Il 14 luglio 1993 muore Léo Ferré. Ci sono canzoni che vien voglia di coltivare come i fiori, per evitare che appassiscano, che finiscano perse tra gli altri nello scaffale dei ricordi. Riscoprirle e riproporle fa bene alla musica, ma soprattutto, fa bene a un mondo che sembra avere sempre meno tempo per i sentimenti, le emozioni e le passioni forti. A questa categoria appartengono i brani di Léo Ferré, anarchico chansonnier dell’anima e della passione, capace di passare dalla poesia all’invettiva senza perdere in eleganza che alla sua scomparsa ci ha lasciato un patrimonio incredibile di opere. L’eredità che lascia al mondo non è composta solo da canzoni, ma da una lunga e corposa serie di poesie, sinfonie, articoli, saggi, romanzi e frutto di costanti e curiose incursioni negli anfratti più diversi della musica e della letteratura. Léo Ferré nasce il 24 agosto 1916 nel Principato di Monaco da una famiglia benestante che quando lui ha nove anni lo invia a Bordighera in un collegio cattolico dove resterà “rinchiuso” fino all’adolescenza. I genitori sono convinti di “fare il suo bene”, il giovane Ferré invece la vive come una prigionia insopportabile e la racconterà a tinte vivide nel romanzo “Benoit misère” da lui scritto nel 1956. Dopo la maturità se ne va a Parigi a frequentare la facoltà di Scienze Politiche perché il padre gli ha rifiutato l’autorizzazione a iscriversi al Conservatorio. Si laurea nel 1939 e, dopo il servizio militare, torna a Monaco per lavorare in una struttura che, in un periodo in cui le risorse sono contingentate a causa della guerra, si occupa dei buoni per il rifornimento degli alberghi. In quel periodo frequenta anche Radio Montecarlo dove diventa presentatore, rumorista o pianista a seconda delle necessità. Il suo approccio con il mondo dello spettacolo avviene per gradi. Scrive qualche testo, compone i primi brani e si esibisce quando può nei pochi cabaret del Principato di Monaco. In questo periodo resta affascinato dalle canzoni e dalla verve interpretativa di Charles Trenet e incontra Edith Piaf. Proprio l’Usignolo di Francia l’incoraggia a continuare e lo invita a trasferirsi a Parigi. Appena gli Alleati e la Resistenza hanno liberato la capitale dagli occupanti tedeschi lui ci va. È il 1946 e nei cabaret di Saint-Germain-des-Près è iniziata una stagione nuova e intensa in cui le poesie si mescolano con gli eccessi, le seduzioni amorose con la filosofia, le battaglie politiche e quelle culturali. Sta nascendo la nuova canzone francese e Léo Ferré con le sue storie in musica che raccontano l’amore, i sentimenti e la vita, con le sue ironie, le sue dolcezze e anche le sue invettive ne diventa uno dei protagonisti più originali. Il suo nome comincia a essere sempre più evidente sul cartellone del Boeuf Sur Le Toit, il locale dove si esibisce insieme ai Frères Jacques e alla coppia formata da Charles Aznavour e Pierre Roche. Nel mese di marzo 1947 firma il suo primo contratto con Le Chant du Mond. Le sue canzoni hanno un editore. Il mondo non è tutto come Saint-Germain-des-Près. Léo Ferré se ne accorge nel 1947 quando si fa coinvolgere da Aznavour in una disastrosa tournée nella Martinica. Fortunatamente la sua creatività non s’abbevera né ai successi né, tantomeno, agli insuccessi. Tornato a Parigi riprende la vita di sempre esibendosi nel circuito dei cabaret, compreso il Milord d’Arsouille, un locale dove divide il palco e anche qualche canzone con Francis Claude. In questo periodo nascono alcuni tra i suoi brani più belli, come L’Île Saint-Louis o À Saint-Germain-des-Près e amicizie destinate a durare a lungo come quelle con Jean-Roger Caussimon, Juliette Gréco o Renée Lebas che per prima inserisce nel proprio repertorio una sua canzone: Elle tourne… la terre. Negli anni Cinquanta Ferré scopre la politica da cui per molto tempo s’era tenuto un po’ distante. Lo fa a modo suo, da randagio sperimentatore che annusa, ingloba e rielabora. I suoi primi maestri sono gli antifranchisti spagnoli esuli a Parigi. I loro racconti e la loro determinazione lo affascinano e ispirano canzoni come Flamenco de Paris, Le bateau espagnol e Franco la Muerte che gli valgono il divieto di ingresso nel paese iberico fino agli anni del ritorno alla democrazia. Si innamora degli anarchici ma mantiene buoni rapporti anche con il Partito Comunista Francese. Pian piano la sua popolarità si allarga e nel 1953, dopo un concerto all’Olympia come “apripista” di Joséphine Baker firma un contratto discografico con la Odeon. La prima canzone registrata per la prestigiosa etichetta è Paris canaille, scritta l’anno prima per Catherine Sauvage. È il successo. Con i primi soldi versatigli dalla Odeon acquista una casa in campagna e nel 1955 torna all’Olympia per la prima volta come attrazione principale. La sua carriera non conoscerà più pause né momenti di caduta sostenuto e alimentato dalla sua caparbia voglia di sperimentarsi e di percorrere le strade più diverse dal teatro al cinema alla poesia con la quale il rapporto si fa via via più fecondo a cominciare dalla pubblicazione dell’album Les fleurs du mal chanté par Leo Ferré, un delizioso omaggio a Charles Baudelaire. Nel 1961 le sue note incrociano le parole di Louis Aragon nell’album Les Chansons d’Aragon registrato per la Barclay con dieci poesie musicate e cantate che gli valgono l’eterna amicizia del grande poeta. Anche gli anni Sessanta sono costellati da successi discografici e da esibizioni affollatissime. Siccome il successo, gli applausi e le gratificazioni economiche non riescono a cambiarne per niente il carattere, anche in questi anni non mancano “incidenti diplomatici” e censure. L’episodio di censura più eclatante è legato al brano A une chanteuse morte dedicato alla sua vecchia amica scomparsa Edith Piaf ma ricco di allusioni critiche nei confronti