Il 23 ottobre 1959 muore in California il batterista Ram Hall. Nato a Sellers, in Louisiana, il 2 marzo 1897 si chiama in realtà Minor Hall ed è il fratello più piccolo del batterista Tubby Hall. Nei primi anni del Novecento si trasferisce con la famiglia a New Orleans. Qui nel 1914 ottiene il suo primo importante ingaggio nella jazz band di Kid Ory dove prende il posto proprio del fratello. Suona poi con il contrabbassista Oke Gaspard e con la Superior Band. Nel 1918 è a Chicago dove sostituisce ancora una volta il fratello Tubby nell'orchestra del clarinettista Lawrence Duhè che si esibisce al De Luxe Café. Nel 1921 è a San Francisco con l’orchestra di King Oliver, ma poco tempo dopo torna a Chicago ingaggiato da Jimmie Noone. Verso il 1927 si trasferisce definitivamente in California dove lavora per parecchi anni con l'orchestra di Mutt Carey e quindi con quella di Winslow Allen. Nel dopoguerra torna a far parte dell'orchestra di Kid Ory con la quale resta praticamente fino quasi alla morte.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
23 ottobre, 2021
22 ottobre, 2021
22 ottobre 1964 - Quando Jean Paul Sarte rifiutò il Nobel
Il 22 ottobre 1964 la giuria dà l'annuncio ufficiale dell'attribuzione del Premio Nobel per la letteratura a Jean Paul Sartre. Lo scrittore francese però decide di rifiutare il riconoscimento creando non poco sconcerto nelle istituzioni culturali di tutto il mondo. Rende pubblico il testo della lettera inviata all'Accademia svedese nella quale spiega «...il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. Ho sempre declinato gli onori ufficiali. Quando nel dopoguerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d'Onore, ho rifiutato malgrado avessi degli amici al governo... Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso...»
21 ottobre, 2021
21 ottobre 1978 - Charly Knegtel, un trombettista che ha lasciato il segno
Il 21 ottobre 1978 il grande trombettista, direttore d'orchestra e arrangiatore Charles Knegtel detto Charly muore a Duffel, la cittadina nei pressi di Anversa, in Belgio, dove è nato il 14 agosto 1926. Nel 1941 inizia i suoi studi musicali al conservatorio di Bruxelles. Il primo strumento oggetto dei suoi studi è il pianoforte. Due anni dopo passa ai corsi di tromba e di armonia. Nel 1946, al termine della seconda guerra mondiale, dà vita alla sua prima esperienza orchestrale formando la Welfare Band insieme all'altro trombettista Jan Mertens. Nel 1950 è in tournée con Willy Rockin e nel 1954 suona con l'orchestra di Leo Souris. Nel 1955 entra a far parte per qualche tempo di un sestetto diretto da Ivon Debie. Parallelamente all'attività come strumentista dal 1953 al 1956 lascia un segno importante come direttore dell'orchestra stabile della casa discografica Ronnex della quale fanno parte Freddy Sunder, Nelly Wysbeck, Johnny Ray e altri. Nel 1956 entra a far parte delle orchestre stabili della Radio e della Televisione belga dirette da Fernand Terby, Francis Bay, Etienne Verschueren e anche da lui stesso. Alla fine degli anni Sessanta si ritira a vita privata.
20 ottobre, 2021
20 ottobre 1927 - Johnny Dankworth, un sax senza tempo
Il 20 ottobre 1927 nasce a Londra il sassofonista Johnny Dankworth. La sua carriera di musicista inizia nei primi anni Trenta quando, giovanissimo, suona con diverse orchestre formate da musicisti inglesi sulle navi in servizio fra Londra e New York. Alla fine degli anni Quaranta suona con diverse formazioni in Inghilterra prima di dar vita, nel 1950 al suo primo gruppo, i Johnny Dankworth Seven con Jimmy Deuchar alla tromba, Don Rendell al sax tenore e Tony Kinsey alla batteria. Il gruppo rimane unito fino al 1953 anno in cui Dankworth decide di formare una big band che, fra alterne vicende e contro ogni previsione più ottimistica, riesce a mantenere unita per moltissimi anni, dimostrando grandi doti di leader, arrangiatore e solista. Sposa poi la cantante Cleo Laine e a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta pur non abbandonando il jazz non rinuncia a sperimentarsi con successo in generi più commerciali. La sua produzione discografica è immensa, soprattutto quella realizzata alla testa della big band. Muore il 6 febbraio 2010.
