17 gennaio, 2022

17 gennaio 1933 – Dalida, artista inquieta, triste e sola

Il 17 gennaio 1933 al Cairo, in Egitto, nasce Dalida registrata all’anagrafe con il nome di Jolanda Gigliotti. È cittadina francese, ma i suoi genitori sono italiani o, meglio, calabresi. Dotata di una voce particolare, dai toni scuri, inizia giovanissima a cantare nei club di Parigi la versione francese di celebri brani napoletani. Proprio uno di questi le regala il primo grande successo discografico. È Bambino, versione francese di Guaglione. Il brano, pubblicato quasi per gioco arriva al vertice delle classifica di molti paesi europei. Anche l’Italia si accorge di lei e la accoglie con calore portando ai vertici delle classifiche le sue versioni di brani come Bang Bang, Milord, Come prima, Quelli erano giorni o L'ultimo valzer. Nel 1967 Dalida partecipa al suo unico Festival di Sanremo. La ragazza canta sul palcoscenico dei fiori Ciao amore ciao in coppia con l’autore Luigi Tenco verso il quale è legata da un grande affetto, ricambiato. L’esperienza si conclude tragicamente. Proprio nei giorni della manifestazione sanremese, infatti, Tenco viene ritrovato nelle sua camera d’albergo senza vita, ucciso da un colpo di pistola. Le indagini, frettolose e sommarie, parlano di suicidio. L’episodio segna una svolta nella vita di Dalida che tenterà più volte di farla finita negli anni successivi. Il pubblico italiano non l’abbandona. Nel 1968 vince "Canzonissima" con Dan dan dan e, pur lontana dei grandi successi degli anni Sessanta, continua a essere amata da un robusto gruppo di fedeli ammiratori che non la lasceranno mai sola neppure negli anni successivi. All'inizio del 1987 si esibisce in un grande concerto in Turchia davanti al presidente Kenan Evren. È un buon periodo per la cantante. Si parla di un suo nuovo album e di un serial televisivo, ma il 3 maggio dello stesso anno, in preda a una crisi depressiva, si toglie la vita con una dose eccessiva di barbiturici.


16 gennaio, 2022

16 gennaio 1924 - Ernesto Bonino, Mister Swing

Il 16 gennaio 1924 nasce a Torino Ernesto Bonino, uno dei più acclamati esponenti di quel genere che viene chiamato "canzone sincopata", una sorta di italianizzazione di uno stile mutuato dalle grandi orchestre jazz d'oltreoceano e che tende a unire la melodia della tradizione italiana alle suggestioni ritmiche dello "swing". Proprio nei locali della sua città natale muove i primi passi come cantante nella seconda metà degli anni Trenta. Alla fine del 1940 viene scritturato dall'EIAR dopo un'audizione ottenuta grazie a un geniale scopritore di talenti come il maestro Carlo Prato, lo stesso cui si deve la scoperta e il lancio del Trio Lescano. Il 5 gennaio 1941 debutta ai microfoni radiofonici interpretando Tango argentino. Nello stesso anno ottiene il primo grande successo con Se fossi milionario, un brano composto da Calzia e Cram e registrato con l'accompagnamento dell'orchestra di Pippo Barzizza. Seguono poi molti altri brani tra cui la popolarissima Maria Gilberta, Bambola, La famiglia canterina con il Trio Lescano e soprattutto Un giovanotto matto, il brano nato dal talento di Lelio Luttazzi e destinato a diventare una sorta di carta d'identità musicale del cantante. In quegli anni critici e pubblico gli regalano l'appellativo di "Mister Swing". La sua capacità di muoversi con grande naturalezza nel territorio della "musica ritmica", sempre sospeso tra jazz e tradizione non entusiasma solo il pubblico, ma gli vale la stima di quasi tutti i grandi maestri e i direttori delle orchestre più alla moda del periodo. Da Pippo Barzizza a Carlo Prato, da Gorni Kramer ad Alberto Semprini tutti apprezzano quel giovanotto capace di far divertire il pubblico con una voce che sembra nata per dare vigore alla struttura ritmica delle canzoni. L'apparente naturalezza del suo modo di cantare rischia di far sottovalutare lo studio e la passione che ne hanno accompagnato l'intera carriera. Alla base della notevole qualità delle sue interpretazioni, infatti, c'è il desiderio costante di migliorarsi e l'amore per il jazz che l'accompagneranno in tutto il suo percorso musicale. Il suo successo è tale che nel 1942 può permettersi di rinunciare allo stipendio fisso dell'EIAR, per curare meglio la sua carriera di cantante. Per lungo tempo è accompagnato dall’orchestra di Alberto Semprini, anche se successivamente preferisce affidarsi alle cure di Pippo Barzizza. All'inizio degli anni Cinquanta si trasferisce negli Stati Uniti dove resta, con varie interruzioni, fino al 1958 affermandosi come interprete dei "classici" del jazz esibendosi nei più importanti locali di New York, Chicago e Miami. Nel 1962 si piazza al terzo posto al Festival di Sanremo interpretando Gondolì gondolà in coppia con Sergio Bruni. Gli ultimi anni della sua vita lo vedono in estrema difficoltà. Persa la voce in seguito a un'operazione, riesce a sopravvivere grazie a un vitalizio concesso dopo molte richieste dallo stato italiano. Muore il 28 aprile 2008 a Milano.


15 gennaio, 2022

15 gennaio 1955 – La Lancia Aurelia B24 Spider, l’auto de “Il sorpasso”

