13 settembre, 2022

13 settembre 1966 - Anna Fougez: il mondo parla e io passo

Il 13 settembre 1966 muore nella sua villa di Santa Marinella, in provincia di Roma, la sessantanovenne Anna Fougez, regina indiscussa del tabarin degli anni Venti e del music-hall italiano degli anni Trenta, simbolo vivente della seduzione e del peccato dell'epoca Liberty. Il suo vero nome è Anna Pappacena e qualche tempo prima di morire ha dato alle stampe una gustosa biografia dal titolo “Il mondo parla e io passo”. La sua vita è movimentata e avventurosa fin dall'infanzia. Nasce a Taranto da una famiglia benestante, ma resta orfana a sei anni e viene adottata da una zia. A otto anni fugge di casa per seguire una compagnia di teatranti girovaghi. Da loro impara i primi trucchi del mestiere e ben presto diventa una bambina prodigio conosciuta e applaudita in tutta Italia. Sul palcoscenico si esibisce in un repertorio di canzoni napoletane o in arie d'operetta. A quindici anni canta in duetto con Ettore Petrolini che resta stupito. In quel periodo la ragazza sceglie il suo nome d'arte: Anna Fougez in onore di Eugénie Fougère, la "femme fatale" del teatro francese. Un paio d’anni dopo è una delle stelle più fulgide del varietà, idolatrata da un pubblico che va in visibilio per la sua voce roca e per le sue pose languide sottolineate da abiti audaci. Interprete raffinata dell’atmosfera di un’epoca, canta canzoni ricche di sensualità come Vipera o La violetera. Il successo ne fa l’artista più pagata dei primi anni del Novecento tanto che nel 1919 il suo compenso è di 1500 lire a spettacolo: un'enormità per l'epoca. Anche il cinema s’accorge di lei e le affida il ruolo della torbida protagonista in molti film di successo. Per tutti gli anni Trenta partecipa alla realizzazione di spettacoli ricchi di musiche e coreografie, sull’esempio del music-hall parigino, nei quali canta brani destinati a un grande successo come Addio signora. Quando il peso degli anni inizia a farsi sentire non attende il declino e si ritira dalla scene.


12 settembre, 2022

12 settembre 1935 - Nasce Trincale, il nostro Woody Guthrie

Il 12 settembre 1935 a Militello in Val di Catania nasce Franco Trincale, cantautore o, come lui stesso si definisce, cantastorie. Proprio alla tradizione dei cantastorie, infatti, si rifà quasi tutto il suo lavoro musicale, iniziato negli anni Cinquanta in Sicilia. Insofferente a qualunque tipo di condizionamento ha messo in musica e raccontato le storie dell'Italia degli ultimi cinquant'anni. Se fosse nato negli Stati Uniti oggi sarebbe considerato il "nuovo" Woody Guthrie. I punti di contatto tra la sua storia e quella del più grande folk singer d'oltreoceano sono molti. Come Guthrie è un vagabondo armato di chitarra che scorrazza nel suo paese laddove le tensioni sociali si fanno più acute. Alla fine del servizio militare si trasferisce dalla natìa Sicilia a Milano. Qui le sue canzoni, fino a quel momento rimaste nell'ambito del folklore e della tradizione, si fanno più aggressive, in sintonia con i movimenti di lotta che accompagnano le grandi trasformazioni sociali degli anni Sessanta. Nello stesso periodo vince ben tre edizioni del festival dei cantastorie di Piacenza e diventa un "soggetto" interessante per le case discografiche. Il rapporto tra lui e l'industria dei dischi dura poco. Il suo carattere fondamentalmente alieno a qualunque tipo di disciplina imposta dall'alto ed estraneo alle ragioni di mercato lo porta ben presto a scegliere la strada dell'autoproduzione. Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta diventa così un antesignano delle "vendite militanti" inaugurando una sorta di microrete destinata all'autodistribuzione che fungerà ancora da modello per le esperienze dell'hip hop e per la musica alternativa degli anni Ottanta. Album come Canzoni in piazza e Canzoni di lotta vendono un numero impressionante di copie e c'è chi sostiene che se fossero state diffuse attraverso i normali canali di vendita avrebbero conteso alla più conosciute pop star la vetta delle classifiche di vendita. Il fenomeno Trincale va però al di là della, pur interessante, esperienza commerciale. Egli, infatti, si caratterizza nel movimento della nuova canzone sociale italiana per il suo modo originale di scrivere canzoni oltre che per lo stile vocale direttamente ispirato al modello dei cantastorie. I suoi testi, infatti, costruiti sui modelli narrativi tradizionali, spesso non rispettano le strutture metriche classiche, privilegiando il concetto alla purezza stilistica. La sua attività non termina con l'esaurirsi della grande stagione della canzone politica italiana, ma continua senza sosta fino ai giorni nostri.


