25 luglio, 2022

25 luglio 1890 – Gabré, un "minimalista" di grande carisma

Il 25 luglio 1890 a Villa S. Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, nasce Aurelio Cimato, in arte Gabré, anche se non mancano biografi che anticipano al 1888 l'anno di nascita. Come accade per suo fratello Michele, in arte Miscel, gran parte della sua vita è sconosciuto per la necessità di sfuggire alle ire e alle possibili ritorsioni della famiglia da cui i due ragazzi fuggono giovanissimi per tentare la carriera artistica e con la quale non si riconciliano mai più. Il suo debutto nel mondo dello spettacolo avviene il 19 aprile 1913 al teatro Maffei di Torino e l’anno dopo è tra gli artisti scelti per la Piedigrotta "Poliphon". Il suo periodo "napoletano" tocca l'apice alla fine del decennio quando interpreta canzoni come Napule! scritta appositamente per lui da Murolo e Tagliaferri, autori anche della successiva Piscatore 'e Pussileco, e Brinneso firmata da Bovio e Valente nel 1922 e interpretata per la prima volta in pubblico dal grande Gennaro Pasquariello. Alla fine degli anni Venti diventa uno degli interpreti più popolari della canzone cosiddetta "realista". In molti scrivono per lui ma la maggior parte dei suoi successi nasce dalla geniale creatività di Cesare Andrea Bixio e di Bixo Cherubini. Nel 1928 viene scritturato dalla prestigiosa etichetta Parlophon, succursale italiana dell'inglese Parlophone, il cui nome perde le "e" finale per esigenze di "italianizzazione". Nonostante il grande successo non riuscirà mai a entrare nel ristretto gruppo di cantanti scritturati dall'EIAR, l'ente radiofonico nato in quel periodo. Interprete raffinato si fa particolarmente apprezzare per il garbo e la misura delle sue esibizioni dal vivo. Muore a Prato nel mese di marzo del 1946. Alla vigilia degli anni Venti, quando Gabré con la sua voce da tenore leggero comincia a muovere i primi passi sul palcoscenico, nel mondo della canzone i "tenorini" abbondano. Non tutti sono fenomeni, anzi, per molti di loro la canzone rappresenta un ripiego dopo aver tentato senza successo di sfondare nella lirica, ma l'eccessivo affollamento rende difficilissima la vita agli ultimi arrivati. Per emergere bisogna essere dotati di qualità molto superiori alla media oltre che di una tempra da lottatore. In pochissimi riescono a lasciare un segno destinato a durare nel tempo. Gabré è uno di loro. Abile navigatore tra i generi passa senza troppi problemi dalle canzoni del varietà al repertorio napoletano alle nuove aperture nei confronti dei ritmi arrivati dall'altra parte dell'oltreoceano grazie alle orchestre che suonano sui transatlantici. Riesce a percorrere una strada personalissima in un periodo delicato e ricco di contraddizioni nel quale le languide e peccaminose canzoni del "tabarin" stanno per essere soppiantate nel gusto del pubblico dalla robusta retorica della canzone cosiddetta "realistica", più gradita al regime fascista. La sua è un'adesione artistica, non "ideologica". Il suo rapporto con il regime è di contiguità occasionale più che di convinta complicità, tanto è vero che non rinuncia a qualche divagazione in chiave swing alla fine degli anni Venti nonostante il genere inizi a essere mal tollerato dalla censura. Il suo rapporto con quel tipo di canzone si esaurisce per stanchezza, perché non ne può più di raccontare storie di vizi e perdizione e prova più soddisfazione a misurarsi con brani più vicini ai veri sentimenti della gente. Le sue canzoni e anche il suo modo di proporsi al pubblico, gentile, garbato ed elegante, fanno di lui uno dei primi "minimalisti" della storia della canzone italiana.


24 luglio, 2022

24 luglio 1925 - Nino Nipote, una stella della musica napoletana

Il 24 luglio 1925, nasce a Napoli il cantante Nino Nipote. Tipico interprete delle melodie napoletane nel 1951 viene scritturato dalla radio dove canta con le orchestre di Luigi Vinci, Giuseppe Anepeta, Luigi Avitabile e Nello Segurini. Partecipa a due edizioni del Festival di Napoli: nel 1954 con Canta cu me e Che d'è ll'ammore e nel 1957 con Tutto me parla 'e te e Passiggiatella. Si ritira dalle scene nel 1961. Tra le sue canzoni sono da ricordare anche Nisciuno, Guaglione ‘e pianino e ‘A Luciana. Muore a Napoli il 4 marzo 1997.


23 luglio, 2022

23 luglio 1922 - Damiano Damiani, il più americano dei registi italiani

Il 23 luglio 1922 a Pasiano di Pordenone nasce il regista Damiano Damiani, per lungo tempo soprannominato “il più americano dei registi italiani” per la sua sicurezza nel trattare la macchina da presa, per la sinteticità del modulo narrativo e per la capacità di rendere comprensibili anche concetti di una notevole complessità. Negli anni Sessanta con Pasolini, Bertolucci, Rosi e Petri è considerato uno dei profeti del nuovo cinema italiano d’impegno sociale. Dalla sua parte ha anche l’insofferenza per gli schemi e la capacità di non farsi catturare. Nella sua lunga vita artistica attraversa gran parte dei generi del cinema popolare utilizzandone le strutture e i codici per comunicare concetti a volte complessi con un linguaggio comprensibile. Scrittore, attore, sceneggiatore solo nel 1960 quando ha quasi quarant’anni dirige il suo primo film, "Il rossetto". Considerato uno dei grandi registi italiani d’impegno civile negli anni Sessanta e Settanta si sperimenta su piani e con generi molto diversi tra loro. Tra i successi di quegli anni ci sono la trasposizione cinematografica di successi letterari come "L'isola di Arturo" di Elsa Morante, "La noia" e "Una ragazza piuttosto complicata" di Moravia, "La strega in amore" di Carlos Fuentes o "Il giorno della civetta" di Sciascia, il western "Quien sabe?", film di denuncia come "La moglie più bella", "L'istruttoria è chiusa: dimentichi", "Confessioni di un Commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica" e anche ricostruzioni storiche come "Girolimoni, il mostro di Roma". In questo suo girovagare Damiani oltre ai consensi della critica ottiene anche grandi successi commerciali. Gioca anche con l'horror con "Amityville Possession" un film del 1982 che precede il suo ritorno all’impegno e alla denuncia con "Pizza Connection" del 1984, l’anno in cui realizza la prima serie de "La piovra", la fiction di mafia per la televisione destinata a tenere incollati allo schermo per anni i telespettatori. A partire dagli anni Novanta la sua attività alterna film come "Gioco al massacro", "L'angelo con la pistola" e "Generations des fleurs" si alternano a fiction televisive come "Ama il tuo nemico". È morto a Roma il 7 marzo 2013.