Un gioiellino dalla linea sportiva incredibilmente raffinata. Così viene definita il 15 gennaio 1955 al suo apparire al Salone di Bruxelles la Lancia Aurelia B 24 Spider, considerata uno dei capolavori del carrozziere torinese Battista Pinin Farina. La sua base meccanica è l’autotelaio della B 20 IV serie, ma le forme e le prestazioni sono da sogno per l’epoca. Anche il prezzo non scherza, visto che l’auto viene messa in vendita a tre milioni di lire, una cifra che, calcolata a spanne, corrisponde a circa 50.000 Euro di oggi. Questo giustifica in parte la limitata diffusione del modello. Ne vengono prodotte, infatti, soltanto 240 in poco più di un anno cui vanno aggiunte, per onor di verità, le 521 auto dell’Aurelia Convertibile, una sorta di modello più evoluto costruito a partire dal 1956 seguendo le indicazioni dei consumatori americani. Il numero limitato di vetture prodotto non dipende soltanto dal prezzo. In realtà la Lancia manca di una vera e propria rete di commercializzazione adeguata ai tempi e diffusa sia in Italia che all’estero. La struttura commerciale necessiterebbe di ulteriori investimenti, ma le fortune della famiglia Lancia sono alla vigilia del declino e la casa automobilistica sta per imboccare il lungo e periglioso cammino del cambiamento di assetto proprietario. L’Aurelia B 24 Spider è il lampo lucente della supernova, il più brillante guizzo della genialità e del gusto per la bellezza. Il gioiello diventa, prima di tutto, l’orgoglio di chi l’ha costruito. «È impossibile resistere alla tentazione. Quando vedi un’Aurelia B 24 lo sguardo non ti basta, ti viene un impulso irrefrenabile di toccarla». Non sono le parole di un fanatico lancista, ma quelle di Franco Martinengo, per cinquant’anni direttore del Centro Stile Pininfarina, uno che nella sua lunga carriera di auto belle ne ha viste a bizzeffe. Lo stesso Battista Pinin Farina per anni ne ha gelosamente custodita una per sé con il tettuccio rigido in plexiglas azzurro cielo. Quest’automobile che fa innamorare a prima vista nasce nel 1954 quando dai capannoni della Lancia esce un prototipo derivato dalla B 20. Ha dei grossi rostri sui paraurti e fa la sua prima uscita in una gara di regolarità a Cortemaggiore guidata dal famoso Gigi Villoresi. Poi non se ne sa più niente o, meglio, viene letteralmente sequestrata da Gianni Lancia, figlio di Vincenzo, il fondatore della casa, che la usa per muoversi sulle non ancora intasate strade della città di Torino. Per qualche tempo l’idea sembra destinata a finire così, ma in realtà i progettisti stanno lavorando all’Aurelia B24 Spider, un modello nato con un occhio alle possibilità el mercato statunitense. La presentazione ufficiale avviene al Salone di Bruxelles il 15 gennaio 1955. Il nuovo modello è ancora più elegante del prototipo. Gli aggressivi rostri sono sostituiti da quattro piccoli paraurti che guardano vezzosamente all’insù mentre il parabrezza panoramico ispirato ai modelli nautici sembra fatto apposta per conquistare il pubblico nordamericano. «Decappottabile e supercompressa», così Bruno Cortona, il protagonista del film “Il sorpasso” di Dino Risi definisce la sua Aurelia B 24. Cortona ha il volto di Vittorio Gasmann ed è l’emblema dell’euforia eccessiva che domina gli anni del boom. La vettura, insieme a Jean-Louis Trintignant, è una sorta di terza protagonista della vicenda destinata a finire distrutta nella tragica conclusione dell’avventura estiva in fondo al burrone di Calafuria a Castiglioncello. Quello che pochi sanno, però, è che l’auto che precipita nel burrone non è un’Aurelia B24, ma una Siata 1400 Cabriolet nell’inusuale veste di controfigura.


14 gennaio, 2022

14 gennaio 1929 – Leo Cancellieri, il pianista di Sulmona

Il 14 gennaio 1929 nasce a Sulmona il pianista Leo Cancellieri. Inizia la sua attività musicale suonando il piano con il gruppo di Nunzio Rotondo e successivamente entra a far parte della Junior Dixieland Gang, formata a Roma nel 1953 da Sandro Brugnolini, sostituendovi il pianista Gino Tagliati. La formazione, verso il 1956, cambia nome e stile divetando la Modern Jazz Gang con Cicci Santucci alla tromba, Enzo Scoppa al sax tenore, Carlo Metallo al sax baritono, Sergio Biseo al contrabbasso e Roberto Podio alla batteria oltre a Brugnolini e Alberto Collatina già vecchi componenti della Junior Dixieland. In quel periodo la critica parla di Cancellieri come di uno dei migliori pianisti moderni in attività a Roma. Nel 1959 e 1960, parallelamente al lavoro con il gruppo partecipa anche a varie incisioni con diverse formazioni dirette da Nunzio Rotondo. Negli anni successivi riduce poi l’attività musicale fino ad abbandonare quasi definitivamente le scene.

13 gennaio, 2022

13 gennaio 1986 – Un nuovo inno per l’Italia? Vorrei cantarlo io...

Alla metà degli anni Ottanta si apre in Italia un dibattito sulla opportunità di cambiare l’inno nazionale. In molti ritengono che L’inno di Mameli, la marcetta nota anche come Fratelli d’Italia, abbia fatto il suo tempo. Gli stessi padri della Repubblica, del resto, l’avevano adottata in via provvisoria al momento della redazione della nuova Costituzione. In concomitanza con la riscoperta e la rivalorizzazione della bandiera nazionale c’è chi propone di scrivere, ex novo, un Inno del Tricolore, più moderno e più “in sintonia con il nuovo ruolo che l’Italia vuole avere nel mondo”. In un’intervista pubblicata da Stampa Sera il 13 gennaio 1986 Claudio Villa confessa al giornalista Lamberto Antonelli il suo desiderio di essere il primo interprete del nuovo inno: “Ho rappresentato e rappresento la canzone italiana nel mondo, sono una specie di bandiera dell’italianità... So che si sta scrivendo anche l’Inno del Tricolore e penso che avrei diritto a cantarlo io per la prima volta.”

12 gennaio, 2022

12 gennaio 1927 - Guy Lafitte, il saxoclarinettista tolosano

Il 12 gennaio 1927 nasce a Saint-Gaudens, in Francia, il sassofonista e clarinettista Guy Lafitte. Cresciuto a Tolosa impara da solo a suonare il clarinetto agli inizi degli anni Quaranta debuttando in pubblico con Gene Baptiste. Dopo aver suonato con un gruppo di gitani del sud-ovest della Francia lavora con quasi tutti i migliori giovani solisti del periodo, da Jimmy Rena ad André Persiany, a Jean Bonal, al violinista Michel Warlop incontrato poco tempo prima della sua morte. Dal 1947 abbandona il clarinetto per consacrarsi al sassofono tenore, strumento che lo consacrerà come uno dei personaggi più affascinanti del jazz francese grazie alla superba sonorità, ampia e generosa. Nel 1951 con Georges Hadjo e Andre Persiany accompagna il bluesman Big Bill Broonzy in tournée e successivamente entra nell’orchestra di Mezz Mezzrow poi in quella di Bill Coleman, e nel 1952 si unisce a Dicky Wells. Dal 1954 al 1958 suona al Trois Mailletzcon una propria orchestra alla quale si uniscono occasionalmente vari jazzisti statunitensi di passaggio in Francia come Lionel Hampton, Duke Ellington, Louis Armstrong, Bill Coleman, Wallace Davenport, Oliver Jackson, Bobby Durham, Eddie Locke, Arnett Cobb, Jimmy Woode e tanti altri. Nel 1954 l'Accademia del Jazz gli conferisce il premio Django Reinhardt. A partire dal 1972 divide il suo tempo fra l'allevamento delle pecore sulle colline della Guascogna, i concerti e le tournée in Francia e all'estero. Muore il 10 giugno 1998.


