20 febbraio, 2022

20 febbraio 1962 - Addison Farmer, un contrabbasso di classe

Il 20 febbraio 1962 muore a New York il contrabbassista Addison Farmer. Nato a Council Bluffs, nello Iowa, il 21 agosto 1928 Addison Gerald Farmer, questo è il suo vero nome, è il gemello del più noto trombettista Art e studia contrabbasso con Fred Zimmermann, dedicandosi anche al piano e alla teoria alla Juilliard e alla Manhattan School of Music. Nella sua carriera suona con grandissimi musicisti come suo fratello, Jay McShann, Benny Carter, Howard McGhee, Gerald Wilson, Teddy Charles, Lucky Thompson, Charlie Parker e Miles Davis, senza però raggiungere una consistente notorietà. Nel 1949 incide a Los Angeles il suo primo disco con Teddy Edwards e poi si trasferisce a New York dove suona con quasi tutti i gruppi più popolari del periodo. Nell'ottobre del 1959 entra a far parte del Jazztet costituito dal fratello e da Benny Golson che lascia l'anno dopo per suonare poi con varie formazioni fino alla morte.


19 febbraio, 2022

19 febbraio 1972 - Lee Morgan ucciso in scena

Il 19 febbraio 1972 mentre sta suonando allo Slugs di New York il trentatreenne trombettista Lee Morgan viene ucciso a colpi di pistola dalla sua ex compagna. Nato a Philadelphia, in Pennsylvania il 10 luglio 1938 e figlio di un pianista che accompagna il coro della chiesa del suo quartiere impara prestissimo a suonare e a quindici anni già si fa notare come leader di varie formazioni locali. Dopo aver suonato al Music City nel 1956 entra a far parte dell'orchestra di Dizzy Gillespie con la quale resta fino al gennaio del 1958. Pochi mesi più tardi si unisce ai Jazz Messengers di Art Blakey e ci resta per tre anni. Successivamente si esibisce in molti gruppi della zona di Philadelphia. Solo nel 1963 riprende la via di New York e tra il 1964 e il 1965 si unisce nuovamente ad Art Blakey. Musicista inizialmente influenzato da Dizzy Gillespie, riesce poi a liberarsi intelligentemente dal condizionamento mettendo in mostra motivazioni e caratteristiche solistiche molto originali e autonome destinate a farlo diventare uno dei migliori musicisti del jazz del periodo tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta. Tra le sue innovazioni tecniche c'è l'utilizzo dei pistoni in modo particolare.


18 febbraio, 2022

18 febbraio 1922 - Hazy Osterwald, quello di "Kriminaltango"

Il 18 febbraio 1922 nasce a Berna il trombettista e direttore d'orchestra Hazy Osterwald. Il suo vero cognome è Osterwalder e suo padre è Adolf Josef Felix Osterwalder, uno dei componenti della quadra nazionale di calcio elvetica. Appassionato di musica frequenta il Conservatorio di Berna e prima ancora di diventare maggiorenne scrive numerosi arrangiamenti per vari musicisti, in particolare per Teddy Stauffer. Dal 1941 ottiene vari ingaggi nelle orchestre svizzere più popolari di quel periodo, come quelle di Fred Böhler, Edmond Cohanier e Walter Baumgartner. In qualche caso si esibisce anche come tromba solista. Nel 1944 forma il suo primo gruppo che ben presto trasforma in una grande orchestra con l'apporto di musicisti come Ernst Höllerhagen, Stuff Combe, Eric Brooke, Geo Voumard e altri. Dopo il declino delle grandi orchestre jazzistiche, nel 1949 dà vita all'Hazy Osterwald Sextett, che debutta al festival del jazz di Parigi del 1949 e con il quale riscuote un grande successo internazionale. Tra i suoi brani più conosciuti c'è Kriminaltango inciso per la prima volta nel 1959 e divenuto un successo mondiale. Muore a Berna il 26 febbraio 2012.


17 febbraio, 2022

17 febbraio 1955 - Gilbert Bécaud diventa "Monsieur 100.000 Volts"

Verso la metà degli anni Cinquanta Gilbert Bécaud è alla ricerca di conferme in patria. La buona accoglienza che la critica riserva ai suoi dischi, i buoni risultati commerciali, i passaggi radiofonici e qualche concerto nei locali notturni non bastano ancora a far di Gilbert Bécaud un grande della musica francese. In quel periodo è più popolare negli Stati Uniti di quanto non lo sia in patria dove gli manca il vero, grande, travolgente successo dal vivo. L’occasione della vita arriva nel 1955 quando riapre l'Olympia e Bruno Coquatrix, il proprietario del celebre teatro parigino lo scrittura. È la svolta. Il 17 febbraio 1955 la sua esibizione all'Olympia viene "festeggiata" da quattromila fans urlanti che. Trascinati dalla carica dell’esibizione, distruggono parte della sala. È un evento che non ha precedenti. La stampa si scatena, affibbiando all'artista soprannomi come "Monsieur Dynamite", "Le Champignon Atomique" e il più celebre, "Monsieur 100.000 Volts", che l’accompagnerà per tutta la vita. In quel periodo Bécaud è artefice in Francia di una rivoluzione musicale simile a quella che Domenico Modugno replicherà in Italia qualche anno: contrapporre al bel canto, all'interpretazione a fil di voce, l’espressività vocale libera da regole, il trasporto emotivo e la gestualità trascinante. È una lezione che lascia segni profondi e che innova fortemente l’intera scena musicale. Un anno dopo anche il mondo del cinema si accorge di lui e gli regala un'entrata trionfale con il film "Le pays d'où je vien" (proiettato in Italia con il titolo "Il fantastico Gilbert") diretto da Marcel Carné di cui compone anche la colonna sonora.


16 febbraio, 2022

16 febbraio 2002 - Patti Smith, la ribelle è più in forma che mai

Il 16 febbraio 2002 a Terni c'è Patti Smith. La cantautrice, che si ferma in Italia solo due giorni (il 16 a Terni e il 17 a Mestre) è impegnata nella preparazione della sua prima opera antologica la cui pubblicazione è annunciata per marzo. Al di là dei dettagli produttivi (si tratterà di un cofanetto contenente, oltre al CD, varie opere d’arte firmate dalla stessa Smith, foto inedite della cantautrice e un volumetto) l'ex sacerdotessa underground del rock newyorkese è intenzionata a farne un elemento della sua quasi solitaria battaglia contro la scelta di guerra operata dall'amministrazione Bush dopo gli attentati dell'11 settembre. Pochi giorni fa ha, infatti, annunciato ufficialmente che i testi del volumetto contenuto nell'antologia sono stati affidati alla scrittrice Susan Sontag. L'annuncio ha fatto scalpore perché la Sontag, vincitrice del National Book Award nel 2000, oltre a prendere posizione contro l'aggressione all'Afganistan, ha direttamente attaccato il sistema politico del paese nel quale vive scrivendo che «…l'unanimità dell'untuosa retorica di cancellazione della realtà operata in questo periodo da quasi tutti i politici americani è indegna di una democrazia matura». Vengono così contraddetti i profeti di sventura che avevano pronosticato un rapido declino della Smith dopo la sua scelta di tenersi ben distante dai concerti a stelle e strisce destinati, più che a commemorare le vittime dell'11 settembre, ad affiancare le scelte guerrafondaie dell'amministrazione Bush. La ribelle è più in forma che mai e, anzi, ha trovato anche nuove alleanze.