22 luglio, 2022

22 luglio 1926 - Un Metallo al sassofono

Il 22 luglio 1926 nasce a Salerno il sassofonista Carlo Metallo. In giovane età studia privatamente armonia e composizione e impara a suonare il sassofono tenore e il clarinetto per passare più tardi al sassofono baritono. A 22 anni abbandona gli studi universitari per diventare musicista a tempo pieno. All'inizio del 1950 suona per qualche mese con Nunzio Rotondo; nel 1955 è in una formazione ellingtoniana diretta da Luciano Fineschi e poi nella Junior Dixieland Gang collaborando alla costituzione della Modern Jazz Gang nella quale svolge anche la funzione di compositore e arrangiatore per oltre quattro anni, insieme a Brugnolini, Santucci, Scoppa, Collatina. Con questa formazione prende parte ai festival di St. Vincent nel 1960 e di Sanremo nel 1961, a una enorme serie di concerti e alla Coppa del Jazz che vede la MJG classificarsi quarta su ben settantatrè formazioni. Nello stesso periodo suona anche in quintetto con Santucci insieme al quale si esibisce al festival del jazz di Fregene. Nel 1968 è nella Swingin' Dance Band di Marcello Rosa che suona anche con Lionel Hampton. Partecipa a concerti con formazioni d'avanguardia, dirette da Giancarlo Gazzani e Giancarlo Schiaffini e dal 1976 è assunto stabilmente nell'orchestra di Ritmi Moderni della RAI. Proprio con questa formazione ha occasione si suonare con personaggi come Gil Evans, Archie Shepp, Albert Mangelsdorff, Von Schlippenbach, John Tchicai, Steve Lacy, Tony Scott. Partecipa anche all'esperienza dei Saxes Machine di Bruno Biriaco.


21 luglio, 2022

21 luglio 1920 - Constance Dowling, verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Il 21 luglio 1920 (secondo alcune fonti il 24 luglio) nasce a New York Constance Dowling, la donna che, secondo alcuni cronisti dell’epoca, è stata la causa scatenante della tempesta interiore che ha portato Cesare Pavese alla morte. Comincia a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo come prima modella e poi come cantante e ballerina e nel 1943 viene scritturata dalla Metro Goldwin Mayer. Se ne va quindi a Hollywood e l’anno dopo fa il suo debutto su grande schermo nel film “Così vinsi la guerra” al fianco di Danny Kaye. Nei primi anni del dopoguerra come molti protagonisti dello star system statunitense si trasferisce a Roma dove gira una serie di lungometraggi di buon successo. Ci resta fino all’inizio del 1950 quando torna a Hollywood per girare un film di fantascienza. È una donna decisamente bella, anche se di una bellezza particolare, con il viso cosparso da efelidi rosse e uno sguardo profondo che, nelle foto, appare più da ragazza timida e un po’ sfuggente che da sensuale seduttrice. Cesare Pavese si innamora perdutamente di lei e ne viene ricambiato anche se, forse, non con la stessa intensità. Quando se ne va le dedica dieci poesie, otto in italiano e due in inglese, che verranno trovate dopo la morte dello scrittore chiuse nel cassetto della sua scrivania negli uffici della casa editrice Einaudi. Sono dattiloscritte, ma la data e il titolo di ciascuna sono stati annotati a mano da Pavese che ha anche scritto sul frontespizio “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi/11 marzo – 11 aprile 1950”. Il destino non sarà poi così generoso neppure con lei. Constance Dowling infatti dopo aver lasciato le scene per sposare il produttore Ivan Tors morirà a Los Angeles il 28 ottobre 1969 a soli quarantanove anni.