11 gennaio, 2022

11 gennaio 1939 – Nascono i Metronome All Stars

L’11 gennaio 1939 si svolge la prima seduta di registrazione dei Metronome All Stars, cioè il gruppo composto dai migliori musicisti jazz scelti sulla base dei risultati dei referendum indetti annualmente da “Metronome”, una delle maggiori riviste specializzate del settore. L’idea di organizzare sedute di registrazione di quelle che avrebbero potuto essere le formazioni ideali è dell’editore George T. Simon che, superata la comprensibile diffidenza iniziale, ottiene alla fine la collaborazione degli artisti. Alla seduta dell'11 gennaio 1939 partecipano, tra gli altri, Benny Goodman, Adrian Rollini, Bunny Berigan, Tommy Dorsey e Jack Teagarden. L’anno dopo la formazione è simile, ma con l'aggiunta di Charlie Christian e Gene Krupa.


10 gennaio 1945 – Rod, the mod

Il 10 gennaio 1945 a Highgate, Londra, nasce Roderick David Stewart, destinato a diventare con il nome abbreviato in Rod Stewart uno dei più discussi personaggi della scena pop per il suo rendimento altalenante e per la sua storia. Amante degli eccessi, dell'alcool, del football e delle donne, soprannominato “Rod the Mod” per la sua personale concezione dell'eleganza, Rod sarebbe nato due ore dopo l'esplosione di una V2 tedesca sulla sua casa. Irrequieto nel 1956, alla William Grimshaw Secondary School di Hornsey, si fa notare più per le sue doti calcistiche che per la sua applicazione allo studio. Tra il 1960 e il 1961 si iscrive a una scuola d'arte dove conosce Ray e Dave Davies e Pete Quaife, i futuri fondatori dei Kinks. Nel 1961 diventa un calciatore professionista dopo essere stato ingaggiato dal Brentford Football Club, una squadra di seconda divisione. La passione per la musica però è più forte di quella per il calcio. Nella primavera del 1962 inizia a cantare e a suonare l'armonica con il cantante folk Wizz Jones poi lascia l’Inghilterra e vagabonda per qualche mese sul contuinente europeo in autostop. Nell'autunno dello stesso anno lascia il calcio e si adatta a lavorare con i fratelli nel negozio di vernici della famiglia, ma la vita normale non fa per lui. Nel 1963, affascinato dal nascente rhythm and blues britannico, si unisce come armonicista alla band di Jimmy Powell and The Five Dimensions. Secondo la leggenda, poco tempo dopo, mentre, ubriaco, canta nella stazione di Twickenham, viene notato da Long John Baldry degli All Star di Cyril Davies che, nel gennaio 1964, lo chiama a far parte del suo nuovo gruppo, gli Hoochie Coochie Men. Il suo duetto con Baldry, nel brano Up above my head I hear music, lato B del singolo You'll be mine degli Hoochie Coochie Men, diventa il primo disco della sua lunghissima carriera seguito, a dicembre dello stesso anno, dal suo primo singolo da solista, Good morning little school girl, versione di un vecchio brano di Sonny Williamson, nel quale venne accompagnato da Brian Dally alla chitarra, Rod Guest al piano, Bobby Graham alla batteria e dal futuro Led Zeppelin John Paul Jones al basso. Nell'aprile del 1965, dopo una breve esperienza con i Soul Agents, forma gli Steampacket con Baldry, il tastierista Brian Auger, la vocalist Julie Driscoll, il chitarrista Vic Briggs, il batterista Mickey Waller e il bassista Rick Brown. Nel mese di novembre dello stesso anno, dopo la pubblicazione del suo secondo singolo da solista, The day will come, la televisione gli dedica uno special intitolato "Rod the Mod" mentre nella primavera del 1966 gli Steampacket si separano senza aver pubblicato alcun disco. Nel mese di aprile dello stesso anno Stewart entra a far parte degli Shotgun Express, un gruppo formato dal futuro leader dei Camel Peter Bardens, dai futuri Bluesbreakers di John Mayall, nonché futuri Fleetwood Mac Mick Fleetwood e Peter Green, da Dave Ambrose e da Beryl Marsden, con cui pubblica un solo singolo, I could feel the whole world turn round. Il 10 dicembre 1966, Jeff Beck, da poco orfano degli Yardbirds, lo chiama per offrirgli il posto di cantante del Jeff Beck Group. L’attività della band non gli impedisce di continuare anche come solista. Nel 1967 pubblica il singolo Little Miss Understood e registra, con la produzione di Mick Jagger, altri brani che verranno pubblicati soltanto dieci anni dopo nell'album A shot of R&B. Nell'estate del 1969 Jeff Beck decide di sciogliere il suo gruppo per cambiarne radicalmente la formazione e Rod segue Ron Wood negli Small Faces, da poco orfani di Steve Marriott, andatosene per formare gli Humble Pie. Nel mese di novembre Rod firma un contratto discografico come solista con la Mercury, mentre gli Small Faces nella nuova formazione, dopo aver cambiato nome nel più semplice Faces, vengono scritturati dalla Warner Brothers. Nel mese di febbraio del 1970 il primo album da solista di Stewart, And old raincoat won't ever let you down (pubblicato negli Stati Uniti come The Rod Stewart album) e il singolo Handbags and gladrags precedono di pochi giorni la pubblicazione del primo album dei Faces First step. Sei mesi dopo pubblica il suo secondo album Gasoline alley che conferma la sua costante ascesa. Il fenomeno Rod Stewart esplode definitivamente nel 1971 con l'album Every picture tells a story che oscura anche il buon successo di A nod's as good as a wink... to a blind horse, l'album dei Faces. La sua popolarità inizia a incrinare il rapporto con il gruppo, anche se vengono smentite le voci di un'imminente rottura. Il 12 dicembre 1972 Stewart partecipa alla rappresentazione londinese di "Tommy", l'opera rock dei Who, cantando Pinball wizard, un brano che interpreta anche nella versione orchestrale della stessa opera realizzata dalla London Symphony Orchestra. Nel 1973 i Faces iniziano a sfaldarsi. Rod dichiara alla stampa di sentirsi limitato dai compagni e Ronnie Lane se ne va sostituito da un ex Free, il giapponese Tetsu Yamauchi. Nel 1974 Stewart chiede ai compagni di inserire nei concerti dal vivo, accanto alla tradizionale formazione della band, anche una sezione di fiati, per proporsi al pubblico in una versione più vicina a quella dei suoi dischi da solista. I Faces accettano finendo per diventare esclusivamente la band di supporto del loro cantante che nel frattempo ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti. Rod Stewart è ormai una star del pop internazionale.

