Il 9 gennaio 1944 nasce a Rossiglione, Genova, il cantautore, compositore e produttore Oscar Prudente. Dopo aver studiato chitarra, pianoforte e batteria, nel 1959, a soli quindici anni diventa il batterista del gruppo di Colin Hicks. Negli anni seguenti suona poi la batteria nella formazione che accompagna Luigi Tenco. Nel 1964 pubblica per la ARC il suo primo 45 giri Vola con la spider e nel 1966 firma un contratto con la casa discografica Jolly. In quel periodo collabora con Dario Fo scrivendo le musiche per vari lavori teatrali e prestando anche la sua voce nelle versioni discografiche dei brani. Passato alla Ricordi pubblica un paio di dischi con il gruppo Le Mani Pesanti e nel 1968 partecipa al Cantagiro con Benvenuto fortunato. Nel 1971 partecipa a Un disco per l'estate con la canzone Rose bianche rose gialle i colori le farfalle e nel mese di gennaio del 1973 dà alle stampe il suo primo album Un essere umano, seguito l’anno dopo da Poco prima dell'aurora, in coppia con Ivano Fossati. Nel 1974 registra l’album Infinite Fortune e nel 1975 scrive tutte le canzoni tranne una del disco Un mondo di frutta candita di Gianni Morandi. La sua popolarità come interprete non è pari al suo successo come autore. Si calcola abbia scritto quasi ottocento brani per tutti i più importanti cantanti italiani.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
10 gennaio, 2022
07 gennaio, 2022
7 gennaio 1916 – “Bo Bo” Jenkins, il bluesman che cantava la politica
Il 7 gennaio 1916 a Folkland, in Alabama, nasce John Pickens Jenkins, cantante e chitarrista blues più conosciuto come “Bo Bo” Jenkins. Talento precoce a cinque anni canta nella chiesa del suo quartiere e nel 1925, a nove anni, entra a far parte di un gruppo gospel. Nel 1928 lascia la famiglia e si trasferisce a Memphis. Dopo il servizio militare, nel settembre del 1942, si stabilisce a Detroit, nel Michigan dove cerca e trova lavoro pur non rinunciando a coltivare nel tempo libero la sua passione per la musica. Nel 1954 debutta in un club di St. Louis. Il suo nome comincia a dibvantare popolare anche per la capacità di mettere in musica concetti complessi che appartengono alla sfera politica. Proprio nel 1954 il suo Democrat blues gli vale un contratto discografico e di edizioni con la Chess. La strada è aperta. La sua intensa attività culmina nel 1964 nella costruzione di una propria casa discografica, la Big Star con cui realizza vari album compresi i fondamentaliThe life of Bo Bo Jenkins e Here I am a fool in love again. Tra le sue catteristiche più rilevanti c’è quella di adattare il repertorio tradizionale al sound moderno del blues di Detroit. Muore il 14 agosto 1984 in quella Detroit che da tempo è diventata la sua città
06 gennaio, 2022
6 gennaio 1938 – Adriano Celentano, il ragazzo della Via Gluck
Il 6 gennaio 1938 nasce a Milano Adriano Celentano. Figlio di immigrati pugliesi, negli anni Cinquanta abita a Milano in quella Via Cristoforo Gluck che è diventata la sua Abbey Road. Fa l’apprendista orologiaio e arrotonda le entrate imitando Jerry Lewis in coppia con il suo amico Elio Cesari che in quel periodo imita Dean Martin e poi diventerà Tony Renis. Sono anni frizzanti. Finite le giornate del boogie woogie arrivato sui tank degli americani in Italia cominciano ad arrivare sulle onde del passaparola e dei primi dischi “rubati” gli echi di nuovi ritmi. Nell’aprile del 1954 è uscito nelle sale statunitensi il film “Rock around the clock”. I giornali raccontano che il brano omonimo, interpretato da Bill Haley, sta suscitando l’entusiasmo dei ragazzi d’oltreoceano e parlano di un nuovo ballo chiamato rock and roll.. Con la preveggenza che spesso contraddistingue parte della critica italiana c’è chi sostiene che non potrà mai avere successo da noi perché «troppo lontano dai nostri gusti musicali». Se per i benpensanti il rock and roll è il diavolo, un segno evidente della corruzione dei costumi, per i giovani è invece il profumo della libertà. Quello che si muove in Italia non è ancora un vento, ma un sottile e appena percettibile refolo. Timidamente emergono i primi imitatori delle tecniche d'oltreoceano. Anche se non c’è l'urlo rabbioso e liberatorio del rock più aspro e “nero” alcuni iniziano a cantare fuori dai gorgheggi e dalle voci impostate della tradizione. Il giovane Celentano è uno dei più esagerati. Canta in un inglese approssimativo i brani imparati dal giradischi e rielabora il ritmo con il corpo prima ancora che con la voce muovendosi come una marionetta senza fili. Le sue esibizioni nelle balere milanesi gli valgono il titolo onorifico di Molleggiato e ne fanno un mito per quel tessuto complesso di adolescenti apprendisti, lavoratori, studenti e disoccupati delle periferie milanesi che anni dopo qualcuno chiamerà proletariato giovanile. La sua carica fa esplodere anche il Santa Tecla, il tempio del jazz e della musica alternativa milanese dell’epoca, ma l’occasione della vita arriva con il Festival del Rock and roll di Milano. Il 18 maggio 1957 la sua esibizione scatena il finimondo. Adriano in maglietta rossa e blue jeans sale sul palco insieme ai Rocky Boys e fa esplodere gli oltre diecimila spettatori stipati come sardine nel Palazzo del Ghiaccio con sedie divelte, ragazzine che urlano, mentre un centinaio di ragazzi rimasti fuori si scontra con la polizia. Lì nascono il mito di Adriano Celentano e il rock