20 luglio, 2022

20 luglio 2002 - Il treno fantasma della Ferrovia dell'Allume

Il 20 luglio 2002 un treno fantasma si aggira nella notte. Dal tramonto all’alba del 21 luglio, infatti, tra le stazioni di Civitella Cesi e Monteromano di quella che dal 1928 al 1961 è stata la ferrovia Capranica – Civitavecchia, si danno appuntamento poeti, viandanti, lettori, danzatori e musicisti. Il progetto, che prende il nome di "Ferrovia dell'Allume", è stato pensato dalla band dei Têtes de Bois e fa rivivere, per una notte l'antica ferrovia dei minatori di allume, costruita all’inizio del ‘900 con ben undici gallerie scavate a mano e oggi abbandonata. Inaugurata nel 1928 trasportava uomini e merci per le cave di allume della Tolfa. Quando, negli anni Quaranta l'attività estrattiva cessò, il treno a vapore continuò a percorrere la strada ferrata, ma la sua corsa si fermò nel 1961, travolta da una frana, per non riprendere più. Il 20 luglio 2002 il treno si rimette in moto in una notte di incroci e di casualità, di apparizioni e suggestioni. Gli strumenti e le voci si mettono in cammino tra due stazioni: quella di Civitella Cesi, e quella di Monteromano sulle rive del fiume Mignone. La striscia di ghiaia dove un tempo correvano i treni torna a raccontare storie di fatica e di lavoro, ma anche passioni, speranze e progetti. I piedi dei nuovi viandanti accompagnano gli artisti in questo viaggio notturno dove le ombre e le impronte dei piedi nella polvere prendono gli spazi delle traversine della ferrovia. Si inizia alle 19 del 20 luglio alla Stazioncina Liberty di Civitella Tesi con una festa campestre destinata a preparare i viandanti alla lunga notte. Il compito di ritemprare lo spirito è affidato alla banda di organetti di Ambrogio Sparagna, quello, più semplice, di rinfrancare il corpo, alla distribuzione di vino formaggi e focacce. Un'ora dopo ci si incammina lungo il tracciato della ferrovia verso la stazione di Monteromano, tutti insieme, pubblico e artisti, accompagnati dalla lettura di “Se una notte di inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. La prima tappa, un po' a sorpresa, è prevista quando ancora la luce del giorno non ha lasciato completamente il posto alla luna piena di luglio in una larga e accogliente conca naturale dove qualcuno aspetta i viaggiatori… Poi si riprende il cammino entrando in galleria. Qui tra suoni, rumori, immagini sulle volte di tufo, il treno fantasma arriva davvero. La notte, però, è ancora lunga e c'è tempo di riposarsi, riflettere e danzare accompagnati dai percussionisti e dal gruppo di danza africana di Paola Peloso, cui s'aggiungono le percussioni di Ruggero Artale. Quando l'ultima danza s'esaurisce il cammino è soltanto a metà perché c'è ancora il viaggio di ritorno, da compiere tra interventi estemporanei e la prosecuzione della lettura del romanzo di Calvino. Poco prima dell’alba la carovana dei viaggiatori, ormai rodata dalla lunga notte, raggiunge il punto di partenza, cioè la stazione di Civitella Cesi, sulla cui antica facciata scorrono le immagini de “L’avventura di un soldato” dal film a episodi “L’amore difficile” e ispirato al libro di Italo Calvino che viandanti e lettori stanno ultimando. All’alba i sogni della notte sfumano, come le immagini del film, con l'arrivo della luce del sole. È quello il momento dell'ultima, lunga e gioiosa esplosione della musica con, oltre ai Têtes de Bois, ideatori dell'iniziativa e padroni di casa, Pinomarino, la Banda dei Falsari, Peppe Servillo e Mario Tronco degli Avion Travel.

19 luglio, 2022

19 luglio 1896 - Eddie Morris, il trombone di Algiers

Il 19 luglio 1896 nasce ad Algiers, in Louisiana, il trombonista Eddie Morris. Comincia a suonare il trombone quando ha 19 anni prendendo a modello Vic Gaspard, uno dei più quotati trombonisti di New Orleans, e conquistandosi rapidamente una buona reputazione. Nel 1920 viene chiamato da Punch Miller a rimpiazzare Jack Carey, considerato efficace ma troppo grezzo. Proprio nel lungo periodo passato con la jazz band di Miller diventa popolarissimo. Dopo lo scioglimento della formazione si aggrega alla jazz band di Kid Rena e, successivamente, a quella di Buddy Petit fino al momento della prematura morte del grande cornettista. Negli anni Trenta lavora con la W.P.A. Band. Nel dopoguerra forma gli Eddie Morris Serenaders e negli anni Cinquanta suona con la Gibson Brass Band. Quando nel 1956 Punch Miller ritorna a New Orleans, Eddie Morris si unisce al vecchio leader cui è legato da profonda amicizia. Samuel Charters così scrive di lui: «...il più sensibile e raffinato trombonista di New Orleans ed è un vero peccato che non abbia potuto registrare dischi nei suoi anni d'oro...». Muore nel 1987.