11 settembre, 2022

11 settembre 1987 – Uno sparo sull’erede di Marley

L’11 settembre 1987 a Kingston in Giamaica tre uomini entrano nella casa di Peter Tosh per rubare. Qualcuno ha detto loro che il cantante è all’estero e che l’abitazione è vuota, ma l’informazione è falsa. Tosh è in casa e non è solo. Con lui ci sono il cuoco vegetariano che l’accompagna ovunque e un amico disk jockey. È un problema che si può risolvere. Spianano le pistole e li uccidono. Finiscono così la vita e la carriera di Peter Tosh, l’interprete di reggae che alla morte di Bob Marley era stato da molti indicato come il suo erede. L’assassinio rafforza le convinzioni di chi crede che ci sia una maledizione destinata a perseguitare i grandi interpreti di questo genere musicale, colpevoli di avere commercializzato una musica che appartiene alla tradizione magico-sacrale della Giamaica. Al momento della sua morte Peter Tosh, che all’anagrafe è registrato con il nome di Winston Hubert McIntosh, non ha ancora compiuto trentatré anni. Nasce infatti il 9 ottobre 1944 e, dopo qualche piccola esperienza come cantante solista, alla metà degli anni Sessanta forma gli Wailers insieme ai suoi amici Bob Marley e Bunny Livingston. Più che per la sua voce si fa apprezzare per la sua genialità musicale. Alla sua fertile creatività si devono, infatti, alcuni dei brani più popolari della band di Marley come Get up, stand up e 400 years. Nel 1974 lascia i compagni per continuare come solista e un paio d’anni dopo diventa popolare in tutto il mondo con il brano Legalize it (Legalizzatela), dichiaratamente a favore della legalizzazione della marijuana. Particolarmente impegnato sui temi sociali nell’album successivo, Equal rights denuncia le ingiustizie sociali giamaicane. La sua attività attira l’attenzione dei Rolling Stones, che lo vogliono con loro nel tour statunitense del 1978 e lo scritturano per la loro etichetta discografica. Dopo la morte del suo vecchio amico e compagno Bob Marley sono molti quelli che sperano di trovare in lui l’erede del “Re del reggae”, anche se la sua produzione appare ancora troppo discontinua e non sempre all’altezza del ruolo che dovrebbe ricoprire. L’11 settembre 1987 la pistola degli assassini chiude per sempre la discussione sulle sue potenzialità artistiche.


10 settembre, 2022

10 settembre 1974 – Si sciolgono le bambole di New York

Il 10 settembre 1974 viene annunciato lo scioglimento dei New York Dolls, la band amata dall’underground newyorkese, ma incompresa e rifiutata dal music business. Il titolo del loro ultimo album Too much too soon (Troppo e troppo presto) riassume più di tanti discorsi il senso della loro breve apparizione sulla scena rock. Troppo in anticipo rispetto ai tempi, hanno aperto nuove strade al rock internazionale senza riuscire a goderne i frutti. Considerati dai critici superficiali i precursori del glam rock, i New York Dolls sono in realtà gli anticipatori dell’ondata rinnovatrice della new wave. Formati nel 1972 dal bassista Arthur Kane, dai chitarristi Johnny Thunder (all’anagrafe Jerry Gonzales) e Sylvain Sylvain (all’anagrafe Sil Mizrahi), dal batterista Billy Murcia e dal cantante David Johansen, fin dal primo momento devono fare i conti con la carica distruttiva di una critica che non accetta il loro esagerato uso di mascara, rossetto e abiti femminili e la loro voglia di provocare. Affascinano, però, la punta più avanzata dell’intellettualità newyorkese che li considera gli eredi dei Velvet Underground. Le vicende interne al gruppo non ne aiutano la carriera. Nell’autunno del 1972, nel corso di un breve tour in Gran Bretagna, perdono Billy Murcia, soffocato nella notte da una quantità industriale di alcool e droghe. Al suo posto arriva Jerry Nolan, con il quale realizzano il loro primo album New York Dolls. Come se non bastassero i problemi iniziano anche a esibirsi con un’enorme bandiera rossa alle spalle e non nascondono le loro simpatie per i comunisti. Per gli Stati Uniti degli anni Settanta è un po’ troppo. Dopo il secondo album, il già citato Too much too soon, vengono scaricati dalla loro casa discografica, la Polygram, e si ritrovano in seri guai finanziari. La storia dei New York Dolls è finita, anche se Johansen e Sylvain, cocciutamente, tentano di tenerne in vita lo spirito esibendosi per qualche anno nei piccoli club ai margini del grande circuito del rock con il nome di Dolls. Sei anni dopo la loro scomparsa la new wave britannica li trasformerà in una band di culto, riconoscendone il coraggio e la capacità di precorrere i tempi. Il riconoscimento postumo servirà anche ad arricchire i discografici, che rimetteranno sul mercato gran parte del materiale a suo tempo disprezzato. Alla fine alcuni di loro cederanno alle suggestioni della nostalgia e rimetteranno in piedi la band, ma questa è già un'altra storia...


