Il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata la cantante Fréhel, considerata la principale interprete della “chanson réaliste” nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, Fréhel ha accompagnato con la sua voce bellissima e tragica un’Europa apparentemente spensierata, ricca di tensioni, di scontri ma anche di inconsapevoli follie e di passioni che danzava sull’orlo del precipizio. È difficile rinchiudere in un termine o una frase, per quanto suggestiva, il senso dell’esperienza artistica di una cantante come lei, passata dalle strade alle luci del palcoscenico dei principali teatri della notte parigina e ancora nel tunnel della depressione quindi nuovamente al successo per finire i suoi giorni sola e dimenticata in uno squallido albergo a ore. È difficile trovare le parole giuste per raccontare con rispetto e senza scivolare nel patetico la carriera di una donna cui la vita ha ripreso rapidamente e con gli interessi le poche fortune elargite. Le sensazioni, le tante cadute e le scarse resurrezioni più attese che arrivate, sono giunte fino a noi in un pugno di canzoni nelle quali le emozioni hanno i colori vividi di una voce che è sopravvissuta anche alla sua rovina. Quando nasce la futura Fréhel si chiama Marguerite Boulc’h. Nonostante alcune biografie la facciano nascere a Trégastel, in Bretagna, il suo certificato di nascita racconta che è nata a Parigi il 14 luglio 1891 al n° 2 di Boulevard Bessières, nel diciassettesimo arrondissement, da genitori bretoni che sopravvivono facendo un po’ di tutto. Fin da piccola passa le giornate nella strada e tutta la sua infanzia è caratterizzata dalla povertà e dalla consapevolezza che i suoi genitori e le persone che le stanno intorno sono sempre alla ricerca frenetica di un modo per raggranellare qualche soldo e per sopravvivere. Lei stessa deve darsi da fare e a cinque anni accompagna un vecchio cieco a chiedere la carità nei sobborghi parigini cercando di attirare e intenerire i passanti con una breve canzoncina. È in questi anni che le entra dentro la paura della povertà, il terrore del domani, la paura che il futuro possa essere peggiore del pur triste presente, l’incertezza dell’attesa e, in fondo, la voglia di cancellare la realtà. Saranno queste esperienze a segnare la sua perenne incertezza portandola da un lato a caricarsi di troppe responsabilità e dall’altra a tentare la fuga di fronte alle situazioni difficili spesso con l’alcool e qualche volta con la cocaina e altre sostanze sintetiche. I testimoni del tempo raccontano che a quindici anni è già una ragazza bellissima che lavora in un emporio in cui si vendono prodotti farmaceutici e pozioni di bellezza. Il suo compito non è quello di aspettare i clienti nel negozio, ma di andare a bussare alla porte di chiunque possa essere un possibile acquirente dei prodotti cosmetici. Entra nelle case della buona borghesia parigina, spiega la qualità dei suoi prodotti e offre una dimostrazione pratica del loro utilizzo. Nel suo bauletto ci sono profumi, creme e cosmetici che promettono meraviglie. Nei suoi giri incontra donne ricche ma anche le protagoniste della parigi notturna, attrici, cantanti, intrattenitrici varie. Il mondo dello spettacolo l’affascina e un giorno parla dei suoi sogni a una spagnola che si chiama Carolina Augustina Carasson Fuente Valga e che a Parigi è diventata una stella di prima grandezza del music hall con il nome di Bella Otero. La donna, colpita dalla bellezza e dalla determinazione della ragazza la introduce nell’ambiente e l’aiuta a procurarsi le prime scritture. Con il nome di Pervenche debutta a sedici anni sul palcoscenico del Café de l’Univers cantando canzoni scritte da Montéhus Il palcoscenico del Café de l’Univers ospita le esibizioni di Marguerite, ora trasformatasi in Pervenche, per un paio d’anni, fino al 1910. Diciannovenne, bella, un po’ ingenua e affascinata dall’ambiente in cui si ritrova a vivere la ragazza non sa e non vuole resistere alla corte serrata di uno dei tanti tombeur de femme della notte parigina. È un maestro di canto che si diletta anche a scrivere spettacoli. Il suo nome è Robert Holland, ma tutti lo conoscono come Roberty. Lei si innamora perdutamente di lui che la sposa, la mette incinta e poi la lascia per Damia, un’altra grande chanteuse di quel periodo. Siccome quando le cose vanno male non c’è limite al peggio anche il figlio nato dalla sfortunata storia con Roberty poco dopo muore e Fréhel precipita in una depressione che pare senza fine. Alle delusioni della vita fa quasi da contraltare il grande successo sul palcoscenico dove, forse per lasciarsi dietro alla spalle il dolore degli anni precedenti, ha scelto di cambiare nome d’arte. Marguerite non si chiama più Pervenche. Il nuovo nome con il quale compare sui manifesti che annunciano i suoi concerti è quello Fréhel, una sorta di omaggio a Cap Fréhel, un luogo simbolico della Bretagna, la terra da cui arrivano i suoi genitori. Nel firmamento della notte parigina è una stella di prima grandezza, amata e osannata dai frequentatori dei locali notturni. È anche un modello per centinaia di ragazze che la guardano con la stessa invidia con cui lei guardava la Bella Otero. Il successo, però, non cancella l’angoscia interiore e il senso di provvisorietà che prova di fronte ai momenti belli della vita. Dopo la fuga di Roberty coltiva una nuova illusione d’amore al fianco di Maurice Chevalier, protagonista principale degli spettacoli in cartellone alle Folies Bergères, uno dei templi della rivista musicale parigina. Anche questa storia d’amore, però, non è destinata a durare. Chevalier lascia Fréhel per la star delle star, quella Mistinguett che ha fatto perdere la testa a principi e nobili di tutta Europa e la ragazza abbandonata per la seconda volta in meno d’un anno si fa catturare nuovamente dalla depressione. Si chiude in casa e non vuole più vedere nessuno. Nelle lunghe ore di solitudine e di dolore ha una compagnia speciale, capace di cancellare per qualche tempo la realtà e renderle più sopportabile la