18 luglio, 2022

18 luglio 1917 - Henri Salvador, lo chansonnier che arriva dal jazz

Il 18 luglio 1917 a Caienna, nella Guyana Francese, nasce Henri Salvador. «Sono nato ieri, vivo oggi e morirò domani. Niente è più semplice da capire della vita». Con questa battuta presa in prestito da un proverbio polinesiano nel corso della sua carriera risponderà alle domande troppo complesse sulla sua vita. Del resto sono anni che i cronisti lo tormentano con quesiti un po’ banali sulla sua straordinaria longevità.. La sua carriera attraversa la canzone europea per più di sessant’anni. Comincia con Duke Ellington e Cole Porter e nei primi anni del nuovo millennio torna al vertice delle classifiche di vendita con un disco che fa gridare al miracolo la Francia intera e gran parte degli appassionati di musica del mondo. In quell’occasione si è parlato di un inaspettato ritorno sulle scene ma in realtà Henri Salvador non se n’era mai andato. Il palcoscenico è da sempre la ragione della sua vita, una personale macchina del tempo, una sorta di specchio magico dal quale attinge l’energia necessaria a continuare. Le muse delle arti gli sono amiche, quasi sorelle. Nella sua lunghissima carriera è stato cantante, chitarrista, comico, accanito giocatore di bocce, pugile coriaceo e showman accattivante. Nata dal jazz la sua leggenda si è via via alimentata di storie, amicizie e incontri. Le sue collaborazioni e il reticolo delle sue relazioni sono una mappa preziosa per chi vuole esplorare la musica leggera del Novecento, i generi che l’hanno caratterizzata e le sue grandi passioni. La vita di Henri Salvador diventa quasi una bussola per chi si avventuri nell’impresa. È stato all'Ed Sullivan Show, ha vissuto le folli notti del jazz manouche con Django Reinhardt, si è inventato interprete di rock and roll, ha lavorato per Walt Disney, dà del tu a gente come Quincy Jones e Caetano Veloso, e ha diviso la strada con artisti come Michael Petrucciani ed Eddie Louis. Tra le amicizie più intense ci sono quella con Jacques Brel, con il quale affronta anche un leggendario viaggio alle Isole Marchesi, e soprattutto con Boris Vian, incontrato nel 1957 e mai più cancellato dagli affetti. Henri Salvador nasce il 18 luglio 1917 nella Guyana Francese. Sul luogo di nascita ci sono ipotesi divergenti. Per alcuni è nato a Caienna, la leggendaria Cayenne terrore dei deportati, per altri in una casa di Rue de la Liberté nella vicina città di Sinnamary. Suo padre, un guadalupano d’origine spagnola che fa l’esattore per conto del governo francese, sogna un avvenire splendido per i figli (oltre a Henri ci sono anche André e Alice). Per questo nel 1924 se ne va a Parigi con tutta la famiglia. Henri ha sette anni e il destino segnato, almeno secondo il genitore: «Tu farai il medico o l’avvocato». Lui abbozza, ma ha l’impressione che nelle strade, nei locali, nei teatri e nelle notti della ville lumiére sia nascosto un avvenire diverso da quello che ha in mente papà. Proprio le strade della capitale con i loro personaggi pittoreschi, attori, musicisti, cantanti e clown diventano la sua scuola. Qui costruisce pian piano il suo personaggio eclettico e nel 1933, a sedici anni, scopre il jazz ascoltando i dischi di Louis Armstrong e Duke Ellington. È amore a prima vista. Compera una chitarra e inizia a imparare da solo a suonarla. Tecnicamente non è un fenomeno ma la passione supplisce alle carenze e il primo ingaggio gli arriva dall’orchestra di Paul Raiss. Forma poi un quartetto jazz con suo fratello André che lo supporta alla chitarra, il pianista Marcel Mazelin e un ormai dimenticato batterista che di nome faceva Martin. I quattro suonano in occasione dell’apertura del Jimmy’s Bar e si fanno voler bene subito dal pubblico affascinato dal contrasto tra la gestualità e la mimica esagerate di Henri e la sua voce calda e teneramente malinconica. In quella serata si capisce che non sarà né medico né avvocato. Nel 1936 Henri conosce Eddy South che gli svela i segreti del blues e della musica afroamericana. La musica e gli spettacoli non si interrompono neppure quando, nel 1937, viene chiamato a prestare il servizio di leva nell’Armée, l’esercito francese. Acquartierato a Parigi continua a fare la vita di prima. Trascrive a orecchio le musiche di Duke Ellington e di Cole Porter e poi va al Jimmy’s Bar a suonarle con gente sveglia che sta cambiando anche il jazz come Django Reinhardt. Sono anni di grandi emozioni ma anche di terribili paure. All’orizzonte della Francia e dell’Europa si stanno addensando nuvole nere foriere di tempesta. La seconda guerra mondiale è alle porte e le armate hitleriane arrivano a Parigi. Viste le idee dei nazisti in materia razziale per un uomo dalla pelle nera, anche se è un artista, non sono tempi da vivere spensieratamente. Henri Salvador riesce a fare carte false e ad andare prima nella “zona libera” della Costa Azzurra dove si unisce all’orchestra di Bernard Hilda. Vista l’aria che tira, però, preferisce accettare la proposta d’ingaggio di Ray Ventura, il direttore di una delle grandi orchestre swing del periodo, che lo vuole con sé in una lunghissima tournée americana. È l’inizio della sua popolarità internazionale. Le sue esibizioni a base di musica, mimica, parole, gag e canzoni conquistano il cuore del pubblico d’oltreoceano. Con la Liberazione torna in Francia da trionfatore. Sono gli anni della bossa-nova, del successo di brani come Clopin clopant, La jalousie e tanti altri. Sono gli anni dell’amicizia e della collaborazione con Boris Vian che segnano il suo definitivo passaggio tra gli chansonnier. È anche il periodo dell’incontro con l’amore della sua vita, Jacqueline Garabedian, sposata il 24 gennaio 1950 e mai più abbandonata per il resto della vita. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando l’arrivo del rock and roll spiazza l’ambiente della canzone francese Henri Salvador se la ride sotto i baffi registrando con lo pseudonimo di Henry Cording & his original Rock and Roll Boys un disco con brani scritti da Boris Vian e Michel Legrand. È il 1956 e siccome al di là del personale divertimento, pensa che il rock and roll sia soltanto «…un jazz suonato male…», giusto per marcare la differenza torna alla chitarra jazz e registra il disco Salvador plays the blues. La televisione porta in tutte le case la carismatica presenza scenica. Se l’occhio implacabile della telecamera segna per altri artisti della sua generazione l’inizio del declino, per lui è un’occasione di dare nuova vita al personaggio. Sul piccolo schermo può dare fondo allo straordinario collage di esperienze diverse che ha concorso alla sua formazione artistica. Per esempio la maschera televisiva che strabuzza gli occhi facendo sberleffi alla telecamera nasce dagli insegnamenti dei pagliacci del circo e in particolare del Clown Rhum. La sua faccia di gomma e la sua voce da crooner conquistano anche un pubblico difficile come quello italiano quando nel 1961 vengono ospitate dalla Rai nel varietà “Giardino d'inverno” e Remigio Paone, uno dei grandi impresari dell’epoca, lo scrittura per un tour con Wanda Osiris e il quasi debuttante Nino Manfredi. Gli anni Settanta iniziano sotto una buona stella con il successo del secondo album dedicato a Boris Vian e la collaborazione alla colonna sonora di vari film d’animazione di Walt Disney, ma a partire dal 1976 la vita sembra presentargli il conto con la morte dell’amata moglie Jacqueline. Henri si chiude in se stesso. Diminuisce l’attività fino a fa pensare che abbia tolto il disturbo in silenzio. Abbassa le luci del palcoscenico ma non stacca la spina. Lo sanno bene gli amici più cari come il pianista jazz Michel Petrucciani che negli anni Ottanta lo coinvolge in una indimenticabile jam session o il brasiliano Caetano Veloso gli rende omaggio rivisitando la sua ballata Dans mon île. La rinascita vera arriva però con il 2000 quando la sua voce festeggia il nuovo millennio ritornando a volare con Chambre avec vue, un album di canzoni inedite che scala le classifiche di mezzo mondo. Ha ottantrè anni. L’età giusta per ricominciare. Il tempo però non gli è alleato. Muore il 13 febbraio 2008 a Parigi.