09 settembre, 2022

9 settembre 1972 – La prima e unica volta di Arlo in classifica

Il 9 settembre 1972 Arlo Guthrie entra per la prima e unica volta della sua carriera nella classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con il brano The city of New Orleans. Si tratta di un exploit casuale che non si ripeterà più. Il successo commerciale non si addice al suo personaggio e la musica è soltanto uno dei suoi mille interessi. Figlio del grande folksinger Woody Guthrie frequenta, fin da piccolo, le “cattive compagnie” della scena musicale antagonista statunitense legate alla sinistra e al movimento sindacale. Gli è maestro Pete Seeger, vecchio amico di suo padre e ostinato ribelle, perseguitato per le sue simpatie nei confronti dei comunisti. È lui che lo introduce sulla scena del folk di protesta americano fin dalla più tenera età. Arlo muove i suoi primi passi artistici negli anni Sessanta tra le comunità hippy, ma i suoi interessi non sono solo musicali. Pubblica, infatti, il libro fortemente autobiografico Alice's Restaurant, e interpreta se stesso nell’omonimo film diretto dalle abili mani di Arthur Penn. Nel 1967 la sua partecipazione al festival di Newport sembra consacrarlo tra le nuove stelle del folk politico statunitense, ma gli difetta la continuità e la sua timidezza rende difficile il suo rapporto con il pubblico dei grandi avvenimenti. Preferisce esibirsi in piccole riunioni o per cause importanti come i diritti civili e sindacali, le iniziative a favore delle minoranze o degli immigrati clandestini. Come molti figli d'arte rimane schiacciato dal confronto con la grandezza della figura del padre, nonostante la pubblicazione di album di notevole valore come Arlo nel 1968, Running down the road nel 1969 e Washington county nel 1970. I testi delle sue canzoni, più aspri e diretti di quelli di Bob Dylan, sono l'espressione della protesta sociale più radicale dell'America alla fine degli anni Sessanta, ma la sua produzione discografica è discontinua e non sempre curata. Memorabile resta l’album doppio del 1975 Live together in concert registrato dal vivo insieme a Pete Seeger. Nel 1982, dopo Precious friend, l’ennesimo album realizzato insieme a Pete Seeger, annuncia la sua intenzione di non pubblicare altri dischi, ma non manterrà fede all’impegno. Tornerà, infatti, in sala di registrazione a partire dalla colonna sonora del film Woody Guthrie - Hard travelin' da lui realizzato in omaggio al padre.


08 settembre, 2022

8 settembre 1978 – Un saltimbanco alla batteria

L’8 settembre 1978 muore Keith Moon, il batterista degli Who. La sera prima ha partecipato a una festa in casa dell’ex Beatle Paul McCartney. Tornato a casa si è addormentato tranquillo, ma non si è più svegliato. L’autopsia rivela che gli è stata fatale una dose eccessiva di Heminevrin, un sedativo prescrittogli dai medici per sostenere il suo tentativo di uscire dal tunnel dell’alcoolismo. Ha trentun anni e da quindici è l’anima folle degli Who. Nato a Wembley, in Gran Bretagna, il 23 agosto 1946, ha diciassette anni quando incontra per la prima volta i suoi futuri compagni Pete Townshend, Roger Daltrey e John Entwistle, che in quel periodo si chiamano High Numbers. Gli piace il loro modo di suonare e pensa di essere il batterista ideale per quel tipo di musica. Decide di proporsi, anche se il posto alla batteria è già coperto da Doug Sanden. Il giovane Keith non si formalizza tanto e, dopo aver bevuto qualche bicchierino per farsi coraggio, va a trovarli. Quando entra nella sala vestito con un completino color zenzero e leggermente alticcio Pete Townshend interrompe le prove e lo guarda con curiosità. «Vorrei provare a suonare la batteria con voi. Posso?». La risposta è positiva. Sanden si alza e gli cede il suo posto. Keith ce la mette tutta e, sulle note finali, si fa un po’ trascinare dalla foga e distrugge il rullante della batteria. Townshend e Daltrey si guardano e annuiscono. È fatta. Doug Sanden dovrà cedergli definitivamente il posto. Inizia così la straordinaria cavalcata di uno dei più grandi gruppi del rock mondiale. Dopo la sua morte Pete Townshend parla alla stampa anche a nome degli altri Who. Dalle sue parole commosse traspare il presentimento che la storia del gruppo sia finita. «Abbiamo perso il nostro grande saltimbanco, il principale interprete del melodramma, l’uomo che non viveva per sé ma per gli spettatori. Keith si sarebbe dato fuoco se avesse pensato che questo avrebbe fatto ridere o saltare sulle sedie il pubblico... Siamo determinati a continuare e vorremmo farlo anche per lui... La storia degli Who continua ma nessuno potrà mai prendere il posto di Keith.” Viene reclutato Kenney Jones, l’ex batterista degli Small Faces, ma non è più la stessa cosa. 