19 ottobre, 2021
19 ottobre 1967 - Billy Banks, la voce del jazz orchestrale
Il 19 ottobre 1967 muore a Tokyo Billy Banks, uno dei cantanti più amati dai direttori delle grandi orchestre jazz. Nato ad Alton, in Illinois, nel 1908 viene scoperto per caso dal celebre impresario Irving Mills nel 1932 che lo ascolta mentre si sta esibendo in un night club di Cleveland nell'Ohio. Mills lo scrittura e lo inserisce in una lunga serie di registrazioni discografiche di numerosi jazzisti di primo piano. La sua voce entra così in leggendarie incisioni di Henry “Red” Allen, Pee Wee Russell, Joe Sullivan, Eddie Condon, Zutty Singleton, Thomas "Fats” Waller e George “Pops” Foster ancora oggi considerate tra le migliori testimonianze dell'epoca. Approfittando dell'improvvisa popolarità in quello stesso 1932 forma una propria orchestra con la quale suona al “Connie's Inn” di New York. Tornato l'anno dopo a Cleveland, canta in vari gruppi locali. Nel 1934 viene ingaggiato da Noble Sissle con il quale rimane per alcuni anni. Dal 1938 al 1950 si esibisce quasi ininterrottamente al "Diamond Horseshoe", un locale di Billy Rose. Negli anni Cinquanta si stabilisce in Giappone dopo lunghi periodi di permanenza in Asia e in Australia. Ottimo cantante, dotato di notevoli doti jazzistiche è particolarmente adatto per il jazz orchestrale grazie al suo stile vocale che ricorda quello di Cab Calloway.
18 ottobre, 2021
18 ottobre 1975 - K.C. Douglas, uno dei più fedeli interpreti del blues rurale
Il 18 ottobre 1975 muore a Berkeley, in California, il cantante e chitarrista blues K. C. Douglas. Nato a Sharon, nel Mississippi, il 21 novembre 1913 è considerato uno dei più fedeli interpreti del blues rurale. K.C. Douglas muove i suoi primi passi nel mondo della musica all'età di dieci anni e già verso la metà degli anni Trenta si esibisce nell'area di Canton a fianco di suo cugino Walter Deans. Successivamente diventa popolare come animatore musicale di feste ed eventi nella zona di Carthage dove si è nel frattempo trasferito. Dal 1940 al 1945, K.C. Douglas suona a Jackson insieme a Tommy Johnson, Bubba Brown, Cary Lee Simmons, One Legged Sam e altri artisti della regione. Proprio Johnson lo influenza profondamente segnandone lo stile e la scelta del repertorio tanto che i due più famosi blues da lui composti Big Road Blues e Canned Heat entreranno per sempre a far parte della scaletta dei concerti di K. C. Douglas. Dopo l'esperienza a Jackson si trasferisce in California. Siccome la musica non gli basta per vivere lavora per qualche anno nei cantieri navali di Vallejo e contemporaneamente forma un proprio gruppo con l'armonicista Sidney Maiden, il chitarrista Ford Chaney e il batterista Otis Cherry. Pian piano la sua popolarità cresce fino a farlo considerare uno dei maggiori bluesmen d'impostazione classica dell'area di San Francisco. All'inizio degli anni Sessanta suona con Jesse Fuller all'Ash Grove di Los Angeles e poi si esibisce soprattutto a Richmond. Nel 1975 f a Berkeley in occasione del Western Bicentennial Folk Festival a la sua ultima apparizione pubblica prima della morte .
17 ottobre, 2021
17 ottobre 1923 - Barney Kessel un talentuoso e testardo chitarrista
Il 17 ottobre 1923 nasce a Muskogee, in Oklahoma, il chitarrista Barney Kessel. La sua passione per la chitarra nasce quando porta ancora i calzoni corti ma in casa non ci sono soldi per cui, non avendo perenti musicisti, studia da solo dopo essersi comprato uno strumento con i soldi guadagnati vendendo i giornali. Nel programma scolastico c’è mlo studio di uno strumento e lui cerca di far tesoro anche di quelle obiettivanete scarse lezioni. Cocciuto più che mai a quattordici anni è già un musicista di buon livello, tanto da essere l’unico musicista bianco in una jazz band di Muskogee formata esclusivamente da afroamericani. Nel 1939 il nome di Kessel è già così famoso nell’ambiente del jazz che Charlie Christian va ad ascoltarlo nel locale in cui suona e poi si unisce a lui per una jam session entrata nella storia del jazz. L'incontro è determinante per il giovane chitarrista che decide di dedicarsi a tempo pieno alla musica. Nel 1942 lascia anche la città natale e si trasferisce a Hollywood in cerca di fortuna pur pur non avendo alcun contratto. Sopravvivere non è facile e Barney Kessel si adatta come può. Fa il lavapiatti e dedica il tempo libero allo studio della chitarra, approfittando di ogni occasione per suonare in jam con tutti i musicisti disponibili per mettere in mostra il suo straordinario talento. Finalmente nel 1943 ottiene una scrittura dall'orchestra di Chico Marx, all'epoca diretta dal batterista Ben Pollack, con la quale resta per più di un un anno. L'anno successivo viene ingaggiato dal celebre produttore Norman Grantz che lo inserisce nel gruppo creato appositamente per il cortometraggio “Jammin' the Blues” di Gjon Mili. Kessel è l’unico bianco di una formazione che comprende Harry Edison, Dickie Wells, Lester Young, Illinois Jacquet, Marlow Morris, John Simmons e Jo Jones. Nel 1945 suona nelle orchestre di Charlie Barnet, di Artie Shaw, di Hal McIntyre e successivamente in quelle di Benny Goodman e di Shorty Rogers. Ormai la sua notorietà è grandissima e Kessel esprime una concezione chitarristica evolutiva rispetto a tutti i predecessori, compreso Charlie Christian. Lavora poi come musicista indipendente a Los Angeles ma Granz che non lo ha perso di vista lo vuole nei Jazz At The Philharmonic per un concerto alla Carnegie Hall nel novembre 1947. Nel 1952 e 1953 suona nel trio di Oscar Peterson e nell'agosto del 1957 suona in Venezuela in occasione di un festival del jazz che lo vede impegnato con due grandi orchestre e due altri gruppi. Negli anni Sessanta torna a Los Angeles dove suona con quasi tutti i grandi personaggi che si esibiscono nei locali della città, da Kid Ory a Lionel Hampton, a Billie Holiday, a Gene Autrey, a Mahalia Jackson. Verso la fine del decennio ricomincia a viaggiare suonando ovunque lo chiamino. Muore a San Diego il 6 maggio 2004.