17 luglio, 2022

17 luglio 1994 - Per l'Italia ai mondiali USA una sconfitta di rigore

Il 17 luglio 1994 è in programma la finale del campionato mondiale di calcio. Gli Stati Uniti, uno dei pochi paesi al mondo in cui il calcio non ai vertici della popolarità, sono gli organizzatori del campionato mondiale di quell'anno che dura un mese, dal 17 giugno al 17 luglio. Gli italiani esordiscono con una sconfitta con l’Eire, ma si riscattano prontamente contro la Norvegia. Il pareggio con il Messico basta a passare il turno, ma gli azzurri rischiano grosso negli ottavi con la Nigeria, una delle rivelazioni del torneo, che si arrende soltanto nei supplementari. Sconfitta la Spagna nei quarti per 2 a 1, l’Italia vince a New York la semifinale contro la Bulgaria, segnando subito due gol con Roberto Baggio e sfiorando la marcatura in numerose altre occasioni, prima di subire un gol su rigore da Stoichkov. Los Angeles ospita la finale tra Italia e Brasile, una partita molto equilibrata, nella quale le due formazioni mostrano di temersi reciprocamente. Lo 0 a 0 dei tempi regolamentari non si sblocca neanche nei supplementari e per la prima volta l’assegnazione del titolo mondiale viene affidata ai calci di rigore. Gli errori di Baresi, Massaro e Roberto Baggio regalano al Brasile il suo terzo titolo mondiale.

16 luglio, 2022

16 luglio 1924 - Guy Longnon, una tromba parigina

Il 16 luglio 1924 nasce a Parigi il trombettista Guy Longnon. Di formazione classica, studia violoncello e composizione con Demarquez, poi la tromba con Jean Greffin. Debutta nel jazz suonando con i piccoli gruppi che fioriscono a Parigi nella frenesia successiva alla Liberazione. Tra i più importanti ai quali presta la tromba ci sono quelli di Claude Bolling e Claude Abadie. Negli anni Cinquanta fa parte dell'orchestra diretta da Jean-Claude Fohrenbach al Club Saint-Germain che accoglie musicisti statunitensi di passaggio. Suona così con Roy Eldridge, Coleman Hawkins, Don Byas e molti altri. Entra poi a far parte dell'orchestra di Claude Luter. Fino al 1955 ha più volte l'occasione di accompagnare Sidney Bechet e di partecipare alla registrazione di numerosi dischi. Suona anche con le orchestre di Andre Reweliotty, André Persiany, Guy Lafitte e Michel Attenoux. Lavora anche in sala di registrazione con Milton Mezzrow. Nel 1958 decide di ritirarsi ma negli anni successivi ci ripensa e torna alla musica dopo un periodo di riflessione per dedicarsi all'insegnamento. Muore il 1° febbraio 2014.


15 luglio, 2022

15 luglio 1932 - Giuseppe Ferrara, regista d'impegno sociale

Il 15 luglio 1932 a Castelfiorentino, in Toscana, nasce Giuseppe Ferrara. Dopo essersi laureato in Lettere all'Università Firenze con una tesi in storia del cinema di cui è stato relatore Roberto Longhi., inizia a lavorare come giornalista cinematografico nel 1952. Nel 1959 si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma ed esordisce dietro la macchina da presa nel 1963 dirigendo uno degli episodi de "I misteri di Roma", il film ideato e coordinato da Cesare Zavattini. Regista di impegno sociale nel 1970 ottiene grandi riconoscimenti di critica per "Il sasso in bocca", un coraggioso film contro la mafia. Seguono una lunga serie di pellicole tra le quali spiccano "Faccia di spia" del 1974, "Panagulis zei" del 1980, "Cento giorni a Palermo" del 1984, "Il caso Moro (I giorni dell'ira)" del 1986, "Giovanni Falcone" del 1993, "Segreto di Stato" del 1995, "I banchieri di Dio" nel 2002 e "Guido che sfidò le BR" nel 2007. Muore a Roma il 25 giugno 2016.