10 gennaio, 2022

9 gennaio 1944 - Oscar Prudente, cantautore, compositore e produttore

Il 9 gennaio 1944 nasce a Rossiglione, Genova, il cantautore, compositore e produttore Oscar Prudente. Dopo aver studiato chitarra, pianoforte e batteria, nel 1959, a soli quindici anni diventa il batterista del gruppo di Colin Hicks. Negli anni seguenti suona poi la batteria nella formazione che accompagna Luigi Tenco. Nel 1964 pubblica per la ARC il suo primo 45 giri Vola con la spider e nel 1966 firma un contratto con la casa discografica Jolly. In quel periodo collabora con Dario Fo scrivendo le musiche per vari lavori teatrali e prestando anche la sua voce nelle versioni discografiche dei brani. Passato alla Ricordi pubblica un paio di dischi con il gruppo Le Mani Pesanti e nel 1968 partecipa al Cantagiro con Benvenuto fortunato. Nel 1971 partecipa a Un disco per l'estate con la canzone Rose bianche rose gialle i colori le farfalle e nel mese di gennaio del 1973 dà alle stampe il suo primo album Un essere umano, seguito l’anno dopo da Poco prima dell'aurora, in coppia con Ivano Fossati. Nel 1974 registra l’album Infinite Fortune e nel 1975 scrive tutte le canzoni tranne una del disco Un mondo di frutta candita di Gianni Morandi. La sua popolarità come interprete non è pari al suo successo come autore. Si calcola abbia scritto quasi ottocento brani per tutti i più importanti cantanti italiani.


07 gennaio, 2022

7 gennaio 1916 – “Bo Bo” Jenkins, il bluesman che cantava la politica

Il 7 gennaio 1916 a Folkland, in Alabama, nasce John Pickens Jenkins, cantante e chitarrista blues più conosciuto come “Bo Bo” Jenkins. Talento precoce a cinque anni canta nella chiesa del suo quartiere e nel 1925, a nove anni, entra a far parte di un gruppo gospel. Nel 1928 lascia la famiglia e si trasferisce a Memphis. Dopo il servizio militare, nel settembre del 1942, si stabilisce a Detroit, nel Michigan dove cerca e trova lavoro pur non rinunciando a coltivare nel tempo libero la sua passione per la musica. Nel 1954 debutta in un club di St. Louis. Il suo nome comincia a dibvantare popolare anche per la capacità di mettere in musica concetti complessi che appartengono alla sfera politica. Proprio nel 1954 il suo Democrat blues gli vale un contratto discografico e di edizioni con la Chess. La strada è aperta. La sua intensa attività culmina nel 1964 nella costruzione di una propria casa discografica, la Big Star con cui realizza vari album compresi i fondamentaliThe life of Bo Bo Jenkins e Here I am a fool in love again. Tra le sue catteristiche più rilevanti c’è quella di adattare il repertorio tradizionale al sound moderno del blues di Detroit. Muore il 14 agosto 1984 in quella Detroit che da tempo è diventata la sua città


06 gennaio, 2022

6 gennaio 1938 – Adriano Celentano, il ragazzo della Via Gluck

Il 6 gennaio 1938 nasce a Milano Adriano Celentano. Figlio di immigrati pugliesi, negli anni Cinquanta abita a Milano in quella Via Cristoforo Gluck che è diventata la sua Abbey Road. Fa l’apprendista orologiaio e arrotonda le entrate imitando Jerry Lewis in coppia con il suo amico Elio Cesari che in quel periodo imita Dean Martin e poi diventerà Tony Renis. Sono anni frizzanti. Finite le giornate del boogie woogie arrivato sui tank degli americani in Italia cominciano ad arrivare sulle onde del passaparola e dei primi dischi “rubati” gli echi di nuovi ritmi. Nell’aprile del 1954 è uscito nelle sale statunitensi il film “Rock around the clock”. I giornali raccontano che il brano omonimo, interpretato da Bill Haley, sta suscitando l’entusiasmo dei ragazzi d’oltreoceano e parlano di un nuovo ballo chiamato rock and roll.. Con la preveggenza che spesso contraddistingue parte della critica italiana c’è chi sostiene che non potrà mai avere successo da noi perché «troppo lontano dai nostri gusti musicali». Se per i benpensanti il rock and roll è il diavolo, un segno evidente della corruzione dei costumi, per i giovani è invece il profumo della libertà. Quello che si muove in Italia non è ancora un vento, ma un sottile e appena percettibile refolo. Timidamente emergono i primi imitatori delle tecniche d'oltreoceano. Anche se non c’è l'urlo rabbioso e liberatorio del rock più aspro e “nero” alcuni iniziano a cantare fuori dai gorgheggi e dalle voci impostate della tradizione. Il giovane Celentano è uno dei più esagerati. Canta in un inglese approssimativo i brani imparati dal giradischi e rielabora il ritmo con il corpo prima ancora che con la voce muovendosi come una marionetta senza fili. Le sue esibizioni nelle balere milanesi gli valgono il titolo onorifico di Molleggiato e ne fanno un mito per quel tessuto complesso di adolescenti apprendisti, lavoratori, studenti e disoccupati delle periferie milanesi che anni dopo qualcuno chiamerà proletariato giovanile. La sua carica fa esplodere anche il Santa Tecla, il tempio del jazz e della musica alternativa milanese dell’epoca, ma l’occasione della vita arriva con il Festival del Rock and roll di Milano. Il 18 maggio 1957 la sua esibizione scatena il finimondo. Adriano in maglietta rossa e blue jeans sale sul palco insieme ai Rocky Boys e fa esplodere gli oltre diecimila spettatori stipati come sardine nel Palazzo del Ghiaccio con sedie divelte, ragazzine che urlano, mentre un centinaio di ragazzi rimasti fuori si scontra con la polizia. Lì nascono il mito di Adriano Celentano e il rock and roll italiano, che non può essere considerato una semplice e pura “moda” d’importazione. Quasi tutti i rocker della prima generazione infatti sono degli innovatori, non degli scimmiottatori. Essi innestano le caratteristiche del genere proveniente dall’altra parte dell’Oceano sull’impianto della canzone ritmica italiana elaborando così una strada autonoma, una sorta di “via italiana al rock and roll” che influenzerà in maniera profonda la stessa struttura della musica popolare del nostro paese. Un mese dopo l’incendio del Palazzo del Ghiaccio l’eroe dei giovani milanesi pubblica il suo primo disco. Nel 1958 centra il suo primo successo commerciale con Buonasera signorina. Nel 1959 vince il Festival di Ancona con Il tuo bacio è come un rock. La svolta della sua carriera porta la data 26 gennaio 1961 quando il rock and roll sbarca al Festival di Sanremo con la canzone 24 mila baci. Adriano si presenta sul "sacro" palcoscenico del Festival in modo strafottente e fuori dagli schemi. Durante l'esibizione si contorce e si permette di voltare la schiena al pubblico dimenando i glutei in diretta televisiva. Con quell'esibizione a Sanremo non sbarca soltanto il rock and roll, ma anche la carica sessuale che l'accompagna. La diretta televisiva amplia a dismisura l'impatto. Il successo del brano è straordinario e oltre un milione di copie del disco verranno bruciate in poche settimane. La nicchia è diventata un fenomeno di massa. Il refolo è diventato un tornado e Celentano un profeta indiscusso. L’uomo prende fin troppo sul serio questo ruolo e non smetterà più di recitare la parte. Raduna gli amici di sempre in una factory alla quale da il nome di Clan, scopre la religione attraverso una crisi mistica, diventa una star del cinema e soprattutto prende posizione sempre e comunque in modo esagerato, anche quando non è dalla parte giusta. Si schiera contro il divorzio, contro l’aborto e quando esplodono le lotte operaie dell’autunno caldo predica la pace sociale con Chi non lavora non fa l’amore. Non si fa però in tempo a dargli del reazionario che lui apre una dura critica al modello di sviluppo consumista e si lancia in campagne ecologiste, pacifiste e antirazziste. Nonostante il passare del tempo, pur lontano dal "molleggiato" rocker degli inizi, continua a mantenere inalterato il suo carisma sul pubblico che gli perdona volentieri anche i periodici deliri autocelebrativi. Comunque la si pensi su di lui, contraddittorio, arruffone, incendiario, pompiere, pacifista, baciapile, ecologista, furbone, rivoluzionario, reazionario o conservatore l’arzillo ex Ragazzo della Via Gluck riesce sempre a far parlare di sé.