disperazione. Sono due amici, si chiamano alcool e cocaina e hanno la caratteristica di chiedere molto di più di quello che in apparenza danno. Fréhel è ormai entrata in una spirale di cui non vede l’uscita e, un giorno che si sente un po’ più disperata, tenta anche il suicidio. Si salva per un colpo di fortuna e decide di andarsene. Nel 1911 si lascia alle spalle i pochi amici rimasti, Parigi e la Francia e se ne va. La sua bussola punta verso Est, verso quell’Europa orientale dove giorno per giorno s’arrabatta a trovare qualche scrittura per sopravvivere. Dalla Turchia alla Russia, prima quella degli zar e poi quella socialista nata dalla rivoluzione di Lenin, i paesi dell’Est sono i testimoni del suo continuo girovagare nel tentativo di lasciarsi dietro alla spalle il passato dedicandosi più agli stupefacenti e all’alcol che alla canzone. Più di un decennio dopo la sua precipitosa fuga, nel 1923 Fréhel torna a Parigi. La cantante è cambiata al punto da sembrare irriconoscibile anche agli occhi degli amici più cari e di quelli che l’hanno conosciuta da vicino. Precocemente invecchiata da una vita un po’ troppo oltre il limite si accorge che il pubblico, nonostante tutto, non l’ha dimenticata. Si rimette un po’ in sesto e nel 1924 il suo concerto all’Olympia, intitolato “L’inoubliable inoubliée Fréhel” (L’indimenticabile indimenticata Fréhel), fa il pieno di pubblico e di consensi. La sua voce con il passare del tempo è migliorata, si è fatta più sensuale e profonda. Il suo antico amore Maurice Chevalier rileva come si sia fatta«…più roca, quasi venisse dal ventre…». La critica saluta in lei una delle più autorevoli interpreti della “chanson réaliste” e il pubblico si spella le mani per applaudirla quando canta brani come La java bleue, La coco o La der des der. Anche il cinema le dà spazio. Fréhel partecipa a una nutrita serie di pellicole compreso il fortunato “Pépé le moko” di Duvivier con Jean Gabin dove proprio lei canta Où est-il donc?. Il ritrovato successo non la cambia né le dà una ragione per mollare la dipendenza da sostanze varie. Negli anni Quaranta lavora sempre meno e il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata nella camera di un albergo a ore al n° 45 di Rue Pigalle.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
03 febbraio, 2022
02 febbraio, 2022
2 febbraio 1993 - Gino Bechi, un baritono prestato alla canzone
Il 2 febbraio 1993 muore Gino Bechi, considerato da molti critici il maggior baritono del Novecento. Se un tale giudizio, come tutto quanto attiene alla sfera delle opinioni, è soggetto alla possibilità di confutazione, più difficile diventa la contestazione dell'innegabile "modernità" di questo artista capace di muoversi con grande disinvoltura tra i generi e gli stili adattando spesso tecnica e timbrica alle esigenze in divenire della moderna tecnologia. Gino Bechi nasce il 16 ottobre 1913 a Firenze. A diciassette anni inizia a studiare canto lirico con i maestri Raul Frazzi e De Giorgi. Nel 1936, a soli ventitré anni, debutto nella lirica a Empoli con la “Traviata” di Giuseppe Verdi, facendosi notare per il talento naturale del canto e disinvoltura in scena. La svolta nella sua carriera arriva qualche anno dopo quando alla Scala di Milano sostituisce all'ultimo momento il baritono ne “La forza del destino” al fianco di due grandi della lirica come Beniamino Gigli e Gina Cigna. Il successo scaligero gli apre le porte dei grandi teatri lirici e segna l’inizio di una straordinaria carriera che lo vede trionfare in tutto il mondo. Per ben nove volte canta nell'opera che inaugura la stagione alla Scala. Si dedica anche alla canzone pubblicando vari dischi nei quali privilegia soprattutto i grandi brani della tradizione partenopea pur senza rinunciare a cimentarsi con i brani melodici più in voga del periodo. Un grandissimo successo ottiene anche al cinema interpretando una lunga serie di film musicali negli anni Quaranta e Cinquanta. Proprio da una delle sue frequenti incursioni cinematografiche arriva il brano più famoso del suo repertorio, La strada nel bosco, una canzone scritta da Cesare Andrea Bixio, Nicola Salerno ed Ermenegildo Rusconi per il film omonimo. A sorpresa nel 1963, ancora molto popolare, decide di ritirarsi dalle scene annunciando ufficialmente la fine della carriera di cantante a Borgosesia dopo essersi esibito per l’ultima volta ne “Il barbiere di Siviglia”. Popolarissimo in Italia sia tra gli appassionati della lirica che presso il pubblico che affolla le sale cinematografiche grazie a una lunga serie di film musicali destinati a fare scuola nel cinema popolare italiano, tra gli anni Quaranta e i Cinquanta riesce a diventare anche uno dei cantanti lirici italiani più popolari del mondo. L'impresa è tutt'altro che semplice per un baritono visto che in genere sono soltanto i tenori a catturare l'immaginazione e la passione dei melomani. La voce di Gino Bechi, di grande ampiezza e costantemente educata appare sempre all'altezza delle diverse sfide nelle quali si cimenta. Rispetto a molti altri protagonisti della lirica del suo tempo regge bene anche l'impatto con le nuove tecnologie, in primo luogo l'introduzione di un aggeggio complicato come il microfono, difficile da gestire per chi è abituato al canto largo, libero e potente dei palcoscenici lirici. Nel corso della sua non lunghissima carriera non accetta mai l'idea di fermarsi. Per lui la musica ha il gusto dell'evoluzione, della nuova sfida. Per questa ragione passa dalla lirica alla canzone e poi trova nuovi stimoli nella nascente cinematografia musicale italiana impegnata a costruire una strada diversa dalla pura e semplice trasposizione filmica delle opere liriche più conosciute. Vince tutte le sua sfide e quando gli sembra di non riuscire a trovarne delle nuove si ritira dalle scene a poco più di cinquant'anni. Dopo il ritiro dalle scene gestisce una scuola di perfezionamento per giovani cantanti lirici a Firenze e per qualche tempo è presidente del Concorso Internazionale di canto di Siena intitolato a Ettore Bastianini.