16 ottobre, 2021
16 ottobre 2006 - Tutti nudi sul ponte di Castel Sant'Angelo
Il 16 ottobre 2006 centinaia di ragazzi e ragazze si denudano tutti insieme sul ponte di Castel Sant’Angelo in pieno centro di Roma e ballano sulle note di Let the sunshine. Non si tratta di un happening improvvisato ma delle riprese di "Notte prima degli esami – Oggi", il film ispirato al fortunatissimo "Notte prima degli esami" e diretto dallo stesso regista Fausto Brizzi. La scena, girata con trecento comparse divertitissime, riprende e trasferisce nella capitale italiana un evento accaduto davvero alcuni mesi prima a New York dove in Times Square centinaia di giovani organizzatisi via Internet si sono radunati con le radio sintonizzate sulla stessa emittente radiofonica e a un segnale dello speaker si sono spogliati e hanno ballato completamente nudi un intero brano mandato in onda dalla stessa emittente. Alla fine della musica si sono rivestiti rapidamente e ciascuno se n’è andato per al sua strada prima che le forze dell’ordine potessero intervenire.
15 ottobre, 2021
15 ottobre 2000 – Memè Bianchi, la voce radiofonica di Greta Garbo
Il 15 ottobre 2000 muore Memé Bianchi, una delle prime cantanti della radio. Quando la ragazza inizia a cantare ai microfoni radiofonici, infatti, la programmazione è ancora sperimentale. Gli apparecchi presenti sul territorio nazionale sono pochissimi e le ore di trasmissione sono estremamente limitate. Informazioni a parte i programmi offrono agli ascoltatori un po' di prosa e un po' di musica, soprattutto lirica e classica, con l'aggiunta di qualche canzone napoletana e le arie delle operette di successo. Neppure il più attento osservatore potrebbe cogliere le avvisaglie dei grandi cambiamenti che di lì a poco apporteranno le orchestre di musica leggera dirette prima da Pippo Barzizza e poi da Cinico Angelini. Proprio in questa situazione complicata la sua voce, insieme a a quella di Nuccia Natali, riesce a colpire l'immaginazione dei non moltissimi ascoltatori della radio ponendo le basi alla successiva conquista del grande pubblico. Dalla madre, interprete d'operetta, e dalla nonna, soprano lirico, viene educata fin da piccola a trattare la sua voce con la cura che si riserva a uno strumento prezioso. Quando inizia a cantare alla radio lo fa con l'indole curiosa della sperimentatrice più che con l'idea di aver imboccato una nuova strada, tanto che non abbandona del tutto né l'operetta né il teatro di rivista. Proprio negli studi radiofonici però la sua voce comincia ad assumere tinte, colori e modulazioni molto più moderne dei canoni del periodo. Un po' accade per caso, un po' per scelta e un po' per necessità, visto che spesso è costretta ad adattarsi a cantare brani nati per altri interpreti. La sua voce diventa così duttile e modernissima. In questa evoluzione è affiancata dal maestro Mariotti, che poi diventa anche suo marito. Nella sua lunga carriera Memè Bianchi si cimenta con successo con moltissimi generi non rinunciando ad affiancare, in duetto, le più grandi voci maschili degli anni d'oro della radio. Nasce il 26 aprile 1907 a Porto Ceresio, in provincia di Varese. Figlia d'arte ottiene il suo primo successo nel 1934 con la canzone Maggio, un brano di Bixio-Cherubini che sembra fatto apposta per esaltare la sua voce vellutata, cui seguono altri due brani destinati a consolidare la sua popolarità come Il mio amore è un centrattacco e Paga paga Giovannino registrato sotto la guida del maestro Mariotti, un musicista passato dalla classica alla musica leggera che diventa anche suo marito. Nel 1935 è una delle prime voci femminili scritturate per cantare ai microfoni della radio. Nonostante l'impegno radiofonico non abbandona il lavoro in teatro negli spettacoli di rivista, diventando di lì a poco la soubrette della popolarissima Compagnia Schwarz. La sua popolarità presso il grande pubblico è destinata a crescere a dismisura quando le viene assegnata la parte della "divina" Greta Garbo nella fortunata serie de "I quattro moschettieri". Nel 1938 insieme a Nuccia Natali, Aldo Masseglia e Carlo Moreno inizia una lunghissima tournée nei teatri italiani con lo spettacolo musicale "I divi del microfono" che consente al grande pubblico di ascoltare e vedere dal vivo i cantanti della radio. Negli anni della guerra la suo popolarità si consolida ulteriormente. In quel periodo incide anche una personalissima versione di Lilì Marlene. Nel 1943 interpreta Un giorno ti dirò, il primo brano di successo del giovane Gorni Kramer. Al termine della guerra inserisce nel suo repertorio i brani dei più famosi chansonnier francesi. Nel 1958 si ritira dalle scene per assumere la direzione di un'azienda di spedizioni di proprietà del padre. Non torna più sulla sua decisione fino alla morte che la coglie il 15 ottobre 2000.