05 gennaio, 2022

5 gennaio 1980 – Chiude il Casino de Paris, ma non per sempre

Il 5 gennaio 1980 chiude i battenti per una lunga serie di problemi economici il Casino de Paris. Sembra così arrivata alla fine la lunga storia del locale situato al numero 16 di rue de Clichè, nel nono Arrondissement di Parigi, una delle tante “sale da spettacolo e da concerti” fondamentali per l’evoluzione della canzone e dello spettacolo moderno non soltanto in Francia. La sua storia comincia nel 1730 quando a parigi regna Luigi XV e a palazzo reale c'è un uomo molto potente come il duca di Richelieu, al secolo Louis François Armand de Vignerot du Plessis. Proprio lui tra un affare di Stato e l’altro, individua in una larga spianata di terreno alberato un luogo attrezzato e parzialmente coperto dove poter organizzare e ospitare spettacoli di suo gradimento. Nel 1779 il Barone d’Ogny acquista quel luogo e, dopo averlo ribattezzato Folie-Richelieu, ne affida la direzione artistica a Fortunée Hamelin, una giovane donna molto carina e molto addentro alla Parigi mondana di quel periodo. Nel 1811 la Folie-Richelieu viene trasformata in un grande parco d’attrazioni destinato a durare per una quarantina d’anni. Nel 1851, infatti, l’intero complesso viene demolito in un impeto moralizzatore e al suo posto viene edificata la Chiesa della Santa Trinità. Fine della storia? Tutt’altro. Un altro barone, che si chiama Haussmann, infatti, riprende il filo del discorso, smonta e ricostruisce più in basso la chiesa e al suo posto insedia un locale destinato allo svago e al tempo libero che ospita anche una pista di pattinaggio destinata a ottenere un grande successo di pubblico. Proprio su una parte di questa pista nel 1880 viene eretto il fastoso Palace Théâtre con una grande sala in stile rococò costellata da piante esotiche, velluti e da venti colonne che sorreggono altrettante statue di donne nude e alate ciascuna della quali porta nella mano destra un lampadario. Nel 1914 il Palace Théâtre viene acquistato da Raphaël Beretta, che la trasforma in una sala destinata a ospitare spettacoli cinematografici e music-hall. Si chiama già Casino de Paris quando, nel 1917, ospita per la prima volta uno spettacolo di rivista la cui vedette è Gaby Desly, considerata la prima grande stella del music hall francese. Le repliche proseguono per qualche mese fino al 1918 quando un bombardamento ne interrompe forzosamente l’attività. Finita la prima guerra mondiale il locale riapre sul suo palcoscenico si alternano grandi stelle, da Mistinguett e Maurice Chevalier, da Line Renaud a Zizi Jeanmarie. Il 5 gennaio 1980, travolto da vari problemi economici, il locale sembra destinato a chiudere per sempre i battenti. Riaprirà nel 1982.


04 gennaio, 2022

4 gennaio 1959 – La regina Nilla Pizzi batte il reuccio

Il 4 gennaio 1959 si conclude la prima edizione di “Canzonissima”, una sfida musicale collegata a una lotteria nazionale che in quel momento si chiama ancora Lotteria di Capodanno e che è destinata a cambiare nome qualche anno dopo diventando Lotteria Italia. La prima puntata ha avuto luogo il 22 ottobre 1958 e, per selezioni successive, si è arrivati alla serata finale, nella quale quelli che erano considerati i due favoriti, cioè il “reuccio” della canzone Claudio Villa e “la regina” Nilla Pizzi, si confrontano direttamente l'un contro l'altro. Alla fine vince la regina che ha la meglio sul rivale grazie a una intensissima interpretazione de L’edera, il brano con il quale si è piazzata al secondo posto nel Festival di Sanremo dell’anno prima. Claudio Villa, che ha interpretato Arrivederci Roma deve accontentarsi della piazza d’onore.