15 febbraio, 2022

15 febbraio 2003 – La guerra non ha più posto nella musica del mondo

Il 15 febbraio 2003 tocca l’apice la mobilitazione della musica contro l’idea stessa di una nuova guerra contro l’Iraq. All’'inizio erano pochi sassolini, poi, rotolando rotolando sono diventati una valanga inarrestabile che aumenta di volume ogni giorno di più. La mobilitazione dei musicisti contro la guerra, per numero e qualità delle adesioni, sta regalando una straordinaria aggressività mediatica al più grande movimento per la pace mai visto da decenni. A parte qualche patetico sussulto bellico dei dinosauri della scena metal e alcuni silenzi timidi e interessati, la guerra non trova più posto nella musica del mondo. Poco più di un anno dopo la grande chiamata alle armi seguita al crollo delle Twins Towers, posatasi la polvere mefitica delle macerie, l'aria è cambiata radicalmente. Il piccolo nucleo dei dubbiosi è diventato una schiera immensa di partigiani della pace. L'idea della guerra è stata espulsa dalla musica, chi non è contro scompare oppure fa la figura del mentecatto. Ogni giorno arrivano nuove e inaspettate adesioni, magari un po' tardive, ma sempre bene accette da un movimento che, in sintonia con quello che si muove nelle piazze, non si nutre del gusto per le primogeniture, ma di quello della sostanza. Tra gli ultimi arruolati ci sono nomi importanti come quelli di Madonna e Michael Jackson, in qualche modo indicativi della perdita di forza da parte dell'onda guerrafondaia in ogni settore della società. In molti hanno sottolineato la somiglianza con quanto accaduto all'epoca della guerra del Vietnam quando un'intera generazione seppe sviluppare un movimento sociale, culturale e ideale capace di inceppare una guerra d'aggressione. Le somiglianze sono molte, ma questa volta ci trova di fronte per molti versi a un fenomeno nuovo. Se allora la musica si era limitata ad affiancare e a interpretare le aspirazioni e i motivi di un grande movimento di massa, oggi non è solo così. La musica si è mossa in parallelo con il movimento fin dall'inizio, lo ha affiancato e ne ha vissuto, in autonomia, le contraddizioni, le difficoltà e i successi. Non ci troviamo di fronte a una sorta colonna sonora che accompagna un film, ma a un vero e proprio movimento che si è preso sulle spalle il compito di sfruttare le proprie potenzialità comunicative e che si è rapportato da pari a pari con chi si muove nella stessa direzione in altri campi. La musica non fornisce più solo la colonna sonora a un film interpretato da altri, ma vive essa stessa giorno per giorno, le fatiche della costruzione della storia. Non c'è separazione tra il momento "alto" della politica e il "contorno" della comunicazione mediatico- spettacolare. La musica diventa un pezzo significativo della politica alla quale regala anche un linguaggio nuovo. In parole povere, quello che sta accadendo impone anche un ripensamento delle stesse strutture tradizionali di "utilizzo politico della musica". Il concerto dopo il comizio o dopo la manifestazione non può più essere considerato un modo per ritemprare il popolo, ma è un pezzo di comunicazione "diverso", un contributo allo sviluppo del tema con un linguaggio meno tradizionale. Oggi impegno degli artisti non si esaurisce con la fine del concerto ed essi nuotano nel movimento come pesci nell'acqua. Basta scorrere le loro dichiarazioni per capire che la simbiosi è totale. «Bush è colpevole di crimini di guerra» e se aggredirà l'Irak «dovrà essere giudicato da una corte internazionale. Le cause principali del terrorismo sono l’economia americana e la dominazione militare nel Medio Oriente. Il vero asse del male è rappresentato dalla povertà e dalla corsa agli armamenti che rappresenta un buon profitto per poche grandi società». Parole di fuoco, più pesanti del piombo che stabilizza le ali dei bombardieri. Chi le ha pronunciate non è un esponente politico, ma il chitarrista Tom Morello degli Audioslave, che, utilizzando la maggior esposizione mediatica regalatagli dal suo mestiere, regala spazio agli argomenti dell'opposizione contro la guerra. Come lui in migliaia si muovono nella stessa direzione, tanto che fare un elenco compiuto è pressoché impossibile. Ogni artista non si limita a dare l'adesione a un appello, ma mette a disposizione di tutti il proprio sito Internet, mobilita i fans club, insomma muove altre forze nel tentativo di rafforzare il movimento. La filosofia che ispira questo modo di agire trova un efficace riassunto nelle parole di Eddie Vedder, la voce dei Pearl Jam: «Le cose non cambiano subito. L’ho imparato nel corso di questi ultimi dieci anni. Ma la gente può fare qualcosa se impara che il destino del mondo non può essere lasciato nelle mani di chi detiene il potere. I risultati prima o poi arrivano». È questa consapevolezza di poter cambiare i destini del mondo la novità vera della mobilitazione pacifista della scena musicale e nessuno gioca a fare la primadonna. Nel sito dei Green Day si può leggere questa frase: «Chi non vuole una guerra in Iraq può firmare questa petizione… se conosci qualcuno a lavoro o a scuola che non sa neppure chi sono i Green Day, digli di firmare ugualmente...». Ciascuno sceglie di comunicare con un proprio stile. Un cantautore come Moby punta a far ragionare i suoi fans: «Perché Bush si accanisce solo ora contro Hussein? È un cattivo governante da almeno venti anni. Non è certo diventato più cattivo adesso. O forse dovremmo parlare degli interessi di Bush e di Cheney per il petrolio... L’Iraq, lo sappiamo tutti, ha immense riserve e questo non è certo irrilevante..». Sono alcuni significativi, esempi di una mobilitazione che utilizza le armi della creatività per bucare il muro di silenzio. Gli italiani non sono da meno. C'è chi, come la banda di "Storie di note" o gli Al Mukarawa, è andato direttamente in Iraq per parlare di pace. Altri fanno da cassa di risonanza agli argomenti a favore della pace. Anche da noi la musica sta costruendo i pezzi di un nuovo linguaggio che oggi sviluppa le ragioni della pace perché questa volta forse si è davvero capito che il discorso non inizia e non finisce in Iraq.

