño rojo, un disco capace di incarnare fino in fondo l’acid folk dei grandi concerti a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. La strada su cui si muove è quella dei grandi cantautori americani, fatta di canzoni leggere in cui basta il suono della chitarra acustica per ritrovarsi nella scena finale di “Zabriskie Point”. Sembra non curarsi dell’essere diventato un caso discografico. In ogni situazione il suo atteggiamento è quello di chi si è trovato per caso in un posto lontanissimo da quello in cui avrebbe voluto essere. La leggerezza e la semplicità sono il risultato di un lavoro compositivo che sembra quasi giocare con la memoria e le emozioni di chi ascolta. Nei suoi brani, di volta in volta, si possono ritrovare l’essenzialità del deserto, i colori della psichedelia, gli echi del glam, ma anche del blues targato Robert Johnson o delle menate solitarie di Tim Buckley. Dal vivo queste caratteristiche vengono amplificate dal personaggio. È come se Tom Waits al posto di pestare i tasti nei bar fumosi, avesse imbracciato la chitarra e si fosse lasciato conquistare dalle comuni hippie. Sul palco appare indifferente, quasi fosse sospeso per aria. Imbraccia la chitarra e senza alzare mai il volume della voce inizia a raccontare le sue storie seduto nella posizione del loto. A complicare e rendere più stuzzicante il tour che sta per partire c’è, poi, il duo femminile delle Coco Rosie, formato da Sierra e Bianca Casady, due sorelle americane cittadine del mondo, una “brava” e una “cattiva” ragazza legate da un intricato rapporto artistico più solido della comunione di sangue. Sierra, la brava ragazza senza grilli per la testa, ha nel suo bagaglio esperienze gospel e lunghi studi da cantante lirica. Bianca, invece, è irrequieta fin da bambina. Si fa affascinare dalla politica, dai tatuaggi, dalle pulsioni sociali e per lungo tempo vive sgolandosi a un angolo di strada con un cappello rivolto ai passanti. La vita finisce per riunirle lontane da casa in un appartamento parigino nel 18° distretto dove decidono di dare vita alle CocoRosie e pubblicano La maison de mon rêve, un album secondo loro ispirato «…alle finestre appannate, agli infiniti giorni di pioggia, al constante sibilo del bollitore e al suono lontano di un'ambulanza».


05 ottobre, 2021

5 ottobre 1919 - La Ferrari, una costola dell’Alfa

La storia della Ferrari comincia il 5 ottobre 1919 quando il mondo dell’automobilismo conosce per la prima volta il nome di Enzo Ferrari, un pilota che fa il suo debutto nella Parma-Poggio di Berceto arrivando quarto. Resterà al volante per una decina d’anni senza infamia né lode, ma, come dirà più tardi: “La mia grande passione non è mai stata guidare le macchine, ma farle nascere”. Nel 1929, abbandonata l’attività di pilota, organizza una scuderia alla quale dà il suo nome. Ne faranno parte, tra gli altri, Nuvolari, Varzi, Campari, Fagioli, Chiron. Corrono con le Alfa Romeo e mietono successi ovunque. La scuderia Ferrari durerà per nove anni fino a quando, nel 1938 Enzo Ferrari verrà nominato direttore sportivo della casa milanese. L’avventura dell’ex pilota modenese all’Alfa durerà, però, pochissimo. Torna a Modena e nel 1939 fonda la Auto Avio Costruzioni sulla base di un accordo con l’Alfa che gli impedisce per quattro anni di costruire automobili. Progetta, assembla e vende motori per aerei da esercitazione, per macchine utensili, ma non auto. L’ex pilota, però, a dispetto degli accordi, realizza la 815, utilizzando parti meccaniche della Fiat. Partecipa con due esemplari alla Mille Miglia del 1940, poi la guerra cancella tutto. Se ne va a Maranello e, passata la bufera, pone le basi a una nuova leggenda sportiva. “Ruba” all’Alfa Gioacchino Colombo, il progettista della 158. Nasce così la Ferrari. La nuova vettura, denominata 125-GT, fa il suo debutto nel maggio del 1947 sul circuito di Piacenza. Al volante c’è Franco Cortesi, che si ritira a due giri dal termine.

