Nella serata di sabato 9 febbraio 2008 in una tensostruttura costruita di fronte alla Thyssenkrupp si svolge la manifestazione “Workin’ class hero: Torino è la mia città”, musica e parole di solidarietà con il lavoro e la lotta quotidiana di quella Torino operaia divenuta da tempo invisibile. Sul palcoscenico le parole di Ulderico Pesce e Beppe Rosso si alternano alle note di Fratelli di Soledad, Carlo Pestelli, Mao e i Santabarba, oltre che di oSKAr e i Cappuccino, cioè gli Statuto in formazione ridotta e senza riferimenti al marchio principale per mantenere fede al giuramento solenne di non esibirsi più nella propria città in segno di protesta contro la prepotenza del music business locale. Evento nell’evento, tutti i musicisti hanno condiviso la proposta di suonare in acustico (“absolutely unplugged”, per chi ama la lingua ufficiale dei dominatori del pianeta), adeguando formazioni e arrangiamenti all’occasione. Il risultato è una sorta di “esibizione unica” che, se registrata, potrebbe finire felicemente in un disco magari destinato a rafforzare il “fondo di solidarietà con i lavoratori Thyssenkrupp”. La musica sceglie così di presentarsi al pubblico nuda, senza fronzoli e merletti, in un rapporto di intimità con il pubblico quasi a sottolineare che i sentimenti, i sogni e le speranze degli artisti e del pubblico si tengono per mano, sono le stesse. E se i Fratelli di Soledad salgono sul palco soltanto con «…chitarra e voce come nascono le canzoni», il popolo mod ha la sorpresa di vedere e ascoltare un inedito oSKAr accompagnato dai soli Ennio Teen Mod alla chitarra acustica e Jerry al sax. È proprio in questo particolare apporto creativo che la parte più attenta e impegnata della cultura torinese fa una dichiarazione precisa di appartenenza. Per oSKAr una serata come quella di sabato contribuisce anche a riaffermare le radici operaie della città «…Per anni gli organi di informazione cittadini hanno tentato di farci credere che il concetto di “classe operaia” non indicava più nulla e che Torino si muoveva su nuovi indirizzi economici e sociali ma è bastata la tragedia della Thyssen per dimostrare che la classe operaia esiste e regge l’economia della città, ma che la favola della "Torino non più operaia" ha finito per coprire vergognose mancanze di sicurezza e controllo delle condizioni di lavoro...». C’era un tempo in cui non erano soltanto gli artisti “impegnati” a metter in musica le parole dell’alienazione della catena di montaggio o della condizione operaia. Dai juke box si potevano ascoltare i Rokes raccontare i sogni di Bartolomeo (…millecentododici buchi tutti in fila in questo pezzo di ferro così.../pensare che il mio sogno è la poesia…), e i Giganti farsi interpreti delle delusioni di un giovane metalmeccanico (Mi chiamo Brambilla e faccio l’operaio/lavoro la ghisa per pochi soldi/e non ho in tasca mai la lira per potere fare un ballo con lei…). Erano “canzonette”, non servivano a fare la rivoluzione e neppure ne avevano l’intenzione, ma segnalavano un’attenzione diversa verso il lavoro e i lavoratori. Oggi non è così. Gli operai sono invisibili e parlarne è considerato poco alla moda. La serata di sabato 9 febbraio 2008 traccia un piccolo segno diverso, in controtendenza. E se è vero che con le canzoni non si possono cambiare le cose, ci sono momenti in cui anche la musica può servire a rompere il guscio dell’indifferenza e dell’ignoranza.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
09 febbraio, 2022
08 febbraio, 2022
8 febbraio 1919 – Buddy Morrow, un trombone dal fraseggio raffinato
L’8 febbraio 1919 a New Haven, nel Connecticut, nasce il trombonista Buddy Morrow, registrato all’anagrafe con il nome di Muni "Moe" Zudekoff. Inizia a suonare il trombone all'età di dodici anni cominciando esibendosi giovanissimo anche con varie formazioni della sua zona. Dopo aver perfezionato gli studi alla Juilliard University di New York nel 1936 ottiene il suo primo importante ingaggio nella jazz band del trombettista Sharkey Bonano. Negli anni successivi suona poi con Artie Shaw, Vincent Lopez, Bunny Berigan, Tommy Dorsey e Paul Whiteman, mettendosi in luce come solista di trombone dal fraseggio raffinato e dalla sonorità morbida e vellutata. All'inizio degli anni Quaranta si unisce alla formazione di Bob Crosby e, dopo la parentesi della seconda guerra mondiale, a quella di Jimmy Dorsey. Alla fine del 1945 si mette in proprio è dà vita a una propria orchestra che riscuote un buon successo commerciale nel corso degli anni Cinquanta. Nel 2009 l’International Trombone Association l’ha premiato, in occasione dei suoi novant’anni con un riconoscimento alla carriera. Muore il 27 settembre 2010.