14 febbraio, 2022

14 febbraio 1989 - Uccidete Salman Rushdie!

Il 14 febbraio 1989 l'ayatollah Khomeini, leader supremo della Repubblica Islamica dell'Iran, diffonde via radio una fatwa (sentenza in base alla sharia) contro lo scrittore lo scrittore angloindiano Salman Rushdie, accusato di aver offeso gravemente la figura di Maometto e l’intero Islam con il suo libro “I versetti satanici”. La condanna a morte è estesa anche agli editori e ai traduttori che collaborano alla diffusione del libro. Essa, pur non colpendo mai Rushdie, immediatamente messo sotto protezione dai servizi di sicurezza britannici, provocherà la morte di Hitoshi Igarashi, traduttore giapponese del romanzo e il ferimento del traduttore italiano Ettore Capriolo e di William Nygaard, l’editore norvegese di Rushdie.

13 febbraio, 2022

13 febbraio 1941 - Tace il blues di Blind Boy Fuller

 

Il 13 febbraio 1941 muore a Durham, nel North Carolina, Blind Boy Fuller, uno dei bluesmen più noti e di maggior successo nell'America degli anni Trenta. Nato a Wadesboro, sempre nel North Carolina, nel 1908 o nel 1909 Allen Fulton, questo è il suo vero nome deve la sua fama sia ai versi densi di sarcasmo e di ironia, nel corso dei quali molto largo risultava l’impiego del double talk, il doppio linguaggio che consentiva ai neri di ironizzare sulla loro vita, che al particolare sound, molto triste e doloroso della sua musica. Fuller è cieco a causa di un'ulcera agli occhi che ed è costretto a circondarsi di accompagnatori che lo seguano sempre. In gran parte sono bluesmen. Inizialmente si fa accompagnare da George Washington, detto Bull City Red e in seguito forma un interessante e proficuo sodalizio con Gary Davis con cui effettua anche le prime registrazioni discografiche. Nel 1934 stringe amicizia con Sonny Terry che va a vivere con lui a Durham. Alla fine degli anni Trenta viene colpito da una grave malattia ai reni, che indirettamente è causa della sua morte avvenuta durante un intervento chirurgico.


12 febbraio, 2022

12 febbraio 1968 - Jimi Hendrix torna a scuola

Il 12 febbraio 1968 Jimi Hendrix torna da trionfatore a Seattle, la sua città natale, e si toglie lo sfizio di esibirsi in concerto proprio nei locali della Garfield High School, la scuola che aveva abbandonato da adolescente. Ritrova le strade dove la chitarra era divenuta la sua compagna di vita a undici anni quando, persa la madre, aveva trovato in quelle corde sottili uno sfogo per il dolore e la rabbia che sentiva dentro. In quell'età difficile la musica pian piano prende il posto degli affetti fino a divenire la sua unica ragione di vita tanto che decide di farne la sua sposa iniziando un vagabondaggio musicale al servizio di chiunque sia disponibile a pagarlo per suonare, anche soltanto per una sera. Ha sedici anni quando sceglie di non andare più a scuola e di iniziare a camminare sulle strade della vita. La rottura con l'ambiente scolastico non è indolore. Niente nella sua vita è indolore, neppure il lungo periodo passato a prestare il suo genio ad altri per qualche dollaro e molte pacche sulle spalle. Probabilmente il suo talento sarebbe rimasto nascosto e inespresso negli Stati Uniti, se la sua strada non avesse incrociato un giorno quella dell'ex Animals Chas Chandler, un tipo rude dal grande fiuto, che lo convince a lasciare la sua terra per seguirlo nella lontana Gran Bretagna. Il resto è storia conosciuta, dai deliri del pubblico britannico all'apoteosi di Woodstock, alle incomprensioni, alla scoperta della politica, alla consapevolezza lucida di un destino che sta per concludersi. 



11 febbraio, 2022

11 febbraio 1966 - Bob Marley emigrante

Nei primi giorni del 1966 Bob Marley riceve un messaggio dagli Stati Uniti. È di Cedella, sua madre. Sta bene, ha ottenuto la “green card”, il permesso di soggiorno e di lavoro, e porta un nuovo cognome, il terzo della sua vita. Prima Malcom, poi Marley e ora si chiama Booker. Gli chiede di raggiungerlo. Marley è perplesso. Non sa cosa fare.. La sua carriera musicale sta andando a gonfie vele, è innamorato, perché lasciare tutto per andare negli Stati Uniti da una madre che da anni non vede? La ragione gli consiglia di restare in Giamaica, ma un uomo non è solo ragione. Rita lo vede turbato, sempre più chiuso in se stesso. Sa che non potrebbe mai rompere con sua madre e lo incoraggia a seguire quello che gli dice il cuore. Ne parlano a lungo. Alla fine Bob decide di partire. L’11 febbraio, il giorno dopo il suo matrimonio parte per gli Stati Uniti. Come suo padre, lascia la moglie ventiquattr’ore dopo averla sposata. Porta nel cuore il volto e il sorriso di Rita, ma se ne va. Quando arriva all’aeroporto di Philadelphia, dove sua madre l’attende per portarlo a Wilmington, ha un buco nel cuore. Fin dal primo momento Cedella se ne accorge: Bob non è come suo padre Norman, lui è davvero follemente innamorato di Rita. Né il tempo, né la lontananza potranno cambiare i suoi sentimenti. La sua permanenza negli Stati Uniti non è facile. In Giamaica è un personaggio popolare, un idolo per i giovani delle periferie, ma qui nessuno lo conosce. In più si rende conto di non poter pesare sulle spalle della madre. Decide quindi di lavorare. Prima fa il cameriere, poi viene assunto come manovratore di un carrello elevatore, quindi entra in fabbrica e lavora alla catena di montaggio di uno dei tanti stabilimenti della Chrysler. Mentre Bob è negli Stati Uniti, Rita continua a cantare con le Soulettes.