and roll italiano, che non può essere considerato una semplice e pura “moda” d’importazione. Quasi tutti i rocker della prima generazione infatti sono degli innovatori, non degli scimmiottatori. Essi innestano le caratteristiche del genere proveniente dall’altra parte dell’Oceano sull’impianto della canzone ritmica italiana elaborando così una strada autonoma, una sorta di “via italiana al rock and roll” che influenzerà in maniera profonda la stessa struttura della musica popolare del nostro paese. Un mese dopo l’incendio del Palazzo del Ghiaccio l’eroe dei giovani milanesi pubblica il suo primo disco. Nel 1958 centra il suo primo successo commerciale con Buonasera signorina. Nel 1959 vince il Festival di Ancona con Il tuo bacio è come un rock. La svolta della sua carriera porta la data 26 gennaio 1961 quando il rock and roll sbarca al Festival di Sanremo con la canzone 24 mila baci. Adriano si presenta sul "sacro" palcoscenico del Festival in modo strafottente e fuori dagli schemi. Durante l'esibizione si contorce e si permette di voltare la schiena al pubblico dimenando i glutei in diretta televisiva. Con quell'esibizione a Sanremo non sbarca soltanto il rock and roll, ma anche la carica sessuale che l'accompagna. La diretta televisiva amplia a dismisura l'impatto. Il successo del brano è straordinario e oltre un milione di copie del disco verranno bruciate in poche settimane. La nicchia è diventata un fenomeno di massa. Il refolo è diventato un tornado e Celentano un profeta indiscusso. L’uomo prende fin troppo sul serio questo ruolo e non smetterà più di recitare la parte. Raduna gli amici di sempre in una factory alla quale da il nome di Clan, scopre la religione attraverso una crisi mistica, diventa una star del cinema e soprattutto prende posizione sempre e comunque in modo esagerato, anche quando non è dalla parte giusta. Si schiera contro il divorzio, contro l’aborto e quando esplodono le lotte operaie dell’autunno caldo predica la pace sociale con Chi non lavora non fa l’amore. Non si fa però in tempo a dargli del reazionario che lui apre una dura critica al modello di sviluppo consumista e si lancia in campagne ecologiste, pacifiste e antirazziste. Nonostante il passare del tempo, pur lontano dal "molleggiato" rocker degli inizi, continua a mantenere inalterato il suo carisma sul pubblico che gli perdona volentieri anche i periodici deliri autocelebrativi. Comunque la si pensi su di lui, contraddittorio, arruffone, incendiario, pompiere, pacifista, baciapile, ecologista, furbone, rivoluzionario, reazionario o conservatore l’arzillo ex Ragazzo della Via Gluck riesce sempre a far parlare di sé.
05 gennaio, 2022
5 gennaio 1980 – Chiude il Casino de Paris, ma non per sempre
Il 5 gennaio 1980 chiude i battenti per una lunga serie di problemi economici il Casino de Paris. Sembra così arrivata alla fine la lunga storia del locale situato al numero 16 di rue de Clichè, nel nono Arrondissement di Parigi, una delle tante “sale da spettacolo e da concerti” fondamentali per l’evoluzione della canzone e dello spettacolo moderno non soltanto in Francia. La sua storia comincia nel 1730 quando a parigi regna Luigi XV e a palazzo reale c'è un uomo molto potente come il duca di Richelieu, al secolo Louis François Armand de Vignerot du Plessis. Proprio lui tra un affare di Stato e l’altro, individua in una larga spianata di terreno alberato un luogo attrezzato e parzialmente coperto dove poter organizzare e ospitare spettacoli di suo gradimento. Nel 1779 il Barone d’Ogny acquista quel luogo e, dopo averlo ribattezzato Folie-Richelieu, ne affida la direzione artistica a Fortunée Hamelin, una giovane donna molto carina e molto addentro alla Parigi mondana di quel periodo. Nel 1811 la Folie-Richelieu viene trasformata in un grande parco d’attrazioni destinato a durare per una quarantina d’anni. Nel 1851, infatti, l’intero complesso viene demolito in un impeto moralizzatore e al suo posto viene edificata la Chiesa della Santa Trinità. Fine della storia? Tutt’altro. Un altro barone, che si chiama Haussmann, infatti, riprende il filo del discorso, smonta e ricostruisce più in basso la chiesa e al suo posto insedia un locale destinato allo svago e al tempo libero che ospita anche una pista di pattinaggio destinata a ottenere un grande successo di pubblico. Proprio su una parte di questa pista nel 1880 viene eretto il fastoso Palace Théâtre con una grande sala in stile rococò costellata da piante esotiche, velluti e da venti colonne che sorreggono altrettante statue di donne nude e alate ciascuna della quali porta nella mano destra un lampadario. Nel 1914 il Palace Théâtre viene acquistato da Raphaël Beretta, che la trasforma in una sala destinata a ospitare spettacoli cinematografici e music-hall. Si chiama già Casino de Paris quando, nel 1917, ospita per la prima volta uno spettacolo di rivista la cui vedette è Gaby Desly, considerata la prima grande stella del music hall francese. Le repliche proseguono per qualche mese fino al 1918 quando un bombardamento ne interrompe forzosamente l’attività. Finita la prima guerra mondiale il locale riapre sul suo palcoscenico si alternano grandi stelle, da Mistinguett e Maurice Chevalier, da Line Renaud a Zizi Jeanmarie. Il 5 gennaio 1980, travolto da vari problemi economici, il locale sembra destinato a chiudere per sempre i battenti. Riaprirà nel 1982.