07 febbraio, 2022
7 febbraio 1987 – Muore a Padova Claudio Villa
Il 7 febbraio 1987 muore Claudio Villa, uno dei simboli della canzone melodica italiana. Tremiladuecento brani registrati, quarantadue milioni di dischi venduti in tutto il mondo, ventisette film, tredici partecipazioni al Festival di Sanremo con quattro vittorie e due trionfi a Canzonissima sanciti a furor di popolo dall’invio di milioni di cartoline-voto sono la testimonianza concreta della sua straordinaria popolarità. Oggetto di amore incondizionato, di passioni, ma anche di contestazioni accese costruisce il proprio successo con la determinazione di chi ha imparato presto a combattere per la sopravvivenza. I suoi successi, le sue aspre polemiche, le contestazioni, ma anche la sua grande e generosa umanità sono solo alcune delle tante sfaccettature di un personaggio che ha saputo essere innovatore e conservatore al tempo stesso. Anche se il suo modo di cantare ha rappresentato, un’innovazione nel panorama melenso della melodia italiana del dopoguerra, negli anni successivi Villa ha scelto d’incarnare il ruolo del custode dei valori fondanti della canzone all’italiana, pur senza mai scadere nell’immobilismo. A dispetto delle impressioni non rifiuta però la contaminazione con nuove sonorità, lasciando che la sua voce si arrampichi anche sui sentieri tracciati da arrangiamenti elaborati e moderni. La sua capacità di anticipare i tempi è impressionante. È il primo cantante italiano in grado di trasformare la folla sterminata dei suoi ammiratori in una vera e propria organizzazione ramificata in tutto il territorio nazionale qualche decennio prima della nascita dei fans club delle moderne popstar. La sua verve polemica, alimentata e sorretta da una spregiudicata e schietta irruenza popolana, divide e fa discutere anche il mondo degli intellettuali, così lontano dagli ambienti popolari in cui affondano e traggono linfa le radici del suo successo. Sempre pronto a prendere posizione è anche un grande protagonista della battaglie civili della società italiana. «Se mi costringono a battagliare ho la forza di cento tori e il carattere non mi manca; logico, l’uomo e l’artista sono la stessa cosa. E se sono forte nel cantare, devo anche saper menare» dice a Lietta Tornabuoni che l’intervista per l’”Europeo”. Lui si vanta di essere un trasteverino. Trastevere negli anni Venti è il cuore pulsante di una Roma popolare che fatica ad adattarsi ai cambiamenti di quella che viene chiamata Città Eterna. È più di un quartiere, è una città nella città. Qui i grandi viali e i palazzi del potere cedono il passo a selciati polverosi percorsi da carretti e biciclette sui quali si affacciano piccole botteghe artigianali e banchetti che espongono mercanzie destinate a soddisfare semplici bisogni di gente povera. Qui gli antichi mestieri sopravvivono al passare del tempo e le stagioni si riconoscono dagli odori, più che dalle date del calendario. In questo quartiere, al n° 25 di Via della Lungara, in un caseggiato che sembra formare un blocco unico con il carcere di Regina Coeli, il 1° gennaio del 1926 Ulpia Urbani e Pietro Pica festeggiano la nascita del loro figlio Claudio. Inizia così la vicenda di Claudio Pica, in arte Claudio Villa, un ragazzo romano di borgata destinato a lasciare un segno indelebile nella storia della canzone italiana. A soli undici anni sale per la prima volta su un palcoscenico. È il 1937 quando si esibisce, quasi per scherzo, durante uno spettacolo della compagnia di Mimì Maggio al teatro Aurora. Tutti gli dicono che ha una bella voce e lui comincia a pensare che quella del cantante possa diventare la sua professione. Sono pensieri segreti da non rivelare a nessuno. Si sa però che per le mamme non ci sono segreti che tengano e nonostante le ristrettezze famigliari mamma Ulpia riesce a sottrarre al bilancio famigliare qualche soldo per mandare Claudio a scuola di canto… «Tutti devono avere un nome d’arte nel mondo dello spettacolo». È il direttore del teatro Ambra Jovinelli, il napoletano Tommaso Pastore, che nel 1945 cambia il nome del cantante da Pica in Villa. Dopo aver vinto con la Chitaratella un concorso di voci nuove che si svolge al salone Esedra ottiene la sua prima scrittura “vera” nella compagnia Libianchi che ha in cartellone uno spettacolo al cinema-teatro Altieri. La sua voce non è ancora definita. È ben lontana dal timbro potente che lo caratterizzerà in seguito, ma sa già adattarsi all’esigenze del falsetto “di grazia” in voga in quel periodo. La sua popolarità cresce di giorno in giorno e le scritture si moltiplicano. Si esibisce in molti locali romani con un repertorio composto principalmente dalle canzoni di Romolo Balzani e Alfredo Del Pelo. Il primo è un autore popolarissimo cui si deve la musica di brani come Barcarolo romano e L’eco der core, mentre il secondo, trasteverino verace come Villa, è uno degli autori della famosissima Casetta de Trestevere. All’aumento della popolarità non corrisponde però un proporzionale irrobustimento del bilancio personale. Un’eccezione è rappresentata dal compenso di ben diecimila lire ottenuto per l’incisione della colonna sonora del film “Sotto il sole di Roma” di Renato Castellani, composta da Nino Rota. Nel 1946 l’orchestra del maestro Ferroni nella quale canta Claudio Villa partecipa a un programma radiofonico destinato ai militari. Il cantante fa così il suo debutto alla radio. La grande occasione arriva però qualche tempo dopo grazie a una fortunata serie di combinazioni. L’orchestra Ferroni oltre che su Claudio Villa può contare anche sulla voce femminile di Ida Bernasconi, una cantante italo-greca sentimentalmente legata a tale Giacomo Gabrielli. Quest’ultimo, accanito ammiratore di Villa, convince i proprietari del night “Le grotte del piccione” a scritturarlo per cinquecento am-lire (la moneta introdotta dalle truppe alleate) più il pasto serale. Il locale, frequentato da molti funzionari RAI, è uno di quelli scelti per un programma radiofonico che porta a casa degli ascoltatori la musica delle orchestre che si esibiscono nella serata del collegamento. Si tratta di un appuntamento importante e molto seguito perché va in onda alle ventitré dopo la rubrica “Oggi al parlamento” e consente di ascoltare in diretta le ultime novità musicali. La voce di Villa risuona così per la prima volta negli apparecchi radiofonici di tutta Italia e inizia a diventare popolare anche al di fuori di Roma. Nell’agosto del 1947 Claudio Villa pubblica il suo primo disco. Assistito da Luciano Luigi Martelli e dallo staff di produzione della Carish il cantante lavora sodo in sala di registrazione. Dopo un’attenta valutazione vengono scelti per il suo debutto discografico i brani Canzoncella e Serenatella dolce e amara. Quest’ultimo, che ha tra gli autori lo stesso Martelli, è molto orecchiabile e diventa ben presto uno dei più richiesti e apprezzati dal pubblico radiofonico. Gran parte del segreto del successo di questa canzone sta nella sapiente miscela di tradizione e innovazione che la caratterizza. Su un testo tradizionale, che riecheggia i temi cari alla tradizione della canzone italiana classica, si sviluppa una melodia fresca e ricca d’aperture, costruita sul ritmo esotico della rumba. L’interpretazione di Villa, pulita e senza sbavature, fa il resto. Il successo di questo primo disco incoraggia la Carish a continuare nella produzione del cantante. Per far fronte alle continue richieste del pubblico che torna ad appassionarsi per la canzone all’italiana non c’è tempo per scrivere nuove canzoni. Buona parte dei brani registrati in questo periodo da Claudio Villa non vengono, quindi, composti appositamente per lui, ma appartengono al repertorio di interpreti come Carlo Buti, Otello Boccaccini, Luciano Tajoli e Oscar Carboni, anche se spesso la versione di Villa è destinata a diventare più famosa delle originali. È l’inizio del successo. Nel 1955 Claudio Villa partecipa al Festival di Sanremo cantando Incantatella con Narciso Parigi e Buongiorno tristezza e Il torrente, entrambe in coppia con Tullio Pane, che si piazzano al primo e al secondo posto. Sempre insieme a Pane vince anche la “Finale degli indipendenti” con Il torrente. Nello stesso anno partecipa al Festival di Napoli con ben sette canzoni, classificandosi al terzo posto con Dincello tu, mentre nascono centinaia di fan club a suo nome. Nel 1957 torna al Festival di Sanremo aggiudicandosi il primo e il secondo posto con Corde della mia chitarra in coppia con Nunzio Gallo e Usignolo, insieme a Giorgio Consolini. Alla fine degli anni Cinquanta, di fronte all'affermarsi di nuove mode e di nuovi personaggi, può comunque contare su milioni di ammiratori devoti che lo accompagneranno per tutta la carriera. Nel 1962, in coppia con Domenico Modugno, vince di nuovo il Festival di Sanremo con Addio addio e l'anno dopo arriva al secondo posto con Amour mon amour my love in coppia con Eugenia Foligatti. Sempre nel 1963 vince il Festival di Napoli con Jamme ja in coppia con Maria Paris e nel 1965 vince "Canzonissima" con 'O sole mio sostituendo all'ultimo minuto Mario Del Monaco. Nel 1967, dopo aver vinto "Canzonissima" con Granada, torna a vincere anche il Festival di Sanremo con Non pensare a me, in coppia con Iva Zanicchi. Nel 1982, eliminato dal Festival accusa Gianni Ravera e l'ambiente sanremese di brogli. Il 7 febbraio 1987, proprio mentre a Sanremo è in programma l'ultima serata del Festival muore a Padova. La cassetta di mogano che contiene le sue ceneri viene tumulata, come da lui richiesto, nel cimitero di Rocca di Papa accanto alla tomba di mamma Ulpia. Sulla lapide che la copre sono incise le parole “Vita sei bella, morte fai schifo” da lui stesso dettate.