10 febbraio, 2022

10 febbraio 1922 - Raymond Blum, l’inventore della stenografia musicale

Il 10 febbraio 1922 nasce a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, il trombonista Raymond Blum. Le sue prime esperienza musicali risalgono al periodo scolastico quando i genitori lo incoraggiano a suonare il pianoforte. Si racconta che proprio in quel periodo abbia inventato un modo per stenografare la musica, senza utilizzare né note né portamenti, utilissimo per trascrivere immediatamente i motivi che ascolta. A diciotto anni forma i Merry Swing Makers, il primo gruppo della sua carriera. Nel 1941, il clarinettista Charles Wilhelm, che all'epoca dirige i New Hot Players, un’orchestra molto popolare a La Chaux-de-Fonds e Neuchatel, gli offre un posto nella formazione ma non al pianoforte. Gli manca un trombonista per questo, attratto dal suo talento musicale, gli propone di studiare il trombone. Blum non si fa problemi.. Accetta e dopo qualche mese entra a pieno titolo nell’orchestra che in quel periodo suona in uno stile dixieland ispirato ai gruppi di Eddie Condon, Spanier, Bob Cats. È l’inizio di una straordinaria carriera che lo vede al fianco dei migliori jazzisti europei. Dal 1947 diventa il leader dei New Hot Players.

09 febbraio, 2022

9 febbraio 2008 – Workin’ class heroes: Torino è la mia città

Nella serata di sabato 9 febbraio 2008 in una tensostruttura costruita di fronte alla Thyssenkrupp si svolge la manifestazione “Workin’ class hero: Torino è la mia città”, musica e parole di solidarietà con il lavoro e la lotta quotidiana di quella Torino operaia divenuta da tempo invisibile. Sul palcoscenico le parole di Ulderico Pesce e Beppe Rosso si alternano alle note di Fratelli di Soledad, Carlo Pestelli, Mao e i Santabarba, oltre che di oSKAr e i Cappuccino, cioè gli Statuto in formazione ridotta e senza riferimenti al marchio principale per mantenere fede al giuramento solenne di non esibirsi più nella propria città in segno di protesta contro la prepotenza del music business locale. Evento nell’evento, tutti i musicisti hanno condiviso la proposta di suonare in acustico (“absolutely unplugged”, per chi ama la lingua ufficiale dei dominatori del pianeta), adeguando formazioni e arrangiamenti all’occasione. Il risultato è una sorta di “esibizione unica” che, se registrata, potrebbe finire felicemente in un disco magari destinato a rafforzare il “fondo di solidarietà con i lavoratori Thyssenkrupp”. La musica sceglie così di presentarsi al pubblico nuda, senza fronzoli e merletti, in un rapporto di intimità con il pubblico quasi a sottolineare che i sentimenti, i sogni e le speranze degli artisti e del pubblico si tengono per mano, sono le stesse. E se i Fratelli di Soledad salgono sul palco soltanto con «…chitarra e voce come nascono le canzoni», il popolo mod ha la sorpresa di vedere e ascoltare un inedito oSKAr accompagnato dai soli Ennio Teen Mod alla chitarra acustica e Jerry al sax. È proprio in questo particolare apporto creativo che la parte più attenta e impegnata della cultura torinese fa una dichiarazione precisa di appartenenza. Per oSKAr una serata come quella di sabato contribuisce anche a riaffermare le radici operaie della città «…Per anni gli organi di informazione cittadini hanno tentato di farci credere che il concetto di “classe operaia” non indicava più nulla e che Torino si muoveva su nuovi indirizzi economici e sociali ma è bastata la tragedia della Thyssen per dimostrare che la classe operaia esiste e regge l’economia della città, ma che la favola della "Torino non più operaia" ha finito per coprire vergognose mancanze di sicurezza e controllo delle condizioni di lavoro...». C’era un tempo in cui non erano soltanto gli artisti “impegnati” a metter in musica le parole dell’alienazione della catena di montaggio o della condizione operaia. Dai juke box si potevano ascoltare i Rokes raccontare i sogni di Bartolomeo (…millecentododici buchi tutti in fila in questo pezzo di ferro così.../pensare che il mio sogno è la poesia…), e i Giganti farsi interpreti delle delusioni di un giovane metalmeccanico (Mi chiamo Brambilla e faccio l’operaio/lavoro la ghisa per pochi soldi/e non ho in tasca mai la lira per potere fare un ballo con lei…). Erano “canzonette”, non servivano a fare la rivoluzione e neppure ne avevano l’intenzione, ma segnalavano un’attenzione diversa verso il lavoro e i lavoratori. Oggi non è così. Gli operai sono invisibili e parlarne è considerato poco alla moda. La serata di sabato 9 febbraio 2008 traccia un piccolo segno diverso, in controtendenza. E se è vero che con le canzoni non si possono cambiare le cose, ci sono momenti in cui anche la musica può servire a rompere il guscio dell’indifferenza e dell’ignoranza.

08 febbraio, 2022

8 febbraio 1919 – Buddy Morrow, un trombone dal fraseggio raffinato

L’8 febbraio 1919 a New Haven, nel Connecticut, nasce il trombonista Buddy Morrow, registrato all’anagrafe con il nome di Muni "Moe" Zudekoff. Inizia a suonare il trombone all'età di dodici anni cominciando esibendosi giovanissimo anche con varie formazioni della sua zona. Dopo aver perfezionato gli studi alla Juilliard University di New York nel 1936 ottiene il suo primo importante ingaggio nella jazz band del trombettista Sharkey Bonano. Negli anni successivi suona poi con Artie Shaw, Vincent Lopez, Bunny Berigan, Tommy Dorsey e Paul Whiteman, mettendosi in luce come solista di trombone dal fraseggio raffinato e dalla sonorità morbida e vellutata. All'inizio degli anni Quaranta si unisce alla formazione di Bob Crosby e, dopo la parentesi della seconda guerra mondiale, a quella di Jimmy Dorsey. Alla fine del 1945 si mette in proprio è dà vita a una propria orchestra che riscuote un buon successo commerciale nel corso degli anni Cinquanta. Nel 2009 l’International Trombone Association l’ha premiato, in occasione dei suoi novant’anni con un riconoscimento alla carriera. Muore il 27 settembre 2010.