di Mireille Mathieu, accreditata da uffici stampa e casa discografica come “La nuova Piaf”. Quando lo staff della Barclay ascolta la registrazione chiede a Ferré di modificarla. Lui rifiuta. Interviene allora il patron Eddy Barclay ma ogni tentativo è inutile. Alla casa discografica non resta che applicare il contratto e non pubblicarla su disco. Incapace di resistere alle suggestioni Léo Ferré, a differenza di altri chansonniers, annusa con interesse i profumi del rock, del beat e di tutti i filoni nati all’interno di quella che gli anglosassoni chiamano pop music. Non si limita ad ascoltarla ma ci si butta dentro con passione fino a registrare un album e a fare una tournée insieme agli Zoo. Ormai può permettersi ogni cosa perché il pubblico lo ama e lo segue con simpatia e fedeltà nelle sue avventure. Lo seguirà fino alla morte e anche oltre con la consapevolezza di farlo rivivere nelle sue canzoni. Ferré resta nell’immaginario collettivo come qualcosa di più di un normale chansonnier. È un cantore dell’impegno civile che sottolinea con le sue canzoni molti passaggi della storia della seconda metà del Novecento. Una parte dei brani del suo repertorio rappresenta una sorta di poetica ma violenta provocazione contro il potere a metà tra il dileggio e l'indignazione. Tra i più famosi ci sono Mon general contro il Generale Charles De Gaulle, l’anima della Francia antifascista divenuto un leader conservatore e capo dello stato francese, Monsieur tout blanc, rivolto al contraddittorio pontificato di Pio XII e la bellissima Allende che sottolinea la battaglia contro la dittatura fascista cilena di Pinochet. Delicata e ispirata, nel linguaggio, alle liriche ottocentesche è poi la trilogia di canzoni contro la pena di morte che comprende La mort des loups, Madame la misère, Ni Dieu ni maître. È impossibile dar conto del complesso della sua incredibile produzione, capace di confrontarsi senza perdere l'originaria fisionomia con tutti i movimenti culturali e politici innovatori che hanno attraversato la sua esistenza. L’evoluzione non l’ha mai spaventato e la ripetitività l’annoia. Dopo essersi trasferito in Italia a Castellina in Chianti in provincia di Siena, nel 1983 scrive "L'opera du pauvre" da molti considerata il vertice massimo della sua espressività. Proprio a Castellina in Chianti muore il 14 luglio 1993.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
14 luglio, 2022
13 luglio, 2022
13 luglio 1949 - I comunisti andranno all'inferno
Il 13 luglio 1949 tutti i giornali italiani rendono pubblica una notizia che da qualche giorno i frequentatori delle parrocchie conoscono bene. Il 1° luglio, infatti, un decreto del Santo Uffizio ha disposto la scomunica nei confronti di tutti gli appartenenti al Partito Comunista o a organizzazioni collaterali, nonché degli elettori e dei propagandisti delle idee comuniste. Nella sostanza tutti gli aderenti e i simpatizzanti di quel partito sono condannati inesorabilmente all’inferno, cioè a non poter essere parte del progetto di salvezza di Cristo. In politica, afferma il papa Pio XII bisogna scegliere se «stare con Cristo o contro Cristo». La Chiesa diventa così uno degli elementi più attivi nella battaglia contro quello che è il principale ‘nemico interno’ secondo la logica internazionale dei due blocchi contrapposti. In Italia, come nel resto dell’occidente si scatena un’aspra battaglia anticomunista che assume, soprattutto nei primi periodi, l’aspetto di una vera e propria ‘crociata’.
12 luglio, 2022
12 luglio 1955 - Vittorio Parisi, uno dei protagonisti della canzone napoletana
Il 12 luglio 1955 muore il cantante Vittorio Parisi, uno dei protagonisti del periodo migliore della canzone napoletana. Nato in una famiglia di artisti, a Napoli il 28 febbraio 1892, debutta nel 1919 come cantante lirico. Chiamato dal maestro Evemero Nardella nel 1922 a sostituire Salvatore Papaccio nell'interpretazione di Silenzio cantatore, ottiene uno straordinario successo in tutta Italia che convince a passare definitivamente alla musica leggera. Nel suo repertorio figurano quasi tutti i brani della tradizione napoletana e, in particolare, i suoi due cavalli di battaglia Dicitenciello vuie e Na sera 'e maggio. Alla fine degli anni Quaranta si ritira dalle scene.
11 luglio, 2022
11 luglio 1982 - L'urlo di Tardelli
Nei mondiali di Spagna del 1982, in programma dal 13 giugno all’11 luglio, l’Italia è inserita in un gruppo che comprende Polonia, Perù e Camerun. Dopo uno 0 a 0 con la Polonia, gli azzurri fanno storcere il naso alla critica pareggiando per 1 a 1 sia con il Perù che con il Camerun. Sono in molti quelli che prevedono il rientro in patria della squadra dopo i successivi incontri con Argentina e Brasile. Contrariamente alle previsioni, invece, il 29 giugno, al Sarrià di Barcellona, l’Italia batte inaspettatamente l’Argentina per 2 a 1 e chiude il mondiale dei brasiliani con un rocambolesco, quanto meritato, 3 a 2. L’Italia entra in semifinale. Superata di slancio la Polonia in semifinale, l’11 luglio Italia e Germania Ovest si affrontano a Madrid in una caldissima serata al cospetto del presidente della Repubblica Pertini e del re Juan Carlos di Spagna. Al 24’ del primo tempo Cabrini calcia fuori un rigore concesso dall’arbitro Coelho per un fallo di Briegel su Conti e la frazione di gioco si chiude sullo 0 a 0. A poco più di dieci minuti dall’inizio della ripresa la testa di Rossi finalizza in gol un lungo traversone di Gentile. Un quarto d’ora dopo un’azione di Bergomi e Scirea viene conclusa in rete dal sinistro di Tardelli il cui urlo di esultanza diventa il simbolo della grinta e della voglia di vincere degli azzurri. Tocca ad Altobelli l’onore della terza rete, cui fa da contraltare il gol della bandiera di Breitner per i tedeschi. L’Italia è, per la terza volta, campione del mondo.