01 febbraio, 2022
1° febbraio 1964 - Gigliola Cinquetti, una sedicenne vince il Festival di Sanremo
Il 1° febbraio 1964 a sorpresa la sedicenne Gigliola Cinquetti, vince il festival di Sanremo con la canzone Non ho l'età. Il successo della giovanissima veronese, per l'occasione accoppiata alla cantante francese Patrizia Carli, arriva inaspettato e corona così un Festival ricco di novità presentato per la seconda volta consecutiva da Mike Bongiorno affiancato da Giuliana Lojodice. In quella edizione, infatti, è prevista una sola canzone vincitrice con l'abolizione del secondo e terzo posto. Gigliola Cinquetti, la vincitrice è arrivata al Festival grazie alla vittoria nel concorso per "Voci Nuove" di Castrocaro Terme che all'epoca è un po' la via più breve che un giovane talento possa percorrere per salire sul palcoscenico di Sanremo. Non è una meteora. Nello stesso anno vince anche l'Eurofestival, stabilendo un record assoluto. La sua compagna d'avventura Patricia Carli per la versione destinata al pubblico francese cambia testo e titolo della canzone che da Non ho l'età diventa Je suis à toi (Io sono tua).
31 gennaio, 2022
31 gennaio 1927 - Giampiero Boneschi, il pianoforte e l'arrangiamento
Il 31 gennaio 1927 nasce a Milano il pianista Giampiero Boneschi. Fin da giovane coltiva gli studi musicali e si diploma in pianoforte e armonia al conservatorio Giuseppe Verdi nella sua città natale. Nel 1944 inizia l'attività di pianista insieme al trombettista Nino Culasso e il sassofonista Glauco Masetti. Successivamente fa parte di un duo pianistico con Luciano Sangiorgi, cui segue nel primo dopoguerra la costituzione di un trio con il batterista Claudio Gamberelli e il clarinettista Franco Mojoli che registra alcuni dischi per la Columbia. Nello stesso periodo incide in quartetto, sempre per Columbia, una serie di brani con Franco Cerri alla chitarra, Michele d'Elia al contrabbasso e Giuseppe "Pinun" Ruggeri alla batteria. Successivamente entra nella grande orchestra diretta da Gorni Kramer e nel 1947 forma un proprio complesso con Nino Impallomeni, Eraldo Volontè, Gilberto Cuppini. Nel 1949 registra con Henghel Gualdi al clarinetto e Paolo Mezzaroma al violino. Verso la metà degli anni Cinquanta fa parte del Sestetto italiano con Valdambrini, Donadio, Basso e Rodolfo Bonetto oltre al bassista statunitense Al King. A partire dagli anni Sessanta la sua attività si allarga al cinema e alla televisione dove ha modo di dare prova delle sue ottime qualità d'arrangiatore e compositore. Muore a Segrate il 12 maggio 2019.
30 gennaio, 2022
30 gennaio 1922 - Jacqueline François, mademoiselle de Paris
Il 30 gennaio 1922 nasce a Neuilly-sur-Seine Jacqueline Guillemautot, la futura Jacqueline François. Sono molte le interpreti che, in vario modo, hanno tentato di passare dalla “chanson réaliste” alla “chanson de charme” negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Apparentemente contigui, i due generi sono in realtà assai poco assimilabili dal punto di vista interpretativo. A voler azzardare un paragone in odore di sacrilegio la “chanson réaliste” sta alla “chanson de charme” come il blues sta alle languide ballate dei crooner bianchi. Non c’è alcun impedimento, dal punto di vista della tecnica vocale, all’idea di passare da un genere all’altro, ma i risultati non sono quasi mai all’altezza delle aspettative. Se è vero che è l’anima e non la tecnica a far la differenza, in teoria il salto dalla “chanson réaliste” alla “chanson de charme” potrebbe apparire meno problematico dell’inverso, visto che la prima, caratterizzata da una drammaticità spesso vicina a quella teatrale, sembra richiedere una maggior partecipazione emotiva da parte dell’interprete. Alla prova dei fatti non è così. Interpreti straordinarie della “chanson réaliste”, come Fréhel, giusto per fare un esempio, si rivelano inadatte alla “chanson de charme” perchè non riescono a entrare in sintonia con la diversa emozione. A ben vedere la differenza è la stessa che in teatro e nel cinema separa l’attore completo da quello di ruolo. Il primo riesce a lasciare il proprio segno interpretando personaggi, umori e situazioni completamente diverse tra loro, il secondo invece è legato a determinati personaggi, umori e situazioni. Nella canzone è uguale. Per questa ragione molte interpreti della “chanson de réaliste” si sono sperimentate in generi diversi senza riscuotere alcun successo. Tra le poche eccezioni c’è Jaqueline François, capace di cogliere i primi successi con brani di squisita fattura in linea rigorosa con l’impronta “réaliste” e di proseguire modificando radicalmente il proprio repertorio fino a essere considerata una delle interpreti femminili di maggior successo nell’ambito di quella che verrà chiamata “chanson de charme”. A differenza di molte altre protagoniste della scena musicale dell’epoca lei non ha alle spalle un’infanzia particolarmente difficile. Nei primi anni di vita non conosce la miseria e la sua famiglia, pur non vivendo nel lusso sfrenato, non le fa mancare niente. Il periodo non è uno dei più tranquilli e la Francia, nonostante la sua storia, appare sempre più come il vaso di coccio della democrazia stretto tra le nuove e prepotenti dittature di stampo fascista e nazista che stanno consolidando il loro potere in Italia, Germania e Spagna. Nelle strade e nelle vie del paese si respira una preoccupazione diffusa anche se nessuno ha ancora l’impressione di vivere un paese assediato. Nei locali e, soprattutto, alla radio si possono ascoltare le canzoni di una generazione di artisti che sta cambiando la musica iniziando a contrastare la popolarità degli interpreti della tradizione. Il ricambio generazionale ha la voce e i