07 febbraio, 2022

7 febbraio 1987 – Muore a Padova Claudio Villa

Il 7 febbraio 1987 muore Claudio Villa, uno dei simboli della canzone melodica italiana. Tremiladuecento brani registrati, quarantadue milioni di dischi venduti in tutto il mondo, ventisette film, tredici partecipazioni al Festival di Sanremo con quattro vittorie e due trionfi a Canzonissima sanciti a furor di popolo dall’invio di milioni di cartoline-voto sono la testimonianza concreta della sua straordinaria popolarità. Oggetto di amore incondizionato, di passioni, ma anche di contestazioni accese costruisce il proprio successo con la determinazione di chi ha imparato presto a combattere per la sopravvivenza. I suoi successi, le sue aspre polemiche, le contestazioni, ma anche la sua grande e generosa umanità sono solo alcune delle tante sfaccettature di un personaggio che ha saputo essere innovatore e conservatore al tempo stesso. Anche se il suo modo di cantare ha rappresentato, un’innovazione nel panorama melenso della melodia italiana del dopoguerra, negli anni successivi Villa ha scelto d’incarnare il ruolo del custode dei valori fondanti della canzone all’italiana, pur senza mai scadere nell’immobilismo. A dispetto delle impressioni non rifiuta però la contaminazione con nuove sonorità, lasciando che la sua voce si arrampichi anche sui sentieri tracciati da arrangiamenti elaborati e moderni. La sua capacità di anticipare i tempi è impressionante. È il primo cantante italiano in grado di trasformare la folla sterminata dei suoi ammiratori in una vera e propria organizzazione ramificata in tutto il territorio nazionale qualche decennio prima della nascita dei fans club delle moderne popstar. La sua verve polemica, alimentata e sorretta da una spregiudicata e schietta irruenza popolana, divide e fa discutere anche il mondo degli intellettuali, così lontano dagli ambienti popolari in cui affondano e traggono linfa le radici del suo successo. Sempre pronto a prendere posizione è anche un grande protagonista della battaglie civili della società italiana. «Se mi costringono a battagliare ho la forza di cento tori e il carattere non mi manca; logico, l’uomo e l’artista sono la stessa cosa. E se sono forte nel cantare, devo anche saper menare» dice a Lietta Tornabuoni che l’intervista per l’”Europeo”. Lui si vanta di essere un trasteverino. Trastevere negli anni Venti è il cuore pulsante di una Roma popolare che fatica ad adattarsi ai cambiamenti di quella che viene chiamata Città Eterna. È più di un quartiere, è una città nella città. Qui i grandi viali e i palazzi del potere cedono il passo a selciati polverosi percorsi da carretti e biciclette sui quali si affacciano piccole botteghe artigianali e banchetti che espongono mercanzie destinate a soddisfare semplici bisogni di gente povera. Qui gli antichi mestieri sopravvivono al passare del tempo e le stagioni si riconoscono dagli odori, più che dalle date del calendario. In questo quartiere, al n° 25 di Via della Lungara, in un caseggiato che sembra formare un blocco unico con il carcere di Regina Coeli, il 1° gennaio del 1926 Ulpia Urbani e Pietro Pica festeggiano la nascita del loro figlio Claudio. Inizia così la vicenda di Claudio Pica, in arte Claudio Villa, un ragazzo romano di borgata destinato a lasciare un segno indelebile nella storia della canzone italiana. A soli undici anni sale per la prima volta su un palcoscenico. È il 1937 quando si esibisce, quasi per scherzo, durante uno spettacolo della compagnia di Mimì Maggio al teatro Aurora. Tutti gli dicono che ha una bella voce e lui comincia a pensare che quella del cantante possa diventare la sua professione. Sono pensieri segreti da non rivelare a nessuno. Si sa però che per le mamme non ci sono segreti che tengano e nonostante le ristrettezze famigliari mamma Ulpia riesce a sottrarre al bilancio famigliare qualche soldo per mandare Claudio a scuola di canto… «Tutti devono avere un nome d’arte nel mondo dello spettacolo». È il direttore del teatro Ambra Jovinelli, il napoletano Tommaso Pastore, che nel 1945 cambia il nome del cantante da Pica in Villa. Dopo aver vinto con la Chitaratella un concorso di voci nuove che si svolge al salone Esedra ottiene la sua prima scrittura “vera” nella compagnia Libianchi che ha in cartellone uno spettacolo al cinema-teatro Altieri. La sua voce non è ancora definita. È ben lontana dal timbro potente che lo caratterizzerà in seguito, ma sa già adattarsi all’esigenze del falsetto “di grazia” in voga in quel periodo. La sua popolarità cresce di giorno in giorno e le scritture si moltiplicano. Si esibisce in molti locali romani con un repertorio composto principalmente dalle canzoni di Romolo Balzani e Alfredo Del Pelo. Il primo è un autore popolarissimo cui si deve la musica di brani come Barcarolo romano e L’eco der core, mentre il secondo, trasteverino verace come Villa, è uno degli autori della famosissima Casetta de Trestevere. All’aumento della popolarità non corrisponde però un proporzionale irrobustimento del bilancio personale. Un’eccezione è rappresentata dal compenso di ben diecimila lire ottenuto per l’incisione della colonna sonora del film “Sotto il sole di Roma” di Renato Castellani, composta da Nino Rota. Nel 1946 l’orchestra del maestro Ferroni nella quale canta Claudio Villa partecipa a un programma radiofonico destinato ai militari. Il cantante fa così il suo debutto alla radio. La grande occasione arriva però qualche tempo dopo grazie a una fortunata serie di combinazioni. L’orchestra Ferroni oltre che su Claudio Villa può contare anche sulla voce femminile di Ida Bernasconi, una cantante italo-greca sentimentalmente legata a tale Giacomo Gabrielli. Quest’ultimo, accanito ammiratore di Villa, convince i proprietari del night “Le grotte del piccione” a scritturarlo per cinquecento am-lire (la moneta introdotta dalle truppe alleate) più il pasto serale. Il locale, frequentato da molti funzionari RAI, è uno di quelli scelti per un programma radiofonico che porta a casa degli ascoltatori la musica delle orchestre che si esibiscono nella serata del collegamento. Si tratta di un appuntamento importante e molto seguito perché va in onda alle ventitré dopo la rubrica “Oggi al parlamento” e consente di ascoltare in diretta le ultime novità musicali. La voce di Villa risuona così per la prima volta negli apparecchi radiofonici di tutta Italia e inizia a diventare popolare anche al di fuori di Roma. Nell’agosto del 1947 Claudio Villa pubblica il suo primo disco. Assistito da Luciano Luigi Martelli e dallo staff di produzione della Carish il cantante lavora sodo in sala di registrazione. Dopo un’attenta valutazione vengono scelti per il suo debutto discografico i brani Canzoncella e Serenatella dolce e amara. Quest’ultimo, che ha tra gli autori lo stesso Martelli, è molto orecchiabile e diventa ben presto uno dei più richiesti e apprezzati dal pubblico radiofonico. Gran parte del segreto del successo di questa canzone sta nella sapiente miscela di tradizione e innovazione che la caratterizza. Su un testo tradizionale, che riecheggia i temi cari alla tradizione della canzone italiana classica, si sviluppa una melodia fresca e ricca d’aperture, costruita sul ritmo esotico della rumba. L’interpretazione di Villa, pulita e senza sbavature, fa il resto. Il successo di questo primo disco incoraggia la Carish a continuare nella produzione del cantante. Per far fronte alle continue richieste del pubblico che torna ad appassionarsi per la canzone all’italiana non c’è tempo per scrivere nuove canzoni. Buona parte dei brani registrati in questo periodo da Claudio Villa non vengono, quindi, composti appositamente per lui, ma appartengono al repertorio di interpreti come Carlo Buti, Otello Boccaccini, Luciano Tajoli e Oscar Carboni, anche se spesso la versione di Villa è destinata a diventare più famosa delle originali. È l’inizio del successo. Nel 1955 Claudio Villa partecipa al Festival di Sanremo cantando Incantatella con Narciso Parigi e Buongiorno tristezza e Il torrente, entrambe in coppia con Tullio Pane, che si piazzano al primo e al secondo posto. Sempre insieme a Pane vince anche la “Finale degli indipendenti” con Il torrente. Nello stesso anno partecipa al Festival di Napoli con ben sette canzoni, classificandosi al terzo posto con Dincello tu, mentre nascono centinaia di fan club a suo nome. Nel 1957 torna al Festival di Sanremo aggiudicandosi il primo e il secondo posto con Corde della mia chitarra in coppia con Nunzio Gallo e Usignolo, insieme a Giorgio Consolini. Alla fine degli anni Cinquanta, di fronte all'affermarsi di nuove mode e di nuovi personaggi, può comunque contare su milioni di ammiratori devoti che lo accompagneranno per tutta la carriera. Nel 1962, in coppia con Domenico Modugno, vince di nuovo il Festival di Sanremo con Addio addio e l'anno dopo arriva al secondo posto con Amour mon amour my love in coppia con Eugenia Foligatti. Sempre nel 1963 vince il Festival di Napoli con Jamme ja in coppia con Maria Paris e nel 1965 vince "Canzonissima" con 'O sole mio sostituendo all'ultimo minuto Mario Del Monaco. Nel 1967, dopo aver vinto "Canzonissima" con Granada, torna a vincere anche il Festival di Sanremo con Non pensare a me, in coppia con Iva Zanicchi. Nel 1982, eliminato dal Festival accusa Gianni Ravera e l'ambiente sanremese di brogli. Il 7 febbraio 1987, proprio mentre a Sanremo è in programma l'ultima serata del Festival muore a Padova. La cassetta di mogano che contiene le sue ceneri viene tumulata, come da lui richiesto, nel cimitero di Rocca di Papa accanto alla tomba di mamma Ulpia. Sulla lapide che la copre sono incise le parole “Vita sei bella, morte fai schifo” da lui stesso dettate.