04 ottobre, 2021

4 ottobre 1969 - Natalino Otto, un simbolo dei giovani antifascisti

Il 4 ottobre 1969 muore a Milano Natalino Otto, una delle espressioni migliori della canzone italiana. Nato a Cogoleto, Genova, il 24 dicembre 1912, Natale Codognotto, in arte Natalino Otto, viene colpito da poliomielite all’età di tre anni e recupera la funzionalità degli arti inferiori solo grazie a una lunga serie di interventi chirurgici. Nel 1932 suona come batterista nell’orchestra di George Link e successivamente s’imbarca sui transatlantici che fanno la spola tra l'Italia e gli USA. I viaggi al di là dell’oceano gli danno la possibilità di affinare il gusto per le innovazioni ritmiche delle grandi orchestre americane e gli offrono l’occasione di percorrere nuove strade musicali. Nel 1935 lavora anche presso una stazione radiofonica italo-americana di New York. Il suo debutto italiano avviene nel 1937 quando a Viareggio presenta, insieme a un giovane maestro destinato a una grande carriera, Gorni Kramer, un repertorio in buona parte composto da versioni italiane di brani americani. Queste sue prime esibizioni attirano l’attenzione della censura fascista che rileva come il suo stile sia ispirato e condizionato dalla “barbara antimusica negra”. Insofferente a censura e limitazioni di repertorio finisce per essere escluso dalla programmazione radiofonica. Anche le sue canzoni vengono messe al bando, ma i suoi dischi diventano un oggetto di culto per i giovani studenti che li ascoltano quasi come gesto di sfida al regime. Non è facile far capire oggi che cosa abbia rappresentato Natalino Otto per i giovani che negli anni Trenta e Quaranta sentivano il peso di dover vivere nell’Italia fascista. Per averne una vaga idea si può leggere qualche pagina degli scritti di Beppe Fenoglio. Nel romanzo “Il partigiano Johnny” due ragazze sfidano il padre mettendo sul piatto del grammofono Lungo il viale? e in “Appunti partigiani” un paio di ragazzi alla macchia canticchiano Polvere di stelle mentre una giovane donna «…fa le variazioni, alla maniera di Natalino Otto». Con la sua voce fresca e sbarazzina, che gli consente di passare con grande disinvoltura dalla melodia ai ritmi sincopati, il cantante gioca a irridere il provincialismo dell’Italia autarchica e retorica. Le sue canzoni per i giovani dell'Italia degli anni Trenta e Quaranta sono un piacere “a rischio” perché non piacciono alla censura fascista che non ama né l’ironia dei testi, né i riferimenti musicali ai nuovi ritmi che arrivano d'oltreoceano. Tra tutti gli alfieri della cosiddetta “canzone sincopata” di chiara derivazione jazz Natalino Otto appare ancora oggi, a distanza di più di mezzo secolo, il più moderno e fresco. Il merito è dell’intelligenza con la quale gestisce una tecnica vocale sopraffina. Non ha paura di contaminarsi e quando è necessario accetta di avventurarsi anche in territori musicali molto lontani dallo swing. Per questa ragione le sue interpretazioni non appaiono mai scontate, neppure quando si cimentano con brani più vicini alla tradizione melodica italiana che ai ritmi sincopati. Allo stesso modo le sue versioni dei grandi standard statunitensi invece di scivolare sul facile terreno dell’imitazione vengono rielaborati in modo egregio dal suo inconfondibile e personalissimo stile. Dopo la Liberazione cessa l’ostracismo radiofonico e il cantante diventa uno dei protagonisti della canzone italiana del primo dopoguerra. Il 2 giugno 1955 sposa la cantante Flo Sandon’s. Compositore di talento partecipa anche a vari film musicali.


03 ottobre, 2021

3 ottobre 1992 - Il Papa è il tuo nemico

Desta stupore la provocazione messa in atto dalla cantante Sinead O’Connor che il 3 ottobre 1992 nel corso del programma televisivo statunitense “Saturday night live” strappa una foto del papa dicendo «Combatti il tuo vero nemico». Alle reazioni indignate di gran parte delle comunità cattoliche di tutto il mondo replicano il 25 ottobre i giovani fans della cantante i quali, riuniti nella "Sinead Brigade", con la faccia coperta da una maschera che riproduce le sembianze della stessa O’Connor, si riuniscono di fronte alla cattedrale di St. Patrick di New York e strappano allegramente un gran numero di foto del papa.


02 ottobre, 2021

2 ottobre 1932 - Roland Hanna, un maestro e un esempio per i giovani africani

Il 2 ottobre 1932 nasce a Detroit, nel Michigan, il pianista e compositore Roland Hanna. Pianista molto versatile sia in piccoli gruppi che in grandi orchestre inizia la propria attività nel 1967di maggior significato con la big band di Thad Jones e Mel Lewis, offrendo subito un contributo importante al gruppo che stava elaborando un tipo di arrangiamenti molto particolari e densi di swing nei quali le parti solistiche esplodevano dopo una lunga preparazione del sound orchestrale. Proprio in questa logica il pianismo di Hanna regala piccole perle anche sul piano della composizione musicale la Midtown Suite, la Sonata for Cello and Piano, e Song of the Black Knight. Parallelamente all'attività nell'orchestra comincia a insegnare musica ai giovani africani. Nel 1970 questo lavoro ottiene la collaborazione del presidente della Liberia, William Tubman, che gli mette a disposizione le risorse economiche di cui necessita. Nel 1974 lascia l'orchestra di Thad Jones e Mel Lewis e decide di continuare il suo cammino di ricerca come free-lance, esibendosi con gruppi di varia estrazione, fra i quali quello del sassofonista Zoot Sims cui presta anche la sua collaborazione negli arrangiamenti. Muore il 13 novembre 2002 ad Hackensack nel New Jersey.