14 ottobre, 2021
14 ottobre 1972 – La prima volta di "Ultimo tango" di Bertolucci
Il 14 ottobre 1972 a New York viene proiettato per la prima volta il film "Ultimo tango a Parigi" diretto da Bernardo Bertolucci e interpretato da Marlon Brando con Maria Schneider, destinato a suscitare non poche polemiche e discussioni. Nelle sale italiane arriva il 15 dicembre 1972 e la settimana dopo viene sequestrato perché con il suo "esasperato pansessualismo fine a se stesso" offende il "comune senso del pudore". Verrà condannato al rogo e solo nel 1987 finalmente riabilitato tornerà in circolazione. “Ultimo Tango a Parigi” è uno dei film che maggiormente hanno fatto discutere nella storia del cinema italiano del dopoguerra. È la storia di un uomo solo, di una solitudine tipicamente “tanghista” in cui il protagonista non riesce a costruire un vero rapporto umano con nessuno. Indimenticabile è la scena del ballo d’addio, alla presenza di vecchi e squallidi frequentatori di una decadente sala da ballo. La musica del sassofonista argentino Gato Barbieri accompagna tutto lo svolgersi di un film ricco di richiami malinconici e nostalgici mentre il tango, in una versione “colta” e integrata da frequenti scomposizioni di stampo jazzistico, la fa da padrone non solo nel titolo.
13 ottobre, 2021
13 ottobre 1927 - Eddie Baker un pianista cui piace sperimentarsi
Il 13 ottobre 1927 (in qualche biografia lo fanno nascere nel 1930) nasce a Chicago, nell’Illinois, il pianista Edward Baker jr., conosciuto dagli appassionati del jazz con il nome di Eddie Baker. A soli dieci anni riesce a farsi ammettere all'American Conservatory dove inizia a frequntare i corsi di pianoforte e composizione. All’epoca, pur essendo ancora molto giovane, resta affascinato e coinvolto dalle prime esperienze del be pop. Nel 1948, proseguendo gli studi incontra il coetaneo trombonista e compositore Bill Russo che proprio in quel periodo è leader di Experiment in Jazz, un originale e sperimentale gruppo nato a Chicago. Grazie all’inflenza di Russo comincia a prestare attenzione alle nuove proposte stilistiche che stanno emergendo nel jazz. Nel 1950 suona con Miles Davis, e l'anno successivo è al fianco di Illinois Jacquet. Successivamente il suo pianoforte accompagna le esperienze di musicisti come Paul Bascomb, Wilbur Ware e Sonny Stitt. Negli anni Cinquanta vive un buon momento di popolarità tanto che nel 1955, al ritorno, da una tournée europea con Bill Russo viene scritturato per accompagnare Billie Holiday nel famoso viaggio concerto che la celebre cantante fa a Honolulu nel 1956. Muore nel 2001.
12 ottobre, 2021
12 ottobre 1938 – Piergiorgio Farina, il violino del jazz italiano
Il 12 ottobre 1938 nasce a Goro, in provincia di Ferrara, Piergiorgio Farina, all’anagrafe Piergiorgio Farinelli, considerato uno dei violinisti più lirici della scena musicale italiana del dopoguerra, sempre sospeso tra la canzone, la musica da ballo e il jazz. In lui si ritrova un po’ di Jean Luc Ponti, un pizzico di Stéphan Grappelli, tanto Joe Venuti ma anche il gusto di sperimentarsi sempre senza troppe preoccupazioni. Nel 1982 per il suo film “Dancing Paradise” Pupi Avati si ispira a un suo brano intitolato L’amore è come il sole. Il grande pubblico inizia a conoscerlo come cantante nella seconda metà degli anni Sessanta quando partecipa al programma televisivo "Settevoci" condotto da Pippo Baudo. Nel 1968 partecipa anche al Festival di Sanremo con Tu che non sorridi mai in coppia con Orietta Berti ma la vita un po’ “artificiale” del cantante pop “da classifica” non dura a lungo e qualche tempo dopo ricomincia a girare per l’Italia con la sua orchestra. Considerato dagli appassionati il “violino jazz italiano” per antonomasia muore di cancro il 28 luglio 2008 a Bologna.