07 settembre, 2022

7 settembre 1984 – Viva i minatori, abbasso la Thatcher

Nel mese di settembre del 1984 i minatori britannici sono impegnati in una delle più lunghe e faticose battaglie che la storia sindacale di quel paese ricordi. Hanno occupato le miniere e sono determinati a resistere a oltranza contro i progetti del governo conservatore. Obiettivo principale della lotta sono i tagli sull’occupazione e, in particolare, la chiusura di alcune miniere, ma il loro impegno diventa anche la punta più avanzata del tentativo di contrastare il disegno governativo di smantellare gran parte della garanzie sociali. I minatori diventano un simbolo di resistenza che va al di là del settore produttivo nel quale operano e attorno alle loro famiglie si sviluppa un grande movimento di sostegno e solidarietà concreta. Associazioni sindacali, comitati e semplici cittadini concorrono a raccogliere fondi, cibo, abiti e tutto quanto serve per sostenerne le necessità primarie. Anche il mondo dello spettacolo si mobilita. Paul Weller, il leader degli Style Council, in una conferenza stampa annuncia la sua intenzione di tenere un concerto a Londra per raccogliere fondi da devolvere ai lavoratori in lotta e spiega ai giornalisti che «Quella gente sta lottando anche per noi, per il nostro futuro. Non possiamo chiedere loro di resistere per mesi senza salario, senza aiuto. Non hanno bisogno di chiacchiere, ma di soldi». L’idea di Weller trova adesione e consenso e il 7 settembre 1984 alla Royal Albert Hall di Londra, una delle sale da concerto più prestigiose della capitale britannica gli Style Council sono tra i protagonisti di una lunga kermesse musicale che vede presenti anche gli idolatrati Wham! di George Michael. I fondi raccolti durante il concerto vengono consegnati al coordinamento della lotta istituito dai sindacati, ma l’impegno di Weller non si ferma qui. Insieme a Mick Talbot, Jimmy Ruffin, D.C. Lee, Vaughn Toulouse e Junior Giscombe, pubblica, sotto il nome di Council Collective, il singolo Soul deep, il cui ricavato è esplicitamente destinato a sostenere le famiglie dei minatori in sciopero. Non si limiterà alle lotte sindacali. Negli anni successivi fonderà insieme ad altri artisti come Billy Bragg e gli Smiths l'organizzazione “Red Wedge”, una sorta di corrente musicale di appoggio all’azione della sinistra del partito laburista britannico.


06 settembre, 2022

6 settembre 1926 - L'inventore del back beat

Il 6 settembre 1926 nasce a Chicago, nell’Illinois, il batterista Freddie Below, famoso in tutto il mondo per il suo modo di accompagnare le esecuzioni di blues, singolare e carico di swing trascinante. Negli anni la sua tecnica, detta del "back beat", ha fatto numerosi adepti. È ancora piccolo quando, nella sua Chicago, vagabonda tra le piccole band che suonano jazz. Lo affascina in particolare la carica innovativa dei boppers, di cui intuisce la carica innovativa prima ancora che il vento inizia a soffiare forte nelle loro vele. Proprio con loro fa le prime esperienze professionali, in particolare con Gene Ammons, che quando lo scopre non vorrebbe più lasciarlo andare via. In realtà il buon Freddie pur considerando il jazz utile per farsi le ossa, ha nel blues il primo, grande e unico amore. Con il suo baschetto spesso costellato da spilline colorate e con la grande croce d'oro appesa al petto, diventa uno dei protagonisti della storia del blues. In realtà lui non vede una grande differenza tra blues e jazz e si muove quasi sempre in una sorta di terra di nessuno in cui i due generi si danno la mano. Dal jazz attinge la precisione tecnica e la rapidità dell'esecuzione, ma al blues deve l'anima, il sentimento e l'ispirazione. Per questo i bluesmen come Junior Wells, Memphis Slim, Eddie Boyd, Otis Rush e Buddy Guy se lo contendono e lo coccolano. Ben presto si accorge di lui anche la Chess, una delle grandi etichette del blues moderno, che lo scrittura e gli apre le porte dei gruppi di artisti come Muddy Waters, Bo Diddley, Chuck Berry, Sonny Boy Williamson, Etta James e Sugar Pie. Nella seconda metà degli anni Sessanta una lunga malattia lo costringe all'inattività forzata. Tornerà sulle scene nel 1969 quando il lavoro di artisti come lui non viene più richiuso in confini né in ghetti. Vagabonderà a lungo alla scoperta del mondo e compirà numerose tournées in Europa e in Africa lavorando anche con l'armonicista bianco Charlie Musselwhite. Muore a Chicago il 14 agosto 1988.