01 ottobre, 2021

1° ottobre 1955 - Tony Dumas, un bassista di buon dito

Il 1° ottobre 1955 nasce a Los Angeles, in California, il contrabbassista e bassista elettrico Anthony Dumas, detto Tony. A soli dieci anni sa già suonare il pianoforte a orecchio e cinque anni dopo inizia seriamente a studiare il contrabbasso. Dopo aver approfondito le tecniche della musica colta arriva al jazz perché attratto dalle esperienze di musica improvvisata. Tra i suoi punti di riferimento ci sono Ray Brown, Ron Carter Reggie Johnson. Esordisce professionalmente nel 1974 al fianco dell'organista Johnny Hammond. Lavora poi con il chitarrista Kenny Burrell, con il sassofonista Art Pepper e il pianista John Wood. Nel 1977 va in tournée in Giappone con J.J. Johnson, Nat Adderley e Billy Childes, registrando anche dal vivo. In seguito riprende la collaborazione, anche discografica, con Hubbard. È strumentista molto dotato tecnicamente e con un solido bagaglio di conoscenze musicali anche se i critici lo considerano il più tradizionale tra i contrabbassisti della sua generazione. Molto interessante appare il suo lavoro di accompagnamento ne quale mette in luce non solo la pregevolissima tecnica, una diteggiatura agile e insieme, ma anche un’ampia, bella e potente cavata. In più si avvale di un particolare tipo di contrabbasso, il cosiddetto blitz bass, cui viene aggiunta un’estensione al manico che permette, all’esecutore, di ottenere il mi-b, il re, il re-b e il do al di sotto del mi grave.



30 settembre, 2021

30 settembre 1928 - Jon Eardley, una tromba americana in Europa

Il 30 settembre 1928 ad Altoona, in Pennsylvania, nasce il trombettista Jon Eardley. Figlio d'arte assorbe dal padre, trombettista nelle orchestre di Paul Whiteman e Isham Jones, sia la passione per il jazz che quella per la tromba. A quindici anni inizia a suonare in pubblico esibendosi ovunque gliene lascino la possibilità: dalle fiere di paese ai circhi all'aperto alle feste private. Il salto di qualità coincide con il trasferimento a Washington dove, a partire dal 1946 va a prestare il servizio militare. Qui inizia a suonare nell'orchestra di Buddy Rich. Nel 1949, dopo il congedo, si sposta a New York dove viene ingaggiato da Gene Williams con il quale resta per quasi due anni. Successivamente torna ad Altoona per alcuni anni. Riappare sulla scena newyorkese nel 1954 quando lo si vede spesso prendere parte alle jam session ce si svolgono all'Open Door nel Greenwich Village. Verso la fine di quell'anno suonare con Gerry Mulligan che ha appena chiuso la collaborazione con Chet Baker. Gerry ingaggia Eardley per una tournée europea e poi lo tiene con sé fino al 1956. Più apprezzato in Europa di quanto non lo sia in patria decide di trasferirsi nel vecchio continente dove continua l'attività fino ai primi anni Ottanta. Muore il 1° aprile 1991 a Lambermon, un paesino nelle vicinanze di Verviers in Belgio.




29 settembre, 2021

29 settembre 1942 - Felice Gimondi, uno dei più tenaci rivali di Merckx

Il 29 settembre 1942 nasce a Sedrina, in provincia di Bergamo Felice Gimondi. In molti si sono chiesti quale sarebbe stata la sua carriera di se il destino non gli avesse messo sulla strada un feroce concorrente come Eddy Merckx. Oggi probabilmente parleremmo di lui come di un campione capace di stabilire record irraggiungibili. Quando passa professionista, nel 1965, ha già alle spalle la prestigiosa vittoria al Tour de l’Avenir, la versione per dilettanti del Tour de France. Non fa in tempo ad adattarsi all’ambiente dei professionisti e già sfila sugli Champs Elysées di Parigi con la maglia gialla del vincitore dell’edizione del 1965 del Tour de France. Nel giro di dodici mesi ha centrato un’accoppiata che lo fa entrare nella leggenda. Non ha ancora compiuto ventitré anni. Sembra l’inizio di una marcia inarrestabile ma l’arrivo di un fenomeno come Eddy Merckx finirà per rendere meno strepitosa una carriera ricca comunque di successi e di soddisfazioni. Ancora oggi è il corridore che è salito più volte sul podio del Giro: 3 volte primo, 2 volte secondo, 4 volte terzo. Il bergamasco precede di due lunghezze in questa singolare graduatoria la coppia leggendaria del ciclismo italiano, Coppi e Bartali, ai quali, però, la Seconda guerra mondiale ha negato per cinque edizioni (1941-45) la possibilità di disputare il Giro d’Italia. Muore il 16 agosto 2019 a Giardini-Naxos.