06 febbraio, 2022
6 febbraio 2004 - Non fate ipotesi sulla morte di Elliott Smith
Il 6 febbraio 2004 molti giornali diffondono la notizia di una singolare diffida. È vietato formulare ipotesi sulla morte di Elliott Smith. La famiglia del cantautore statunitense scomparso nell'ottobre scorso ha infatti formalmente diffidato chiunque a qualunque titolo a non fare illazioni sulle cause della morte dell'artista. La diffida è stata notificata anche alla compagna di Elliott. Il provvedimento, che lascia perplessi sia sul piano giuridico che dal punto di vista del merito, visto che colpisce i cardini della libertà d'informazione, è stato assunto non a caso dopo la pubblicazione della perizia disposta dal coroner sul corpo del cantautore. Quest'ultima, infatti, ha riaperto molti interrogativi sulla causa del decesso, in un primo momento frettolosamente attribuito a suicidio. In essi si sostiene che non vi siano «elementi sufficienti» per determinare con certezza nel suicidio la causa della morte. La presa di posizione della famiglia, eclatante quanto incomprensibile, alimenta l'alone di mistero che circonda la scomparsa del povero Elliott Smith.
05 febbraio, 2022
5 febbraio 1946 – Il sassofono contralto di Gianni Oddi
Il 5 febbraio 1946 nasce a Genova il sassofonista Gianni Oddi. I primi studi musicali non riguardano lo strumento che lo farà diventare famoso. Inizia infatti a studiare pianoforte a soli dodici anni e nel 1968 si diploma al conservatorio di Genova. Proprio mentre è impegnato negli studi inizia, prima per gioco e poi sempre con maggior passione, a esercitarsi col sassofono contralto. Nel 1965 comincia a farsi conoscere dagli appassionati di jazz della sua città suonando al Louisiana Jazz Club di Genova sia il pianoforte che il sassofono con Dany Lamberti, Alessandro Armanino e gli altri strumentisti che frequentano il locale. Nel 1970 si trasferisce a Roma e decide di dedicarso soltanto al sassofono contralto di cui nel 1973 consegue anche il diploma al conservatorio dell'Aquila. Nel 1977 entra a far parte dell'Orchestra di Ritmi Moderni della Rai di Roma. Nel gennaio dell’anno è un componente dei Saxes Machine di Bruno Biriaco con i quali incide anche l’album Nouami. Nel 1980, pur non abbandonando l'Orchestra della Rai fa parte anche della big band Swing diretta da Maurizio Majorana. Nel 1981 è tra i promotori dei Bop Gentlemen. Negli anni Novanta suona con il Roma Jazz Ensemble e nel 1991 fonda lo Ialsax Quartet. Da alcuni anni dirige anche la St. Louis Big band.
04 febbraio, 2022
4 febbraio 1925 - Jutta Hipp, la pianista di Lipsia
Il 4 febbraio 1925 nasce a Lipsia, in Germania, la pianista Jutta Hipp. Studentessa presso la locale Accademia delle Belle Arti, inizia ad avvicinarsi al jazz poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, partecipando a varie jam session con gruppi locali. Alla fine del conflitto, quando nasce la Repubblica Democratica Tedesca fugge a Ovest e trova rifugio nella città di Monaco. Nel 1952 collabora e incide con Hans Koller e tra il 1953 e il 1955 organizza e guida un proprio quintetto a Francoforte. Il 18 novembre 1955 decide di cambiare aria e se ne va negli Stati Uniti dove guida un trio di cui, oltre a lei, fanno parte Peter Ind e Ed Thigpen. Da allora collabora con numerosi solisti, in gran parte statunitensi, suonando anche con Dexter Gordon e Bobby Jaspar. Dotata di una certa originalità negli anni Sessanta riduce progressivamente il suo impegno sulla scena jazzistica ritagliandosi un ruolo tutt'altro che marginale nella musica pop. Muore di cancro al pancreas il 7 aprile 2003 a Sunnyside, nel Queens, New York.