14 luglio, 2022

14 luglio 1993 - Leo Ferré, il libertario di Saint-Germain-des-Près

Il 14 luglio 1993 muore Léo Ferré. Ci sono canzoni che vien voglia di coltivare come i fiori, per evitare che appassiscano, che finiscano perse tra gli altri nello scaffale dei ricordi. Riscoprirle e riproporle fa bene alla musica, ma soprattutto, fa bene a un mondo che sembra avere sempre meno tempo per i sentimenti, le emozioni e le passioni forti. A questa categoria appartengono i brani di Léo Ferré, anarchico chansonnier dell’anima e della passione, capace di passare dalla poesia all’invettiva senza perdere in eleganza che alla sua scomparsa ci ha lasciato un patrimonio incredibile di opere. L’eredità che lascia al mondo non è composta solo da canzoni, ma da una lunga e corposa serie di poesie, sinfonie, articoli, saggi, romanzi e frutto di costanti e curiose incursioni negli anfratti più diversi della musica e della letteratura. Léo Ferré nasce il 24 agosto 1916 nel Principato di Monaco da una famiglia benestante che quando lui ha nove anni lo invia a Bordighera in un collegio cattolico dove resterà “rinchiuso” fino all’adolescenza. I genitori sono convinti di “fare il suo bene”, il giovane Ferré invece la vive come una prigionia insopportabile e la racconterà a tinte vivide nel romanzo “Benoit misère” da lui scritto nel 1956. Dopo la maturità se ne va a Parigi a frequentare la facoltà di Scienze Politiche perché il padre gli ha rifiutato l’autorizzazione a iscriversi al Conservatorio. Si laurea nel 1939 e, dopo il servizio militare, torna a Monaco per lavorare in una struttura che, in un periodo in cui le risorse sono contingentate a causa della guerra, si occupa dei buoni per il rifornimento degli alberghi. In quel periodo frequenta anche Radio Montecarlo dove diventa presentatore, rumorista o pianista a seconda delle necessità. Il suo approccio con il mondo dello spettacolo avviene per gradi. Scrive qualche testo, compone i primi brani e si esibisce quando può nei pochi cabaret del Principato di Monaco. In questo periodo resta affascinato dalle canzoni e dalla verve interpretativa di Charles Trenet e incontra Edith Piaf. Proprio l’Usignolo di Francia l’incoraggia a continuare e lo invita a trasferirsi a Parigi. Appena gli Alleati e la Resistenza hanno liberato la capitale dagli occupanti tedeschi lui ci va. È il 1946 e nei cabaret di Saint-Germain-des-Près è iniziata una stagione nuova e intensa in cui le poesie si mescolano con gli eccessi, le seduzioni amorose con la filosofia, le battaglie politiche e quelle culturali. Sta nascendo la nuova canzone francese e Léo Ferré con le sue storie in musica che raccontano l’amore, i sentimenti e la vita, con le sue ironie, le sue dolcezze e anche le sue invettive ne diventa uno dei protagonisti più originali. Il suo nome comincia a essere sempre più evidente sul cartellone del Boeuf Sur Le Toit, il locale dove si esibisce insieme ai Frères Jacques e alla coppia formata da Charles Aznavour e Pierre Roche. Nel mese di marzo 1947 firma il suo primo contratto con Le Chant du Mond. Le sue canzoni hanno un editore. Il mondo non è tutto come Saint-Germain-des-Près. Léo Ferré se ne accorge nel 1947 quando si fa coinvolgere da Aznavour in una disastrosa tournée nella Martinica. Fortunatamente la sua creatività non s’abbevera né ai successi né, tantomeno, agli insuccessi. Tornato a Parigi riprende la vita di sempre esibendosi nel circuito dei cabaret, compreso il Milord d’Arsouille, un locale dove divide il palco e anche qualche canzone con Francis Claude. In questo periodo nascono alcuni tra i suoi brani più belli, come L’Île Saint-Louis o À Saint-Germain-des-Près e amicizie destinate a durare a lungo come quelle con Jean-Roger Caussimon, Juliette Gréco o Renée Lebas che per prima inserisce nel proprio repertorio una sua canzone: Elle tourne… la terre. Negli anni Cinquanta Ferré scopre la politica da cui per molto tempo s’era tenuto un po’ distante. Lo fa a modo suo, da randagio sperimentatore che annusa, ingloba e rielabora. I suoi primi maestri sono gli antifranchisti spagnoli esuli a Parigi. I loro racconti e la loro determinazione lo affascinano e ispirano canzoni come Flamenco de Paris, Le bateau espagnol e Franco la Muerte che gli valgono il divieto di ingresso nel paese iberico fino agli anni del ritorno alla democrazia. Si innamora degli anarchici ma mantiene buoni rapporti anche con il Partito Comunista Francese. Pian piano la sua popolarità si allarga e nel 1953, dopo un concerto all’Olympia come “apripista” di Joséphine Baker firma un contratto discografico con la Odeon. La prima canzone registrata per la prestigiosa etichetta è Paris canaille, scritta l’anno prima per Catherine Sauvage. È il successo. Con i primi soldi versatigli dalla Odeon acquista una casa in campagna e nel 1955 torna all’Olympia per la prima volta come attrazione principale. La sua carriera non conoscerà più pause né momenti di caduta sostenuto e alimentato dalla sua caparbia voglia di sperimentarsi e di percorrere le strade più diverse dal teatro al cinema alla poesia con la quale il rapporto si fa via via più fecondo a cominciare dalla pubblicazione dell’album Les fleurs du mal chanté par Leo Ferré, un delizioso omaggio a Charles Baudelaire. Nel 1961 le sue note incrociano le parole di Louis Aragon nell’album Les Chansons d’Aragon registrato per la Barclay con dieci poesie musicate e cantate che gli valgono l’eterna amicizia del grande poeta. Anche gli anni Sessanta sono costellati da successi discografici e da esibizioni affollatissime. Siccome il successo, gli applausi e le gratificazioni economiche non riescono a cambiarne per niente il carattere, anche in questi anni non mancano “incidenti diplomatici” e censure. L’episodio di censura più eclatante è legato al brano A une chanteuse morte dedicato alla sua vecchia amica scomparsa Edith Piaf ma ricco di allusioni critiche nei confronti di Mireille Mathieu, accreditata da uffici stampa e casa discografica come “La nuova Piaf”. Quando lo staff della Barclay ascolta la registrazione chiede a Ferré di modificarla. Lui rifiuta. Interviene allora il patron Eddy Barclay ma ogni tentativo è inutile. Alla casa discografica non resta che applicare il contratto e non pubblicarla su disco. Incapace di resistere alle suggestioni Léo Ferré, a differenza di altri chansonniers, annusa con interesse i profumi del rock, del beat e di tutti i filoni nati all’interno di quella che gli anglosassoni chiamano pop music. Non si limita ad ascoltarla ma ci si butta dentro con passione fino a registrare un album e a fare una tournée insieme agli Zoo. Ormai può permettersi ogni cosa perché il pubblico lo ama e lo segue con simpatia e fedeltà nelle sue avventure. Lo seguirà fino alla morte e anche oltre con la consapevolezza di farlo rivivere nelle sue canzoni. Ferré resta nell’immaginario collettivo come qualcosa di più di un normale chansonnier. È un cantore dell’impegno civile che sottolinea con le sue canzoni molti passaggi della storia della seconda metà del Novecento. Una parte dei brani del suo repertorio rappresenta una sorta di poetica ma violenta provocazione contro il potere a metà tra il dileggio e l'indignazione. Tra i più famosi ci sono Mon general contro il Generale Charles De Gaulle, l’anima della Francia antifascista divenuto un leader conservatore e capo dello stato francese, Monsieur tout blanc, rivolto al contraddittorio pontificato di Pio XII e la bellissima Allende che sottolinea la battaglia contro la dittatura fascista cilena di Pinochet. Delicata e ispirata, nel linguaggio, alle liriche ottocentesche è poi la trilogia di canzoni contro la pena di morte che comprende La mort des loups, Madame la misère, Ni Dieu ni maître. È impossibile dar conto del complesso della sua incredibile produzione, capace di confrontarsi senza perdere l'originaria fisionomia con tutti i movimenti culturali e politici innovatori che hanno attraversato la sua esistenza. L’evoluzione non l’ha mai spaventato e la ripetitività l’annoia. Dopo essersi trasferito in Italia a Castellina in Chianti in provincia di Siena, nel 1983 scrive "L'opera du pauvre" da molti considerata il vertice massimo della sua espressività. Proprio a Castellina in Chianti muore il 14 luglio 1993.