28 settembre, 2021

28 settembre 2004 - Sylvie Vartan decide di festeggiare i suoi sessant'anni con un tour

Il 28 settembre 2004 con la prima di una decina di repliche al Palais des Congrès di Parigi prende il via il tour con il quale festeggia i suoi sessant'anni Sylvie Vartan, la biondina francese che una quarantina d'anni prima ha conquistato l'Italia cantando con l’aria sfrontata parole ingenue che scandalizzavano gli adulti ed erano impugnate come una bandiera dalle ragazzine: «Come un ragazzo ho i capelli giù/porto il maglione che porti tu/e con la cinta mi tengo su i pantalon/Come un ragazzo mi ostino un po’/e quando guardi negli occhi miei/non sono quella che abbassa mai/per prima i suoi…Come un ragazzo ho una moto che/tocca i duecento quando mi va/e una gang di amici che/da retta a me/Come un ragazzo per la città per la città/cammino e vado di qua e di là/non ho paura di gente che/ce l’ha con me…». Negli anni Sessanta era divenuta, anche nel nostro paese, insieme a un pugno di antesignane delle attuali riot girls, uno dei simboli pop della nuova voglia di protagonismo delle adolescenti. Non era l’unica, ma era forse considerata un po’ speciale anche grazie alla sua lunga storia d’amore con Johnny Hallyday, il rocker ribelle d’oltralpe. La sua popolarità in Italia è stata grande, ma si è bruciata rapidamente. Da noi Sylvie Vartan è stata poco più d’una meteora. Un pugno di canzoni, qualche trasmissione televisiva e poi, siccome non si può restare giovani per sempre, alla prima rughetta d’espressione sul bel faccino, più niente. In Italia gli uomini e soprattutto le donne di spettacolo che invecchiano non possono vivere altro che nel ricordo, nell’immagine riprodotta della gioventù. Il sistema mediatico che ha eliminato la vita vera dall’immaginario collettivo non può sopportare, salvo rarissimi casi, l’incedere del tempo, la naturale decadenza del fisico. Anche a Sylvie succede, ma solo in Italia. Quando le luci mediatiche da noi si spengono lei continua a lavorare nel suo paese, la Francia. Lì la giovane italo-bulgara Sylvie, figlia di Georges, attaché dell’ambasciata francese a Sofia, e di Ilona non è mai stata considerata un banale evento generazionale. Lo star system francese lascia che siano la sua voce, più che il suo faccino, a scrivere le tappe di una carriera che con il passare del tempo si fa sempre più importante. La sua popolarità non muore quando si lascia alle spalle i brani della fase adolescenziale, i concerti all’Olympia con i Beatles, Trini Lopez e tanti altri. Passa anche attraverso un paio di devastanti incidenti stradali, il secondo dei quali le lascia segni pesanti sul viso cancellati quasi totalmente da una lunga serie di interventi chirurgici. Anche la fine della sua lunga storia con Johnny Halliday non lascia traccia sul suo destino. Attraversa gli anni Settanta, e poi gli Ottanta e poi ancora i Novanta maturando come interprete, misurandosi con progetti sempre nuovi ed evitando di farsi rinchiudere nell’angusto recinto della nostalgia. La biondina dallo sguardo sfrontato lascia il posto a una signora della canzone per la quale si spendono grandi autori, da Cocciante a Barbelivien, da Michel Jouveaux a Jay Alanski, alla coppia Marc Lavoine/Aboulker, a Murat che per lei mette in musica una poesia di Baudelaire. Nel 1998 la Francia le conferisce la Legion d’Honneur all’Eliseo e l’anno dopo lei ringrazia portando all’Olympia un recital dedicato alla canzone francese dei primi anni del Novecento e alla figura della leggendaria cantante Mistinguette. I suoi sessant’anni vengono festeggiati con la pubblicazione di un’autobiografia intitolata “Entre ombre et lumière” (Tra luci e ombre), con un nuovo album che sulla copertina ha soltanto il suo nome Sylvie e, soprattutto, con il lungo tour dal vivo che inizia proprio il 28 settembre.



27 settembre, 2021

27 settembre 1997 - ...quel giorno Dylan cantò per Wojtyla

Il 27 settembre 1997 Bob Dylan partecipa a Bologna a un concerto nell'ambito del Congresso Eucaristico. L'evento è caratterizzato dalla presenza del Papa al quale alcuni ragazzi leggono i testi di Forever young e Blowin' in the wind prima dell'esibizione del cantautore. Quando Bob Dylan sale sul palco, forse perché è reduce da una serie di cure per problemi cardiaci appare gonfio e dà l'impressione di essere sofferente. La canzone d'apertura del suo breve concerto è Knockin' on heaven's door. La band che l'accompagna è composta da Dave Kemper alla batteria, Larry Campbell alla chitarra, Bucky Baxter al dobro e ai cori e Tony Garnier al basso. Il Papa assiste al concerto seduto su una specie di scranno collocato lateralmente al palco. La seconda canzone è A hard rain's a-gonna fall. Al termine del brano Tony Garnier si avvicina a Dylan e gli annuncia che può andare a salutare il Papa. Il cantautore si toglie il cappello e lo raggiunge. Dopo il breve omaggio torna sul palco e chiude l'esibizione con Forever young, un esplicito omaggio a Wojtyla.