03 febbraio, 2022
3 febbraio 1951 - Fréhel, l'anima della "chanson réaliste"
Il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata la cantante Fréhel, considerata la principale interprete della “chanson réaliste” nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, Fréhel ha accompagnato con la sua voce bellissima e tragica un’Europa apparentemente spensierata, ricca di tensioni, di scontri ma anche di inconsapevoli follie e di passioni che danzava sull’orlo del precipizio. È difficile rinchiudere in un termine o una frase, per quanto suggestiva, il senso dell’esperienza artistica di una cantante come lei, passata dalle strade alle luci del palcoscenico dei principali teatri della notte parigina e ancora nel tunnel della depressione quindi nuovamente al successo per finire i suoi giorni sola e dimenticata in uno squallido albergo a ore. È difficile trovare le parole giuste per raccontare con rispetto e senza scivolare nel patetico la carriera di una donna cui la vita ha ripreso rapidamente e con gli interessi le poche fortune elargite. Le sensazioni, le tante cadute e le scarse resurrezioni più attese che arrivate, sono giunte fino a noi in un pugno di canzoni nelle quali le emozioni hanno i colori vividi di una voce che è sopravvissuta anche alla sua rovina. Quando nasce la futura Fréhel si chiama Marguerite Boulc’h. Nonostante alcune biografie la facciano nascere a Trégastel, in Bretagna, il suo certificato di nascita racconta che è nata a Parigi il 14 luglio 1891 al n° 2 di Boulevard Bessières, nel diciassettesimo arrondissement, da genitori bretoni che sopravvivono facendo un po’ di tutto. Fin da piccola passa le giornate nella strada e tutta la sua infanzia è caratterizzata dalla povertà e dalla consapevolezza che i suoi genitori e le persone che le stanno intorno sono sempre alla ricerca frenetica di un modo per raggranellare qualche soldo e per sopravvivere. Lei stessa deve darsi da fare e a cinque anni accompagna un vecchio cieco a chiedere la carità nei sobborghi parigini cercando di attirare e intenerire i passanti con una breve canzoncina. È in questi anni che le entra dentro la paura della povertà, il terrore del domani, la paura che il futuro possa essere peggiore del pur triste presente, l’incertezza dell’attesa e, in fondo, la voglia di cancellare la realtà. Saranno queste esperienze a segnare la sua perenne incertezza portandola da un lato a caricarsi di troppe responsabilità e dall’altra a tentare la fuga di fronte alle situazioni difficili spesso con l’alcool e qualche volta con la cocaina e altre sostanze sintetiche. I testimoni del tempo raccontano che a quindici anni è già una ragazza bellissima che lavora in un emporio in cui si vendono prodotti farmaceutici e pozioni di bellezza. Il suo compito non è quello di aspettare i clienti nel negozio, ma di andare a bussare alla porte di chiunque possa essere un possibile acquirente dei prodotti cosmetici. Entra nelle case della buona borghesia parigina, spiega la qualità dei suoi prodotti e offre una dimostrazione pratica del loro utilizzo. Nel suo bauletto ci sono profumi, creme e cosmetici che promettono meraviglie. Nei suoi giri incontra donne ricche ma anche le protagoniste della parigi notturna, attrici, cantanti, intrattenitrici varie. Il mondo dello spettacolo l’affascina e un giorno parla dei suoi sogni a una spagnola che si chiama Carolina Augustina Carasson Fuente Valga e che a Parigi è diventata una stella di prima grandezza del music hall con il nome di Bella Otero. La donna, colpita dalla bellezza e dalla determinazione della ragazza la introduce nell’ambiente e l’aiuta a procurarsi le prime scritture. Con il nome di Pervenche debutta a sedici anni sul palcoscenico del Café de l’Univers cantando canzoni scritte da Montéhus Il palcoscenico del Café de l’Univers ospita le esibizioni di Marguerite, ora trasformatasi in Pervenche, per un paio d’anni, fino al 1910. Diciannovenne, bella, un po’ ingenua e affascinata dall’ambiente in cui si ritrova a vivere la ragazza non sa e non vuole resistere alla corte serrata di uno dei tanti tombeur de femme della notte parigina. È un maestro di canto che si diletta anche a scrivere spettacoli. Il suo nome è Robert Holland, ma tutti lo conoscono come Roberty. Lei si innamora perdutamente di lui che la sposa, la mette incinta e poi la lascia per Damia, un’altra grande chanteuse di quel periodo. Siccome quando le cose vanno male non c’è limite al peggio anche il figlio nato dalla sfortunata storia con Roberty poco dopo muore e Fréhel precipita in una depressione che pare senza fine. Alle delusioni della vita fa quasi da contraltare il grande successo sul palcoscenico dove, forse per lasciarsi dietro alla spalle il dolore degli anni precedenti, ha scelto di cambiare nome d’arte. Marguerite non si chiama più Pervenche. Il nuovo nome con il quale compare sui manifesti che annunciano i suoi concerti è quello Fréhel, una sorta di omaggio a Cap Fréhel, un luogo simbolico della Bretagna, la terra da cui arrivano i suoi genitori. Nel firmamento della notte parigina è una stella di prima grandezza, amata e osannata dai frequentatori dei locali notturni. È anche un modello per centinaia di ragazze che la guardano con la stessa invidia con cui lei guardava la Bella Otero. Il successo, però, non cancella l’angoscia interiore e il senso di provvisorietà che prova di fronte ai momenti belli della vita. Dopo la fuga di Roberty coltiva una nuova illusione d’amore al fianco di Maurice Chevalier, protagonista principale degli spettacoli in cartellone alle Folies Bergères, uno dei templi della rivista musicale parigina. Anche questa storia d’amore, però, non è destinata a durare. Chevalier lascia Fréhel per la star delle star, quella Mistinguett che ha fatto perdere la testa a principi e nobili di tutta Europa e la ragazza abbandonata per la seconda volta in meno d’un anno si fa catturare nuovamente dalla depressione. Si chiude in casa e non vuole più vedere nessuno. Nelle lunghe ore di solitudine e di dolore ha una compagnia speciale, capace di cancellare per qualche tempo la realtà e renderle più sopportabile la disperazione. Sono due amici, si chiamano alcool e cocaina e hanno la caratteristica di chiedere molto di più di quello che in apparenza danno. Fréhel è ormai entrata in una spirale di cui non vede l’uscita e, un giorno che si sente un po’ più disperata, tenta anche il suicidio. Si salva per un colpo di fortuna e decide di andarsene. Nel 1911 si lascia alle spalle i pochi amici rimasti, Parigi e la Francia e se ne va. La sua bussola punta verso Est, verso quell’Europa orientale dove giorno per giorno s’arrabatta a trovare qualche scrittura per sopravvivere. Dalla Turchia alla Russia, prima quella degli zar e poi quella socialista nata dalla rivoluzione di Lenin, i paesi dell’Est sono i testimoni del suo continuo girovagare nel tentativo di lasciarsi dietro alla spalle il passato dedicandosi più agli stupefacenti e all’alcol che alla canzone. Più di un decennio dopo la sua precipitosa fuga, nel 1923 Fréhel torna a Parigi. La cantante è cambiata al punto da sembrare irriconoscibile anche agli occhi degli amici più cari e di quelli che l’hanno conosciuta da vicino. Precocemente invecchiata da una vita un po’ troppo oltre il limite si accorge che il pubblico, nonostante tutto, non l’ha dimenticata. Si rimette un po’ in sesto e nel 1924 il suo concerto all’Olympia, intitolato “L’inoubliable inoubliée Fréhel” (L’indimenticabile indimenticata Fréhel), fa il pieno di pubblico e di consensi. La sua voce con il passare del tempo è migliorata, si è fatta più sensuale e profonda. Il suo antico amore Maurice Chevalier rileva come si sia fatta«…più roca, quasi venisse dal ventre…». La critica saluta in lei una delle più autorevoli interpreti della “chanson réaliste” e il pubblico si spella le mani per applaudirla quando canta brani come La java bleue, La coco o La der des der. Anche il cinema le dà spazio. Fréhel partecipa a una nutrita serie di pellicole compreso il fortunato “Pépé le moko” di Duvivier con Jean Gabin dove proprio lei canta Où est-il donc?. Il ritrovato successo non la cambia né le dà una ragione per mollare la dipendenza da sostanze varie. Negli anni Quaranta lavora sempre meno e il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata nella camera di un albergo a ore al n° 45 di Rue Pigalle.