05 settembre, 2022

5 settembre 1950 - Una stupida morte per Al Killian

«Una stupida morte per un maledetto stupido!». Così, il 5 settembre 1950 gli amici in lacrime accolgono la notizia della morte di Al Killian, uno dei più straordinari trombettisti di quel periodo, assassinato per futili motivi in un albergo di Los Angeles, in California. Nato a Birmingham, in Alabama, nel 1916 e registrato all'anagrafe con il nome di Albert Killian, non ha ancora compiuto trentaquattro anni ed è stato tradito dal suo carattere stizzoso e irascibile. «È sempre pronto a farsi gli affari degli altri anche quando sono più forti di lui!» Così viene definito da amici e colleghi, del resto l'aria che respira fin dai primi giorni di vita è quella dei locali fumosi del Sud degli stati Uniti, dove quasi sempre quando il clima si fa pesante devi sapere cavartela da solo. Prima o poi, però, trovi qualcuno più forte di te che te la fa pagare. Per Al l'incontro con un balordo più determinato e rognoso di lui è fatale. Finisce così, con un lenzuolo che pietosamente ne copre il corpo, la carriera di un musicista che aveva fatto gridare al miracolo critici e pubblico. Non si sa in quale momento della sua vita sia nata la passione per la tromba, quello che si conosce è, però, la cocciuta determinazione con cui si applica nello studio fino ad acquisire una tecnica straordinaria, soprattutto sul registro acuto dello strumento dove non ha eguali. Dopo lunghi anni passati tra incarichi saltuari e precario lavoro di studio, a ventitré anni ottiene la prima, sospirata, scrittura da Slim Gaillard che nel 1939 lo inserisce nell'organico della sua band. Killian, però, non è fatto per gli incarichi fissi. Ben presto lascia Gaillard e si rende disponibile come una sorta di free-lance della tromba. Molte sono le orchestre che richiedono i suoi servigi. Lavora con Don Redman, con Claude Hopkins e, soprattutto, con Count Basie, il leader che più di tutti sa sfruttare le sue qualità. Nella seconda metà degli anni Quaranta suona nell'ensemble di Lionel Hampton e col gruppo viaggiante del Jazz at the Philarmonic. Finisce poi nella big band di Duke Ellington, con cui nel 1950 arriva anche in Europa per una lunga e acclamata tournée. Proprio in questo periodo ottiene i maggiori consensi della critica che acclama entusiasta il suo ruolo in "Trumpet no end (Blue skies)" e nella famosissima "Liberian suite", entrambe pubblicate anche su disco. La sua carriera ha ormai imboccato la strada che dovrebbe portarlo ai grandi trionfi, ma nel settembre dello stesso anno la morte spegne per sempre la luce del suo genio.


04 settembre, 2022

4 settembre 1971 – Joan Baez a Roma

Sola, con una semplice luce bianca che la illumina e la compagnia della sua fedele chitarra: così Joan Baez si presenta la sera del 4 settembre 1971 agli oltre dodicimila spettatori, in gran parte ragazzi e ragazze, che affollano il Palasport di Roma per assistere al suo concerto. Accanto a lei, seduta su una delle due sedie che costituiscono l’unica invenzione scenografica del palco, c’è un interprete che le consente di comunicare e farsi capire dal pubblico italiano. Fin dalle prime ore del mattino la capitale è stata invasa da gruppi di giovani provenienti da ogni parte d’Italia che hanno preso d’assalto i botteghini alla ricerca dei biglietti di gradinata, venduti a mille lire l’uno. Non è la prima volta che la folksinger si esibisce in Italia. L’anno precedente, infatti, è stata a Milano all’Arena Civica e nel 1969 al Teatro Sistina di Roma, ma questa volta c’è un’attesa particolare per questo avvenimento che apre la stagione musicale dell’autunno romano. Joan Baez è reduce dallo strepitoso successo del tema del film “Sacco e Vanzetti” che le ha dato, nel nostro paese, un successo commerciale senza precedenti e, in più, ha annunciato la sua intenzione di dare un più radicale contenuto politico alle sue esibizioni. Il Palasport di Roma l’accoglie con grande entusiasmo e con qualche intemperanza di troppo, soprattutto quando una piccola parte del pubblico inizia a sottolineare con fischi le parole dell’interprete che traduce i lunghi interventi parlati della cantante. La Baez non si fa impressionare e spiega che nei suoi spettacoli parole, musica e ragionamenti politici sono un tutt’uno. Se il pubblico romano non è d’accordo lei è disposta ad andarsene subito, perché non accetta che qualcuno sia lì soltanto per ascoltare qualche canzone. Un fragoroso applauso sommerge i “fischiatori” e il concerto può continuare. Per marcare meglio la sua posizione fa comunicare ai giornalisti in attesa di intervistarla al termine del concerto che non risponderà a domande sulla musica perché per lei il rigo musicale è solo «…un ottimo strumento per trasmettere un messaggio». E durante la conferenza stampa a chi pensa di coglierla in fallo chiedendole se si senta più un simbolo politico o un personaggio musicale risponde: «Io? Io sono solo una magra messicana».