volti di personaggi come Tino Rossi, Léo Marjane o Jean Sablon e si alimenta alle atmosfere nuove che nascono dalle mescole inusuali tra il jazz e la musica popolare proposte dall’orchestra di Ray Ventura. I ragazzi e le ragazze nate dopo il 1918 non riescono a capire le preoccupazioni dei loro padri e delle loro madri e di tutta quella generazione che soltanto da poco è riuscita a guarire le ferite lasciate dalla prima guerra mondiale. Una giovane adolescente come Jaqueline non riesce a vedere le nubi che s’addensano sul futuro della Francia e dell’Europa. Per lei la tragedia o la felicità, la gioia o il dolore, dipendono dallo sguardo di un ragazzo della sua età, da un gesto di un’amica, da un incontro fortunato, da un raggio di sole, una canzone o un animaletto buffo che corre per la strada. L’orizzonte di un’adolescente si rannuvola o si apre al sole più radioso con una velocità che gli adulti non riescono a capire. Quando cantano Léo Marjane e Jean Sablon, Jacqueline si perde nelle note e sogna di diventare come loro. A volte, quando la radio trasmette una loro canzone, chiude gli occhi e si vede su un palcoscenico immenso, lungo e largo almeno quanto la piazza più grande del suo quartiere. Di fronte a lei c’è una folla immensa che la guarda rapita e alla fine della sua esibizione esplode in un applauso che così grande non s’è mai sentito. Alla fine della canzone apre gli occhi. È solo un sogno, ma si sa che a volte i sogni s’avverano. «La ragazza ha talento per la musica». La frase dell’insegnante di pianoforte non è originalissima, ma è sufficiente per convincere i coniugi Guillemautot a spendere una parte delle loro risorse per assecondare il talento musicale della loro figlia Jacqueline. Oltre alle canzoni ascoltate alla radio sono i tasti bianchi e neri di un pianoforte lo strumento principale del suo rapporto con le note, la melodia e l’armonia. Le prime esperienze come “chanteuse” la vedono accompagnarsi da sola nell’esecuzione di canzoni imparate a orecchio prima ancora che sullo spartito. Suona in qualche festa, poi in alcuni locali disposti ad assecondarne il talento ancora acerbo e pian piano la sua popolarità si allarga al di fuori della cerchia delle persone e degli ambienti conosciuti. Ben presto smette di accompagnarsi da sola e trova altri strumentisti che le consentono di non nascondere più il suo corpo dietro l’ingombrante mole del pianoforte. Bella, con un corpo da mannequin e una voce particolare si sperimenta soprattutto nel repertorio della “chanson réaliste”. Alla fine degli anni Trenta, quando non ha ancora compiuto diciott’anni, sono in molti a pronosticarle un futuro luminoso, ma il destino sembra prendersi gioco di lei. Le paure dei più anziani diventano realtà e l’Europa precipita in una nuova devastante guerra. La Francia viene travolta e invasa dalle truppe con la croce uncinata e la carriera di Jacqueline sembra finita come accadeva qualche anno prima ai sogni a occhi chiusi che l’accompagnavano nell’ascolto della radio. Nonostante la guerra e l’occupazione gli amici e quelli che le vogliono bene incitano Jacqueline a non mollare «Tutto questo finirà, vedrai e tu sei abbastanza giovane da permetterti un po’ di pazienza». Hanno ragione loro. Nel 1944 la Francia inizia a liberarsi degli occupanti e dei loro servi e la carriera di Jacqueline, che ora si esibisce con il nome di Jacqueline François, riprende con nuovo vigore. Loulou Gasté, uno dei più popolari compositori di quegli anni, le procura il primo contratto discografico della sua vita e nel mese di maggio del 1945 lei entra per la prima volta in sala d’incisione per registrare Ce n’était pas original e Gentleman, due brani composti dallo stesso Gasté. Lo stile di quel periodo è in linea con quello della “chanson réaliste”, ma Jacques Canetti pensa che la ragazza possa dare di più. Il potente impresario, alla ricerca di una «...voce anglosassone che possa interpretare in maniera moderna le canzoni francesi...», la scrittura per la Polydor e la aiuta a cambiare repertorio. Nel 1948 Jacqueline François vince il Grand Prix de l’Académie Charles-Cros con C’est le printemp, un brano il cui testo è stato scritto da Jean Sablon, uno dei suoi idoli dell’adolescenza. Alla fine dell’anno registra Mademoiselle de Paris il brano che l’accompagnerà per tutta la carriera. Nel 1954 è una delle prime cantanti a esibirsi all’Olympia di Bruno Coquatrix e nel 1956 vince il Grand Prix de l’Académie du Disque con Les lavandiéres du Portugal, un brano particolare che nessuno voleva interpretare e che fa di lei la prima interprete femminile a superare il milione di dischi venduti. Negli anni successivi la sua popolarità si allargherà anche al di fuori dei confini francesi e memorabili resteranno le sue tournée negli Stati Uniti, in Giappone e nel Sud America. Muore il 7 marzo 2009.
29 gennaio, 2022
29 gennaio 1932 - Derek Bailey, innovatore e rivoluzionario
Il 29 gennaio 1932 nasce a Sheffield, in Gran Bretagna, il chitarrista Derek Bailey. La sua è una famiglia di musicisti. Suo nonno suona il banjo mentre suo zio, George Wing, ha avuto una lunga carriera di chitarrista professionista. Influenzato dalla lezione di un musicista come Ornette Coleman nel 1965 inizia a sviluppare un suo personalissimo stile improntato all'improvvisazione totale attraverso una quasi completa rielaborazione dell'intero lessico del proprio strumento. Suona in un modo originalissimo che dà l'impressione di non attingere ad alcun materiale prefissato. In questo modo cambia anche il concetto di "improvvisazione" che con lui acquista un significato radicale e totalmente innovativo. Colpito da Sclerosi Laterale Amiotrofica muore a Londra il 25 dicembre 2005.