02 febbraio, 2022
2 febbraio 1993 - Gino Bechi, un baritono prestato alla canzone
Il 2 febbraio 1993 muore Gino Bechi, considerato da molti critici il maggior baritono del Novecento. Se un tale giudizio, come tutto quanto attiene alla sfera delle opinioni, è soggetto alla possibilità di confutazione, più difficile diventa la contestazione dell'innegabile "modernità" di questo artista capace di muoversi con grande disinvoltura tra i generi e gli stili adattando spesso tecnica e timbrica alle esigenze in divenire della moderna tecnologia. Gino Bechi nasce il 16 ottobre 1913 a Firenze. A diciassette anni inizia a studiare canto lirico con i maestri Raul Frazzi e De Giorgi. Nel 1936, a soli ventitré anni, debutto nella lirica a Empoli con la “Traviata” di Giuseppe Verdi, facendosi notare per il talento naturale del canto e disinvoltura in scena. La svolta nella sua carriera arriva qualche anno dopo quando alla Scala di Milano sostituisce all'ultimo momento il baritono ne “La forza del destino” al fianco di due grandi della lirica come Beniamino Gigli e Gina Cigna. Il successo scaligero gli apre le porte dei grandi teatri lirici e segna l’inizio di una straordinaria carriera che lo vede trionfare in tutto il mondo. Per ben nove volte canta nell'opera che inaugura la stagione alla Scala. Si dedica anche alla canzone pubblicando vari dischi nei quali privilegia soprattutto i grandi brani della tradizione partenopea pur senza rinunciare a cimentarsi con i brani melodici più in voga del periodo. Un grandissimo successo ottiene anche al cinema interpretando una lunga serie di film musicali negli anni Quaranta e Cinquanta. Proprio da una delle sue frequenti incursioni cinematografiche arriva il brano più famoso del suo repertorio, La strada nel bosco, una canzone scritta da Cesare Andrea Bixio, Nicola Salerno ed Ermenegildo Rusconi per il film omonimo. A sorpresa nel 1963, ancora molto popolare, decide di ritirarsi dalle scene annunciando ufficialmente la fine della carriera di cantante a Borgosesia dopo essersi esibito per l’ultima volta ne “Il barbiere di Siviglia”. Popolarissimo in Italia sia tra gli appassionati della lirica che presso il pubblico che affolla le sale cinematografiche grazie a una lunga serie di film musicali destinati a fare scuola nel cinema popolare italiano, tra gli anni Quaranta e i Cinquanta riesce a diventare anche uno dei cantanti lirici italiani più popolari del mondo. L'impresa è tutt'altro che semplice per un baritono visto che in genere sono soltanto i tenori a catturare l'immaginazione e la passione dei melomani. La voce di Gino Bechi, di grande ampiezza e costantemente educata appare sempre all'altezza delle diverse sfide nelle quali si cimenta. Rispetto a molti altri protagonisti della lirica del suo tempo regge bene anche l'impatto con le nuove tecnologie, in primo luogo l'introduzione di un aggeggio complicato come il microfono, difficile da gestire per chi è abituato al canto largo, libero e potente dei palcoscenici lirici. Nel corso della sua non lunghissima carriera non accetta mai l'idea di fermarsi. Per lui la musica ha il gusto dell'evoluzione, della nuova sfida. Per questa ragione passa dalla lirica alla canzone e poi trova nuovi stimoli nella nascente cinematografia musicale italiana impegnata a costruire una strada diversa dalla pura e semplice trasposizione filmica delle opere liriche più conosciute. Vince tutte le sua sfide e quando gli sembra di non riuscire a trovarne delle nuove si ritira dalle scene a poco più di cinquant'anni. Dopo il ritiro dalle scene gestisce una scuola di perfezionamento per giovani cantanti lirici a Firenze e per qualche tempo è presidente del Concorso Internazionale di canto di Siena intitolato a Ettore Bastianini.
01 febbraio, 2022
1° febbraio 1964 - Gigliola Cinquetti, una sedicenne vince il Festival di Sanremo
Il 1° febbraio 1964 a sorpresa la sedicenne Gigliola Cinquetti, vince il festival di Sanremo con la canzone Non ho l'età. Il successo della giovanissima veronese, per l'occasione accoppiata alla cantante francese Patrizia Carli, arriva inaspettato e corona così un Festival ricco di novità presentato per la seconda volta consecutiva da Mike Bongiorno affiancato da Giuliana Lojodice. In quella edizione, infatti, è prevista una sola canzone vincitrice con l'abolizione del secondo e terzo posto. Gigliola Cinquetti, la vincitrice è arrivata al Festival grazie alla vittoria nel concorso per "Voci Nuove" di Castrocaro Terme che all'epoca è un po' la via più breve che un giovane talento possa percorrere per salire sul palcoscenico di Sanremo. Non è una meteora. Nello stesso anno vince anche l'Eurofestival, stabilendo un record assoluto. La sua compagna d'avventura Patricia Carli per la versione destinata al pubblico francese cambia testo e titolo della canzone che da Non ho l'età diventa Je suis à toi (Io sono tua).
31 gennaio, 2022
31 gennaio 1927 - Giampiero Boneschi, il pianoforte e l'arrangiamento
Il 31 gennaio 1927 nasce a Milano il pianista Giampiero Boneschi. Fin da giovane coltiva gli studi musicali e si diploma in pianoforte e armonia al conservatorio Giuseppe Verdi nella sua città natale. Nel 1944 inizia l'attività di pianista insieme al trombettista Nino Culasso e il sassofonista Glauco Masetti. Successivamente fa parte di un duo pianistico con Luciano Sangiorgi, cui segue nel primo dopoguerra la costituzione di un trio con il batterista Claudio Gamberelli e il clarinettista Franco Mojoli che registra alcuni dischi per la Columbia. Nello stesso periodo incide in quartetto, sempre per Columbia, una serie di brani con Franco Cerri alla chitarra, Michele d'Elia al contrabbasso e Giuseppe "Pinun" Ruggeri alla batteria. Successivamente entra nella grande orchestra diretta da Gorni Kramer e nel 1947 forma un proprio complesso con Nino Impallomeni, Eraldo Volontè, Gilberto Cuppini. Nel 1949 registra con Henghel Gualdi al clarinetto e Paolo Mezzaroma al violino. Verso la metà degli anni Cinquanta fa parte del Sestetto italiano con Valdambrini, Donadio, Basso e Rodolfo Bonetto oltre al bassista statunitense Al King. A partire dagli anni Sessanta la sua attività si allarga al cinema e alla televisione dove ha modo di dare prova delle sue ottime qualità d'arrangiatore e compositore. Muore a Segrate il 12 maggio 2019.