26 settembre, 2021

26 settembre 1954 - Carla Bissi, in arte Alice

Il 26 settembre 1954 nasce a Forlì la cantante Carla Bissi, oggi più conosciuta come Alice. Nel 1971 vince con il suo vero nome il Concorso di voci nuove di Castrocaro e partecipa al Festival di Sanremo dell’anno successivo sempre come Carla Bissi con il brano Il mio cuore se ne va. Sempre nel 1972 vince la Gondola d'Argento, a Venezia, con La festa mia. Dopo alcuni dischi e un paio di album senza particolare successo, nel 1978 decide di lasciare per un po’ le scene. Nel 1980 con il nome di Alice Visconti e la produzione di Franco Battiato e Giusto Pio pubblica l'album Capo Nord da cui viene estratto un singolo di grande successo: Il vento caldo dell'estate. Divenuta semplicemente Alice, nel 1981 con il suo brano Una notte speciale entra nelle classifiche di mezza Europa. Il 5 maggio 1984 partecipa all'Eurofestival in coppia con Franco Battiato con il brano I treni di Tozeur e nel 1985 ottiene il premio Tenco come miglior interprete femminile. Negli anni successivi tende ad approfondire le esperienze di collaborazione con grandi musicisti non rinunciando a cimentarsi anche con autori "difficili" come Satie, Faurè e Ravel e privilegiando sempre la qualità del suo lavoro rispetto alle possibilità commerciali.


24 settembre, 2021

24 settembre 1872 - Isidore Barbarin, fedele al jazz delle origini

Il 24 settembre 1872 nasce a New Orleans, in Louisiana, Isidore Barbarin, padre di Louis e di Paul suonatore di mellophon, corno e tuba, uno dei protagonisti del jazz delle origini. Nel 1889 a soli diciassette anni entra a far parte della Onward Brass Band con la quale resta fino al 1898. Successivamente suona nella prestigiosa Excelsior Brass Band diretta da Theogene V. Baquet, una formazione nella quale si avvicendano musicisti del calibro di Lorenzo Tio, John Robichaux, James Williams, George Baquet e Alphonse Picou. Chiusa l'esperienza con la Excelsior passa all'altrettanto celebre Tuxedo Brass Band di cui fanno parte i cornettisti Joe Howard e Louis Dumaine e il clarinettista Alphonse Picou che è già stato suo partner nella Excelsior. Di fronte all'irrompere sulla scena jazz di nuovi stili rifiuta di adeguarsi e continua imperterrito a darsi da fare nei locali di New Orleans. Dopo la seconda guerra mondiale in pieno clima New Orleans Revival, ha avuto l'opportunità di tornare alla ribalta Muore a New Orleans il 2 giugno 1960.


23 settembre, 2021

23 settembre 1928 - Michel Gaudry, un disegnatore al contrabbasso

Il 23 settembre 1928 a Eu, nel dipartimento Seine Maritime, in Francia, nasce il contrabbassista Michel Gaudry. La sua prima educazione musicale avviene su strumenti diversi da quello che gli procurerà la fama. Quando è ancora un giovane studente di arti grafiche si dedica con passione allo studio del pianoforte e del clarinetto. Più grandicello, mentre lavora come disegnatore al Genio Civile, frequenta i club jazzistici di Parigi, soprattutto “Les Lorientais”, che in quel periodo è un po’ il regno di Claude Luter. Nelle lunghe serate parigine si innamora del contrabbasso e quando per lavoro è costretto a trasferirsi in Svizzarea decide di studiarlo sul serio. Si iscrive al conservatorio e si esercita esibendosi in un trio. Quando torna in Francia è pronto per il salto di qualità. Scritturato dal pianista Art Simmons inizia a suonare al Mars Club dove resta per moltissimi anni, accompagnando con il suo contrabbasso personaggi come Dexter Gordon, Lee Morgan e Billie Holiday. Passa poi ad altri club parigini, soprattutto al Blue Note dove suona con Kenny Drew e Art Taylor. La sua attività non si esaurisce nel jazz. Il suo contrabbasso accompagna anche molte stelle del varietà parigino, come Georges Moustaki, Barbara, Serge Gainsbourg e Joséphine Baker. In più è il contrabbassista della Swing Machine di Gérard Badini fin dall'epoca delta sua formazione. La grafica e il disegno, cioè quelle arti che dovevano essere il suo mestiere, invece, diventano il suo hobby: Michel Gaudry firma per molto tempo gran parte delle vignette umoristiche della rivista “Jazz Magazine”.


22 settembre, 2021

22 settembre 1922 - Blind Donald Dawson, il pianista non vedente che trovò la fortuna in Inghilterra

Il 22 settembre 1922 nasce a Cobleskill, New York, il pianista Blind Donald Dawson, all'anagrafe Donald Arthur Dawson. Rimasto orfano a tre mesi e praticamente cieco dalla nascita frequenta la Batavia School For The Blind, un istituto per non vedenti della vicina città di Buffalo. La sua menomazione non gli impedisce di coltivare la passione per la musica. Cominciato a esibirsi in pubblico nel 1940, a diciott'anni, suonando sia il pianoforte che il violino nelle feste e nei locali. Stabilitosi ad Albany, dal 1945 suona in un'orchestra locale come organista e pianista. Più tardi appare in veste di solista al Brass Rail di Troy. Dopo aver lavorato per molti anni con gruppi di soul music, nel 1973 scoperto da Kip Lornell ottiene un buon successo in Gran Bretagna pubblicando vari dischi con l'etichetta discografica Flyright. Muore a New York il 12 febbraio 1999.