06 febbraio, 2022

6 febbraio 2004 - Non fate ipotesi sulla morte di Elliott Smith

Il 6 febbraio 2004 molti giornali diffondono la notizia di una singolare diffida. È vietato formulare ipotesi sulla morte di Elliott Smith. La famiglia del cantautore statunitense scomparso nell'ottobre scorso ha infatti formalmente diffidato chiunque a qualunque titolo a non fare illazioni sulle cause della morte dell'artista. La diffida è stata notificata anche alla compagna di Elliott. Il provvedimento, che lascia perplessi sia sul piano giuridico che dal punto di vista del merito, visto che colpisce i cardini della libertà d'informazione, è stato assunto non a caso dopo la pubblicazione della perizia disposta dal coroner sul corpo del cantautore. Quest'ultima, infatti, ha riaperto molti interrogativi sulla causa del decesso, in un primo momento frettolosamente attribuito a suicidio. In essi si sostiene che non vi siano «elementi sufficienti» per determinare con certezza nel suicidio la causa della morte. La presa di posizione della famiglia, eclatante quanto incomprensibile, alimenta l'alone di mistero che circonda la scomparsa del povero Elliott Smith.


05 febbraio, 2022

5 febbraio 1946 – Il sassofono contralto di Gianni Oddi

Il 5 febbraio 1946 nasce a Genova il sassofonista Gianni Oddi. I primi studi musicali non riguardano lo strumento che lo farà diventare famoso. Inizia infatti a studiare pianoforte a soli dodici anni e nel 1968 si diploma al conservatorio di Genova. Proprio mentre è impegnato negli studi inizia, prima per gioco e poi sempre con maggior passione, a esercitarsi col sassofono contralto. Nel 1965 comincia a farsi conoscere dagli appassionati di jazz della sua città suonando al Louisiana Jazz Club di Genova sia il pianoforte che il sassofono con Dany Lamberti, Alessandro Armanino e gli altri strumentisti che frequentano il locale. Nel 1970 si trasferisce a Roma e decide di dedicarso soltanto al sassofono contralto di cui nel 1973 consegue anche il diploma al conservatorio dell'Aquila. Nel 1977 entra a far parte dell'Orchestra di Ritmi Moderni della Rai di Roma. Nel gennaio dell’anno è un componente dei Saxes Machine di Bruno Biriaco con i quali incide anche l’album Nouami. Nel 1980, pur non abbandonando l'Orchestra della Rai fa parte anche della big band Swing diretta da Maurizio Majorana. Nel 1981 è tra i promotori dei Bop Gentlemen. Negli anni Novanta suona con il Roma Jazz Ensemble e nel 1991 fonda lo Ialsax Quartet. Da alcuni anni dirige anche la St. Louis Big band.


04 febbraio, 2022

4 febbraio 1925 - Jutta Hipp, la pianista di Lipsia

Il 4 febbraio 1925 nasce a Lipsia, in Germania, la pianista Jutta Hipp. Studentessa presso la locale Accademia delle Belle Arti, inizia ad avvicinarsi al jazz poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, partecipando a varie jam session con gruppi locali. Alla fine del conflitto, quando nasce la Repubblica Democratica Tedesca fugge a Ovest e trova rifugio nella città di Monaco. Nel 1952 collabora e incide con Hans Koller e tra il 1953 e il 1955 organizza e guida un proprio quintetto a Francoforte. Il 18 novembre 1955 decide di cambiare aria e se ne va negli Stati Uniti dove guida un trio di cui, oltre a lei, fanno parte Peter Ind e Ed Thigpen. Da allora collabora con numerosi solisti, in gran parte statunitensi, suonando anche con Dexter Gordon e Bobby Jaspar. Dotata di una certa originalità negli anni Sessanta riduce progressivamente il suo impegno sulla scena jazzistica ritagliandosi un ruolo tutt'altro che marginale nella musica pop. Muore di cancro al pancreas il 7 aprile 2003 a Sunnyside, nel Queens, New York.