30 gennaio, 2022
30 gennaio 1922 - Jacqueline François, mademoiselle de Paris
Il 30 gennaio 1922 nasce a Neuilly-sur-Seine Jacqueline Guillemautot, la futura Jacqueline François. Sono molte le interpreti che, in vario modo, hanno tentato di passare dalla “chanson réaliste” alla “chanson de charme” negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Apparentemente contigui, i due generi sono in realtà assai poco assimilabili dal punto di vista interpretativo. A voler azzardare un paragone in odore di sacrilegio la “chanson réaliste” sta alla “chanson de charme” come il blues sta alle languide ballate dei crooner bianchi. Non c’è alcun impedimento, dal punto di vista della tecnica vocale, all’idea di passare da un genere all’altro, ma i risultati non sono quasi mai all’altezza delle aspettative. Se è vero che è l’anima e non la tecnica a far la differenza, in teoria il salto dalla “chanson réaliste” alla “chanson de charme” potrebbe apparire meno problematico dell’inverso, visto che la prima, caratterizzata da una drammaticità spesso vicina a quella teatrale, sembra richiedere una maggior partecipazione emotiva da parte dell’interprete. Alla prova dei fatti non è così. Interpreti straordinarie della “chanson réaliste”, come Fréhel, giusto per fare un esempio, si rivelano inadatte alla “chanson de charme” perchè non riescono a entrare in sintonia con la diversa emozione. A ben vedere la differenza è la stessa che in teatro e nel cinema separa l’attore completo da quello di ruolo. Il primo riesce a lasciare il proprio segno interpretando personaggi, umori e situazioni completamente diverse tra loro, il secondo invece è legato a determinati personaggi, umori e situazioni. Nella canzone è uguale. Per questa ragione molte interpreti della “chanson de réaliste” si sono sperimentate in generi diversi senza riscuotere alcun successo. Tra le poche eccezioni c’è Jaqueline François, capace di cogliere i primi successi con brani di squisita fattura in linea rigorosa con l’impronta “réaliste” e di proseguire modificando radicalmente il proprio repertorio fino a essere considerata una delle interpreti femminili di maggior successo nell’ambito di quella che verrà chiamata “chanson de charme”. A differenza di molte altre protagoniste della scena musicale dell’epoca lei non ha alle spalle un’infanzia particolarmente difficile. Nei primi anni di vita non conosce la miseria e la sua famiglia, pur non vivendo nel lusso sfrenato, non le fa mancare niente. Il periodo non è uno dei più tranquilli e la Francia, nonostante la sua storia, appare sempre più come il vaso di coccio della democrazia stretto tra le nuove e prepotenti dittature di stampo fascista e nazista che stanno consolidando il loro potere in Italia, Germania e Spagna. Nelle strade e nelle vie del paese si respira una preoccupazione diffusa anche se nessuno ha ancora l’impressione di vivere un paese assediato. Nei locali e, soprattutto, alla radio si possono ascoltare le canzoni di una generazione di artisti che sta cambiando la musica iniziando a contrastare la popolarità degli interpreti della tradizione. Il ricambio generazionale ha la voce e i volti di personaggi come Tino Rossi, Léo Marjane o Jean Sablon e si alimenta alle atmosfere nuove che nascono dalle mescole inusuali tra il jazz e la musica popolare proposte dall’orchestra di Ray Ventura. I ragazzi e le ragazze nate dopo il 1918 non riescono a capire le preoccupazioni dei loro padri e delle loro madri e di tutta quella generazione che soltanto da poco è riuscita a guarire le ferite lasciate dalla prima guerra mondiale. Una giovane adolescente come Jaqueline non riesce a vedere le nubi che s’addensano sul futuro della Francia e dell’Europa. Per lei la tragedia o la felicità, la gioia o il dolore, dipendono dallo sguardo di un ragazzo della sua età, da un gesto di un’amica, da un incontro fortunato, da un raggio di sole, una canzone o un animaletto buffo che corre per la strada. L’orizzonte di un’adolescente si rannuvola o si apre al sole più radioso con una velocità che gli adulti non riescono a capire. Quando cantano Léo Marjane e Jean Sablon, Jacqueline si perde nelle note e sogna di diventare come loro. A volte, quando la radio trasmette una loro canzone, chiude gli occhi e si vede su un palcoscenico immenso, lungo e largo almeno quanto la piazza più grande del suo quartiere. Di fronte a lei c’è una folla immensa che la guarda rapita e alla fine della sua esibizione esplode in un applauso che così grande non s’è mai sentito. Alla fine della canzone apre gli occhi. È solo un sogno, ma si sa che a volte i sogni s’avverano. «La ragazza ha talento per la musica». La frase dell’insegnante di pianoforte non è originalissima, ma è sufficiente per convincere i coniugi Guillemautot a spendere una parte delle loro risorse per assecondare il talento musicale della loro figlia Jacqueline. Oltre alle canzoni ascoltate alla radio sono i tasti bianchi e neri di un pianoforte lo strumento principale del suo rapporto con le note, la melodia e l’armonia. Le prime esperienze come “chanteuse” la vedono accompagnarsi da sola nell’esecuzione di canzoni imparate a orecchio prima ancora che sullo spartito. Suona in qualche festa, poi in alcuni locali disposti ad assecondarne il talento ancora acerbo e pian piano la sua popolarità si allarga al di fuori della cerchia delle persone e degli ambienti conosciuti. Ben presto smette di accompagnarsi da sola e trova altri strumentisti che le consentono di non nascondere più il suo corpo dietro l’ingombrante mole del pianoforte. Bella, con un corpo da mannequin e una voce particolare si sperimenta soprattutto nel repertorio della “chanson réaliste”. Alla fine degli anni Trenta, quando non ha ancora compiuto diciott’anni, sono in molti a pronosticarle un futuro luminoso, ma il destino sembra prendersi gioco di lei. Le paure dei più anziani diventano realtà e l’Europa precipita in una nuova devastante guerra. La Francia viene travolta e invasa dalle truppe con la croce uncinata e la carriera di Jacqueline sembra finita come accadeva qualche anno prima ai sogni a occhi chiusi che l’accompagnavano nell’ascolto della radio. Nonostante la guerra e l’occupazione gli amici e quelli che le vogliono bene incitano Jacqueline a non mollare «Tutto questo finirà, vedrai e tu sei abbastanza giovane da permetterti un po’ di pazienza». Hanno ragione loro. Nel 1944 la Francia inizia a liberarsi degli occupanti e dei loro servi e la carriera di Jacqueline, che ora si esibisce con il nome di Jacqueline François, riprende con nuovo vigore. Loulou Gasté, uno dei più popolari compositori di quegli anni, le procura il primo contratto discografico della sua vita e nel mese di maggio del 1945 lei entra per la prima volta in sala d’incisione per registrare Ce n’était pas original e Gentleman, due brani composti dallo stesso Gasté. Lo stile di quel periodo è in linea con quello della “chanson réaliste”, ma Jacques Canetti pensa che la ragazza possa dare di più. Il potente impresario, alla ricerca di una «...voce anglosassone che possa interpretare in maniera moderna le canzoni francesi...», la scrittura per la Polydor e la aiuta a cambiare repertorio. Nel 1948 Jacqueline François vince il Grand Prix de l’Académie Charles-Cros con C’est le printemp, un brano il cui testo è stato scritto da Jean Sablon, uno dei suoi idoli dell’adolescenza. Alla fine dell’anno registra Mademoiselle de Paris il brano che l’accompagnerà per tutta la carriera. Nel 1954 è una delle prime cantanti a esibirsi all’Olympia di Bruno Coquatrix e nel 1956 vince il Grand Prix de l’Académie du Disque con Les lavandiéres du Portugal, un brano particolare che nessuno voleva interpretare e che fa di lei la prima interprete femminile a superare il milione di dischi venduti. Negli anni successivi la sua popolarità si allargherà anche al di fuori dei confini francesi e memorabili resteranno le sue tournée negli Stati Uniti, in Giappone e nel Sud America. Muore il 7 marzo 2009.