28 gennaio, 2022
28 gennaio 1986 - Il disastro dello Space Shuttle Challenger
La mattina del 28 gennaio 1986 lo Space Shuttle Challenger dopo settantatrè minuti di volo esplode. Finisce così la missione STS-51-L, la venticinquesima missione del programma STS e il decimo volo del Challenger. La causa del disastro è in un guasto a una guarnizione nel segmento inferiore del razzo che provoca una fuoriuscita di fiamme e determina il cedimento strutturale del serbatoio esterno contenente idrogeno e ossigeno liquidi. Nell'incidente muoiono il comandante Dick Scobee, il pilota Michael J. Smith, gli specialisti di missione Judith Resnik, Ellison Onizuka e Ronald McNair e gli specialisti del carico Greg Jarvis e Christa McAuliffe. La tragedia provoca la sospensione dei voli nello spazio con equipaggio che non riprenderanno prima di due anni, con il lancio dello Space Shuttle Discovery.
27 gennaio, 2022
27 gennaio 1940 - La Gara Nazionale per gli artisti della canzone
Il 27 gennaio 1940 si conclude la seconda edizione di un concorso che fa epoca. Si intitola "Gara nazionale per gli artisti della canzone" ed è destinato a trovare nuovi cantanti per la radio. Si tratta di un evento destinato a lasciare un segno importante nella storia della canzone italiana e che cade in un periodo particolare. Tra il 1930 e il 1940 infatti gli abbonati alla radio in Italia passano da 176.889 a un milione e mezzo. La diffusione viene anche favorita dall’atteggiamento del regime fascista, che vede in questo mezzo uno straordinario e capillare strumento di propaganda. L’EIAR, l’ente cui è affidata la gestione della radiofonia italiana e i costruttori hanno l’obiettivo di diffondere la radiofonia in tutti gli strati sociali. Fondato nel 1928, l’EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, ha un ruolo determinante nella diffusione della canzone e nel successo di gran parte dei cantanti di questo periodo. Fanno epoca le due “Gare nazionali per gli artisti della canzone” che vengono bandite alla fine del 1938 e del 1939. Alla prima partecipano ben 2.523 concorrenti: un numero impressionante che viene filtrato da audizioni che si svolgono presso le sedi della radio di tutta Italia. Questo lavoro di selezione dura due mesi. Alla finale arrivano soltanto quarantaquattro concorrenti che vengono sottoposti al giudizio di una giuria competente e preparata, presieduta da Francesco Cochetti. Vengono laureati vincitori quattordici artisti, scritturati immediatamente per cantare in diretta le loro canzoni. Per alcuni, come Otello Boccaccini, Alfredo Clerici, Maria Jottini, Gilberto Mazzi, Lina Termini e Michele Montanari, il concorso segna l’inizio di una fortunata carriera ricca di soddisfazioni, mentre per altri, come Nini Serena o Tiola Silenzi, la popolarità è di breve durata. Alla seconda edizione i concorrenti sono ancora di più. Di quasi tremila candidati solo cinquantaquattro riescono ad arrivare alla prova finale che si svolge a Torino fra il 25 e il 27 gennaio del 1940. Anche questo concorso laurea alcuni personaggi destinati al successo come Isa Bellini, Norma Bruni, Oscar Carboni, Gianni Di Palma, Aldo Donà, Silvana Fioresi e Dea Garbaccio.
26 gennaio, 2022
26 gennaio 1961 - Les Compagnons de la Chanson festeggiano al Bobino vent'anni di carriera
La popolarità e il successo de Les Compagnons de la Chanson non vengono scalfiti neppure dall’avvento del rock and roll negli anni Sessanta. Poco disposti a lasciarsi condizionar dalle mode festeggiano i vent’anni della loro storia il 26 gennaio 1961 al Bobino. L’unico cambiamento riguarda la casa discografica. Dopo quindici anni con la Pathé Marconi passano alla Polydor che li paga a peso d’oro. Per il resto Les Compagnons de la Chanson continuano a tenere concerti, a fare tournée e, soprattutto, a vendere dischi. Incuranti del rock, del beat, del rhythm and blues e degli altri generi che si affermano in quel periodo loro continuano a vendere milioni di dischi con brani come Verte campagne, Roméo, Un mexicain o La chanson de Lara. Il 4 ottobre 1969 inizieranno quella che è destinata a restare nella storia come l’ultima tournée della formazione a nove elementi. Il 31 dicembre dello stesso anno, infatti, muore Guy Bourguignon. I compagni decidono di non sostituirlo e di continuare con la formazione a otto componenti.
25 gennaio, 2022
25 gennaio 1937 - La prima volta di “Sentieri”
“Sentieri”, il cui titolo originale in inglese è “Guilding light” (Luce guida), è la più longeva soap opera della storia dello spettacolo mondiale. È il 25 gennaio 1937 quando dalle frequenze della NBC va in onda la prima puntata di quello che è ancora soltanto uno sceneggiato radiofonico sponsorizzato da un’azienda produttrice di detersivi (da qui il nome di “soap-opera”). Nel corso degli anni il programma cambierà più volte pelle talvolta smentendo anche le proprie originali impostazioni. Se alla fine degli anni Trenta è caratterizzata da un intento sostanzialmente moralista con il passare del tempo è destinata a diventare sempre più intrigante e peccaminosa. Il 30 giugno 1952 sbarca in televisione. La soap arriva in Italia il 25 gennaio 1982 su Canale 5 passando poi a partire dal 1988 a Rete 4. Nel 2007, per festeggiare i settant’anni del programma la CBS ha realizzato una puntata speciale, andata in onda sugli schermi televisivi statunitensi il 14 febbraio, nella quale gli interpreti più recenti hanno prestato voce e volto a quelli di ieri consentendo così al pubblico di ripercorrere la storia dagli inizi.