03 settembre, 2022

3 settembre 1966 – La band dal punto interrogativo

Sorpresa e curiosità suscita il 3 settembre 1966 l’ingresso nella classifica dei singoli più venduti di un brano interpretato da un gruppo il cui nome è preceduto da un punto interrogativo. Il brano è 96 tears e gli interpreti sono ? & The Mysterians. Il mistero sull’identità della band dà vita a una serie pressoché infinita di ipotesi. C’è chi sostiene sia un disco registrato per scherzo da un gruppo di anonimi sessionmen e chi ipotizza la presenza di nomi illustri dietro a quello che viene scambiato per uno pseudonimo. La casa discografica per molto tempo si guarda bene dal chiarire l’enigma, vista la risonanza del caso. Le congetture e le ipotesi sono, però, destinate a essere spazzate via dall’annuncio della prima tournée del gruppo. Si scopre così che ? & The Mysterians non sono un prodotto da laboratorio, ma una band di intraprendenti ragazzi messicani composta dal cantante “?”, il cui vero nome è Rudy Martinez, dal chitarrista Roberto “Bobby” Valderrama, dal bassista Frank Lugo, dall’organista Francisco “Frank” Rodriguez e dal batterista Eduardo “Eddie” Serrato. Immigrati in modo avventuroso negli Stati Uniti, hanno iniziato a suonare in una cantina della cittadina di Flint nello Stato del Michigan e in breve tempo sono diventati uno dei gruppi di punta del “garage beat” degli States. Il successo commerciale di 96 tears sorprende prima di tutto loro, ma è destinato a restare un episodio isolato che non riusciranno più a ripetere con le successive incisioni. In breve tempo ? & The Mysterians tornano a essere un gruppo “da cantina” idolatrato dai suoi ammiratori ma sostanzialmente ignorato dal music business. Un destino diverso toccherà al loro brano 96 tears che ancora oggi è considerato uno dei grandi classici del “garage” di quegli anni. Periodicamente tornerà a nuova vita e scalerà le classifiche grazie alle versioni di artisti come Eddie & The Hot Rods, Garland Jeffreys, gli Stranglers e tanti altri. Il ricorrente successo del brano riporta di tanto in tanto agli onori della cronaca anche i suoi primi interpreti come, nel 1985, quando gran parte del lavoro di ? & The Mysterians è stato pubblicato nell’album antologico 96 tears forever.


02 settembre, 2022

2 settembre 1986 – Il precoce talento di Debbie Gibson

La mattina del 2 settembre 1986, quando firma il suo primo contratto discografico con la Atlantic, la cantautrice Debbie Gibson ha compiuto sedici anni da meno di due giorni. È nata, infatti, il 31 agosto 1970 a Long Island. I discografici non vogliono, però, perdere tempo e già nel pomeriggio la ragazza inizia a registrare il suo primo album sotto le attente cure del produttore Fred Zarr. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non si tratta dell’ennesimo caso di un’adolescente belloccia dall’immagine patinata costruita a tavolino da furbi produttori. Pianista, cantante e autrice precoce Debbie Gibson è da tempo un personaggio nell’ambiente musicale newyorkese. A partire dall’età di sei anni si è fatta notare con una serie di composizioni premiate in vari concorsi riservati ai giovani talenti. Allieva, come Billy Joel, del grande Morton Estrin, nel 1984 ha prestato la sua voce alla colonna sonora del film "Ghostbusters" e un anno dopo è stata scelta dai produttori del musical "I miserabili", ispirato al romanzo di Victor Hugo, per vestire sulla scena i panni della giovane protagonista. Il padre ha ritenuto, però, che il tempo di permanenza in scena e le fatiche del teatro musicale fossero incompatibili con la sua giovane età, per cui non se n’è fatto niente. Le più importanti case discografiche statunitensi l’hanno corteggiata con insistenza e alla fine l’ha spuntata l’Atlantic Records. La sedicenne Debbie pubblica nei primi mesi del 1987 il suo primo album Out of blues, che arriva al terzo posto nelle classifiche di vendita statunitensi, dal quale vengono estratti alcuni singoli di successo come Only in my dreams, Shake your love e Out of the blue . Nel 1988 con Foolish beat ottiene uno straordinario successo di vendite tanto da diventare la più giovane cantautrice mai arrivata al vertice delle classifiche discografiche statunitensi. Contrariamente a quanto accade a molti giovanissimi artisti Debbie non perderà mai il senso della misura. Terminerà gli studi e, dopo il parziale insuccesso del terzo album Anything is possible, nel 1990 deciderà di ritirarsi per qualche tempo dalle scene musicali e di dedicarsi al teatro. Tornerà in sala di registrazione solo nel 1993.