21 settembre, 2021

21 settembre 2002 - Peter Gabriel e l'album del plenilunio

Il 21 settembre 2002 arriva nei negozi l'album Up di Peter Gabriel. Spontaneità e improvvisazione sono due termini che non appartengono al vocabolario personale dell'ex leader dei Genesis che ha sempre cercato di non lasciare quasi niente al caso. Se fosse rivolto a qualcuno dei suoi colleghi un giudizio come questo suonerebbe negativo, ma nel suo caso non è così, anzi diventa l'indicatore di una ricerca costante e un'insoddisfazione di fondo così lontane dai tempi e dalle regole del music business da diventare quasi un gesto rivoluzionario. Son passati dieci anni da quando ha pubblicato l'ultimo disco compiuto, dieci anni nei quali ha trovato modo di cambiare idea più volte non solo sulla musica, ma anche sulla propria vita, visto che nel frattempo ha divorziato, ha trovato una nuova compagna, è diventato padre e, in concomitanza con la conclusione dell'album, ha deciso anche di risposarsi. Così, a distanza di sette anni dall'inizio della lavorazione è arrivato Up, un disco nuovo i cui brani al momento dell'uscita sono già quasi tutti stati testati da tempo via Internet. Il buon Peter racconta che gli undici pezzi sono stati scelti tra circa centotrenta, lasciando intendere che la sua ricerca non era orientata a selezionare il meglio del meglio, ma semplicemente a infilare una serie di temi musicali utili a dare un senso all'idea che aveva in mente. Visto il numero dei brani scartati e considerando che la musica è come il maiale (non si butta via niente) c'è chi sospetta che ci si debba attendere a breve termine una nuova serie di album. Conoscendo Peter, tutto può essere, ma non è detto. Per evitare figuracce non conviene dare per scontato niente quando si parla di un musicista che più volte ha preso a calci regole, gloria e logica per inseguire un sogno nuovo. Up è disponibile nei negozi a partire dal 21 settembre, in coincidenza con il plenilunio. Quella delle fasi lunari è una "flippa" che da tempo cattura l'attenzione dei frequentatori del suo sito ufficiale, ormai divenuto una sorta di club dei lunatici. Anche la messa in rete della anticipazioni dei brani ha coinciso con le fasi di luna piena. Il lavoro di ricerca si sente fin dal primo brano, quel Darkness, nel quale ci si ritrova a visitare la "casa nel bosco", che contiene le paure e le fantasie della fanciullezza. L'intero disco è una sorta di lungo viaggio interiore, appoggiandosi a situazioni esterne (spesso poco più di un pretesto musical-letterario) alla ricerca di quell'equilibrio che il musicista dice di aver trovato. Anche dal punto di vista musicale la ricerca è complessa e attraversa l'intera esperienza di Peter Gabriel, non escluso qua e là qualche richiamo, pur se non rivendicato, al periodo dei Genesis. Una curiosità per gli intenditori è rappresentata da More than this, forse il più positivo e ottimista dell'intero album, di cui si racconta che Peter abbia scritto anche la partitura per la chitarra, uno strumento che non ha mai imparato a suonare e che usa in modo decisamente naïf, con manipolazioni e campionamenti d'ogni tipo. A far da trailer al lavoro è stato scelto The Barry Williams Show, un brano che mette alla berlina la cosiddetta "TV verità" e stabilisce un collegamento tra le disfunzioni comportamentali e la televisione di massa. «La televisione è gradevole, ma pericolosa e, come accade per i medicinali, va assunta in dose giusta. Io se resto esposto al tubo catodico per più di mezz'ora divento uno zombie». Il disco è tutto suo. Per la prima volta s'è occupato interamente della produzione, anche se nella fase finale del missaggio ha chiesto un aiutino a Tchad Blake, cui si è aggiunto Stephen Hague per il missaggio di I Grieve. Sempre per non lasciare niente al caso ha radunato una serie di musicisti navigati come il chitarrista David Rhodes, il bassista Tony Levin e il contrabbasso di Danny Thompson, più la solita serie di batteristi e percussionisti che lui, ex batterista, non manca mai di schierare: Manu Katche, Ged Lynch, Dominic Greensmith, Will White, Ged Lynch, Mahut Dominique e Hossam Ramzy. Tra le voci che intervengono ci sono quelle dello scomparso Nusrat Fateh Ali Khan, di sua figlia Melanie e degli arzilli anzianotti che compongono i Blind Boys of Alabama. Tra gli ospiti, infine, sono ancora da citare il chitarrista Daniel Lanois e l'immancabile Peter Green, uno suoi miti adolescenziali.