24 gennaio, 2022
24 gennaio 1937 - Jeff Clyne, uno dei più dotati bassisti del jazz britannico
Il 24 gennaio 1937 nasce a Londra, in Gran Bretagna, il bassista Jeff Clyne, registrato all'anagrafe con il nome di Jeffrey Clyne. Strumentista e improvvisatore di buon livello lascia un segno importante nel jazz britannico a partire dal 1958 quando entra a far parte dei Jazz Couriers di Ronnie Scott e di Tubby Hayes. Con quest'ultimo condivide anche l'esperienza successiva del quartetto. Strumentista molto apprezzato nella sua carriera suona con Tony Oxley, Alan Skidmore, Gordon Beck, Dudley Moore e Roy Budd, con gli SMEe di John Stevens, gli Amalgam di Trevor Watts, i Centipede di Keith Tippett, i Nucleus di Ian Carr, gli Isotope di Gay Boyle, la London Jazz Composers Orchestra di Barry Guy, gli Open Music di Bob Dovnes e molti altri. È anche stato un componente dei Gilgamesh. Muore d'infarto il 16 novembre 2009.
22 gennaio, 2022
22 gennaio 1965 - Muore Papa John Joseph
Il 22 gennaio 1965 a New Orleans, in Louisiana, muore il contrabbassista John Joseph, detto Papa John Joseph. Nato a St. James Parish, in Louisiana, il 27 novembre 1877 si trasferisce a New Orleans intorno al 1906. Autodidatta e polistrumentista ha modo di mettersi subito in evidenza soprattutto come contrabbassista esibendosi nei più noti cabaret della città al fianco di alcuni dei più noti leader di quel periodo come Edward Clem, Lawrence Duhè, Louis Dumaine, Shots Madison, Manuel Manetta e Buddy Petit. Parallelamente suona con alcune tra le brass band compresa la leggendaria Original Tuxedo Brass Band di Papa Celestin. Nel 1913 lascia New Orleans per stabilirsi a Lutcher dove suona con la Holmes Band diretta dal cornettista Anthony Holmes. Si dice che proprio con la band di Holmes impari finalmente a leggere il rigo musicale. Trasferitosi a Donaldsonville entra nella formazione di Claiborne Williams e conosce il contrabbassista Henry Baltimore destinato a diventare uno dei principali riferimenti del suo stile. Dopo la seconda guerra mondiale entra a far parte della Ragtime Jazz Band di George Lewis con la quale resta a lungo. Negli ultimi anni della sua vita suona anche con Punch Miller, Kid Sheik, Louis Nelson e altri esponenti della nuova generazione di leader nata nel dopoguerra.
21 gennaio, 2022
21 gennaio 2008 - L’arma migliore del cinema? La spada laser!
Il 21 gennaio 2008 la casa di produzione 20th Century Fox pubblica i risultati di un singolare sondaggio condotto tra qualche migliaio di cinefili. Alla domanda quale su quale fosse la “migliore arma” utilizzata nella storia del cinema hanno risposto incoronando la spada laser della saga di “Guerre stellari” seguita dalla celeberrima 44 Magnum dell’ispettore Callaghan. Sul terzo gradino del podio compare la frusta di Indiana Jones. Nelle posizioni immediatamente di rincalzo c’è la spada da samurai usata da Uma Thurman nella saga di “Kill Bill” ideata e diretta da Quentin Tarantino, seguita dalla motosega di “Non aprite quella porta”, la pistola dorata de “L’uomo con la pistola d’oro”, l’arco di Robin Hood, la mitragliatrice di Al Pacino in “Scarface”, la Morte Nera di “Guerre Stellari” e la bombetta-killer utilizzata da Oddjob nel film “Goldfinger”.
20 gennaio, 2022
20 Gennaio 1922 - Ray Anthony, l'italiano di Bentleyville
Il 20 gennaio 1922 nasce a Bentleyville, in Pennsylvania, Raymond Antonini, destinato a diventare con il nome di Ray Anthony, un trombettista famoso, direttore di una delle più popolari orchestre da ballo degli anni Cinquanta, caratterizzata da uno stile molto incisivo sul modello di quelle di Harry James e di Glenn Miller. A cinque anni si trasferisce con la famiglia a Cleveland dove inizia a studiare la tromba. Il suo primo maestro è il padre Guerrino Antonini, un immigrato italiano originario di San Demetrio ne' Vestini, in provincia de L’Aquila) arrivato negli Stati Uniti nel 1914. Ricco di talento, il giovane Ray si fa notare negli ambienti delle orchestre da ballo e nel 1940 entra a far parte dell’orchestra di Glenn Miller con la quale resta fino al 1941 quando viene arruolato in marina e parte per la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la guerra dà vita alla Ray Anthony Orchestra, una formazione che diventa una delle più popolari degli anni Cinquanta. Nel 1955, dopo aver sposato l’attrice Mamie Van Doren affianca a quella di musicista anche la carriera di attore e intrattenitore televisivo. Hollywood l'ha onorato con una stella nella Walk of Fame.
19 gennaio, 2022
19 gennaio 1990 - Marina Pagano, tra teatro e musica
Il 19 gennaio 1990 muore a Roma la cantante e attrice Marina Pagano. Nata il 16 febbraio 1939 nel rione Stella di Napoli a diciannove anni lascia la sua città natale per trasferirsi a Roma dove lavora al fianco di Eduardo De Filippo. Il suo debutto discografico avviene nel 1973 quando, già famosa come attrice per aver recitato nei teatri di tutto il mondo, pubblica l'album Jesce sole che contiene vari canti popolari napoletani. Nel 1974 partecipa a Canzonissima e nel 1975 pubblica Io vi racconto, un album con dieci canzoni d'amore di autori italiani e stranieri, cui fa seguito l'anno successivo il recital teatrale "A modo mio". Nel 1980 è la protagonista dello spettacolo televisivo "Una voce una donna", nel quale interpreta di volta in volta canzoni e momenti biografici di Edith Piaf, Judy Garland, Gilda Mignonette e Anna Fougez.