10 luglio, 2022
10 luglio 1964 - Al Cantagiro inizia l’era di Gianni Morandi e Rita Pavone
La terza edizione del Cantagiro parte da Ancona il 26 giugno 1964 e si conclude, dopo quindici tappe, a Fiuggi il 10 luglio. Il trionfatore assoluto della manifestazione è Gianni Morandi che conquista definitivamente il pubblico italiano con la sua In ginocchio da te. Tra i cantanti in gara si fanno apprezzare particolarmente Little Tony con Non aspetto nessuno, Edoardo Vianello con La tremarella, Gino Paoli con Lei sta con te e Betty Curtis che torna alle gare canore dopo quattro anni di assenza con Scegli me o il resto del mondo. A partire da questa edizione il Cantagiro affianca a quello del “big” un girone riservato ai giovani che vede vincitore Paolo Mosca con La voglia dell’estate. Tra i brani più applauditi di questo girone ci sono anche Il surf delle mattonelle de La Cricca, L’uomo del banjo di Ico Cerutti e Lei di un giovanissimo Lucio Dalla. L’anno dopo la vittoria nel girone dei “big” arride a Rita Pavone, un altro idolo delle platee adolescenziali che con Lui sbaraglia la concorrenza del suo “rivale” che canta Se non avessi più te. Nel girone riservato ai giovani il pubblico si fa conquistare dalla dolcezza de Il duca della luna interpretato da Mariolino Barberis. Nel 1966 la vittoria principale arride nuovamente a Gianni Morandi con Notte di Ferragosto anche se il vero trionfatore nelle vendite dei dischi sarà Little Tony con Riderà. Le novità più eclatanti arrivano da un nuovo girone riservato ai gruppi o, come si chiamano all’epoca, ai complessi. Vince l’Equipe 84 con Ho in mente te mentre Nomadi e Rokes danno voce al disagio e alle rivendicazioni giovanili con Come potete giudicar e Che colpa abbiamo noi?. Nel girone dei giovani fa il bis Mariolino Barberis con Spiaggia d’argento.
09 luglio, 2022
9 luglio 1921 - Irv Kluger, il ritmo nel sangue
Il 9 luglio 1921 nasce a Brooklyn, New York, il batterista Irving Kruger, più conosciuto come Irv Kruger Si dedica alla musica fin da giovanissimo e dai nove ai tredici anni studia violino alla Henry Street Settlement School. Successivamente passa alla batteria sotto la guida di Henry Adler e quindi al vibrafono. Sempre agli inizi della carriera studia composizione a New York. Il suo debutto come professionista avviene nell'orchestra del trombettista e batterista Bob Astor quando ha poco più di venti anni. Suona poi con il sassofonista George Auld. Nel 1947 è con il sassofonista e clarinettista Herbie Fields e con il trombonista Bobby Byrne. Nei due anni successivi lavora prevalentemente con Stan Kenton, ma compare anche accanto ad Artie Shaw. Successivamente continua a suonare un po' ovunque facendo, tra l'altro, parte a metà degli anni Cinquanta, dell'orchestra del Moulin Rouge di Hollywood. La sua fama è legata al fatto di essere stato il batterista in Groovin' High e Blue'n’Boogie, tra le primissime registrazioni bop di Dizzy Gillespie nel 1945. Muore il 28 febbraio 2006.
08 luglio, 2022
8 luglio 1912 - Johnny Mince, un clarinetto per Dorsey
L'8 luglio 1912 nasce a Chicago, nell'Illinois, il clarinettista e sassofonista Johnny Mince, all'anagrafe registrato con il nome di John Muenzenberger. Nel 1929, ad appena diciassette anni, ottiene il suo primo importante ingaggio a Tulsa in Oklahoma nell'orchestra di Joe Haymes, con la quale si trasferisce a New York nel corso dell'anno successivo. Resta con questa formazione anche quando la stessa passea sotto la leadership di Buddy Rogers. Nel 1935 entra a far parte dell'orchestra di Ray Noble con la quale suona per tre anni circa, se si esclude una breve parentesi con la formazione di Bob Crosby. Lasciato Noble si aggrega a Tommy Dorsey e il sodalizio con il celebre trombonista gli porta fortuna. Con l'orchestra di Dorsey, infatti, Mince registra una lunga serie di dischi nei quali si fa notare soprattutto come clarinettista dal fraseggio irruento e dalla sonorità fluida e possente. Dopo la seconda guerra mondiale suona prevalentemente come musicista di studio per varie stazioni radio-televisive, pur non rinunciando di tanto in tanto a suonare in pubblico. Tra le esperienze degne di nota ci sono quella con l'orchestra di Arthur Godfrey, con gli All-Stars di Louis Armstrong e soprattutto con Bobby Hackett, insieme a un gruppo di musicisti di prim'ordine come Hank Jones, Vic Dickenson, Urbie Green, Toots Mondello, Max Kaminsky, Richard Davis e Bob Haggart. Muore a Chicago nel 1997.