29 gennaio, 2022
29 gennaio 1932 - Derek Bailey, innovatore e rivoluzionario
Il 29 gennaio 1932 nasce a Sheffield, in Gran Bretagna, il chitarrista Derek Bailey. La sua è una famiglia di musicisti. Suo nonno suona il banjo mentre suo zio, George Wing, ha avuto una lunga carriera di chitarrista professionista. Influenzato dalla lezione di un musicista come Ornette Coleman nel 1965 inizia a sviluppare un suo personalissimo stile improntato all'improvvisazione totale attraverso una quasi completa rielaborazione dell'intero lessico del proprio strumento. Suona in un modo originalissimo che dà l'impressione di non attingere ad alcun materiale prefissato. In questo modo cambia anche il concetto di "improvvisazione" che con lui acquista un significato radicale e totalmente innovativo. Colpito da Sclerosi Laterale Amiotrofica muore a Londra il 25 dicembre 2005.
28 gennaio, 2022
28 gennaio 1986 - Il disastro dello Space Shuttle Challenger
La mattina del 28 gennaio 1986 lo Space Shuttle Challenger dopo settantatrè minuti di volo esplode. Finisce così la missione STS-51-L, la venticinquesima missione del programma STS e il decimo volo del Challenger. La causa del disastro è in un guasto a una guarnizione nel segmento inferiore del razzo che provoca una fuoriuscita di fiamme e determina il cedimento strutturale del serbatoio esterno contenente idrogeno e ossigeno liquidi. Nell'incidente muoiono il comandante Dick Scobee, il pilota Michael J. Smith, gli specialisti di missione Judith Resnik, Ellison Onizuka e Ronald McNair e gli specialisti del carico Greg Jarvis e Christa McAuliffe. La tragedia provoca la sospensione dei voli nello spazio con equipaggio che non riprenderanno prima di due anni, con il lancio dello Space Shuttle Discovery.
27 gennaio, 2022
27 gennaio 1940 - La Gara Nazionale per gli artisti della canzone
Il 27 gennaio 1940 si conclude la seconda edizione di un concorso che fa epoca. Si intitola "Gara nazionale per gli artisti della canzone" ed è destinato a trovare nuovi cantanti per la radio. Si tratta di un evento destinato a lasciare un segno importante nella storia della canzone italiana e che cade in un periodo particolare. Tra il 1930 e il 1940 infatti gli abbonati alla radio in Italia passano da 176.889 a un milione e mezzo. La diffusione viene anche favorita dall’atteggiamento del regime fascista, che vede in questo mezzo uno straordinario e capillare strumento di propaganda. L’EIAR, l’ente cui è affidata la gestione della radiofonia italiana e i costruttori hanno l’obiettivo di diffondere la radiofonia in tutti gli strati sociali. Fondato nel 1928, l’EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, ha un ruolo determinante nella diffusione della canzone e nel successo di gran parte dei cantanti di questo periodo. Fanno epoca le due “Gare nazionali per gli artisti della canzone” che vengono bandite alla fine del 1938 e del 1939. Alla prima partecipano ben 2.523 concorrenti: un numero impressionante che viene filtrato da audizioni che si svolgono presso le sedi della radio di tutta Italia. Questo lavoro di selezione dura due mesi. Alla finale arrivano soltanto quarantaquattro concorrenti che vengono sottoposti al giudizio di una giuria competente e preparata, presieduta da Francesco Cochetti. Vengono laureati vincitori quattordici artisti, scritturati immediatamente per cantare in diretta le loro canzoni. Per alcuni, come Otello Boccaccini, Alfredo Clerici, Maria Jottini, Gilberto Mazzi, Lina Termini e Michele Montanari, il concorso segna l’inizio di una fortunata carriera ricca di soddisfazioni, mentre per altri, come Nini Serena o Tiola Silenzi, la popolarità è di breve durata. Alla seconda edizione i concorrenti sono ancora di più. Di quasi tremila candidati solo cinquantaquattro riescono ad arrivare alla prova finale che si svolge a Torino fra il 25 e il 27 gennaio del 1940. Anche questo concorso laurea alcuni personaggi destinati al successo come Isa Bellini, Norma Bruni, Oscar Carboni, Gianni Di Palma, Aldo Donà, Silvana Fioresi e Dea Garbaccio.
26 gennaio, 2022
26 gennaio 1961 - Les Compagnons de la Chanson festeggiano al Bobino vent'anni di carriera
La popolarità e il successo de Les Compagnons de la Chanson non vengono scalfiti neppure dall’avvento del rock and roll negli anni Sessanta. Poco disposti a lasciarsi condizionar dalle mode festeggiano i vent’anni della loro storia il 26 gennaio 1961 al Bobino. L’unico cambiamento riguarda la casa discografica. Dopo quindici anni con la Pathé Marconi passano alla Polydor che li paga a peso d’oro. Per il resto Les Compagnons de la Chanson continuano a tenere concerti, a fare tournée e, soprattutto, a vendere dischi. Incuranti del rock, del beat, del rhythm and blues e degli altri generi che si affermano in quel periodo loro continuano a vendere milioni di dischi con brani come Verte campagne, Roméo, Un mexicain o La chanson de Lara. Il 4 ottobre 1969 inizieranno quella che è destinata a restare nella storia come l’ultima tournée della formazione a nove elementi. Il 31 dicembre dello stesso anno, infatti, muore Guy Bourguignon. I compagni decidono di non sostituirlo e di continuare con la formazione a otto componenti.