18 gennaio, 2022
18 gennaio 1941 – Iva Zanicchi, una voce da soul
Il 18 gennaio 1941 nasce a Ligonchio, in provincia di Reggio Emilia, la cantante Iva Zanicchi, soprannominata “l’aquila di Ligonchio”. Dotata di una voce ricca di sonorità blues per lungo tempo viene considerata una delle cantanti italiane vocalmente più dotate Il suo primo successo discografico arriva nel 1964 con la canzone Come ti vorrei, versione italiana di Cry to me. L’anno dopo presenta al Festival di Sanremo I tuoi anni più belli, con Gene Pitney. Torna sulla ribalta sanremese nel 1966 con La notte dell'addio, in coppia con Vic Dana e nello stesso anno ottiene un buon successo con i singoli Ci amiamo troppo e Fra noi, oltre a partecipare al Festival di Napoli con Ma pecchè e Tu saie 'a verità. Nel 1967, con Claudio Villa, vince il Festival di Sanremo presentando Non pensare a me, un brano che vende oltre due milioni di copie nel mondo. Due anni dopo vince ancora la manifestazione sanremese con Zingara, in coppia con Bobby Solo e nel 1970 si piazza al terzo posto con L'arca di Noè, insieme a Sergio Endrigo. Da quel momento si dedica a operazioni musicali e culturali di più largo respiro, come gli album Caro Theodorakis (1970), Caro Aznavour (1971) e Shalom (1972). Innumerevoli sono i suoi successi tra cui La riva bianca la riva nera, Coraggio e paura, Mi ha stregato il viso tuo, La mia sera, Le stagioni dell'amore e Ciao cara come stai, con cui vince per la terza volta il Festival di Sanremo nel 1974. Nel 1984 è di nuovo al Festival di Sanremo con Chi mi darà. Qualche tempo dopo lascia la musica per dedicarsi principalmente all’attività di presentatrice televisiva.
17 gennaio, 2022
17 gennaio 1933 – Dalida, artista inquieta, triste e sola
Il 17 gennaio 1933 al Cairo, in Egitto, nasce Dalida registrata all’anagrafe con il nome di Jolanda Gigliotti. È cittadina francese, ma i suoi genitori sono italiani o, meglio, calabresi. Dotata di una voce particolare, dai toni scuri, inizia giovanissima a cantare nei club di Parigi la versione francese di celebri brani napoletani. Proprio uno di questi le regala il primo grande successo discografico. È Bambino, versione francese di Guaglione. Il brano, pubblicato quasi per gioco arriva al vertice delle classifica di molti paesi europei. Anche l’Italia si accorge di lei e la accoglie con calore portando ai vertici delle classifiche le sue versioni di brani come Bang Bang, Milord, Come prima, Quelli erano giorni o L'ultimo valzer. Nel 1967 Dalida partecipa al suo unico Festival di Sanremo. La ragazza canta sul palcoscenico dei fiori Ciao amore ciao in coppia con l’autore Luigi Tenco verso il quale è legata da un grande affetto, ricambiato. L’esperienza si conclude tragicamente. Proprio nei giorni della manifestazione sanremese, infatti, Tenco viene ritrovato nelle sua camera d’albergo senza vita, ucciso da un colpo di pistola. Le indagini, frettolose e sommarie, parlano di suicidio. L’episodio segna una svolta nella vita di Dalida che tenterà più volte di farla finita negli anni successivi. Il pubblico italiano non l’abbandona. Nel 1968 vince "Canzonissima" con Dan dan dan e, pur lontana dei grandi successi degli anni Sessanta, continua a essere amata da un robusto gruppo di fedeli ammiratori che non la lasceranno mai sola neppure negli anni successivi. All'inizio del 1987 si esibisce in un grande concerto in Turchia davanti al presidente Kenan Evren. È un buon periodo per la cantante. Si parla di un suo nuovo album e di un serial televisivo, ma il 3 maggio dello stesso anno, in preda a una crisi depressiva, si toglie la vita con una dose eccessiva di barbiturici.
16 gennaio, 2022
16 gennaio 1924 - Ernesto Bonino, Mister Swing
Il 16 gennaio 1924 nasce a Torino Ernesto Bonino, uno dei più acclamati esponenti di quel genere che viene chiamato "canzone sincopata", una sorta di italianizzazione di uno stile mutuato dalle grandi orchestre jazz d'oltreoceano e che tende a unire la melodia della tradizione italiana alle suggestioni ritmiche dello "swing". Proprio nei locali della sua città natale muove i primi passi come cantante nella seconda metà degli anni Trenta. Alla fine del 1940 viene scritturato dall'EIAR dopo un'audizione ottenuta grazie a un geniale scopritore di talenti come il maestro Carlo Prato, lo stesso cui si deve la scoperta e il lancio del Trio Lescano. Il 5 gennaio 1941 debutta ai microfoni radiofonici interpretando Tango argentino. Nello stesso anno ottiene il primo grande successo con Se fossi milionario, un brano composto da Calzia e Cram e registrato con l'accompagnamento dell'orchestra di Pippo Barzizza. Seguono poi molti altri brani tra cui la popolarissima Maria Gilberta, Bambola, La famiglia canterina con il Trio Lescano e soprattutto Un giovanotto matto, il brano nato dal talento di Lelio Luttazzi e destinato a diventare una sorta di carta d'identità musicale del cantante. In quegli anni critici e pubblico gli regalano l'appellativo di "Mister Swing". La sua capacità di muoversi con grande naturalezza nel territorio della "musica ritmica", sempre sospeso tra jazz e tradizione non entusiasma solo il pubblico, ma gli vale la stima di quasi tutti i grandi maestri e i direttori delle orchestre più alla moda del periodo. Da Pippo Barzizza a Carlo Prato, da Gorni Kramer ad Alberto Semprini tutti apprezzano quel giovanotto capace di far divertire il pubblico con una voce che sembra nata per dare vigore alla struttura ritmica delle canzoni. L'apparente naturalezza del suo modo di cantare rischia di far sottovalutare lo studio e la passione che ne hanno accompagnato l'intera carriera. Alla base della notevole qualità delle sue interpretazioni, infatti, c'è il desiderio costante di migliorarsi e l'amore per il jazz che l'accompagneranno in tutto il suo percorso musicale. Il suo successo è tale che nel 1942 può permettersi di rinunciare allo stipendio fisso dell'EIAR, per curare meglio la sua carriera di cantante. Per lungo tempo è accompagnato dall’orchestra di Alberto Semprini, anche se successivamente preferisce affidarsi alle cure di Pippo Barzizza. All'inizio degli anni Cinquanta si trasferisce negli Stati Uniti dove resta, con varie interruzioni, fino al 1958 affermandosi come interprete dei "classici" del jazz esibendosi nei più importanti locali di New York, Chicago e Miami. Nel 1962 si piazza al terzo posto al Festival di Sanremo interpretando Gondolì gondolà in coppia con Sergio Bruni. Gli ultimi anni della sua vita lo vedono in estrema difficoltà. Persa la voce in seguito a un'operazione, riesce a sopravvivere grazie a un vitalizio concesso dopo molte richieste dallo stato italiano. Muore il 28 aprile 2008 a Milano.