07 luglio, 2022
7 luglio 1942 - Mon amant de Saint-Jean
Il 7 luglio 1942 la cantante francese Lucienne Delyle registra Mon amant de Saint-Jean, il brano che le regalerà l’immortalità. Nella stessa seduta di registrazione fissa su nastro magnetico anche Nuages, la versione cantata di un suggestivo brano rubato al repertorio di quel gigante del jazz che risponde al nome di Django Reinhardt. Grazie alla sua duttilità vocale non ha limiti di genere nella scelta del repertorio e anche per questo, il suo successo è destinato a durare a lungo. Dopo la fine dell’occupazione nazista e della seconda guerra mondiale il suo successo cresce ancor di più tanto che per tutti gli anni Cinquanta molti giornalisti del settore indicano il suo nome come quello della cantante più popolare di Francia. Non è un caso che Bruno Coquatrix per il concerto che nel mese di febbraio del 1954 inaugura il ristrutturato teatro de l’Olympia scelga proprio lei insieme al giovane Gilbert Bécaud. Nel 1956 vince anche il Gran Prix du Disque con la canzone Java scritta da Emile Stern ed Eddie Marnay. Qualche tempo dopo, però, la sua vita e la sua carriera incontrano un ostacolo insormontabile, un mostro che sembra uscita da un incobo notturno. Si chiama leucemia. Lucienne Delyle non è tipo da cedere senza lottare. Si cura, cerca di reagire e programma una nuova tournée insieme al suo compagno di vita Aimé Barelli. Proprio con lui si esibisce al Bobino nel mese di novembre del 1960 in quelli che saranno gli ultimi concerti della sua vita. La lunga lotta con la leucemia termina nell’aprile del 1962 a Montecarlo quando la morte pone fine al calvario.
06 luglio, 2022
6 luglio 1923 - Baldo Maestri, un eclettico saxoclarinettista
Il 6 luglio 1923 nasce a Roma il sassofonista e clarinettista Baldo Maestri. A ciqnue anni inizia a studiare violino ma sei anni dopo passa al clarinetto e si iscrive al conservatorio di Roma dove si diploma nel 1939. Nel 1941 fa le prime esperienze nel jazz con il sestetto di Alfio Grasso col quale si trasferisce in Germania dove resta fino al 1947. Nel 1948 entra a far parte dell'orchestra del Centro Produzione Rai nella quale per molti anni è il leader della sezione dei sassofoni. Nel 1952 esegue a Stoccarda, in Germania, il Concerto per clarinetto e orchestra di Artie Shaw con l'orchestra di Erwin Lehn. Tra il 1960 e il 1961 collabora a "30 anni di Swing" una serie di trasmissioni radiofoniche con Lelio Luttazzi, Nel 1960 partecipa alla registrazione della Piccola suite Americana per quattro sassofoni di Piero Umiliani che ottiene poi il premio della Critica Discografica. Negli anni Sessanta tiene concerti di musica classica come sassofonista contralto nei più importanti teatri e la sua attività più propriamente jazzistica rimane confinata nell'ambito dell'Orchestra Rai fino al 1978 quando inizia la collaborazione con la Saxes Machine di Bruno Biriaco come leader dei sassofoni. Nel 1979 prende parte a un paio di Laboratori con musicisti dell'area cosiddetta "creativa" come Hank Bennink, Misha Mengelberg, Enrico Rava, Renato Geremia, Giancarlo Schiaffini, Gianluigi Trovesi e altri.
05 luglio, 2022
5 luglio 1964 - Teddy Napoleon, pianista
Il 5 luglio 1964 a Elmhurst, New York, muore di cancro il pianista Teddy Napoleon. Registrato all'anagrafe con il nome di Theodore Napoli era nato a Brooklyn, il 23 gennaio 1914. Nipote del trombettista Phil e fratello maggiore del pianista Marty, non ancora quindicenne suona in un ristorante cinese insieme a Lee Castle. Successivamente suona in varie formazioni restando a lungo in quella di Tommy Tomkins. Viene poi ingaggiato da Johnny Messner, da Bob Chester e da diversi altri, fino al 1944, anno in cui entra a far parte dei vari gruppi di Gene Krupa con il quale resta, salvo alcune parentesi, fino al 1958. Nei periodi in cui non suona con Krupa, Napoleon si esibisce come free-lance a New York in diversi locali della 52a Strada insieme all'orchestra di Sandy Williams. Dopo un preve periodo con la formazione di Tex Beneke, nel 1959 se ne va in Florida per mettere in piedi un proprio trio. Per un breve periodo suonato anche con musicisti di estrazione moderna, come Flip Phillips e Bill Harris . Tornato a New York all'inizio degli anni Sessanta attraversa un lungo periodo di inattività fino alla morte.
04 luglio, 2022
4 luglio 1982 - Ecco a voi i Butthole Surfers!
Il 4 luglio 1982 al Whiskey A-Go-Go di Hollywood si esibiscono per la prima volta i Butthole Surfers, una band formata a San Antonio, in Texas, dal cantante, chitarrista e sassofonista Gibby Haynes, dal chitarrista Paul Leary, dal batterista Paul Coffey, più noto con il nome d'arte di King Koffee e dall'altra batterista Teresa Taylor, che spesso e volentieri suona a dorso nudo. Intorno a loro di volta in volta si aggiungono nuovi componenti e anche qualcuno del nucleo, per così dire, fondante, talvolta se ne va e poi magari ritorna. Il loro debutto nel prestigioso locale avviene grazie all'intercessione di Bruce Licher dei Savage Republic, loro grande estimatore. L'esibizione non passa inosservata... Nasce così la leggenda di una delle band più amate della scena rock alternativa. Oltraggiosi fin dal nome, che in italiano può essere tradotto con "surfisti del buco del culo", giocano a denunciare lo squallore del sistema e della condizione umana ma il loro scopo non è la rivolta, bensì il godimento totale delle degradazioni. Dal punto di vista musicale rappresentano secondo molti il punto di incontro tra il blues di Captain Beefheart e i deliri dei Cramps. Molti sono gli artisti che nel corso degli anni a loro si sono ispirati. Per esempio i Marlene Kuntz prendono in prestito il termine Kuntz proprio dal titolo di un brano dei Butthole Surfers contenuto in Locust Abortion Technicians. I Red Hot Chili Peppers li citano nella strofa finale di Deep Kick nell'album One Hot Minute mentre Eddie Vedder nel primo concerto dei Pearl Jam indossa proprio una maglietta dei Butthole Surfers.