11 ottobre, 2021
11 ottobre 1926 - Duccio Tessari, il regista che amava le citazioni
L'11 ottobre 1926 nasce a Genova il regista Amedeo Tessari detto Duccio. Una delle sue frasi più celebri è un invito ai colleghi perché non si prendano troppo sul serio, non si montino la testa per i successi e non si deprimano alla prima difficoltà. «Nessuno di noi inventa niente, hanno inventato tutto Omero e Tolstoj». Fedele a questa dichiarazione affronta il cinema con il gusto intellettuale della citazione e del rimando. A volte lo fa per burla, come accade in "Arrivano i Titani", il suo primo film da regista del 1961, quando gli spettatori che hanno la pazienza di assistere anche allo scorrere dei titoli di coda possono vedere i protagonisti che si complimentano tra loro esclamando «Abbiamo realizzato un'impresa titanica!». In altri casi l’operazione è più elaborata e presuppone il gusto della trascrizione non calligrafica di storie attinte altrove. Il suo rapporto con il western all’italiana è caratterizzato da questo approccio fin da quando, insieme a Sergio Leone, ricolloca nella cittadina di San Miguel tra gli Stati Uniti e il Messico la storia del samurai Sanjuro raccontata nel film giapponese "Yojimbo-La sfida del samurai" di Akira Kurosawa. Se per "Una pistola per Ringo" ambienta in chiave western un thriller come "Ore disperate" per il successivo "Il ritorno di Ringo" va oltre e s’ispira agli ultimi libri dell’Odissea, quelli che descrivono la resa dei conti tra Ulisse e i Proci affidando a Giuliano Gemma il ruolo di Ulisse e ad Hally Hammond, cioè sua moglie Lorella De Luca, quello di Penelope. Le sue prime esperienze cinematografiche avvengono a Genova. Proprio nella sua città natale, quando è ancora studente universitario, si diletta a girare i primi documentari. Dopo essersi laureato in Chimica e aver così soddisfatto le ambizioni della famiglia decide di tentare a trasformare la passione per il cinema in qualcosa di più. Negli anni Cinquanta si trasferisce a Roma dove riesce a fare un po’ d’esperienza in particolare come assistente dei registi Carmine Gallone e Vittorio Cottafavi. Pian piano si specializza come sceneggiatore di “peplum”, i film d'ambientazione storico-mitologica popolarissimi in quel periodo. Il suo primo western "Una pistola per Ringo", nel 1964 incassa oltre due miliardi di lire e ne fa uno dei più illustri protagonisti del nascente western all’italiana. In realtà le incursioni western di Tessari saranno limitate e molto diverse tra loro. Dopo "Il ritorno di Ringo" del 1965 si cimenterà in altri generi tornando a raccontare storie di pistoleri solo raramente. Nel 1985 dopo la realizzazione di vari sceneggiati televisivi, gli viene proposto un ritorno al western in grande stile con "Tex e il signore degli abissi" la trasposizione cinematografica di Tex Willer, l'eroe dei fumetti creato da Gian Luigi Bonelli. È la sua ultima cavalcata sui territori della frontiera. Muore nel 1994.
10 ottobre, 2021
10 ottobre 1918 - Mario Bertolazzi, un chimico al pianoforte
Il 10 ottobre 1918 nasce a Bologna il pianista e compositore Mario Bertolazzi. Inizia lo studio del pianoforte prima con lezioni private e poi frequenta i corsi del conservatorio di Bologna dove ottiene il diploma in composizione. Parallelamente, seguendo il consiglio dei genitori, si dedica con profitto anche agli studi universitari conseguendo la laurea in chimica. Alla fine degli anni Trenta si appassiona al jazz e nel 1938 partecipa alle serate organizzate dagli Hot Club di Bologna e Milano. Nello stesso anno registra quattro brani, Ciribiribin, Sogno d'Amore, Sera e Tiger Rag, per la casa discografica La Voce del Padrone mettendo in mostra una particolare abilità a mescolare le atmosfere jazz con la canzone. Il suo stile pianistico richiama quello di Bix Beiderbecke. Con l'intensificarsi delle proibizioni del regime nei confronti delle sonorità che arrivano d'oltreoceano gioca a mascherare l'ispirazione jazz nello swing e nella canzone ritmica in genere. Dirige in seguito vari gruppi a suo nome che alternano musica leggera e jazz, e nel 1948 prende parte alla registrazione di due un paio di dischi per la serie Jazzisti Italiani della Odeon, curata da Roberto Nicolosi, insieme a un gruppo di musicisti bolognesi (Corrado Bezzi alla tromba, Cesare Bergonzi al clarinetto e al sax tenore, Sergio Nardi alla chitarra, Filippo Francesconi al contrabbasso e Vincenzo Greci alla batteria). Negli anni successivi l'attività di Mario Bertolazzi si orienta soprattutto alla composizione di colonne sonore per la rivista e il cinema, oltre che alla musica leggera. Muore a Roma l'8 ottobre 1986.