04 gennaio, 2022
4 gennaio 1959 – La regina Nilla Pizzi batte il reuccio
Il 4 gennaio 1959 si conclude la prima edizione di “Canzonissima”, una sfida musicale collegata a una lotteria nazionale che in quel momento si chiama ancora Lotteria di Capodanno e che è destinata a cambiare nome qualche anno dopo diventando Lotteria Italia. La prima puntata ha avuto luogo il 22 ottobre 1958 e, per selezioni successive, si è arrivati alla serata finale, nella quale quelli che erano considerati i due favoriti, cioè il “reuccio” della canzone Claudio Villa e “la regina” Nilla Pizzi, si confrontano direttamente l'un contro l'altro. Alla fine vince la regina che ha la meglio sul rivale grazie a una intensissima interpretazione de L’edera, il brano con il quale si è piazzata al secondo posto nel Festival di Sanremo dell’anno prima. Claudio Villa, che ha interpretato Arrivederci Roma deve accontentarsi della piazza d’onore.
03 gennaio, 2022
3 gennaio 1989 – L’AIDS? Per l’Italia l’unico rimedio è la castità
Mentre da più parti si moltiplicano le critiche nei confronti del governo italiano e del ministro della sanità Carlo Donat Cattin, accusati di sottovalutare il pericolo dell’AIDS, il 3 gennaio 1989 le famiglie italiane ricevono una lettera firmata dal ministro stesso nella quale si consiglia la "castità" come unico rimedio sicuro alla terribile malattia. Le associazioni degli omosessuali e quelle impegnate nella lotta all’AIDS, che giudicano l’iniziativa inutile, pericolosa e condizionata dalle pressioni della chiesa cattolica più che dalla preoccupazione di condurre una lotta efficace alla malattia, lanciano una grande campagna per la diffusione dell’uso dei profilattici.
02 gennaio, 2022
2 gennaio 1969 - I Beatles alla frutta
Il 2 gennaio 1969 i Beatles si ritrovano nello studio di registrazione di Twickenham per lavorare a un nuovo album. Nonostante il successo del White album nuvole nere si stanno addensando sul futuro dei quattro ex ragazzi di Liverpool. I rapporti tra loro sono da tempo entrati in crisi. Nonostante tutto, però, l’impressione che i Beatles danno all’esterno è quella di una nave inaffondabile in grande splendore. In realtà sul gruppo pesa anche il fiasco della Apple, un’organizzazione di loro proprietà destinata a occuparsi delle produzioni in campo artistico e della gestione di vari settori merceologici collegati all’immagine del gruppo. Al fallimento del film "Magical mistery tour" e delle varie operazioni collegate si è affiancato il disastro economico della sezione commerciale. Fa eccezione il settore musicale, trainato dal successo del marchio Beatles e dal lancio di alcuni giovani talenti. C'è, quindi, la necessità di mantenerne costante la produzione. Quando il 2 gennaio i quattro si ritrovano nello studio di registrazione di Twickenham per lavorare a un nuovo album non sanno bene cosa fare. Paul McCartney propone di far esibire la band dal vivo davanti a 1.500 persone, registrando e filmando tutto. Gli altri nicchiano e alla fine il concerto, già programmato alla Roundhouse di Londra, verrà annullato. Dopo varie liti si tenterà di rimettere insieme i cocci passando dai sofisticati studi di Twickenham all’ambiente più famigliare degli scantinati del palazzo della Apple. Qui nascerà l’idea della singolare esecuzione di Get back sul terrazzo, ma questa è un'altra storia. I Beatles sono alla frutta e lo sanno.