03 febbraio, 2022

3 febbraio 1951 - Fréhel, l'anima della "chanson réaliste"

Il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata la cantante Fréhel, considerata la principale interprete della “chanson réaliste” nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, Fréhel ha accompagnato con la sua voce bellissima e tragica un’Europa apparentemente spensierata, ricca di tensioni, di scontri ma anche di inconsapevoli follie e di passioni che danzava sull’orlo del precipizio. È difficile rinchiudere in un termine o una frase, per quanto suggestiva, il senso dell’esperienza artistica di una cantante come lei, passata dalle strade alle luci del palcoscenico dei principali teatri della notte parigina e ancora nel tunnel della depressione quindi nuovamente al successo per finire i suoi giorni sola e dimenticata in uno squallido albergo a ore. È difficile trovare le parole giuste per raccontare con rispetto e senza scivolare nel patetico la carriera di una donna cui la vita ha ripreso rapidamente e con gli interessi le poche fortune elargite. Le sensazioni, le tante cadute e le scarse resurrezioni più attese che arrivate, sono giunte fino a noi in un pugno di canzoni nelle quali le emozioni hanno i colori vividi di una voce che è sopravvissuta anche alla sua rovina. Quando nasce la futura Fréhel si chiama Marguerite Boulc’h. Nonostante alcune biografie la facciano nascere a Trégastel, in Bretagna, il suo certificato di nascita racconta che è nata a Parigi il 14 luglio 1891 al n° 2 di Boulevard Bessières, nel diciassettesimo arrondissement, da genitori bretoni che sopravvivono facendo un po’ di tutto. Fin da piccola passa le giornate nella strada e tutta la sua infanzia è caratterizzata dalla povertà e dalla consapevolezza che i suoi genitori e le persone che le stanno intorno sono sempre alla ricerca frenetica di un modo per raggranellare qualche soldo e per sopravvivere. Lei stessa deve darsi da fare e a cinque anni accompagna un vecchio cieco a chiedere la carità nei sobborghi parigini cercando di attirare e intenerire i passanti con una breve canzoncina. È in questi anni che le entra dentro la paura della povertà, il terrore del domani, la paura che il futuro possa essere peggiore del pur triste presente, l’incertezza dell’attesa e, in fondo, la voglia di cancellare la realtà. Saranno queste esperienze a segnare la sua perenne incertezza portandola da un lato a caricarsi di troppe responsabilità e dall’altra a tentare la fuga di fronte alle situazioni difficili spesso con l’alcool e qualche volta con la cocaina e altre sostanze sintetiche. I testimoni del tempo raccontano che a quindici anni è già una ragazza bellissima che lavora in un emporio in cui si vendono prodotti farmaceutici e pozioni di bellezza. Il suo compito non è quello di aspettare i clienti nel negozio, ma di andare a bussare alla porte di chiunque possa essere un possibile acquirente dei prodotti cosmetici. Entra nelle case della buona borghesia parigina, spiega la qualità dei suoi prodotti e offre una dimostrazione pratica del loro utilizzo. Nel suo bauletto ci sono profumi, creme e cosmetici che promettono meraviglie. Nei suoi giri incontra donne ricche ma anche le protagoniste della parigi notturna, attrici, cantanti, intrattenitrici varie. Il mondo dello spettacolo l’affascina e un giorno parla dei suoi sogni a una spagnola che si chiama Carolina Augustina Carasson Fuente Valga e che a Parigi è diventata una stella di prima grandezza del music hall con il nome di Bella Otero. La donna, colpita dalla bellezza e dalla determinazione della ragazza la introduce nell’ambiente e l’aiuta a procurarsi le prime scritture. Con il nome di Pervenche debutta a sedici anni sul palcoscenico del Café de l’Univers cantando canzoni scritte da Montéhus Il palcoscenico del Café de l’Univers ospita le esibizioni di Marguerite, ora trasformatasi in Pervenche, per un paio d’anni, fino al 1910. Diciannovenne, bella, un po’ ingenua e affascinata dall’ambiente in cui si ritrova a vivere la ragazza non sa e non vuole resistere alla corte serrata di uno dei tanti tombeur de femme della notte parigina. È un maestro di canto che si diletta anche a scrivere spettacoli. Il suo nome è Robert Holland, ma tutti lo conoscono come Roberty. Lei si innamora perdutamente di lui che la sposa, la mette incinta e poi la lascia per Damia, un’altra grande chanteuse di quel periodo. Siccome quando le cose vanno male non c’è limite al peggio anche il figlio nato dalla sfortunata storia con Roberty poco dopo muore e Fréhel precipita in una depressione che pare senza fine. Alle delusioni della vita fa quasi da contraltare il grande successo sul palcoscenico dove, forse per lasciarsi dietro alla spalle il dolore degli anni precedenti, ha scelto di cambiare nome d’arte. Marguerite non si chiama più Pervenche. Il nuovo nome con il quale compare sui manifesti che annunciano i suoi concerti è quello Fréhel, una sorta di omaggio a Cap Fréhel, un luogo simbolico della Bretagna, la terra da cui arrivano i suoi genitori. Nel firmamento della notte parigina è una stella di prima grandezza, amata e osannata dai frequentatori dei locali notturni. È anche un modello per centinaia di ragazze che la guardano con la stessa invidia con cui lei guardava la Bella Otero. Il successo, però, non cancella l’angoscia interiore e il senso di provvisorietà che prova di fronte ai momenti belli della vita. Dopo la fuga di Roberty coltiva una nuova illusione d’amore al fianco di Maurice Chevalier, protagonista principale degli spettacoli in cartellone alle Folies Bergères, uno dei templi della rivista musicale parigina. Anche questa storia d’amore, però, non è destinata a durare. Chevalier lascia Fréhel per la star delle star, quella Mistinguett che ha fatto perdere la testa a principi e nobili di tutta Europa e la ragazza abbandonata per la seconda volta in meno d’un anno si fa catturare nuovamente dalla depressione. Si chiude in casa e non vuole più vedere nessuno. Nelle lunghe ore di solitudine e di dolore ha una compagnia speciale, capace di cancellare per qualche tempo la realtà e renderle più sopportabile la disperazione. Sono due amici, si chiamano alcool e cocaina e hanno la caratteristica di chiedere molto di più di quello che in apparenza danno. Fréhel è ormai entrata in una spirale di cui non vede l’uscita e, un giorno che si sente un po’ più disperata, tenta anche il suicidio. Si salva per un colpo di fortuna e decide di andarsene. Nel 1911 si lascia alle spalle i pochi amici rimasti, Parigi e la Francia e se ne va. La sua bussola punta verso Est, verso quell’Europa orientale dove giorno per giorno s’arrabatta a trovare qualche scrittura per sopravvivere. Dalla Turchia alla Russia, prima quella degli zar e poi quella socialista nata dalla rivoluzione di Lenin, i paesi dell’Est sono i testimoni del suo continuo girovagare nel tentativo di lasciarsi dietro alla spalle il passato dedicandosi più agli stupefacenti e all’alcol che alla canzone. Più di un decennio dopo la sua precipitosa fuga, nel 1923 Fréhel torna a Parigi. La cantante è cambiata al punto da sembrare irriconoscibile anche agli occhi degli amici più cari e di quelli che l’hanno conosciuta da vicino. Precocemente invecchiata da una vita un po’ troppo oltre il limite si accorge che il pubblico, nonostante tutto, non l’ha dimenticata. Si rimette un po’ in sesto e nel 1924 il suo concerto all’Olympia, intitolato “L’inoubliable inoubliée Fréhel” (L’indimenticabile indimenticata Fréhel), fa il pieno di pubblico e di consensi. La sua voce con il passare del tempo è migliorata, si è fatta più sensuale e profonda. Il suo antico amore Maurice Chevalier rileva come si sia fatta«…più roca, quasi venisse dal ventre…». La critica saluta in lei una delle più autorevoli interpreti della “chanson réaliste” e il pubblico si spella le mani per applaudirla quando canta brani come La java bleue, La coco o La der des der. Anche il cinema le dà spazio. Fréhel partecipa a una nutrita serie di pellicole compreso il fortunato “Pépé le moko” di Duvivier con Jean Gabin dove proprio lei canta Où est-il donc?. Il ritrovato successo non la cambia né le dà una ragione per mollare la dipendenza da sostanze varie. Negli anni Quaranta lavora sempre meno e il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata nella camera di un albergo a ore al n° 45 di Rue Pigalle.