03 luglio, 2022
3 luglio 1946 - John Klemmer, arabeschi al sassofono
Il 3 luglio 1946 nasce a Chicago, nell'Illinois, il sassofonista John Klemmer. A poco più di dieci anni inizia a studiare il sassofono contralto e a partire dal 1960 segue i corsi di Stan Kenton. Dal 1962 al 1969 studiato sotto la guida di Joe Daley. Negli stessi anni suona con vari gruppi cimentandosi con tutti i generi dalla musica commerciale al jazz più sperimentale e d'avanguardia. Nel 1968 entra a far parte della big band di Don Ellis mettendosi in luce come solista e compositore-arrangiatore. Nel 1969 è uno dei primi strumentisti a misurarsi con l'idea della fusione tra jazz e rock, con l'album Blowin' Gold. Dal 1970 lasciato Ellis e legatosi contrattualmente all'Impulse, iniziato a dirige propri gruppi e a firmare dischi di notevole successo commerciale. Lavora poi anche come compositore di colonne sonore cinematografiche. Nel 1978 il suo album Arabesque entra nell'elenco dei 100 dischi più venduti negli Stati Uniti.
02 luglio, 2022
2 luglio 1946 - Dove sono finiti gli agenti dell'OVRA?
Dopo la sconfitta del fascismo e la Liberazione l’Ovra, la polizia segreta del regime, viene ufficialmente smantellata e le sue strutture sottoposte a procedimenti penali. Gran parte delle forze antifasciste chiede con forza che vengano resi pubblici tutti i nomi delle persone che hanno fatto parte dell’immensa rete spionistica stesa sul paese. Il 2 luglio 1946 viene pubblicata una lista ufficiale dei nominativi dei confidenti dell'Ovra redatta a cura di una apposita Commissione. Lungi dal sopire le polemiche la pubblicazione ne rinfocola di nuove. Da più parti la Commissione viene accusata di aver lavorato a proteggere parte della struttura della polizia segreta fascista. La lista, infatti, avrebbe contenuto inizialmente ben novecento nomi che poi grazie a una serie di successive cancellazioni si riduce a poco più di seicento. Che fine hanno fatto i trecento cancellati? Non si sa. Molti anni dopo alcuni storici sosterranno che parte della struttura dell’Ovra sarebbe stata riutilizzata in funzione anticomunista da alcuni servizi segreti occidentali, ma la verità è ancora lontana. Ogni ricerca cozza infatti contro la segretezza che sigilla la parte più corposa degli archivi italiani dell’epoca.
01 luglio, 2022
1° luglio 2004 - Se ne andava Marlon Brando
Il 1° luglio 2004 muore Marlon Brando, un attore che, parafrasando il titolo di un suo film, rappresenta il lato selvaggio del disagio giovanile dell’America degli anni Cinquanta, un periodo turbolento di passioni, euforie per il boom economico e paure per l’esplodere della guerra fredda. Sono anni esplosivi nei quali le giovani generazioni tentano di modificare l’assetto delle relazioni interpersonali e della società. Sono gli anni del primo rock’n’roll, della corsa sfrenata al consumismo, ma sono anche anni di un diffuso disagio esistenziale che colpisce proprio i giovani costretti a vivere compressi tra sogni, aspirazioni e la realtà di una società ancora chiusa e prigioniera di antiche gerarchie. Il mito di Marlon Brando nasce proprio in questo scenario ed è sostenuto da quelle generazioni che negli Stati Uniti vivono sospese tra lo shock della guerra e il nuovo benessere. I suoi personaggi rappresentano l’altro lato del paese da cartolina disegnato dai film di Frank Capra e finiscono per incrinare il simbolo stesso dell’autorappresentazione del mito americano, quell’American Way of Life che ha trovato la sua esaltazione proprio nel cinema. Tra gli attori che tentano di dare voce e anima sullo schermo a quel sentimento collettivo Marlon Brando è quello che colpisce di più. Più di James Dean il cui mito nasce soprattutto dalla drammatica fine e, soprattutto, più di Montgomery Clift meno incline di Marlon a recitare con il corpo. Con lui vanno in pezzi i canoni di recitazione che fino a quel periodo hanno caratterizzato gli standard produttivi hollywoodiani e l’eroe cessa di essere un monumento inattaccabile di buoni sentimenti e di grandi ideali per diventare una sorta di essere mutante in cui anche l’ambiguità è una componente del fascino. Marlon Brando nasce a Omaha, nel Nebraska, il 3 aprile 1924. Figlio dell’attrice Jocelyn Brando ha alle spalle un’infanzia difficile all’interno di una famiglia problematica caratterizzata da tensioni tra i genitori e dagli sbalzi d’umore della madre alcolizzata. Dopo aver terminato gli studi regolari presso l’Accademia Militare del Minnesota, nel 1943 se ne va a New York dove frequenta la Nuova Scuola per la Ricerca Sociale. Proprio a New York fa il suo debutto in teatro con una compagnia di Long Island. Proprio in questo periodo frequenta corsi di danza con Katharine Dunham e, soprattutto, le lezioni dell’Actors’ Studio. La sua prima apparizione sul grande schermo è del 1950 con "Uomini - Il mio corpo d’appartiene" (The Men) di Fred Zinnemann. Fin da questa prima pellicola Brando impone, con i suoi silenzi e il suo “metodo” di recitazione, la personalità scostante e brusca, tipica dei suoi personaggi e della sua psicologia. Il primo Oscar arriva di lì a poco con "Fronte del porto" diretto da Elia Kazan, suo maestro all’Actors’ Studio. Si tratta di un film noir con forti implicazioni sociali e morali che ottiene ben sei Oscar e, presentato alla Mostra di Venezia, vince il Leone d’argento. Il tema della devianza, della rottura dei meccanismi del consenso e dell’insicurezza che nasce dall’approccio tra mondi diversi sono presenti in un film come "Il selvaggio" di John Benedek. Quando, nel 1954, Marlon Brando appare sugli schermi di tutto il mondo nei panni del capo indiscusso di una banda di motociclisti compie un’operazione