01 gennaio, 2022
1° gennaio 1972 – Maurice Chevalier, ottimista a oltranza
Il 1° gennaio 1972 muore Maurice Chevalier. Cantante, attore, intrattenitore è uno dei simboli dello spettacolo francese. Maurice Chevalier è un simpatico ottimista, con la voce calda e il cuore in mano, sempre pronto a regalare un sorriso, una smorfia buffa o una speranza. «Non abbiate paura, il futuro sarà migliore del presente…» Basta dare un’occhiata al sorriso da eterno ragazzo stampato sul suo volto per intuire il segreto del successo di questo figlio del popolo diventato un gigante della canzone, del teatro e del cinema. Il buonumore è la sua maschera artistica e lo trasforma nella prova vivente del fatto che con l’ottimismo si può cambiare la realtà. Oltre che figlio del popolo è anche figlio di un’epoca complessa e drammatica, segnata da due guerre devastanti che lasciano ferite profonde nei rapporti sociali e nella vita delle persone. Il mondo sembra sull’orlo del disastro e lui lo attraversa sorridente quasi a voler dispensare serenità. Sono anche gli anni nei quali la poesia e il teatro incontrano la canzone nei caffè concerto e insieme salgono sui palchi dei teatri dando vita, vigore e fortuna a quello che verrà chiamato music-hall. Di questa realtà Maurice Chevalier è l’espressione maschile più conosciuta e più amata. Se ne accorgono anche gli americani che lo portano a Hollywood e gli danno addirittura un Oscar per la sua interpretazione in “Gigi” di Vincente Minnelli. Il mondo, soprattutto gli statunitensi, vede in lui il francese tipo, galante e sicuro di sé al limite della goffaggine, simpatico e divertente senza mai sfociare nella volgarità, eternamente in bilico tra adolescenza e maturità. Quanto questa maschera corrisponda davvero all’uomo e non soltanto al personaggio nessuno può dirlo. Maurice Chevalier è stato un uomo contraddittorio come l’epoca nella quale è vissuto e nella sua vita ha attraversato momenti drammatici trovando ogni volta un aiuto prezioso per cavarsi dai guai. Di lui ci restano le incomparabili interpretazioni, il sorriso e la bonaria gioia di vivere. Nasce il 12 settembre 1888 a Ménilmontant, un quartiere popolare di Parigi. Suo padre Charles Victor fa l’imbianchino e qualche anno dopo se ne va a cercar fortuna altrove lasciando sola la moglie d’origini belghe Joséphine Van der Bosche con i tre figli Paul, Charles e, appunto, Maurice. Proprio quest’ultimo quando il padre se ne va, seguito ben presto dal fratello maggiore, lascia la scuola per trovare qualche lavoro che possa aiutare la famiglia a tirare avanti. Ha dieci anni ma non è più un bambino. Si ingegna a trovare lavoretti ma sogna di essere un artista. Prima guarda con interesse agli acrobati da circo, poi decide di diventare un cantante. Convinto di non avere un grandissimo talento vocale orienta il suo repertorio alle parodie e ai brani comici in genere. Nel 1900 ha dodici anni ma è già una piccola stella nei caffè-concerto e nei locali parigini dove imita soprattutto il cantante Dranem, uno dei più applauditi di quel periodo. Non è tutto oro quel che riluce e il giovane Chevalier lo impara a sue spese quando dai piccoli locali passa a palcoscenici più impegnativo. Un fiasco al Petit Casino nel 1902 gli insegna che non si può puntare soltanto sulla sorte. Il ragazzo non s’arrende. Si impegna nello studio del canto, impara a ballare e pratica la boxe. Dopo aver ottenuto una parte in una rivista al Parisiana lascia la capitale e va a farsi le ossa nei teatri di provincia. Il primo, vero, grande successo arriva nel 1905 quando all’Alcazar di Marsiglia la gente fa la fila per assistere a una sua interpretazione. Qualche piccola esperienza cinematografica in cortometraggi muti precede il grande ritorno a Parigi nel 1909 alle Folies Bergères, uno dei templi della rivista musicale parigina. In breve diventa uno degli artisti più amati della capitale. Nelle sue braccia cadono prima la cantante Fréhel e poi la star delle star, quella Mistinguett che ha fatto innamorare con la sua voce e il suo corpo magnati, ufficiali, principi e re. L’aiuto della donna, che ha tredici anni più di lui e una notevole esperienza nel mondo dello spettacolo, si rivela determinante e non solo dal punto di vista artistico. Quando Chevalier, spedito al fronte durante la prima guerra mondiale, viene ferito, catturato dai tedeschi e rinchiuso nel campo di prigionia d’Alten Grabow, Mistinguett telefona alla nobiltà di mezza Europa e alla fine riesce a farlo liberare. Gli anni Venti e Trenta vedono il trionfo definitivo del suo personaggio di dandy frivolo che parla con un curioso accento popolare. La sua maschera funziona sia in francese che in inglese, una lingua che ha imparato rapidamente e nella quale si esprime con assoluta naturalezza. Novello re Mida sembra trasformare in oro tutto quello che tocca, dal teatro di rivista al cinema, alla canzone. All’inizio degli anni Venti la gente si spella le mani quando lui intona brani come Valentine e Dans la vie faut pas s’en faire. In breve la sua popolarità scavalca l’oceano. Nel 1928 lo chiamano a Hollywood. Ci va e interpreta una serie di film non destinati all’immortalità come “L’allegro tenente”, “Amami stanotte” o “La vedova allegra”. Nel 1935 stanco della vita frenetica della Mecca del cinema decide di rompere il contratto con la Metro Goldwin Mayer e di tornare in Francia. In quel periodo scrive e interpreta brani entrati nella storia della canzone francese come Prosper, Ma pomme, Marche de