15 gennaio, 2022
15 gennaio 1955 – La Lancia Aurelia B24 Spider, l’auto de “Il sorpasso”
Un gioiellino dalla linea sportiva incredibilmente raffinata. Così viene definita il 15 gennaio 1955 al suo apparire al Salone di Bruxelles la Lancia Aurelia B 24 Spider, considerata uno dei capolavori del carrozziere torinese Battista Pinin Farina. La sua base meccanica è l’autotelaio della B 20 IV serie, ma le forme e le prestazioni sono da sogno per l’epoca. Anche il prezzo non scherza, visto che l’auto viene messa in vendita a tre milioni di lire, una cifra che, calcolata a spanne, corrisponde a circa 50.000 Euro di oggi. Questo giustifica in parte la limitata diffusione del modello. Ne vengono prodotte, infatti, soltanto 240 in poco più di un anno cui vanno aggiunte, per onor di verità, le 521 auto dell’Aurelia Convertibile, una sorta di modello più evoluto costruito a partire dal 1956 seguendo le indicazioni dei consumatori americani. Il numero limitato di vetture prodotto non dipende soltanto dal prezzo. In realtà la Lancia manca di una vera e propria rete di commercializzazione adeguata ai tempi e diffusa sia in Italia che all’estero. La struttura commerciale necessiterebbe di ulteriori investimenti, ma le fortune della famiglia Lancia sono alla vigilia del declino e la casa automobilistica sta per imboccare il lungo e periglioso cammino del cambiamento di assetto proprietario. L’Aurelia B 24 Spider è il lampo lucente della supernova, il più brillante guizzo della genialità e del gusto per la bellezza. Il gioiello diventa, prima di tutto, l’orgoglio di chi l’ha costruito. «È impossibile resistere alla tentazione. Quando vedi un’Aurelia B 24 lo sguardo non ti basta, ti viene un impulso irrefrenabile di toccarla». Non sono le parole di un fanatico lancista, ma quelle di Franco Martinengo, per cinquant’anni direttore del Centro Stile Pininfarina, uno che nella sua lunga carriera di auto belle ne ha viste a bizzeffe. Lo stesso Battista Pinin Farina per anni ne ha gelosamente custodita una per sé con il tettuccio rigido in plexiglas azzurro cielo. Quest’automobile che fa innamorare a prima vista nasce nel 1954 quando dai capannoni della Lancia esce un prototipo derivato dalla B 20. Ha dei grossi rostri sui paraurti e fa la sua prima uscita in una gara di regolarità a Cortemaggiore guidata dal famoso Gigi Villoresi. Poi non se ne sa più niente o, meglio, viene letteralmente sequestrata da Gianni Lancia, figlio di Vincenzo, il fondatore della casa, che la usa per muoversi sulle non ancora intasate strade della città di Torino. Per qualche tempo l’idea sembra destinata a finire così, ma in realtà i progettisti stanno lavorando all’Aurelia B24 Spider, un modello nato con un occhio alle possibilità el mercato statunitense. La presentazione ufficiale avviene al Salone di Bruxelles il 15 gennaio 1955. Il nuovo modello è ancora più elegante del prototipo. Gli aggressivi rostri sono sostituiti da quattro piccoli paraurti che guardano vezzosamente all’insù mentre il parabrezza panoramico ispirato ai modelli nautici sembra fatto apposta per conquistare il pubblico nordamericano. «Decappottabile e supercompressa», così Bruno Cortona, il protagonista del film “Il sorpasso” di Dino Risi definisce la sua Aurelia B 24. Cortona ha il volto di Vittorio Gasmann ed è l’emblema dell’euforia eccessiva che domina gli anni del boom. La vettura, insieme a Jean-Louis Trintignant, è una sorta di terza protagonista della vicenda destinata a finire distrutta nella tragica conclusione dell’avventura estiva in fondo al burrone di Calafuria a Castiglioncello. Quello che pochi sanno, però, è che l’auto che precipita nel burrone non è un’Aurelia B24, ma una Siata 1400 Cabriolet nell’inusuale veste di controfigura.
14 gennaio, 2022
14 gennaio 1929 – Leo Cancellieri, il pianista di Sulmona
Il 14 gennaio 1929 nasce a Sulmona il pianista Leo Cancellieri. Inizia la sua attività musicale suonando il piano con il gruppo di Nunzio Rotondo e successivamente entra a far parte della Junior Dixieland Gang, formata a Roma nel 1953 da Sandro Brugnolini, sostituendovi il pianista Gino Tagliati. La formazione, verso il 1956, cambia nome e stile divetando la Modern Jazz Gang con Cicci Santucci alla tromba, Enzo Scoppa al sax tenore, Carlo Metallo al sax baritono, Sergio Biseo al contrabbasso e Roberto Podio alla batteria oltre a Brugnolini e Alberto Collatina già vecchi componenti della Junior Dixieland. In quel periodo la critica parla di Cancellieri come di uno dei migliori pianisti moderni in attività a Roma. Nel 1959 e 1960, parallelamente al lavoro con il gruppo partecipa anche a varie incisioni con diverse formazioni dirette da Nunzio Rotondo. Negli anni successivi riduce poi l’attività musicale fino ad abbandonare quasi definitivamente le scene.
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