del tutto nuova e inaspettata. L’invasione di una piccola città di provincia da parte di una banda di motociclisti non è diversa dalle invasioni spaziali che nello stesso periodo dilagano sugli schermi americani, da "La cosa da un altro mondo" di Howard Hawks e Christian Niby fino alla straordinaria metafora raccontata da Don Siegel ne "L’invasione degli ultracorpi". La differenza è che l’alibi della diversità non c’è. I motociclisti non sono creature aliene ma elementi provenienti dallo stesso corpo sociale degli abitanti della cittadina. Sono americani con la A maiuscola. I temi che pongono, cioè lo scarto tra l’ordine della conservazione e il disordine dell’evoluzione, una diversa concezione dei rapporti interpersonali tra i sessi e tutte le questioni che suggono alla razionale pianificazione del controllo sociale non possono essere esorcizzati dal racconto di una guerra tra razze diverse. Le razze sono le stesse, sono le idee che cambiano e Marlon Brando è l’immagine di questo cambiamento. Nella notte degli Oscar del 28 marzo 1973 Marlon Brando rifiuta di ritirare la preziosa statuetta, vinta per la sua interpretazione nel film "Il Padrino e va a rendere omaggio agli indiani d’America in segno di solidarietà con le loro rivendicazioni. Son passati quasi vent’anni da Fronte del Porto ma Marlon Brando non è cambiato. Negli Stati Uniti squassati da una mobilitazione senza precedenti contro la guerra del Vietnam e per i diritti civili, il mito dei giovani degli anni Cinquanta decide di stare dalla parte delle nuove generazioni. Se nella prima parte della sua carriera l’identificazione con i giovani ribelli era basata sulla sua diversa interpretazione del ruolo dell’attore visto come un soggetto in grado di restituire un significato più complesso della semplice interpretazione di un ruolo, in questo caso la sua presa di posizione appare ancor più sincera perché slegata dalla sua carriera cinematografica. Con quel gesto manda un messaggio preciso: Marlon Brando è un ribelle nella vita prima ancora che sullo schermo. Le nuove generazioni, figlie dei suoi primi ammiratori, capiscono il messaggio e si riconoscono in lui, magari contro i padri e le madri che in gioventù si erano identificati con il motociclista del selvaggio. Dopo i fasti de "Il Padrino", che seguono l’incontro con un altro mito del cinema come Charlie Chaplin del quale interpreta in non eccezionale "La contessa di Hong Kong" e il grande successo de "Gli ammutinati del Bounty" in molti si dilettano a commentare un preteso crepuscolo dell’antico ribelle. Non cambia il giudizio dei liquidatori neppure il grande successo di "Ultimo tango a Parigi". Il film scandalo di Bertolucci viene infatti derubricato dalla maggior parte dei detrattori come una sorta di narcisistico canto del cigno da parte di un attore ormai alla frutta. Lui non si cura delle critiche, anzi ci gioca accettando brevi e pagatissimi camei come l’interpretazione del padre di Superman nell’omonimo film del 1976. Quando nessuno se l’aspetta il leone torna a ruggire in maniera in equivoca dalle giungle di un Vietnam tanto sanguinoso quanto assurdo con l’indimenticabile interpretazione di "Apocalypse now!". Il film di Coppola mostra un Brando ingrassato al punto da mettere in discussione la stessa corporeità del proprio mito. La sublimazione dell’antico ribelle è completata. Brando diventa un’icona astratta, essenziale come un ideogramma, di una grandezza che lui stesso ha preferito distruggere prima di diventarne prigioniero. Nonostante qualche memorabile interpretazioni, come quella del dottor Moreau nella pellicola di John Frankenheimer, l’attore simbolo della ribellione e del rifiuto non vuole dare altro. Muore a Los Angeles, in California, il 1° luglio 2004.
30 giugno, 2022
30 giugno 1936 – Tony Dallara, il caposcuola degli urlatori
Il 30 giugno 1936 nasce a Campobasso Antonio Lardera, destinato a diventare famoso con il nome di Tony Dallara. Figlio di Battista Lardera, un ex corista della Scala, cresce a Milano. Inizia a cantare nel 1954 con il nome d'arte di Tony Ellis nelle balere dell’hinterland del capoluogo lombardo dove viene notato dal discografico Walter Gurtler, che lo incoraggia a studiare musica e a migliorare il suo stile. Nell'ottobre del 1957 fa il suo debutto su etichetta Music e nel mese di gennaio del 1958 è già popolarissimo per una canzone destinata a restare nella storia della musica leggera italiana. Si intitola Come prima. È stata scritta da Vincenzo Di Paola, Alessandro Taccani e Mario Panzeri e tre anni prima è stata scartata dalla commissione esaminatrice dei brani per il Festival di Sanremo. Dallara l'interpreta nello stile terzinato dei Platters e vende in poche settimane più di 300 mila copie. Nel 1960 vince il Festival di Sanremo cantando, in coppia con Renato Rascel, Romantica un brano dello stesso Rascel. Nella stessa edizione presenta anche Noi, in coppia con Jula De Palma. Torna ancora sul palcoscenico sanremese nel 1961 con Un uomo vivo, in coppia con Gino Paoli e nel 1964 con Come potrei dimenticarti, insieme a Ben E. King. Dallara è uno dei protagonisti di un radicale cambiamento nella musica leggera italiana. Le sue interpretazioni scardinano l'ordine perfetto della melodia morbida e dei gorgheggi inventando uno stile che poi sarà stato ripreso da Mina e Celentano. Con lui nascono i cosiddetti "urlatori", cioè quei cantanti che si ribellano alla tradizione e che portano in Italia i nuovi ritmi legati al rock and roll. Personaggio tra i più popolari alla fine degli anni Cinquanta gira vari film musicale e vende milioni di dischi con brani come Ti dirò, Brivido blu, Julia, Ghiaccio bollente e Bambina bambina.