Ménilmontant, dedicata agli anni della sua infanzia o Y a d’la joie che regala a Charles Trenet, un giovane interprete destinato a suo parere a fare molta strada nel mondo dello spettacolo. Sono gli anni della maturità e della consapevolezza delle proprie qualità. Dal punto di vista artistico sono forse i migliori della sua lunghissima carriera, ma dal punto di vista umano sono anche quelli maggiormente ricchi di problemi. Essere un cantante che dispensa ottimismo, gioia di vivere e speranza nel futuro può diventare un problema quando il paese in cui si vive è occupato dai nazisti. Maurice Chevalier si ritrova così nel 1942 a essere inserito da Radio Londra nell’elenco dei francesi accusati di collaborazionismo con l’occupante. Tutto nasce dal fatto che il cantante, pur rifiutandosi di cantare a Berlino e di animare una trasmissione della collaborazionista Radio-Paris ha accettato di esibirsi per i prigionieri del campo d’Alten Grabow, dove lui stesso era stato rinchiuso nella guerra 1915-18. In cambio non chiede denaro ma la liberazione di dieci prigionieri provenienti dalla sua Ménilmontant. L’accusa infamante di “collaborazionista” significa la condanna a morte dopo la Liberazione. Arrestato nel 1944 trova insperati difensori nella stampa comunista e nel poeta Louis Aragon che chiedono la cancellazione dell’accusa perché infondata. Alla fine la spuntano. Pochi mesi dopo Chevalier è libero e torna in teatro con grande successo. Nel 1956 l’Alhambra viene ribattezzato con il suo nome e diventa Alhambra-Maurice Chevalier. Mentre la Francia lo osanna, però, nascono nuovi problemi oltreoceano. Dopo una sua presa di posizione contro la proliferazione nucleare nel 1951 gli Stati Uniti lo dichiarano persona non gradita e gli vietano l’ingresso nel paese. La limitazione all’accesso in territorio yankee è abolita nel 1955, giusto in tempo per girare due film come “Arianna” e soprattutto “Gigi” di Vincente Minnelli che nel 1958 spopola agli Oscar. Nel 1967 festeggia i suoi settant’anni con una tournée in mezzo mondo e il 1° ottobre 1968 dà il suo addio ufficiale alle scene sul palcoscenico del Teatro degli Champs-Elysées. È stanco. L’età si fa sentire. Nel 1970 presta la sua voce alla versione francese del tema del film “Gli Aristogatti” della Walt Disney. Dopo l’ennesimo viaggio negli Stati Uniti il 12 settembre 1971 festeggia con un pugno di giornalisti e d’amici il suo ottantatreesimo anniversario. Poi inizia a stare male. Ricoverato in ospedale chiude per sempre gli occhi il 1° gennaio 1972.
31 dicembre, 2021
31 dicembre 1968 – George Lewis, un alfiere della New Orleans Renaissance
Il 31 dicembre 1968 scompare il clarinettista e sassofonista George Lewis. La sua morte avviene a New Orleans, la città dove era nato il 13 luglio di un anno che lui cambiava spesso, anche se quasi sicuramente era il 1900. Il suo nome completo era George Louis Francis Zeno. Con lui muore uno degli artefici del movimento musicale chiamato New Orleans Renaissance. Autodidatta e troppo pigro per imparare davvero a leggere la musica sviluppa inizia a suonare giovanissimo e la prima espreienza orchestrale la vive con la Black Eagle Band. Suona poi con Leonard Parker, Chris Kelly, Kid Rena, la Black and Tan Band di Buddy Petit e l'orchestra di Earl Humphrey prima di dar vita a una propria orchestra con il trombettista Red Allen. Durante gli anni Trenta decide di chiudere con la musica e si guadagna da vivere come scaricatore al porto di New Orleans. A farlo tornare sui suoi passi è Gene Williams che nel 1942 lo convince a riprendere a suonare. Proprio in quegli anni diventa uno dei maggiori esponenti di quella New Orleans Renaissance che rivoluziona il mondo del jazz. In quel periodo suona nella formazione di Bunk Johnson senza rinunciare però a esibirsi con proprie formazioni e con altri musicisti. Nel 1943 forma la George Lewis New Orleans Strompers con Avery "Kid” Howard alla tromba, Jim Robinson al trombone, Lawrence Marrero al banjo, Chester Zardis al contrabbasso e Edgar Mosley alla batteria. Nel 1946 forma un nuovo gruppo e decide di non muoversi più dalla sua New Orleans. Il proposito resta solo una dichiarazione d’intenti visto che nel 1953 accetta di suonare sulla West Coast e nel 1957 è addirittura in Gran Bretagna con l'orchestra di Ken Colyer;. Torna in Europa nel 1959 e poi va anche in Giappone. La sua attività continua fino alla morte.
30 dicembre, 2021
30 dicembre 1997 – Danilo Dolci, un tenace pacifista contro la mafia
Il 30 dicembre 1997 muore a Partinico, in provincia di Palermo, Danilo Dolci una delle figure più grandi del movimento non violento mondiale. Animatore sociale e poeta nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, un paese di confine tra Italia e Slovenia in cui le identità culturali rischiano di essere elemento di divisione. Dopo aver partecipato attivamente alla lotta antifascista negli anni Cinquanta abbandonare gli studi universitari per aderire all'esperienza di Nomadelfia, la comunità nata dall’iniziativa di don Zeno Saltini, un intraprendente prete cattolico. Dopo un periodo passato a Fossoli di Carpi si trasferisce nella Sicilia occidentale dove inizia a promuovere numerose iniziative di lotta nonviolenta contro la mafia, le povertà e il sottosviluppo rivendicando dignità, diritti e lavoro per la popolazione di quelle zone. Nel corso degli anni indaga approfonditamente sul fenomeno mafioso e sui suoi rapporti col sistema politico incurante delle persecuzioni e delle minacce.