25 gennaio, 2022
25 gennaio 1937 - La prima volta di “Sentieri”
“Sentieri”, il cui titolo originale in inglese è “Guilding light” (Luce guida), è la più longeva soap opera della storia dello spettacolo mondiale. È il 25 gennaio 1937 quando dalle frequenze della NBC va in onda la prima puntata di quello che è ancora soltanto uno sceneggiato radiofonico sponsorizzato da un’azienda produttrice di detersivi (da qui il nome di “soap-opera”). Nel corso degli anni il programma cambierà più volte pelle talvolta smentendo anche le proprie originali impostazioni. Se alla fine degli anni Trenta è caratterizzata da un intento sostanzialmente moralista con il passare del tempo è destinata a diventare sempre più intrigante e peccaminosa. Il 30 giugno 1952 sbarca in televisione. La soap arriva in Italia il 25 gennaio 1982 su Canale 5 passando poi a partire dal 1988 a Rete 4. Nel 2007, per festeggiare i settant’anni del programma la CBS ha realizzato una puntata speciale, andata in onda sugli schermi televisivi statunitensi il 14 febbraio, nella quale gli interpreti più recenti hanno prestato voce e volto a quelli di ieri consentendo così al pubblico di ripercorrere la storia dagli inizi.
24 gennaio, 2022
24 gennaio 1937 - Jeff Clyne, uno dei più dotati bassisti del jazz britannico
Il 24 gennaio 1937 nasce a Londra, in Gran Bretagna, il bassista Jeff Clyne, registrato all'anagrafe con il nome di Jeffrey Clyne. Strumentista e improvvisatore di buon livello lascia un segno importante nel jazz britannico a partire dal 1958 quando entra a far parte dei Jazz Couriers di Ronnie Scott e di Tubby Hayes. Con quest'ultimo condivide anche l'esperienza successiva del quartetto. Strumentista molto apprezzato nella sua carriera suona con Tony Oxley, Alan Skidmore, Gordon Beck, Dudley Moore e Roy Budd, con gli SMEe di John Stevens, gli Amalgam di Trevor Watts, i Centipede di Keith Tippett, i Nucleus di Ian Carr, gli Isotope di Gay Boyle, la London Jazz Composers Orchestra di Barry Guy, gli Open Music di Bob Dovnes e molti altri. È anche stato un componente dei Gilgamesh. Muore d'infarto il 16 novembre 2009.
22 gennaio, 2022
22 gennaio 1965 - Muore Papa John Joseph
Il 22 gennaio 1965 a New Orleans, in Louisiana, muore il contrabbassista John Joseph, detto Papa John Joseph. Nato a St. James Parish, in Louisiana, il 27 novembre 1877 si trasferisce a New Orleans intorno al 1906. Autodidatta e polistrumentista ha modo di mettersi subito in evidenza soprattutto come contrabbassista esibendosi nei più noti cabaret della città al fianco di alcuni dei più noti leader di quel periodo come Edward Clem, Lawrence Duhè, Louis Dumaine, Shots Madison, Manuel Manetta e Buddy Petit. Parallelamente suona con alcune tra le brass band compresa la leggendaria Original Tuxedo Brass Band di Papa Celestin. Nel 1913 lascia New Orleans per stabilirsi a Lutcher dove suona con la Holmes Band diretta dal cornettista Anthony Holmes. Si dice che proprio con la band di Holmes impari finalmente a leggere il rigo musicale. Trasferitosi a Donaldsonville entra nella formazione di Claiborne Williams e conosce il contrabbassista Henry Baltimore destinato a diventare uno dei principali riferimenti del suo stile. Dopo la seconda guerra mondiale entra a far parte della Ragtime Jazz Band di George Lewis con la quale resta a lungo. Negli ultimi anni della sua vita suona anche con Punch Miller, Kid Sheik, Louis Nelson e altri esponenti della nuova generazione di leader nata nel dopoguerra.
21 gennaio, 2022
21 gennaio 2008 - L’arma migliore del cinema? La spada laser!
Il 21 gennaio 2008 la casa di produzione 20th Century Fox pubblica i risultati di un singolare sondaggio condotto tra qualche migliaio di cinefili. Alla domanda quale su quale fosse la “migliore arma” utilizzata nella storia del cinema hanno risposto incoronando la spada laser della saga di “Guerre stellari” seguita dalla celeberrima 44 Magnum dell’ispettore Callaghan. Sul terzo gradino del podio compare la frusta di Indiana Jones. Nelle posizioni immediatamente di rincalzo c’è la spada da samurai usata da Uma Thurman nella saga di “Kill Bill” ideata e diretta da Quentin Tarantino, seguita dalla motosega di “Non aprite quella porta”, la pistola dorata de “L’uomo con la pistola d’oro”, l’arco di Robin Hood, la mitragliatrice di Al Pacino in “Scarface”, la Morte Nera di “Guerre Stellari” e la bombetta-killer utilizzata da Oddjob nel film “Goldfinger”.
20 gennaio, 2022
20 Gennaio 1922 - Ray Anthony, l'italiano di Bentleyville
Il 20 gennaio 1922 nasce a Bentleyville, in Pennsylvania, Raymond Antonini, destinato a diventare con il nome di Ray Anthony, un trombettista famoso, direttore di una delle più popolari orchestre da ballo degli anni Cinquanta, caratterizzata da uno stile molto incisivo sul modello di quelle di Harry James e di Glenn Miller. A cinque anni si trasferisce con la famiglia a Cleveland dove inizia a studiare la tromba. Il suo primo maestro è il padre Guerrino Antonini, un immigrato italiano originario di San Demetrio ne' Vestini, in provincia de L’Aquila) arrivato negli Stati Uniti nel 1914. Ricco di talento, il giovane Ray si fa notare negli ambienti delle orchestre da ballo e nel 1940 entra a far parte dell’orchestra di Glenn Miller con la quale resta fino al 1941 quando viene arruolato in marina e parte per la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la guerra dà vita alla Ray Anthony Orchestra, una formazione che diventa una delle più popolari degli anni Cinquanta. Nel 1955, dopo aver sposato l’attrice Mamie Van Doren affianca a quella di musicista anche la carriera di attore e intrattenitore televisivo. Hollywood l'ha onorato con una stella nella Walk of Fame.
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