01 settembre, 2022

1° settembre 1979 - Sette pazzi scatenati

Il 1° settembre 1979 i Madness entrano per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna con il singolo The Prince, un brano dedicato al giamaicano Prince Buster, re del bluebeat. Inizia così il successo commerciale di uno dei più contraddittori e discussi gruppi ska. Nati alla fine del 1976 per iniziativa di Mike Barson e Lee “Kick” Thompson, due ragazzi famosi nel loro quartiere più per la loro abilità nel rubare dischi dagli scaffali dei supermercati che per la preparazione musicale, i futuri Madness sono originariamente un trio nel quale Kick suona il sax, il loro amico Chris “Chrissie Boy” Foreman la batteria e Mike, l’unico che ha qualche nozione musicale, le tastiere. L’incongruenza della formazione è evidente anche ai ragazzi tanto che nel 1977 il gruppo diventa un sestetto con Gary Dovey alla batteria, con Carl “Chas Smash” Smyth che prima suona il basso e poi passa ai fiati con l’arrivo del bassista Mark “Bedders” Bedford. Quando Dovey se ne va affidano la batteria a John Hasler che però non sa suonare. Dopo un mese di prove decidono che Hasler funziona più come manager del gruppo che come batterista e dietro ai tamburi arriva Dan “Woody” Woodgate, un vecchio amico di Bedford. I sei, che in quel periodo si chiamano Invaders, diventano sette con l’arrivo del cantante Graham “Suggs” McPherson. All’inizio del 1979 cambiano nome in Madness e vengono scritturati dalla 2-Tone, l’etichetta ska autogestita fondata da Jerry Dammers, il leader degli Specials. Figli delle periferie londinesi e attivi militanti antifascisti e antirazzisti, diventano famosi per la loro capacità di mettersi nei guai in un periodo in cui i concerti di ska sono spesso bersaglio delle violenze dell’estrema destra. I Madness amano passare dal ruolo dei provocati a quello dei provocatori, secondo la regola universale del «chi picchia per primo vince». Per questo, a volte, di fronte alle prime provocazioni verbali abbandonano il palco e si gettano tra il pubblico dando il via a risse colossali. Sul piano musicale c’è chi li ama e chi li detesta. La critica li tratta o come una banda di buffoni o come uno dei gruppi più originali del periodo. Il pubblico, però, si innamora dei sette pazzi scatenati che con il successo di The Prince iniziano una lunghissima carriera destinata a sopravvivere anche alla rapida fine del movimento ska.


31 agosto, 2022

31 agosto 1976 - Quel copione di George Harrison

Il 31 agosto 1976 l’ex Beatle George Harrison viene riconosciuto colpevole di plagio. My sweet Lord, il suo grande successo pubblicato nel dicembre del 1970, è stato spudoratamente copiato dalla canzone di Ronnie Mack He’s so fine, portata al successo dalle Chiffons nel 1963. A nulla è valsa la linea difensiva predisposta dai legali di Harrison che sostenevano la casualità della coincidenza di alcuni brevissimi passaggi. A loro dire, infatti, l’ex Beatle si era, casomai, ispirato a un altro brano, Oh happy days, portato al successo dagli Edwin Hawkins Singers nel 1969. La vicenda, trascinatasi per alcuni anni ha ridato nuova popolarità al brano di Ronnie Mack che è stato ripubblicato in varie versioni, compresa quella originale delle Chiffons. La chiusura della causa legale scrive la parola fine sulla vicenda. Il giudice statunitense Richard Owen accoglie la tesi della non casualità delle coincidenze tra le due canzoni, rilevando come esse sono sostanziali e decisive nella stessa struttura compositiva, oltre che nell’arrangiamento, di My sweet Lord. La sentenza, che verrà resa pubblica il 7 settembre, condanna George Harrison a pagare più di mezzo milione di dollari alla Bright Tunes a titolo di compensazione per i diritti non percepiti e diffida il cantante e il suo manager dal mettere in atto azioni, atteggiamenti o iniziative che possano recare altri danni alla stessa Bright Tunes. Apparso a tutti come il più dinamico dei Beatles dopo lo scioglimento della band, Harrison, aveva centrato subito il successo con l’album triplo “All things must pass” che aveva fatto gridare al miracolo la critica. L’entusiasmo della stampa specializzata orfana dei quattro di Liverpool e alla ricerca di un sostituto era parso un po’ troppo eccessivo. Titoli come quello di “Melody Maker” che strillava «Dimenticate i Beatles. Ascoltate George!», non avevano una reale consistenza nella qualità della produzione dell’artista. Passata la sbornia iniziale, l’immagine dell’ex Beatle si era appannata a partire dal 1971, un po’ per le vicende legali relative a My sweet Lord ma, soprattutto, per i pasticci truffaldini legati all’organizzazione del Concerto per il Bangladesh.