29 dicembre, 2021
29 dicembre 1947 – Didi Balboni, un’eclettica protagonista degli anni Sessanta
Il 29 dicembre 1947 nasce a Cento, in provincia di Ferrara la cantante Didi Balboni. Scoperta quasi per caso dall’annunciatrice Gabriella Farinon si ritrova in breve tempo catapultata dalle esibizioni scherzose nelle feste con gli amici alla ribalta televisiva. Come cantante fa il suo debutto sul piccolo schermo cantando Tuffiamoci, nel programma di canzoni “Follie d’estate”. Il brano, firmato da Cioffi e Pagano, ottiene un buon successo ma il grande pubblico televisivo fa di lei una sua beniamina quando diventa “valletta” di Mike Bongiorno nel programma "La Fiera dei sogni". In quegli anni è anche la “ragazza immagine” del Cornetto Algida sulle riviste destinate al pubblico giovanile. Tra le sue canzoni di quel periodo ci sono Cara fatina, Piano piano, Hully gully triste e Ma-mandolino, sigla della trasmissione “Stasera canzoni”.
28 dicembre, 2021
28 dicembre 1905 – Earl Hines, il padre del pianismo moderno
Il 28 dicembre 1905 nasce a Pittsburg, un sobborgo di Duquesne, in Pennsylvania, Earl Hines, uno dei grandi pianisti della storia del jazz. Il suo nome completo è Earl Kenneth Hines e il bambino comincia presto a respirare musica visto che suo padre Joseph suona la cornetta nelle brass bands della sua città, sua madre Mary è organista e la sorella Nancy, pianista, dirige una sua orchestra a Pittsburg. Per il piccolo Earl gli studi musicali sono quasi una strada obbligata. Il suo primo strumento è la cornetta, imparata da bambino, il cui suono continuerà ad affascinarlo anche negli anni seguenti al punto da spingerlo a inventare il cosiddetto “trumpet-piano style”, uno stile pianistico impostato sul fraseggio della tromba. A dieci anni comincia a suonare il pianoforte perfezionandosi nello studio rima con l'aiuto di vari maestri di Pittsburg e, successivamente, alla Schenley High School. Dopo alcune esperienze fatte in vari club di Pittsburg alla testa di un suo trio all'inizio degli anni Venti, viene ingaggiato dal cantante Lois B. Deppe con il quale si esibisce nel 1922 alla Lieder House di Pittsburg. L'anno seguente entra a far parte dei Deppe's Serenaders con i quali effettua un lungo tour attraverso gli Stati Uniti. Successivamente si trasferisce a Chicago per suonare prima al Club Elite n. 2 con il violinista Vernie Robinson e poi all'Entertainers' Club come solista. Viene quindi ingaggiato dalla orchestra di Carroll Dickerson, con la quale effettua una tournée per il Pantages Circuit. Rientrato a Chicago oltre che con Dickerson suona con Erskine Tate e Sammy Stewart. Nel 1926 Louis Armstrong lo ingaggia come direttore musicale degli Stompers, la sua formazione con la quale debutta al Sunset riscuotendo un enorme successo. Sempre con Armstrong e Zutty Singleton, Hines suona alla Warwick Hall di Chicago, prima di essere ingaggiato verso la fine del 1927 dal grande clarinettista Jimmie Noone per suonare all'Apex Club. Nell'estate del 1928 Armstrong lo chiama a far parte dei suoi nuovi Hot Five, formati dal nucleo base dell'orchestra di Dickerson. La nuova formazione, anche per l'apporto di Zutty Singleton consente a Earl e a Louis di sfoggiare un linguaggio jazzistico di altissimo livello. Proprio la presenza di Hines determina un profondo mutamento nella classica impostazione dell’improvvisazione collettiva degli Hot Five. La ricchezza armonica della sua tastiera rivoluziona così il jazz di New Orleans e porterà la critica a considerarlo come il padre del pianismo moderno. Nello stesso periodo da vita alla big band del Grand Terrace di Chicago, un’orchestra che manterrà unita per quasi vent'anni consecutivi, metà dei quali trascorsi nel locale che le dà il nome. Nel 1940 partecipa a una seduta di registrazione di Sidney Bechet, registrando tra l'altro il brano Blues in thirds nel quale il suo assolo fa introduzione a una superba improvvisazione del clarinetto di Bechet. Nel 1943 l'orchestra di Hines diventa la culla della scuola bop, accogliendo nelle sue fila Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Benny Green e Oscar Pettiford. Hines entra poi negli All Stars di Louis Armstrong, con Jack Teagarden e Barney Bigard restando per molti anni. Quando i rapporti con i suoi compagni si fanno più tesi si ritira in California dove si esibisce per molto tempo all'Hangover Club di San Francisco sia come solista sia alla testa di una dixieland band. Proprio a San Francisco ottiene un ingaggio “a vita” al The Cannery, uno dei più famosi cabaret della città. Torna a esibirsi a New York soltanto nella primavera del 1964 per prendere parte a un concerto organizzato appositamente per lui al Little Theatre dal critico Stanley Dance. L'anno successivo suona al Village Vanguard insieme a Coleman Hawkins, Roy Eldridge, George Tucker e Oliver Jackson e partecipa al festival pianistico di Pittsburg dove suona con Duke Ellington, Mary Lou Williams, Willie “The Lion" Smith, Billy Taylor e altri. Nel 1966 effettua una storica tournée in Russia per conto del dipartimento di stato americano. Alla fine degli anni Sessanta la sua attività si fa frenetica e Hines continua praticamente a suonare finché la salute glielo consente. Muore il 22 aprile 1983 a Oakland, in California.