09 ottobre, 2021
9 ottobre 1963 - La tragedia del Vajont
Nella notte del 9 ottobre 1963, alle 23.45, una frana si stacca dal monte Toc, in Friuli, e precipita nel lago artificiale formato dalla diga del Vajont. L’impatto della pietra con l’acqua provoca un’onda di fango e acqua con un fronte di quattro chilometri che si abbatte sul paese di Longarone e sugli abitati a valle della diga, seppellendo tutto. I morti sono più di duemila. Non può essere considerata una catastrofe naturale, visto che chi ha costruito la diga sapeva che la montagna era friabile. A riprova di ciò l’8 ottobre, il giorno prima della tragedia, su un cartello nella frazione Pineda era stato scritto: «Si segnala l’instabilità delle falde del monte Toc e pertanto è prudente allontanarsi dalla zona...».
08 ottobre, 2021
8 ottobre 1923 - Sonny Igoe, un solido batterista di scuola classica
L’8 ottobre 1923 nasce a Jersey City, nel New Jersey, il batterista Sonny Igoe, registrato all’anagrafe con il nome di Owen Joseph Igoe. Impara da solo a battere tamburi e piatti e nel 1940 si fa notare vincendo un concorso per giovani batteristi promosso da Gene Krupa. L'anno dopo studia con Bill West e nel 1942 presta servizio militare in marina. Nel 1947 entra a far parte di una curiosa orchestra diretta da Tommy Reed e composta esclusivamente da strumentisti che hanno prestato il servizio militare nei marines. Tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio dei Cinquanta svolge un'intensa attività collaborando tra gli altri con Les Elgart, Ina Ray Hutton, Benny Goodman, Woody Herman, Chuck Wayne e Charlie Ventura. Considerato un eccellente batterista di scuola classica, resta nella storia del jazz per il suo assolo registrato con l'orchestra di Woody Herman nel brano New Golden Wedding. Muore il 28 marzo 2012 a Emerson, nel New Jersey.
07 ottobre, 2021
7 ottobre 1948 – Quattro ruote sotto un ombrello, nasce la Citroën 2Cv
Il 7 ottobre 1948 la Citroën 2 Cv viene presentata per la prima volta al Presidente della Repubblica Francese. “Quatre rues sous un parapluie”, quattro ruote sotto un ombrello, così nella casa d’oltralpe avevano definito negli anni Trenta l’idea di un’utilitaria ridotta all’essenziale per quel che riguarda gli accessori, ma robusta, capiente ed economica. Nel 1935, l’anno della scomparsa di André Citroën, il fondatore della casa automobilistica tocca a Pierre Boulanger dettare le caratteristiche di un’auto destinata a favorire una rapida motorizzazione di massa della Francia. Il suo nome provvisorio era TPV, acronimo di Toute Petite Voiture (Vettura piccola in tutto), e le linee progettuali dovevano garantire due posti a sedere, una capacità di carico tale da consentire il trasposto di 50 kg. di patate o una damigiana di vino, una struttura robusta per poter percorrere le strade sterrate del tempo, grande facilità di guida, economicità nei consumi (non più di tre litri ogni cento chilometri) e una velocità massima di almeno sessanta chilometri orari. La TPV è pronta per il pubblico nel 1939 in occasione del Salone dell’Automobile francese di quell’anno, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale sembra spegnere per sempre il sogno di Boulanger. La TPV resta un segreto ben custodito dallo staff della Citroën fino al 7 ottobre 1948 quando la 2 Cv viene presentata per la prima volta al Presidente della Repubblica Francese. Il modello è praticamente lo stesso ideato nel 1935 dallo stesso Boulanger, nel frattempo divenuto amministratore delegato della Citroën e realizzato dall’ingegnere meccanico André Lefevre su una carrozzeria dello stilista meccanico Flaminio Bertoni che la leggenda vuole sia stata disegnata in una sola notte. Rispetto al progetto della TPV i cambiamenti sono modesti ma sostanziali. Il raffreddamento ad aria viene preferito all’originario radiatore ad acqua, mentre le strutture della carrozzeria sono in acciaio e non in una mescola di magnesio e alluminio. Per la verità ci sono anche due tergicristalli invece di uno e un cambio a quattro marce invece di tre, ma questi piccoli cambiamenti sono una sorta di aggiornamento tecnico di un progetto che ha avuto origine più di dieci anni prima. In quel Salone diventa realtà il sogno di un’auto capace di affascinare milioni di uomini e donne in tutto il mondo con il disegno buffo della sua carrozzeria, la sua economicità e la sua praticità. Al suo primo apparire la 2 Cv non viene accolta con grande entusiasmo dalla stampa specializzata e dai critici. In molti ne criticano la linea, giudicata un po’ azzardata e goffa, e lo scarto apparentemente eccessivo tra le grandi dimensioni della carrozzeria e la piccola cilindrata del motore. Non mancano i burloni dediti a inventare storie inventate di sana pianta, come quella che la lamiera ondulata utilizzata per rendere più forte la grande carrozzeria era stata recuperata dalla rottamazione delle saracinesche dei negozi francesi danneggiate dalle vicende belliche. Questi atteggiamenti, però, non durano a lungo. Bastano alcune prove su strada per far cessare ironie e motteggi. I giudizi superficiali si tramutano in consensi e in pochi mesi le prenotazioni della vettura salgono vertiginosamente. Nel 1951, tre anni dopo la sua prima presentazione, chi vuole acquistare una 2 Cv deve rassegnarsi a un tempo di consegna non inferiore ai diciotto mesi. Senza cambiare mai forma esteriore se non in qualche dettaglio non sostanziale, la vettura ideata nel lontano 1935 attraverserà da protagonista più di quarant’anni di storia e la sua produzione cesserà definitivamente soltanto nel 1990.