29 giugno, 2022
29 giugno 1959 – La Panhard PL17, nel nome la somma dei pregi
Il 29 giugno 1959 viene presentata alla stampa la nuova Panhard PL17. La sua storia è iniziata qualche anno prima. In casa Panhard la seconda metà degli anni Cinquanta inizia sotto il segno del rinnovamento anche per contrastare le voci su un’imminente crisi della casa automobilistica che si fanno sempre più insistenti. Già nei primi mesi successivi al lancio della Dyna Z, l’équipe di progettisti meccanici guidati dall’'ing. Delagarde e stilistici coordinarti da Louis Bionier inizia a lavorare al modello che dovrà sostituirla. A partire dal 1957 il progetto inizia a definirsi meglio. La sua sigla è V338. Viste le risorse limitate Bionier è costretto a rivedere le sue idee più innovative e a lavorare sulla struttura della Dyna trasformando in senso panoramico il parabrezza e il vetro posteriore, assottigliando i montanti del tetto che si fa anche più slanciato e inclinando maggiormente il cofano. Nel 1958 gli unici elementi rimasti della carrozzeria della Dyna Z sono la cassa e la cellula centrale. Il resto è nuovo. Quando la vettura è pronta c’è l’imbarazzo del nome. Inizialmente si pensa a Dyna Club, poi a Dyane e alla fine ci si orienta per un nome più corto e cifrato, come vuole la moda dell’epoca. Quale cifra scegliere? Semplice. Si sommano le cifre dei principali vantaggi della vettura e cioè, il consumo di 6 litri per 100 Km; i 6 posti di capienza consentiti dalle normative francesi, i 5 cavalli fiscali (in Francia) e il totale fa 17. Poi si aggiungono le lettere PL che richiamano il glorioso passato della casa quando le Panhard – Levassor dominavano gare e mercato. La nuova PL17 nasce nella primavera del 1959 e viene presentata alla stampa il 29 giugno, giorno di San Paolo, in omaggio a Paul Panhard. L’elemento curioso della vicenda è che nel giorno in cui fa la sua prima apparizione davanti alla stampa e alla clientela il nuovo modello dal punto di vista legale non esiste ancora, visto che la pratica per l’omologazione si conclude soltanto il mese dopo. Il prezzo di lancio è di 729.000 Franchi francesi per il modello base e 769.000 Franchi per la versione più ricca. Inizia così l’offensiva commerciale di Panhard destinata a lasciare di stucco tutti quelli che da tempo sostengono che la marca sia vicina all'estinzione. All'inizio della primavera del 1960 sulla vettura si operano con discrezione i primi cambiamenti. Tra i più importanti c’è l’inversione del senso di apertura delle porte anteriori e l’installazione di un indicatore di direzione sotto i fari anteriori. Come la Peugeot 403, la vettura che può considerarsi la sua diretta concorrente, anche la PL 17 viene prodotta in varie versioni. La più filante, quella che maggiormente fa sognare soprattutto i giovani francesi è proprio la Cabriolet. Nella primavera del 1961 la gamma si arricchisce di una versione economica che prende il nome di "Luxe" mentre il vecchio tipo "Luxe" cambia denominazione in "Grand Luxe". I punti d’eccellenza sono rappresentati dai modelli "Grand Standing" e "Tigre”. Nel 1962 la grande novità del 1962 è la PL 17 Relmax, con il quale Bionier affina il profilo della vettura ridandole un po’ di giovinezza. Le innovazioni danno nuova linfa alle vendite, anche se la storia della Panhard è arrivata agli sgoccioli. In più nel 1964 la Panhard mette in vendita la 24CT, un modello che di fatto fa concorrenza alla stessa PL17. Agli inizi del 1965 la casa automobilistica si fonde con la Citroën. La prima conseguenza della fusione è la decisione di cessare la produzione delle berline PL17 per evitare di avere in catalogo due vetture sostanzialmente concorrenti. L’ultima PL17 esce dalle catene di montaggio alla fine del mese di maggio.
28 giugno, 2022
28 giugno 1923 - Pete Candoli, la tromba dell’uomo dal braccio d’oro
Il 28 giugno 1923 nasce a Mishawaka nell’Indiana il trombettista Pete Candoli, registrato all’anagrafe con il nome di Walter Joseph Candoli. Fin da piccolo si dedica allo studio della musica imparando a suonare il contrabbasso e il corno francese. In seguito passa alla tromba e proprio come trombettista ottiene i suoi primi ingaggi: nel 1940 da Sonny Dunham, nel 1941 da Will Bradley, nel 1942 da Benny Goodman e da Ray McKinley, nel 1943 e fino agli inizi del 1944 da Tommy Dorsey. Tra il 1944 e il 1946 è con Freddie Slack, Alvino Rey, Charlie Barnet, Teddy Powell, Woody Herman e si specializza nel ruolo di high note blower. Nel 1947 suona con Boyd Raeburn e nello stesso anno accetta una scrittura da parte dell'orchestra di Tex Beneke con cui resta fino al 1948. Successivamente passa con Jerry Gray e poi si trasferisce in California dove lavora come free-lance. Suona occasionalmente con Les Brown, Stan Kenton e Peggy Lee e tra il 1954 e il 1955 dirige una propria formazione. Negli anni Sessanta partecipa a lavori vari e a sedute d'incisione e nella decade successiva è nell'orchestra di Griffin che si esibisce in show televisivi. Sposato all’attrice Edie Adams appare anche nel film “L'uomo dal braccio d'oro”. Muore di cancro alla prostata l’11 gennaio 2008 a Studio City, in California.