27 dicembre, 2021
27 dicembre 1936 - Tony Del Monaco, cantante e autore
Il 27 dicembre 1936 nasce a Sulmona, in provincia de L'Aquila, il cantante e autore Tony Del Monaco. Dotato di una voce melodica molto potente, dopo alcuni anni passati a esibirsi nei locali notturni di tutta Italia, nel 1961 debutta come attore nella commedia musicale "L'adorabile Giulio", con Carlo Dapporto e Delia Scala e nel 1965 presenta allo spettacolo televisivo "Campioni a Campione" il brano Vita mia, che entra subito in classifica. L'anno dopo si ripete con Se la vita è così partecipando a "Un disco per l'estate" e al Cantagiro. Da autore scrive varie canzoni di successo come L'ultima occasione, che diventa molto popolare nell'interpretazione di Mina e viene ripresa in inglese da Tom Jones. Nel 1967 partecipa al Festival di Sanremo con È più forte di me in coppia con Betty Curtis, cui segue un nuovo brano d'alta classifica come Una spina e una rosa. Torna ancora a Sanremo nel 1968 con La voce del silenzio in coppia con Dionne Warwick, nel 1969 con Un'ora fa insieme a Fausto Leali e nel 1970 interpretando Serenata con Claudio Villa. Successivamente riduce l'attività di cantante per dedicarsi maggiormente all'attività di autore. Muore ad Ancona il 27 maggio 1993.
26 dicembre, 2021
26 dicembre 1965 - Niente nozze riparatrici per Franca Viola
Il 26 dicembre 1965 la diciottenne Franca Viola di Alcamo, rompendo la tradizione siciliana che vuole che la donna “disonorata” chieda le “nozze riparatrici”, denuncia Filippo Melodia, lo spasimante che l’ha rapita, violentata e infine liberata. Denunciato dalla ragazza il rapitore finisce in carcere. Per la prima volta una ragazza siciliana rifiuta di sposare l’uomo che l’ha rapita "per amore". Nel 1966 Filippo Melodia viene condannato a 11 anni di carcere ridotti poi a 10. Nel 1968 Franca Viola sposa Giuseppe Ruisi. Melodia invece, uscito dal carcere nel 1976, finirà ucciso a colpi di lupara il 13 aprile 1978. Franca diventa così un simbolo dei tempi che stanno cambiando e della voglia delle donne di non sottostare più alle regole della vecchia società patriarcale. La sua vicenda nel 1970 ispira un film del regista Damiano Damiani intitolato “La moglie più bella”. Protagonista femminile nei panni di Franca è Ornella Muti.
25 dicembre, 2021
25 dicembre 1908 - Eddie Gibbs, banjo, chitarra e contrabbasso
Il 25 dicembre 1908 a New Haven, nel Connecticut, nasce Eddie Gibbs, all'anagrafe registrato con il nome di Edward Leroy Gibbs. Comincia a suonare il banjo quando è ancora un ragazzo, perfezionandosi poi in varie scuole specializzate. A partire dal 1932 inizia a suonare anche la chitarra sotto la guida di Elmer Snowden ma ottiene il suo primo importante ingaggio come banjoista con il trio del clarinettista Wilbur Sweatman con cui incide a New York i suoi primi dischi per la Victor. Suona poi con Billy Fowler, Charlie Johnson, Eubie Blake e Alex Hill. Nel 1937 entra a far parte dell'orchestra di Edgar Hayes.. Nel 1940 viene ingaggiato dal violinista Eddie South con il quale si esibisce nei più noti locali della 52a Strada. Nello stesso anno suona anche con l'orchestra di Teddy Wilson insieme a musicisti come Bill Coleman, Benny Morton e Jimmy Hamilton. Nel corso degli anni Quaranta si unisce via via alle orchestre di Dave Martin, Luis Russell e Claude Hopkins e poi suona con un trio a suon nome al Village Vanguard. Tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta si esibisce a Broadway in vari show, tra cui “The pirate” e “Beggars are coming to town”, poi si aggrega al trio di Cedric Wallace prima di entrare a far parte nel 1952 della jazz band di Wilbur De Paris con la quale si esibisce regolarmente, in veste di banjoista, al Jimmy Ryan's. Verso la fine degli anni Cinquanta decide di cimentarsi anche nel contrabbasso e si rimette a studiare seriamente sotto la guida di Bass Hill. Tra i suoi ingaggi più importanti figurano anche quelli con le formazioni di Henry Goodwin e di Cecil Scott. Muore il 12 novembre 1994.
24 dicembre, 2021
24 dicembre 1914 - Ralph Marterie, il trombettista di Chicago nato ad Acerra
Il 24 dicembre 1914 ad Acerra, in provincia di Napoli, nasce Raffaele Marterie, il futuro trombettista Ralph Marterie. Emigrato negli Stati Uniti con i suoi genitori, all'inizio degli anni Venti è a Chicago dove a soli quattordici anni suona la tromba in una formazione locale. Chicago resta la sede principale della sua attività anche negli anni seguenti quando si esibisce con vari gruppi e alla radio. Si racconta che la prima formazione a suo nome sia nata nel periodo in cui presta il servizio militare in marina. Tornato alla vita civile prosegue poi l'esperienza dando vita a una nuova orchestra con la quale lavora soprattutto per la ABC. Nel 1951 nel corso di una lunga tournée di successo comincia a cambiare stile passando dallo swing ad una musica pop di più facile e largo consumo. Muore a Dayton, nell'Ohio, il 10 ottobre 1978.