13 luglio, 2022

13 luglio 1949 - I comunisti andranno all'inferno

Il 13 luglio 1949 tutti i giornali italiani rendono pubblica una notizia che da qualche giorno i frequentatori delle parrocchie conoscono bene. Il 1° luglio, infatti, un decreto del Santo Uffizio ha disposto la scomunica nei confronti di tutti gli appartenenti al Partito Comunista o a organizzazioni collaterali, nonché degli elettori e dei propagandisti delle idee comuniste. Nella sostanza tutti gli aderenti e i simpatizzanti di quel partito sono condannati inesorabilmente all’inferno, cioè a non poter essere parte del progetto di salvezza di Cristo. In politica, afferma il papa Pio XII bisogna scegliere se «stare con Cristo o contro Cristo». La Chiesa diventa così uno degli elementi più attivi nella battaglia contro quello che è il principale ‘nemico interno’ secondo la logica internazionale dei due blocchi contrapposti. In Italia, come nel resto dell’occidente si scatena un’aspra battaglia anticomunista che assume, soprattutto nei primi periodi, l’aspetto di una vera e propria ‘crociata’.


12 luglio, 2022

12 luglio 1955 - Vittorio Parisi, uno dei protagonisti della canzone napoletana

Il 12 luglio 1955 muore il cantante Vittorio Parisi, uno dei protagonisti del periodo migliore della canzone napoletana. Nato in una famiglia di artisti, a Napoli il 28 febbraio 1892, debutta nel 1919 come cantante lirico. Chiamato dal maestro Evemero Nardella nel 1922 a sostituire Salvatore Papaccio nell'interpretazione di Silenzio cantatore, ottiene uno straordinario successo in tutta Italia che convince a passare definitivamente alla musica leggera. Nel suo repertorio figurano quasi tutti i brani della tradizione napoletana e, in particolare, i suoi due cavalli di battaglia Dicitenciello vuie e Na sera 'e maggio. Alla fine degli anni Quaranta si ritira dalle scene.


11 luglio, 2022

11 luglio 1982 - L'urlo di Tardelli

Nei mondiali di Spagna del 1982, in programma dal 13 giugno all’11 luglio, l’Italia è inserita in un gruppo che comprende Polonia, Perù e Camerun. Dopo uno 0 a 0 con la Polonia, gli azzurri fanno storcere il naso alla critica pareggiando per 1 a 1 sia con il Perù che con il Camerun. Sono in molti quelli che prevedono il rientro in patria della squadra dopo i successivi incontri con Argentina e Brasile. Contrariamente alle previsioni, invece, il 29 giugno, al Sarrià di Barcellona, l’Italia batte inaspettatamente l’Argentina per 2 a 1 e chiude il mondiale dei brasiliani con un rocambolesco, quanto meritato, 3 a 2. L’Italia entra in semifinale. Superata di slancio la Polonia in semifinale, l’11 luglio Italia e Germania Ovest si affrontano a Madrid in una caldissima serata al cospetto del presidente della Repubblica Pertini e del re Juan Carlos di Spagna. Al 24’ del primo tempo Cabrini calcia fuori un rigore concesso dall’arbitro Coelho per un fallo di Briegel su Conti e la frazione di gioco si chiude sullo 0 a 0. A poco più di dieci minuti dall’inizio della ripresa la testa di Rossi finalizza in gol un lungo traversone di Gentile. Un quarto d’ora dopo un’azione di Bergomi e Scirea viene conclusa in rete dal sinistro di Tardelli il cui urlo di esultanza diventa il simbolo della grinta e della voglia di vincere degli azzurri. Tocca ad Altobelli l’onore della terza rete, cui fa da contraltare il gol della bandiera di Breitner per i tedeschi. L’Italia è, per la terza volta, campione del mondo.



10 luglio, 2022

10 luglio 1964 - Al Cantagiro inizia l’era di Gianni Morandi e Rita Pavone

La terza edizione del Cantagiro parte da Ancona il 26 giugno 1964 e si conclude, dopo quindici tappe, a Fiuggi il 10 luglio. Il trionfatore assoluto della manifestazione è Gianni Morandi che conquista definitivamente il pubblico italiano con la sua In ginocchio da te. Tra i cantanti in gara si fanno apprezzare particolarmente Little Tony con Non aspetto nessuno, Edoardo Vianello con La tremarella, Gino Paoli con Lei sta con te e Betty Curtis che torna alle gare canore dopo quattro anni di assenza con Scegli me o il resto del mondo. A partire da questa edizione il Cantagiro affianca a quello del “big” un girone riservato ai giovani che vede vincitore Paolo Mosca con La voglia dell’estate. Tra i brani più applauditi di questo girone ci sono anche Il surf delle mattonelle de La Cricca, L’uomo del banjo di Ico Cerutti e Lei di un giovanissimo Lucio Dalla. L’anno dopo la vittoria nel girone dei “big” arride a Rita Pavone, un altro idolo delle platee adolescenziali che con Lui sbaraglia la concorrenza del suo “rivale” che canta Se non avessi più te. Nel girone riservato ai giovani il pubblico si fa conquistare dalla dolcezza de Il duca della luna interpretato da Mariolino Barberis. Nel 1966 la vittoria principale arride nuovamente a Gianni Morandi con Notte di Ferragosto anche se il vero trionfatore nelle vendite dei dischi sarà Little Tony con Riderà. Le novità più eclatanti arrivano da un nuovo girone riservato ai gruppi o, come si chiamano all’epoca, ai complessi. Vince l’Equipe 84 con Ho in mente te mentre Nomadi e Rokes danno voce al disagio e alle rivendicazioni giovanili con Come potete giudicar e Che colpa abbiamo noi?. Nel girone dei giovani fa il bis Mariolino Barberis con Spiaggia d’argento.