06 ottobre, 2021
6 ottobre 2004 - Le CocoRosie in tour con Devendra Banhart
Il 6 ottobre 2004 inizia in Italia quello che negli ambienti dell’indie rock è considerato un po’ il tour dell’anno. Ci si riferisce all’accoppiata tra la genialità stralunata di Devendra Banhart e i giochi sonori sottili e metafisici delle sorelle Casady, in arte CocoRosie. La notizia non è tanto il fatto che arrivino nel nostro paese (sia Banhart che le CocoRosie hanno già fatto più di una capatina da queste parti), ma l’idea di accoppiarli, di farli salire uno dopo le altre sullo stesso palco in un momento felice della loro carriera. La critica in quel periodo ha definito, senza aggettivi o filtri di moderazione, “un genio” Devendra Banhart, una sorta di meticciato naturale in cui si incrociano Venezuela, India e Stati Uniti. Alchimista dei sentimenti sta regalando al mondo emozioni fortissime che affondano le loro radici nelle atmosfere degli anni Settanta e nei colori di un mondo che non esiste più se non nei sogni e nella nostalgia. I suoi tempi non sono quelli del marketing. Non si è ancora raffreddato il successo dell’album Rejoicing in the hands che già incalza un nuovissimo lavoro in studio, Niño rojo, un disco capace di incarnare fino in fondo l’acid folk dei grandi concerti a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. La strada su cui si muove è quella dei grandi cantautori americani, fatta di canzoni leggere in cui basta il suono della chitarra acustica per ritrovarsi nella scena finale di “Zabriskie Point”. Sembra non curarsi dell’essere diventato un caso discografico. In ogni situazione il suo atteggiamento è quello di chi si è trovato per caso in un posto lontanissimo da quello in cui avrebbe voluto essere. La leggerezza e la semplicità sono il risultato di un lavoro compositivo che sembra quasi giocare con la memoria e le emozioni di chi ascolta. Nei suoi brani, di volta in volta, si possono ritrovare l’essenzialità del deserto, i colori della psichedelia, gli echi del glam, ma anche del blues targato Robert Johnson o delle menate solitarie di Tim Buckley. Dal vivo queste caratteristiche vengono amplificate dal personaggio. È come se Tom Waits al posto di pestare i tasti nei bar fumosi, avesse imbracciato la chitarra e si fosse lasciato conquistare dalle comuni hippie. Sul palco appare indifferente, quasi fosse sospeso per aria. Imbraccia la chitarra e senza alzare mai il volume della voce inizia a raccontare le sue storie seduto nella posizione del loto. A complicare e rendere più stuzzicante il tour che sta per partire c’è, poi, il duo femminile delle Coco Rosie, formato da Sierra e Bianca Casady, due sorelle americane cittadine del mondo, una “brava” e una “cattiva” ragazza legate da un intricato rapporto artistico più solido della comunione di sangue. Sierra, la brava ragazza senza grilli per la testa, ha nel suo bagaglio esperienze gospel e lunghi studi da cantante lirica. Bianca, invece, è irrequieta fin da bambina. Si fa affascinare dalla politica, dai tatuaggi, dalle pulsioni sociali e per lungo tempo vive sgolandosi a un angolo di strada con un cappello rivolto ai passanti. La vita finisce per riunirle lontane da casa in un appartamento parigino nel 18° distretto dove decidono di dare vita alle CocoRosie e pubblicano La maison de mon rêve, un album secondo loro ispirato «…alle finestre appannate, agli infiniti giorni di pioggia, al constante sibilo del bollitore e al suono lontano di un'ambulanza».