20 settembre, 2021

20 settembre 2003 - Gordon Mitchell, il Maciste più amato dal pubblico

Il 20 settembre 2003 muore l'attore Charles Pendleton, in arte Gordon Mitchell. Ha ottant'anni. Nasce infatti a Denver, in Colorado, il 29 giugno 1923. Dopo il divorzio dei suoi genitori si trasferisce con la madre a Inglewood, in California. Infanzia e giovinezza trascorrono tra le fatiche degli studi e la passione per la palestra dove inizi a praticare il culturismo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale parte per il fronte dove viene catturato dai tedeschi e rinchiuso in un campo di prigionia da cui esce soltanto al termine del conflitto. Tornato a casa, dopo essersi laureato in biologia e anatomia inizia a lavorare come insegnante. Richiamato sotto le armi per la guerra di Corea, dopo il congedo definitivo si trasferisce a Santa Monica, in California, dove entra a far parte del ristretto gruppo dei più famosi culturisti di quel periodo. Nel 1955 debutta nel cinema con una piccola parte non accreditata in "L’uomo dal braccio d’oro" di Otto Preminger e l’anno dopo viene scritturato da Cecil B. De Mille per "I dieci comandamenti" nel quale interpreta il ruolo di uno dei torturatori di Charlton Heston. A partire dagli anni Sessanta arriva in Italia e diventa una delle stelle dei peplum facendosi apprezzare come uno dei più amati interpreti del ruolo di Maciste. Con l’esaurirsi del filone passa a generi diversi come il western, il poliziesco e la fantascienza. Federico Fellini gli affida una parte in "Satyricon" e John Huston lo scrittura per il suo "Riflessi in un occhio d'oro". Non abbandonerà mai il cinema fino alla morte che lo coglie a Marina del Rey, in California, il 20 settembre 2003.


19 settembre, 2021

19 settembre 1927 - Peter Van Wood, tra canzone e astrologia

Il 19 settembre 1927 a L’Aia, in Olanda, nasce Peter Van Wood. All’età di quattordici anni comincia a suonare la chitarra prima da autodidatta e poi al Conservatorio Reale d'Olanda dove riesce a farsi ammettere pur essendo ancora giovanissimo grazie al suo talento precoce. In quel periodo conosce e resta affascinato dalle tecniche dei grandi chitarristi di scuola jazz d’oltreoceano. Parallelamente agli studi accumula esperienza sul campo suonando in concerti classici o nelle piccole formazioni jazz che si esibiscono nei locali della sua città. A diciannove anni se ne va in Gran Bretagna trovando ingaggi sia come solista di musica classica che come chitarrista jazz. Instancabile giramondo si esibisce a lungo anche a Parigi e a Lisbona vince un prestigioso concorso internazionale di chitarristi davanti a oltre seicento concorrenti. All’inizio degli anni Cinquanta arriva in Italia ed entra nel trio di Renato Carosone con Gegé Di Giacomo alla batteria. Il successo ottenuto con il gruppo lo stimola a cercare una strada personale. Nel 1954 forma un trio a suo nome e, dopo aver ottenuto un contratto discografico con la Fonit, compone e interpreta una lunga serie di canzoni di successo. Alla fine degli anni Sessanta alla sua attività musicale affianca quella che fino a quel momento era stata soltanto un hobby: l’astrologia. In veste d’astrologo compila gli oroscopi dei giornali più popolari di quel periodo. Più o meno negli stessi anni apre anche l’Amsterdam 19, un locale in Galleria Passarella a Milano dove si esibisce come cantante e chitarrista. Nonostante l’attività d’astrologo Peter Van Wood non abbandona la musica. Nel 1974 pubblica l’album Guitar magic e nel 1982 interpreta la sigla del programma televisivo della “Domenica sportiva”. Nel 2007 cita in giudizio i Coldplay sostenendo che il loro brano Cocks è un plagio della sua Caviar & champagne. È sufficiente ascoltare Butta la chiave, la sua canzone più famosa, per capire il talento e la capacità innovativa di questo ragazzone olandese allampanato che dopo aver girato tutto quasi tutto il mondo si è stabilito in Italia. In quel brano, infatti, viene proposto in chiave molto italiana il “call and response” tra solista e strumento di chiara derivazione jazz. Arrivato nel nostro paese alla fine degli anni Cinquanta contribuisce non poco a innovarne stili, impostazione e sonorità, prima nel trio con Gegè Di Giacomo e Renato Carosone guidato da quest’ultimo e successivamente con una propria formazione a tre. Di tutti i protagonisti di quel periodo Peter Van Wood è quello meno dotato dal punto di vista vocale. In lui non c’è niente del classico interprete dalla voce impostata, a volte vigorosa, ma sempre perfettamente alta e squillante. La sua voce è chiara ma tutt’altro che potente e in qualche momento, complice la difficoltà di cantare in una lingua che non è la sua, evidenzia qualche incertezza e sembra addirittura perdersi sulle sfumature. In questo senso anticipa quello che avverrà negli anni Sessanta quando i cantanti, complice la larga e totale diffusione dell’uso del microfono, presteranno molta meno attenzione alla pasta sonora dell’emissione e ne cureranno di più i dettagli e la carica emozionale, adattando i brani alle peculiarità delle voci fino a far diventare parte dell’espressione canora anche i sussurri più flebili. Se nell’utilizzo della voce attinge ad alcune sperimentazioni jazz adattandole un po’ alle sue caratteristiche, sul piano strumentale può essere considerato un innovatore assoluto visto che è tra i primi in Europa a comprendere le potenzialità offerte dall’elettrificazione della chitarra utilizzando echi, riverberi e varie applicazioni per ottenere nuove sonorità. Muore a Roma il 10 marzo 2010.