02 febbraio, 2022

2 febbraio 1993 - Gino Bechi, un baritono prestato alla canzone

Il 2 febbraio 1993 muore Gino Bechi, considerato da molti critici il maggior baritono del Novecento. Se un tale giudizio, come tutto quanto attiene alla sfera delle opinioni, è soggetto alla possibilità di confutazione, più difficile diventa la contestazione dell'innegabile "modernità" di questo artista capace di muoversi con grande disinvoltura tra i generi e gli stili adattando spesso tecnica e timbrica alle esigenze in divenire della moderna tecnologia. Gino Bechi nasce il 16 ottobre 1913 a Firenze. A diciassette anni inizia a studiare canto lirico con i maestri Raul Frazzi e De Giorgi. Nel 1936, a soli ventitré anni, debutto nella lirica a Empoli con la “Traviata” di Giuseppe Verdi, facendosi notare per il talento naturale del canto e disinvoltura in scena. La svolta nella sua carriera arriva qualche anno dopo quando alla Scala di Milano sostituisce all'ultimo momento il baritono ne “La forza del destino” al fianco di due grandi della lirica come Beniamino Gigli e Gina Cigna. Il successo scaligero gli apre le porte dei grandi teatri lirici e segna l’inizio di una straordinaria carriera che lo vede trionfare in tutto il mondo. Per ben nove volte canta nell'opera che inaugura la stagione alla Scala. Si dedica anche alla canzone pubblicando vari dischi nei quali privilegia soprattutto i grandi brani della tradizione partenopea pur senza rinunciare a cimentarsi con i brani melodici più in voga del periodo. Un grandissimo successo ottiene anche al cinema interpretando una lunga serie di film musicali negli anni Quaranta e Cinquanta. Proprio da una delle sue frequenti incursioni cinematografiche arriva il brano più famoso del suo repertorio, La strada nel bosco, una canzone scritta da Cesare Andrea Bixio, Nicola Salerno ed Ermenegildo Rusconi per il film omonimo. A sorpresa nel 1963, ancora molto popolare, decide di ritirarsi dalle scene annunciando ufficialmente la fine della carriera di cantante a Borgosesia dopo essersi esibito per l’ultima volta ne “Il barbiere di Siviglia”. Popolarissimo in Italia sia tra gli appassionati della lirica che presso il pubblico che affolla le sale cinematografiche grazie a una lunga serie di film musicali destinati a fare scuola nel cinema popolare italiano, tra gli anni Quaranta e i Cinquanta riesce a diventare anche uno dei cantanti lirici italiani più popolari del mondo. L'impresa è tutt'altro che semplice per un baritono visto che in genere sono soltanto i tenori a catturare l'immaginazione e la passione dei melomani. La voce di Gino Bechi, di grande ampiezza e costantemente educata appare sempre all'altezza delle diverse sfide nelle quali si cimenta. Rispetto a molti altri protagonisti della lirica del suo tempo regge bene anche l'impatto con le nuove tecnologie, in primo luogo l'introduzione di un aggeggio complicato come il microfono, difficile da gestire per chi è abituato al canto largo, libero e potente dei palcoscenici lirici. Nel corso della sua non lunghissima carriera non accetta mai l'idea di fermarsi. Per lui la musica ha il gusto dell'evoluzione, della nuova sfida. Per questa ragione passa dalla lirica alla canzone e poi trova nuovi stimoli nella nascente cinematografia musicale italiana impegnata a costruire una strada diversa dalla pura e semplice trasposizione filmica delle opere liriche più conosciute. Vince tutte le sua sfide e quando gli sembra di non riuscire a trovarne delle nuove si ritira dalle scene a poco più di cinquant'anni. Dopo il ritiro dalle scene gestisce una scuola di perfezionamento per giovani cantanti lirici a Firenze e per qualche tempo è presidente del Concorso Internazionale di canto di Siena intitolato a Ettore Bastianini.



01 febbraio, 2022

1° febbraio 1964 - Gigliola Cinquetti, una sedicenne vince il Festival di Sanremo

Il 1° febbraio 1964 a sorpresa la sedicenne Gigliola Cinquetti, vince il festival di Sanremo con la canzone Non ho l'età. Il successo della giovanissima veronese, per l'occasione accoppiata alla cantante francese Patrizia Carli, arriva inaspettato e corona così un Festival ricco di novità presentato per la seconda volta consecutiva da Mike Bongiorno affiancato da Giuliana Lojodice. In quella edizione, infatti, è prevista una sola canzone vincitrice con l'abolizione del secondo e terzo posto. Gigliola Cinquetti, la vincitrice è arrivata al Festival grazie alla vittoria nel concorso per "Voci Nuove" di Castrocaro Terme che all'epoca è un po' la via più breve che un giovane talento possa percorrere per salire sul palcoscenico di Sanremo. Non è una meteora. Nello stesso anno vince anche l'Eurofestival, stabilendo un record assoluto. La sua compagna d'avventura Patricia Carli per la versione destinata al pubblico francese cambia testo e titolo della canzone che da Non ho l'età diventa Je suis à toi (Io sono tua).