27 giugno, 2022
27 giugno 2008 - Quando Bill Gates lasciò Microsoft per occuparsi del mali del mondo
Venerdì 27 giugno 2008, tenendo fede a quanto annunciato due anni prima Bill Gates lascia la guida di Microsoft per dedicarsi a tempo pieno alla Bill & Melida Gates Foundation, un'organizzazione benefica che ha lo scopo esplicito di occuparsi del "mali del mondo". Da lunedì 30 giugno le redini del suo impero passano a Steve Ballmer, l'amministratore delegato intenzionato a accettare la sfida del cambiamento e della concorrenza di nuovi agguerriti competitori, Google in soprattutto. Bill Gates, il geniale sperimentatore che ha lasciato l'università di Harvard nel 1975 per iniziare un'avventura destinata a cambiare il mondo dell'informatica e della tecnologia, se ne va senza troppi rimpianti pur mantenendo formalmente la carica di presidente non esecutivo della società. Interpellato dai giornalisti di tutto il mondo si è detto molto soddisfatto della scelta compiuta e di non avere alcuna intenzione di ripensarci: «Il mio non è un sacrificio ma una scelta di vita. Sto facendo una cosa suggeritami da mia madre e che è molto divertente».
26 giugno, 2022
26 giugno 1956 - Clifford Brown muore mentre va ad acquistare una tromba
Il 26 giugno 1956 muore il trombettista Clifford Brown. Nato a Wilmington, nel Delaware, il 10 ottobre 1930 entra in possesso della prima tromba nel 1945 quando il padre gliene regala una in occasione della iscrizione alla high school. È Robert Lowery, un musicista che organizza manifestazioni jazzistiche a Wilmington, il suo primo maestro. Nel 1948 ottiene alcuni ingaggi a Philadelphia, dove ha occasione di incontrare e suonare assieme a Miles Davis e Fats Navarro. Nel 1949 suona quasi per caso nella big band di Dizzy Gillespie, sostituendo il ritardatario Benny Harris. Brown si diploma in matematica al Delaware State College, ottenendo una borsa di studio per il Maryland State College dove suona nell'orchestra locale, composta da circa quindicielementi per i quali compone e arrangia molti brani. Newllo stesso periodo a Philadelphia incontra Jay Jay Johnson, Kenny Dorham ed Ernie Henry. Il 21 marzo 1952, per la etichetta discografica Okeh, incide i primi brani con il gruppo rhythm & blues Chris Powell and his Blue Flames, guidato dal cantante e percussionista Chris Powell. Nell'estate del 1953, dopo una breve presenza nell’orchestra del sassofonista Jimmy Heath, viene ingaggiato dal pianista e arrangiatore Tadd Dameron. Nel 1953 entra a far parte della formazione del vibrafonista Lionel Hampton che hgli fornisce l’occasione per registrare vari dischi con musicisti europei. Al rientro negli Stati Uniti suona con Art Blakey. Nella primavera del 1954 inizia quello che è considerato il periodo migliore della sua straordinaria e breve parabola artistica con la collaborazione con Max Roach, il più grande batterista del be bop e, forse, della intera storia della musica improvvisata. L'esordio avviene al Tiffany Club di Hollywood. In quell’anno suona anche al fianco di Sarah Vaughan ed Helen Merrill. Proprio nel momento migliore della sua carriera il 26 giugno 1956 mentre sta viaggiando verso Elkhart, in Indiana, per acquistare una nuova tromba, Clifford Brown muore, assieme a Richie Powell e sua moglie Nancy, in un incidente stradale sulla Pennsylvania Turnpike. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile nella musica improvvisata.
25 giugno, 2022
25 giugno 2002 - L'Art Ensemble of Chicago è vivo!
Il 25 giugno 2002 l'Art Ensemble Of Chicago suona a Villa Ada in Roma. «L’Art Ensemble Of Chicago è vivo! Lester non avrebbe voluto che finisse, né lo vogliamo noi: e quindi l’Art Ensemble non è per niente finito», con queste parole Roscoe Mitchell ha assunto in prima persona nel 1999, dopo la morte del carismatico leader Lester Bowie, l'impegno di continuare l'attività di uno dei gruppi più significativi della scena musicale mondiale degli ultimi trent'anni. C'è chi ha detto che senza il loro lavoro gran parte della musica afroamericana di oggi non esisterebbe. Forse è un'esagerazione, ma è certo grandissimo il debito che non soltanto il jazz ha con questo gruppo nato alla metà degli anni Sessanta dall’esperienza dell’AACM (Association for the Advancement of the Creative Musicians), creata da Muhal Richards Abrams, con lo scopo preciso ed esplicito di valorizzare la tradizione afroamericana e di favorire la nascita di una musica nuova. Martedì 25 giugno saranno proprio loro i protagonisti nella serata d'apertura delle attività estive di Villa Ada che Il Manifesto ha voluto dedicare al ricordo di Lester Bowie. Dopo quattro anni d'assenza ritornano così a Roma i tre sopravvissuti della formazione originale, il già citato sassofonista Roscoe Mitchell, il contrabbassista e percussionista Malachi Favors e il batterista Don Moye. Non sono soli perché il tributo, ricco e intenso, si apre con i suoni, i ritmi e i colori mediterranei dei Pantarei, che presentano anche brani del loro nuovissimo album Tremalaterra. Poi tocca a una lunga serie una serie di artisti, tutti italiani, se si eccettua il chitarrista africano Baba Sissoko, e legati tra loro dal comune denominatore dell’aver collaborato, in epoche diverse, con Lester Bowie. Oltre al già citato Sissoko, ci sono il fisarmonicista Antonello Salis, il contrabbassista Riccardo Lay, i sassofonisti Sandro Satta e Marco Zurzolo, nonché il trombettista Claudio Corvini. Con loro interagirascono anche alcuni componenti dell'Art Ensemble Of Chicago, destinati a diventare i protagonisti assoluti nella terza parte della serata.
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