03 gennaio, 2022

3 gennaio 1989 – L’AIDS? Per l’Italia l’unico rimedio è la castità

Mentre da più parti si moltiplicano le critiche nei confronti del governo italiano e del ministro della sanità Carlo Donat Cattin, accusati di sottovalutare il pericolo dell’AIDS, il 3 gennaio 1989 le famiglie italiane ricevono una lettera firmata dal ministro stesso nella quale si consiglia la "castità" come unico rimedio sicuro alla terribile malattia. Le associazioni degli omosessuali e quelle impegnate nella lotta all’AIDS, che giudicano l’iniziativa inutile, pericolosa e condizionata dalle pressioni della chiesa cattolica più che dalla preoccupazione di condurre una lotta efficace alla malattia, lanciano una grande campagna per la diffusione dell’uso dei profilattici.

02 gennaio, 2022

2 gennaio 1969 - I Beatles alla frutta

Il 2 gennaio 1969 i Beatles si ritrovano nello studio di registrazione di Twickenham per lavorare a un nuovo album. Nonostante il successo del White album nuvole nere si stanno addensando sul futuro dei quattro ex ragazzi di Liverpool. I rapporti tra loro sono da tempo entrati in crisi. Nonostante tutto, però, l’impressione che i Beatles danno all’esterno è quella di una nave inaffondabile in grande splendore. In realtà sul gruppo pesa anche il fiasco della Apple, un’organizzazione di loro proprietà destinata a occuparsi delle produzioni in campo artistico e della gestione di vari settori merceologici collegati all’immagine del gruppo. Al fallimento del film "Magical mistery tour" e delle varie operazioni collegate si è affiancato il disastro economico della sezione commerciale. Fa eccezione il settore musicale, trainato dal successo del marchio Beatles e dal lancio di alcuni giovani talenti. C'è, quindi, la necessità di mantenerne costante la produzione. Quando il 2 gennaio i quattro si ritrovano nello studio di registrazione di Twickenham per lavorare a un nuovo album non sanno bene cosa fare. Paul McCartney propone di far esibire la band dal vivo davanti a 1.500 persone, registrando e filmando tutto. Gli altri nicchiano e alla fine il concerto, già programmato alla Roundhouse di Londra, verrà annullato. Dopo varie liti si tenterà di rimettere insieme i cocci passando dai sofisticati studi di Twickenham all’ambiente più famigliare degli scantinati del palazzo della Apple. Qui nascerà l’idea della singolare esecuzione di Get back sul terrazzo, ma questa è un'altra storia. I Beatles sono alla frutta e lo sanno.