23 dicembre, 2021
23 dicembre 1966 - L'UFO Club, il tempio dell'underground londinese
Il 23 dicembre del 1966 John Hopkins, seguendo un suggerimento di Steve Stoliman, proprietario dell'etichetta underground ESP di New York, inaugura l'UFO Club, un'organizzazione destinata a restare nella storia dell'underground londinese. Il club inizialmente utilizza per le sue attività il Barney Club, una sala da ballo poco frequentata. Le prime due serate vengono intitolate "Ufo presents night tripper" (Ufo presenta il viaggiatore della notte). Poi non serve più il titolo perché basta il marchio UFO. Il locale diventa il ritrovo di un sacco di persone che suonano, recitano poesie o tengono conferenze su vari argomenti. Ogni domenica pomeriggio ci sono gli "Spontaneous Underground", uno spazio con palco, teatro, sala di proiezione e discoteca dove si esibiscono liberamente i gruppi del fertile tessuto underground. Proprio all'UFO la Purple Gang compone e interpreta Granny takes a trip, una canzone il cui titolo è ispirato al negozio di abbigliamento underground di Kings Road, che diventa l'inno ufficiale del movimento. Gli artisti fanno a gara per aiutare il locale e anche il giornale autogestito nato per supportare il movimento underground. Si racconta dei Beatles seduti tranquilli ad ascoltare Pink Floyd e Soft Machine mentre Pete Townshend degli Who chiede di pagare due volte il biglietto per sostenere il giornale e Kimi Hendrix sale sul palco per unire la chitarra ai Soft Machine. Le iniziative dell’UFO diventano il fulcro della vita artistica alternativa di Londra e nell'autunno del 1967 si trasferiranno nella più capiente Roundhouse, che però verrà quasi subito chiuso dalla polizia. Ma il seme ormai è gettato e la pianta crescerà da sola. Racconta Roger Water dei Pink Floyd: «La prima volta che suonammo ci saranno state venti persone, la settimana dopo un centinaio, poi tre, quattrocento e alla fine non si poteva più entrare. L'UFO iniziò cosi...»
22 dicembre, 2021
22 dicembre 1927 - Ronnie Ball, l'allievo inglese di Tristano
Il 22 dicembre 1927 nasce a Birmingham, in Gran Bretagna, il pianista Ronald "Ronnie" Ball. Il ragazzo inizia prestissimo gli studi musicali e a soli quattordici anni è già apprezzato come pianista in varie orchestrine che si esibiscono nei locali della sua città natale. A ventun anni, nel 1948, entra per la prima volta in sala di registrazione dove suona con musicisti come Ronnie Scott, Vic Feldman, Tony Kinsey. Nel 1952 decide di fare il grande salto e si trasferisce negli Stati Uniti dove entra a far parte del ristretto gruppo di allievi di Lennie Tristano. Tra le sue esperienze più importanti ci sono quella in trio con il chitarrista Chuck Wayne, quella in quintetto con Lee Konitz. Nel febbraio 1956 entra anche a far parte del quintetto di J.J. Johnson e Kai Winding. Muore nel 1984 a New York.
21 dicembre, 2021
21 dicembre 1963 - Clifford Gibson muore in miseria
Il 21 dicembre 1963 a St. Louis, nel Missouri, muore in miseria il bluesman Clifford Gibson. Nato nel Kentucky il 17 aprile 1901 proprio a St. Louis per alcuni anni è stato un popolarissimo e acclamato protagonista della scena musicale. Al momento della morte però il pubblico gli ha da tempo voltato le spalle e la moglie è costretta a venderne il corpo alla facoltà di medicina per poter pagare le spese del funerale. Il palcoscenico preferito da Gibson, come da quasi tutti i grandi bluesmen della sua epoca sono le strade dove il pubblico impara a conoscerlo e ad apprezzarlo gli inusuali acuti lunghi e prolungati che trae dalle corde della sua chitarra e per il cane ammaestrato che lo accompagna nelle esibizioni. Il primo ad accorgersi delle sue qualità è Jesse Johnson, proprietario di un magazzino di dischi, organizzatore di spettacoli e artefice fondamentale della diffusione del blues di St. Louis. Grazie al suo interessamento Gibson registra tra il 1929 e il 1935 una quarantina di brani che negli anni Settanta vengono in gran parte inseriti e nell'album Beat you doing it.
20 dicembre, 2021
20 dicembre 1933 - Sam Falzone, un sax da big band
Il 20 dicembre 1933 nasce a Buffalo, New York, il saxoclarinettista Sam Falzone, all'anagrafe registrato con il nome di Salvatore Joseph Falzone. Inizia a studiare clarinetto all'età di quattordici anni prosegue ininterrottamente fino al 1951. Nel 1952, chiamato alle armi, presta il servizio militare nell'aviazione ed entra a far parte della Air Force Band. Congedatosi nel 1955 riprende a lavorare con vari gruppi. Nel 1964 incontra il trombettista Don Ellis che lo scrittura per la sua big band. Quattro anni dopo lascia Ellis per entrare nella big band del batterista Buddy Rich. Chiusa anche questa esperienza riduce progressivamente le esibizioni dal vivo per dedicarsi quasi esclusivamente all'attività di studio. Il suo stile, fortemente influenzato dal linguaggio dell'hard bop, è sostenuto da una forte espressività e da una voce strumentale molto potente che si esprime in fraseggi tesi e nervosi. Muore il 22 settembre 2013 a Getzville, New York.
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