09 luglio, 2022

9 luglio 1921 - Irv Kluger, il ritmo nel sangue

Il 9 luglio 1921 nasce a Brooklyn, New York, il batterista Irving Kruger, più conosciuto come Irv Kruger Si dedica alla musica fin da giovanissimo e dai nove ai tredici anni studia violino alla Henry Street Settlement School. Successivamente passa alla batteria sotto la guida di Henry Adler e quindi al vibrafono. Sempre agli inizi della carriera studia composizione a New York. Il suo debutto come professionista avviene nell'orchestra del trombettista e batterista Bob Astor quando ha poco più di venti anni. Suona poi con il sassofonista George Auld. Nel 1947 è con il sassofonista e clarinettista Herbie Fields e con il trombonista Bobby Byrne. Nei due anni successivi lavora prevalentemente con Stan Kenton, ma compare anche accanto ad Artie Shaw. Successivamente continua a suonare un po' ovunque facendo, tra l'altro, parte a metà degli anni Cinquanta, dell'orchestra del Moulin Rouge di Hollywood. La sua fama è legata al fatto di essere stato il batterista in Groovin' High e Blue'n’Boogie, tra le primissime registrazioni bop di Dizzy Gillespie nel 1945. Muore il 28 febbraio 2006.

08 luglio, 2022

8 luglio 1912 - Johnny Mince, un clarinetto per Dorsey

L'8 luglio 1912 nasce a Chicago, nell'Illinois, il clarinettista e sassofonista Johnny Mince, all'anagrafe registrato con il nome di John Muenzenberger. Nel 1929, ad appena diciassette anni, ottiene il suo primo importante ingaggio a Tulsa in Oklahoma nell'orchestra di Joe Haymes, con la quale si trasferisce a New York nel corso dell'anno successivo. Resta con questa formazione anche quando la stessa passea sotto la leadership di Buddy Rogers. Nel 1935 entra a far parte dell'orchestra di Ray Noble con la quale suona per tre anni circa, se si esclude una breve parentesi con la formazione di Bob Crosby. Lasciato Noble si aggrega a Tommy Dorsey e il sodalizio con il celebre trombonista gli porta fortuna. Con l'orchestra di Dorsey, infatti, Mince registra una lunga serie di dischi nei quali si fa notare soprattutto come clarinettista dal fraseggio irruento e dalla sonorità fluida e possente. Dopo la seconda guerra mondiale suona prevalentemente come musicista di studio per varie stazioni radio-televisive, pur non rinunciando di tanto in tanto a suonare in pubblico. Tra le esperienze degne di nota ci sono quella con l'orchestra di Arthur Godfrey, con gli All-Stars di Louis Armstrong e soprattutto con Bobby Hackett, insieme a un gruppo di musicisti di prim'ordine come Hank Jones, Vic Dickenson, Urbie Green, Toots Mondello, Max Kaminsky, Richard Davis e Bob Haggart. Muore a Chicago nel 1997.


07 luglio, 2022

7 luglio 1942 - Mon amant de Saint-Jean

Il 7 luglio 1942 la cantante francese Lucienne Delyle registra Mon amant de Saint-Jean, il brano che le regalerà l’immortalità. Nella stessa seduta di registrazione fissa su nastro magnetico anche Nuages, la versione cantata di un suggestivo brano rubato al repertorio di quel gigante del jazz che risponde al nome di Django Reinhardt. Grazie alla sua duttilità vocale non ha limiti di genere nella scelta del repertorio e anche per questo, il suo successo è destinato a durare a lungo. Dopo la fine dell’occupazione nazista e della seconda guerra mondiale il suo successo cresce ancor di più tanto che per tutti gli anni Cinquanta molti giornalisti del settore indicano il suo nome come quello della cantante più popolare di Francia. Non è un caso che Bruno Coquatrix per il concerto che nel mese di febbraio del 1954 inaugura il ristrutturato teatro de l’Olympia scelga proprio lei insieme al giovane Gilbert Bécaud. Nel 1956 vince anche il Gran Prix du Disque con la canzone Java scritta da Emile Stern ed Eddie Marnay. Qualche tempo dopo, però, la sua vita e la sua carriera incontrano un ostacolo insormontabile, un mostro che sembra uscita da un incobo notturno. Si chiama leucemia. Lucienne Delyle non è tipo da cedere senza lottare. Si cura, cerca di reagire e programma una nuova tournée insieme al suo compagno di vita Aimé Barelli. Proprio con lui si esibisce al Bobino nel mese di novembre del 1960 in quelli che saranno gli ultimi concerti della sua vita. La lunga lotta con la leucemia termina nell’aprile del 1962 a Montecarlo quando la morte pone fine al calvario.


06 luglio, 2022

6 luglio 1923 - Baldo Maestri, un eclettico saxoclarinettista

Il 6 luglio 1923 nasce a Roma il sassofonista e clarinettista Baldo Maestri. A ciqnue anni inizia a studiare violino ma sei anni dopo passa al clarinetto e si iscrive al conservatorio di Roma dove si diploma nel 1939. Nel 1941 fa le prime esperienze nel jazz con il sestetto di Alfio Grasso col quale si trasferisce in Germania dove resta fino al 1947. Nel 1948 entra a far parte dell'orchestra del Centro Produzione Rai nella quale per molti anni è il leader della sezione dei sassofoni. Nel 1952 esegue a Stoccarda, in Germania, il Concerto per clarinetto e orchestra di Artie Shaw con l'orchestra di Erwin Lehn. Tra il 1960 e il 1961 collabora a "30 anni di Swing" una serie di trasmissioni radiofoniche con Lelio Luttazzi, Nel 1960 partecipa alla registrazione della Piccola suite Americana per quattro sassofoni di Piero Umiliani che ottiene poi il premio della Critica Discografica. Negli anni Sessanta tiene concerti di musica classica come sassofonista contralto nei più importanti teatri e la sua attività più propriamente jazzistica rimane confinata nell'ambito dell'Orchestra Rai fino al 1978 quando inizia la collaborazione con la Saxes Machine di Bruno Biriaco come leader dei sassofoni. Nel 1979 prende parte a un paio di Laboratori con musicisti dell'area cosiddetta "creativa" come Hank Bennink, Misha Mengelberg, Enrico Rava, Renato Geremia, Giancarlo Schiaffini, Gianluigi Trovesi e altri.