18 settembre, 2021

18 settembre 1929 - Teddi King, una delle voci più amate prima del rock and roll

Il 18 settembre 1929 a Boston, nel Massachusetts, nasce Theodora King, destinata a diventare con il nome d'arte di Teddi King, una delle voci femminili più amate dal pubblico statunitense prima della rivoluzione del rock and roll. Fin da giovane studia pianoforte e canto e mentre frequenta le scuole superiori entra a far parte di vari gruppi e compagnie teatrali. La svolta nella sua vita arriva quando vince un concorso per giovani cantanti organizzato da Dinah Shore. Il concorso le apre le porte della scena musicale dell'epoca. Dopo aver cantato con le formazioni di George Graham e Jack Edwards, entra per la prima volta in sala di registrazione accompagnata dal gruppo di Nat Pierce. Dal punto di vista commerciale il disco è un piccolo fiasco ma grazie alla diffusione radiofonica fa conoscere Terri al di fuori dell'area di Boston e le procura varie scritture. In breve tempo canta con Beryl Booker, Jimmy Jones e Ruby Braff ma soprattutto firmare un robusto e ben remunerato contratto con la RCA per la quale incide vari dischi di successo. Tra gli episodi più significativi della sua carriera c'è l'incontro con il pianista londinese George Shearing, avvenuto negli studi di registrazione della Storyville. Il jazzista impressionato dalle doti vocali di Teddi la convoca in sala di incisione per la registrazione di cinque brani e la scrittura per la tournée del suo trio nei Caraibi nel maggio del 1953. Con l'irrompere del rock and roll l'attività solistica della cantante si riduce progressivamente mentre si manifestano i primi problemi causati da ricorrenti disturbi cardiaci. Negli anni Settanta si ritira definitivamente. Muore a New York il 18 novembre 1977.



17 settembre, 2021

17 settembre 1991 - Rob Tyner è morto. Viva gli MC5!

Il 17 settembre 1991 Rob Tyner, l’ex cantante degli MC5, muore d’infarto a Detroit. La sua morte riporta all'attenzione del pubblico la storia del gruppo di cui ha fatto parte. Tutto prende il via all’inizio del 1967 nella città industriale di Detroit dove la protesta giovanile ha contorni ben diversi da quelli un po' ingenui e sognatori degli hippies di San Francisco. Nella città dei motori, infatti, il movimento studentesco si è saldato a pezzi di classe operaia e di proletariato urbano bianco e nero. In questo laboratorio nasce il White Panthers Party, un’organizzazione politica d’estrema sinistra, che qualche tempo dopo si dichiarerà "guevariana". Il principale artefice è John Sinclair, un tipo sveglio che ha intuito le potenzialità del rock come mezzo di comunicazione più immediato per parlare alle nuove generazioni. Per questa ragione affida il compito di diffondere il messaggio politico del movimento agli MC5 (Motor City Five), una band formata da Rob Tyner, Michael Davis, Dennis Thompson, Fred “Sonic” Smith” e Wayne Kramer. Sulle ali di un rock violentissimo i cinque portano in tutti gli Stati Uniti, il messaggio antagonista delle “Pantere Bianche” e all’inizio del 1969 la Elektra pubblica il loro primo, splendido album, Kick out the jams, registrato dal vivo a Detroit il 31 ottobre 1968. All’apice della popolarità diffondono idee di rivolta e fanno a pezzi sul palco la bandiera a stelle e strisce. La reazione non si fa però attendere. Contro il gruppo parte una campagna di stampa senza paragoni, mentre l’FBI mette sotto stretto controllo i cinque musicisti. Vengono diffuse foto che li riprendono in atteggiamenti intimi con le loro compagne, si raccolgono petizioni e, soprattutto, si chiede all’Elektra di ritirare dal mercato l’album, ritenuto indecente ed offensivo. La casa discografica per qualche tempo tiene duro, anche perchè il disco vende bene, ma è poi costretta a cedere alle pressioni ed il 16 aprile 1969 licenzia il gruppo e ritira l’album. È la fine. Mentre il White Panthers Party è bersagliato da più parti, la polizia “trova” addosso a John Sinclair due sigarette di marijuana che gli costano una condanna a ben cinque anni di carcere. Due anni dopo John Lennon scriverà sulla vicenda il brano John Sinclair. Nel 1970 gli MC5, tentano invano di continuare “ammorbidendo i toni” con un paio di album di scarso significato. Di loro non si parlerà più fino al 17 settembre 1991, quando dopo la morte di Rob Tyner un gran gruppo di vecchi militanti delle Pantere Bianche lo accompagna nell’ultimo viaggio. Un mese dopo l’album “maledetto”, Kick out the jams, viene ripubblicato in CD.