01 gennaio, 2022

1° gennaio 1972 – Maurice Chevalier, ottimista a oltranza

Il 1° gennaio 1972 muore Maurice Chevalier. Cantante, attore, intrattenitore è uno dei simboli dello spettacolo francese. Maurice Chevalier è un simpatico ottimista, con la voce calda e il cuore in mano, sempre pronto a regalare un sorriso, una smorfia buffa o una speranza. «Non abbiate paura, il futuro sarà migliore del presente…» Basta dare un’occhiata al sorriso da eterno ragazzo stampato sul suo volto per intuire il segreto del successo di questo figlio del popolo diventato un gigante della canzone, del teatro e del cinema. Il buonumore è la sua maschera artistica e lo trasforma nella prova vivente del fatto che con l’ottimismo si può cambiare la realtà. Oltre che figlio del popolo è anche figlio di un’epoca complessa e drammatica, segnata da due guerre devastanti che lasciano ferite profonde nei rapporti sociali e nella vita delle persone. Il mondo sembra sull’orlo del disastro e lui lo attraversa sorridente quasi a voler dispensare serenità. Sono anche gli anni nei quali la poesia e il teatro incontrano la canzone nei caffè concerto e insieme salgono sui palchi dei teatri dando vita, vigore e fortuna a quello che verrà chiamato music-hall. Di questa realtà Maurice Chevalier è l’espressione maschile più conosciuta e più amata. Se ne accorgono anche gli americani che lo portano a Hollywood e gli danno addirittura un Oscar per la sua interpretazione in “Gigi” di Vincente Minnelli. Il mondo, soprattutto gli statunitensi, vede in lui il francese tipo, galante e sicuro di sé al limite della goffaggine, simpatico e divertente senza mai sfociare nella volgarità, eternamente in bilico tra adolescenza e maturità. Quanto questa maschera corrisponda davvero all’uomo e non soltanto al personaggio nessuno può dirlo. Maurice Chevalier è stato un uomo contraddittorio come l’epoca nella quale è vissuto e nella sua vita ha attraversato momenti drammatici trovando ogni volta un aiuto prezioso per cavarsi dai guai. Di lui ci restano le incomparabili interpretazioni, il sorriso e la bonaria gioia di vivere. Nasce il 12 settembre 1888 a Ménilmontant, un quartiere popolare di Parigi. Suo padre Charles Victor fa l’imbianchino e qualche anno dopo se ne va a cercar fortuna altrove lasciando sola la moglie d’origini belghe Joséphine Van der Bosche con i tre figli Paul, Charles e, appunto, Maurice. Proprio quest’ultimo quando il padre se ne va, seguito ben presto dal fratello maggiore, lascia la scuola per trovare qualche lavoro che possa aiutare la famiglia a tirare avanti. Ha dieci anni ma non è più un bambino. Si ingegna a trovare lavoretti ma sogna di essere un artista. Prima guarda con interesse agli acrobati da circo, poi decide di diventare un cantante. Convinto di non avere un grandissimo talento vocale orienta il suo repertorio alle parodie e ai brani comici in genere. Nel 1900 ha dodici anni ma è già una piccola stella nei caffè-concerto e nei locali parigini dove imita soprattutto il cantante Dranem, uno dei più applauditi di quel periodo. Non è tutto oro quel che riluce e il giovane Chevalier lo impara a sue spese quando dai piccoli locali passa a palcoscenici più impegnativo. Un fiasco al Petit Casino nel 1902 gli insegna che non si può puntare soltanto sulla sorte. Il ragazzo non s’arrende. Si impegna nello studio del canto, impara a ballare e pratica la boxe. Dopo aver ottenuto una parte in una rivista al Parisiana lascia la capitale e va a farsi le ossa nei teatri di provincia. Il primo, vero, grande successo arriva nel 1905 quando all’Alcazar di Marsiglia la gente fa la fila per assistere a una sua interpretazione. Qualche piccola esperienza cinematografica in cortometraggi muti precede il grande ritorno a Parigi nel 1909 alle Folies Bergères, uno dei templi della rivista musicale parigina. In breve diventa uno degli artisti più amati della capitale. Nelle sue braccia cadono prima la cantante Fréhel e poi la star delle star, quella Mistinguett che ha fatto innamorare con la sua voce e il suo corpo magnati, ufficiali, principi e re. L’aiuto della donna, che ha tredici anni più di lui e una notevole esperienza nel mondo dello spettacolo, si rivela determinante e non solo dal punto di vista artistico. Quando Chevalier, spedito al fronte durante la prima guerra mondiale, viene ferito, catturato dai tedeschi e rinchiuso nel campo di prigionia d’Alten Grabow, Mistinguett telefona alla nobiltà di mezza Europa e alla fine riesce a farlo liberare. Gli anni Venti e Trenta vedono il trionfo definitivo del suo personaggio di dandy frivolo che parla con un curioso accento popolare. La sua maschera funziona sia in francese che in inglese, una lingua che ha imparato rapidamente e nella quale si esprime con assoluta naturalezza. Novello re Mida sembra trasformare in oro tutto quello che tocca, dal teatro di rivista al cinema, alla canzone. All’inizio degli anni Venti la gente si spella le mani quando lui intona brani come Valentine e Dans la vie faut pas s’en faire. In breve la sua popolarità scavalca l’oceano. Nel 1928 lo chiamano a Hollywood. Ci va e interpreta una serie di film non destinati all’immortalità come “L’allegro tenente”, “Amami stanotte” o “La vedova allegra”. Nel 1935 stanco della vita frenetica della Mecca del cinema decide di rompere il contratto con la Metro Goldwin Mayer e di tornare in Francia. In quel periodo scrive e interpreta brani entrati nella storia della canzone francese come Prosper, Ma pomme, Marche de Ménilmontant, dedicata agli anni della sua infanzia o Y a d’la joie che regala a Charles Trenet, un giovane interprete destinato a suo parere a fare molta strada nel mondo dello spettacolo. Sono gli anni della maturità e della consapevolezza delle proprie qualità. Dal punto di vista artistico sono forse i migliori della sua lunghissima carriera, ma dal punto di vista umano sono anche quelli maggiormente ricchi di problemi. Essere un cantante che dispensa ottimismo, gioia di vivere e speranza nel futuro può diventare un problema quando il paese in cui si vive è occupato dai nazisti. Maurice Chevalier si ritrova così nel 1942 a essere inserito da Radio Londra nell’elenco dei francesi accusati di collaborazionismo con l’occupante. Tutto nasce dal fatto che il cantante, pur rifiutandosi di cantare a Berlino e di animare una trasmissione della collaborazionista Radio-Paris ha accettato di esibirsi per i prigionieri del campo d’Alten Grabow, dove lui stesso era stato rinchiuso nella guerra 1915-18. In cambio non chiede denaro ma la liberazione di dieci prigionieri provenienti dalla sua Ménilmontant. L’accusa infamante di “collaborazionista” significa la condanna a morte dopo la Liberazione. Arrestato nel 1944 trova insperati difensori nella stampa comunista e nel poeta Louis Aragon che chiedono la cancellazione dell’accusa perché infondata. Alla fine la spuntano. Pochi mesi dopo Chevalier è libero e torna in teatro con grande successo. Nel 1956 l’Alhambra viene ribattezzato con il suo nome e diventa Alhambra-Maurice Chevalier. Mentre la Francia lo osanna, però, nascono nuovi problemi oltreoceano. Dopo una sua presa di posizione contro la proliferazione nucleare nel 1951 gli Stati Uniti lo dichiarano persona non gradita e gli vietano l’ingresso nel paese. La limitazione all’accesso in territorio yankee è abolita nel 1955, giusto in tempo per girare due film come “Arianna” e soprattutto “Gigi” di Vincente Minnelli che nel 1958 spopola agli Oscar. Nel 1967 festeggia i suoi settant’anni con una tournée in mezzo mondo e il 1° ottobre 1968 dà il suo addio ufficiale alle scene sul palcoscenico del Teatro degli Champs-Elysées. È stanco. L’età si fa sentire. Nel 1970 presta la sua voce alla versione francese del tema del film “Gli Aristogatti” della Walt Disney. Dopo l’ennesimo viaggio negli Stati Uniti il 12 settembre 1971 festeggia con un pugno di giornalisti e d’amici il suo ottantatreesimo anniversario. Poi inizia a stare male. Ricoverato in ospedale chiude per sempre gli occhi il 1° gennaio 1972.

31 dicembre, 2021

31 dicembre 1968 – George Lewis, un alfiere della New Orleans Renaissance

Il 31 dicembre 1968 scompare il clarinettista e sassofonista George Lewis. La sua morte avviene a New Orleans, la città dove era nato il 13 luglio di un anno che lui cambiava spesso, anche se quasi sicuramente era il 1900. Il suo nome completo era George Louis Francis Zeno. Con lui muore uno degli artefici del movimento musicale chiamato New Orleans Renaissance. Autodidatta e troppo pigro per imparare davvero a leggere la musica sviluppa inizia a suonare giovanissimo e la prima espreienza orchestrale la vive con la Black Eagle Band. Suona poi con Leonard Parker, Chris Kelly, Kid Rena, la Black and Tan Band di Buddy Petit e l'orchestra di Earl Humphrey prima di dar vita a una propria orchestra con il trombettista Red Allen. Durante gli anni Trenta decide di chiudere con la musica e si guadagna da vivere come scaricatore al porto di New Orleans. A farlo tornare sui suoi passi è Gene Williams che nel 1942 lo convince a riprendere a suonare. Proprio in quegli anni diventa uno dei maggiori esponenti di quella New Orleans Renaissance che rivoluziona il mondo del jazz. In quel periodo suona nella formazione di Bunk Johnson senza rinunciare però a esibirsi con proprie formazioni e con altri musicisti. Nel 1943 forma la George Lewis New Orleans Strompers con Avery "Kid” Howard alla tromba, Jim Robinson al trombone, Lawrence Marrero al banjo, Chester Zardis al contrabbasso e Edgar Mosley alla batteria. Nel 1946 forma un nuovo gruppo e decide di non muoversi più dalla sua New Orleans. Il proposito resta solo una dichiarazione d’intenti visto che nel 1953 accetta di suonare sulla West Coast e nel 1957 è addirittura in Gran Bretagna con l'orchestra di Ken Colyer;. Torna in Europa nel 1959 e poi va anche in Giappone. La sua attività continua fino alla morte.