05 ottobre, 2021
5 ottobre 1919 - La Ferrari, una costola dell’Alfa
La storia della Ferrari comincia il 5 ottobre 1919 quando il mondo dell’automobilismo conosce per la prima volta il nome di Enzo Ferrari, un pilota che fa il suo debutto nella Parma-Poggio di Berceto arrivando quarto. Resterà al volante per una decina d’anni senza infamia né lode, ma, come dirà più tardi: “La mia grande passione non è mai stata guidare le macchine, ma farle nascere”. Nel 1929, abbandonata l’attività di pilota, organizza una scuderia alla quale dà il suo nome. Ne faranno parte, tra gli altri, Nuvolari, Varzi, Campari, Fagioli, Chiron. Corrono con le Alfa Romeo e mietono successi ovunque. La scuderia Ferrari durerà per nove anni fino a quando, nel 1938 Enzo Ferrari verrà nominato direttore sportivo della casa milanese. L’avventura dell’ex pilota modenese all’Alfa durerà, però, pochissimo. Torna a Modena e nel 1939 fonda la Auto Avio Costruzioni sulla base di un accordo con l’Alfa che gli impedisce per quattro anni di costruire automobili. Progetta, assembla e vende motori per aerei da esercitazione, per macchine utensili, ma non auto. L’ex pilota, però, a dispetto degli accordi, realizza la 815, utilizzando parti meccaniche della Fiat. Partecipa con due esemplari alla Mille Miglia del 1940, poi la guerra cancella tutto. Se ne va a Maranello e, passata la bufera, pone le basi a una nuova leggenda sportiva. “Ruba” all’Alfa Gioacchino Colombo, il progettista della 158. Nasce così la Ferrari. La nuova vettura, denominata 125-GT, fa il suo debutto nel maggio del 1947 sul circuito di Piacenza. Al volante c’è Franco Cortesi, che si ritira a due giri dal termine.
04 ottobre, 2021
4 ottobre 1969 - Natalino Otto, un simbolo dei giovani antifascisti
Il 4 ottobre 1969 muore a Milano Natalino Otto, una delle espressioni migliori della canzone italiana. Nato a Cogoleto, Genova, il 24 dicembre 1912, Natale Codognotto, in arte Natalino Otto, viene colpito da poliomielite all’età di tre anni e recupera la funzionalità degli arti inferiori solo grazie a una lunga serie di interventi chirurgici. Nel 1932 suona come batterista nell’orchestra di George Link e successivamente s’imbarca sui transatlantici che fanno la spola tra l'Italia e gli USA. I viaggi al di là dell’oceano gli danno la possibilità di affinare il gusto per le innovazioni ritmiche delle grandi orchestre americane e gli offrono l’occasione di percorrere nuove strade musicali. Nel 1935 lavora anche presso una stazione radiofonica italo-americana di New York. Il suo debutto italiano avviene nel 1937 quando a Viareggio presenta, insieme a un giovane maestro destinato a una grande carriera, Gorni Kramer, un repertorio in buona parte composto da versioni italiane di brani americani. Queste sue prime esibizioni attirano l’attenzione della censura fascista che rileva come il suo stile sia ispirato e condizionato dalla “barbara antimusica negra”. Insofferente a censura e limitazioni di repertorio finisce per essere escluso dalla programmazione radiofonica. Anche le sue canzoni vengono messe al bando, ma i suoi dischi diventano un oggetto di culto per i giovani studenti che li ascoltano quasi come gesto di sfida al regime. Non è facile far capire oggi che cosa abbia rappresentato Natalino Otto per i giovani che negli anni Trenta e Quaranta sentivano il peso di dover vivere nell’Italia fascista. Per averne una vaga idea si può leggere qualche pagina degli scritti di Beppe Fenoglio. Nel romanzo “Il partigiano Johnny” due ragazze sfidano il padre mettendo sul piatto del grammofono Lungo il viale? e in “Appunti partigiani” un paio di ragazzi alla macchia canticchiano Polvere di stelle mentre una giovane donna «…fa le variazioni, alla maniera di Natalino Otto». Con la sua voce fresca e sbarazzina, che gli consente di passare con grande disinvoltura dalla melodia ai ritmi sincopati, il cantante gioca a irridere il provincialismo dell’Italia autarchica e retorica. Le sue canzoni per i giovani dell'Italia degli anni Trenta e Quaranta sono un piacere “a rischio” perché non piacciono alla censura fascista che non ama né l’ironia dei testi, né i riferimenti musicali ai nuovi ritmi che arrivano d'oltreoceano. Tra tutti gli alfieri della cosiddetta “canzone sincopata” di chiara derivazione jazz Natalino Otto appare ancora oggi, a distanza di più di mezzo secolo, il più moderno e fresco. Il merito è dell’intelligenza con la quale gestisce una tecnica vocale sopraffina. Non ha paura di contaminarsi e quando è necessario accetta di avventurarsi anche in territori musicali molto lontani dallo swing. Per questa ragione le sue interpretazioni non appaiono mai scontate, neppure quando si cimentano con brani più vicini alla tradizione melodica italiana che ai ritmi sincopati. Allo stesso modo le sue versioni dei grandi standard statunitensi invece di scivolare sul facile terreno dell’imitazione vengono rielaborati in modo egregio dal suo inconfondibile e personalissimo stile. Dopo la Liberazione cessa l’ostracismo radiofonico e il cantante diventa uno dei protagonisti della canzone italiana del primo dopoguerra. Il 2 giugno 1955 sposa la cantante Flo Sandon’s. Compositore di talento partecipa anche a vari film musicali.
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