30 dicembre, 2021

30 dicembre 1997 – Danilo Dolci, un tenace pacifista contro la mafia

Il 30 dicembre 1997 muore a Partinico, in provincia di Palermo, Danilo Dolci una delle figure più grandi del movimento non violento mondiale. Animatore sociale e poeta nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, un paese di confine tra Italia e Slovenia in cui le identità culturali rischiano di essere elemento di divisione. Dopo aver partecipato attivamente alla lotta antifascista negli anni Cinquanta abbandonare gli studi universitari per aderire all'esperienza di Nomadelfia, la comunità nata dall’iniziativa di don Zeno Saltini, un intraprendente prete cattolico. Dopo un periodo passato a Fossoli di Carpi si trasferisce nella Sicilia occidentale dove inizia a promuovere numerose iniziative di lotta nonviolenta contro la mafia, le povertà e il sottosviluppo rivendicando dignità, diritti e lavoro per la popolazione di quelle zone. Nel corso degli anni indaga approfonditamente sul fenomeno mafioso e sui suoi rapporti col sistema politico incurante delle persecuzioni e delle minacce.


29 dicembre, 2021

29 dicembre 1947 – Didi Balboni, un’eclettica protagonista degli anni Sessanta

Il 29 dicembre 1947 nasce a Cento, in provincia di Ferrara la cantante Didi Balboni. Scoperta quasi per caso dall’annunciatrice Gabriella Farinon si ritrova in breve tempo catapultata dalle esibizioni scherzose nelle feste con gli amici alla ribalta televisiva. Come cantante fa il suo debutto sul piccolo schermo cantando Tuffiamoci, nel programma di canzoni “Follie d’estate”. Il brano, firmato da Cioffi e Pagano, ottiene un buon successo ma il grande pubblico televisivo fa di lei una sua beniamina quando diventa “valletta” di Mike Bongiorno nel programma "La Fiera dei sogni". In quegli anni è anche la “ragazza immagine” del Cornetto Algida sulle riviste destinate al pubblico giovanile. Tra le sue canzoni di quel periodo ci sono Cara fatina, Piano piano, Hully gully triste e Ma-mandolino, sigla della trasmissione “Stasera canzoni”.


28 dicembre, 2021

28 dicembre 1905 – Earl Hines, il padre del pianismo moderno

Il 28 dicembre 1905 nasce a Pittsburg, un sobborgo di Duquesne, in Pennsylvania, Earl Hines, uno dei grandi pianisti della storia del jazz. Il suo nome completo è Earl Kenneth Hines e il bambino comincia presto a respirare musica visto che suo padre Joseph suona la cornetta nelle brass bands della sua città, sua madre Mary è organista e la sorella Nancy, pianista, dirige una sua orchestra a Pittsburg. Per il piccolo Earl gli studi musicali sono quasi una strada obbligata. Il suo primo strumento è la cornetta, imparata da bambino, il cui suono continuerà ad affascinarlo anche negli anni seguenti al punto da spingerlo a inventare il cosiddetto “trumpet-piano style”, uno stile pianistico impostato sul fraseggio della tromba. A dieci anni comincia a suonare il pianoforte perfezionandosi nello studio rima con l'aiuto di vari maestri di Pittsburg e, successivamente, alla Schenley High School. Dopo alcune esperienze fatte in vari club di Pittsburg alla testa di un suo trio all'inizio degli anni Venti, viene ingaggiato dal cantante Lois B. Deppe con il quale si esibisce nel 1922 alla Lieder House di Pittsburg. L'anno seguente entra a far parte dei Deppe's Serenaders con i quali effettua un lungo tour attraverso gli Stati Uniti. Successivamente si trasferisce a Chicago per suonare prima al Club Elite n. 2 con il violinista Vernie Robinson e poi all'Entertainers' Club come solista. Viene quindi ingaggiato dalla orchestra di Carroll Dickerson, con la quale effettua una tournée per il Pantages Circuit. Rientrato a Chicago oltre che con Dickerson suona con Erskine Tate e Sammy Stewart. Nel 1926 Louis Armstrong lo ingaggia come direttore musicale degli Stompers, la sua formazione con la quale debutta al Sunset riscuotendo un enorme successo. Sempre con Armstrong e Zutty Singleton, Hines suona alla Warwick Hall di Chicago, prima di essere ingaggiato verso la fine del 1927 dal grande clarinettista Jimmie Noone per suonare all'Apex Club. Nell'estate del 1928 Armstrong lo chiama a far parte dei suoi nuovi Hot Five, formati dal nucleo base dell'orchestra di Dickerson. La nuova formazione, anche per l'apporto di Zutty Singleton consente a Earl e a Louis di sfoggiare un linguaggio jazzistico di altissimo livello. Proprio la presenza di Hines determina un profondo mutamento nella classica impostazione dell’improvvisazione collettiva degli Hot Five. La ricchezza armonica della sua tastiera rivoluziona così il jazz di New Orleans e porterà la critica a considerarlo come il padre del pianismo moderno. Nello stesso periodo da vita alla big band del Grand Terrace di Chicago, un’orchestra che manterrà unita per quasi vent'anni consecutivi, metà dei quali trascorsi nel locale che le dà il nome. Nel 1940 partecipa a una seduta di registrazione di Sidney Bechet, registrando tra l'altro il brano Blues in thirds nel quale il suo assolo fa introduzione a una superba improvvisazione del clarinetto di Bechet. Nel 1943 l'orchestra di Hines diventa la culla della scuola bop, accogliendo nelle sue fila Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Benny Green e Oscar Pettiford. Hines entra poi negli All Stars di Louis Armstrong, con Jack Teagarden e Barney Bigard restando per molti anni. Quando i rapporti con i suoi compagni si fanno più tesi si ritira in California dove si esibisce per molto tempo all'Hangover Club di San Francisco sia come solista sia alla testa di una dixieland band. Proprio a San Francisco ottiene un ingaggio “a vita” al The Cannery, uno dei più famosi cabaret della città. Torna a esibirsi a New York soltanto nella primavera del 1964 per prendere parte a un concerto organizzato appositamente per lui al Little Theatre dal critico Stanley Dance. L'anno successivo suona al Village Vanguard insieme a Coleman Hawkins, Roy Eldridge, George Tucker e Oliver Jackson e partecipa al festival pianistico di Pittsburg dove suona con Duke Ellington, Mary Lou Williams, Willie “The Lion" Smith, Billy Taylor e altri. Nel 1966 effettua una storica tournée in Russia per conto del dipartimento di stato americano. Alla fine degli anni Sessanta la sua attività si fa frenetica e Hines continua praticamente a suonare finché la salute glielo consente. Muore il 22 aprile 1983 a Oakland, in California.