30 agosto, 2022

30 agosto 1961 : Roberto Ciaramella, la più bella voce d'angelo

Il 30 agosto 1961 muore Roberto Ciaramella. Ha settantaquattro anni e all'Italia distratta dal boom il suo nome non dice più niente. Eppure è stato uno dei personaggi più importanti della scena musicale di Napoli, città dove nasce nel maggio del 1887. Il Novecento non è ancora iniziato quando debutta, a soli sette anni, al Teatro Rossini di Napoli cantando l'inedita "Maria Marì" di Eduardo Di Capua, suo maestro di canto. In breve tempo il bambino prodigio diventa un beniamino del pubblico nel capoluogo partenopeo tanto che viene chiamato a far parte del gruppo di artisti che mettono in scena la "Cantata dei pastori" di Angelo Gabriele. È in questo periodo che, proprio giocando sul nome di Gabriele, Ciaramella si conquista il soprannome di "la più bella voce d'Angelo". A sedici anni si arruola in marina e la sua carriera sembra chiudersi lì, ma il richiamo del palcoscenico è più forte della paga militare. Nel 1913 è nuovamente in scena insieme ad altri due personaggi fondamentali per l'evoluzione dello spettacolo napoletano: Mimì Maggio e Silvia Coruzzolo. Con loro forma un trio le cui esibizioni sono oggi considerate tra i primi tentativi di sceneggiata. Di nuovo la divisa sembra sbarrare la strada della sua carriera. Con lo scoppio della prima guerra mondiale viene richiamato sotto le armi. Nel 1918 quando il conflitto finisce torna ancora a Napoli e si riunisce ai suoi due compagni d'avventura. Nel 1920, costretto a letto da un banale, ma fastidioso, infortunio, comincia a mettere sulla carta qualche idea. In breve tempo diventa un prolifico e geniale autore di sceneggiate, macchiette e canzoni popolari. Alla sua inventiva si devono canzoni in lingua partenopea che hanno fatto epoca come "O squilibrato" e "Ah Matalè". La sua napoletanità non ha confini. Come molti suoi compaesani prende "il vapore" e se ne va negli Stati Uniti, accolto da vere e proprie manifestazioni di piazza. Le sue tournée oltreoceano saranno numerosissime. In quegli anni traduce gran parte del repertorio tradizionale partenopeo nello slang di Little Italy favorendone la diffusione. Fa lo stesso, all'inverso, con alcuni brani americani che inserisce nel repertorio destinato al pubblico di Napoli previa traduzione in dialetto. Sulle due sponde dell'oceano registra gran parte delle canzoni dell'epoca tanto da lasciare in eredità ai posteri un'imponente mole di materiale fonografico. Memorabili restano anche i suoi duetti con la moglie Anna Carlevalis e con Ciccillo Rondinella, uno dei monumenti della napoletanità.


29 agosto, 2022

29 agosto 1911 - Marcel Bianchi, la miglior chitarra dopo Django Reinhardt

Il 29 agosto 1911 nasce a Marsiglia, in Francia, il chitarrista Marcel Bianchi. Fin da ragazzo si lascia affascinare dalla musica e studia il mandolino, il violino e la chitarra. Negli anni della gioventù non pensa che il mestiere dello strumentista possa diventare un modo per guadagnarsi da vivere. La svolta arriva nel 1934 quando, dopo aver avuto l'occasione di accompagnare Louis Armstrong in uno dei suoi concerti francesi decide di trasformare l’hobby in un lavoro. Due anni dopo, nel 1936, diventa musicista professionista. Nel 1937 si stabilisce a Parigi dove viene ingaggiato da Alix Combelle e suona con quasi tutti i protagonisti della scena jazz parigina di quel periodo, da Philippe Brun a Stéphane Grappelli, da Jerry Mengo a Bill Coleman, a Fletcher Allen a molti altri. Partecipa anche ai concerti dell'Hot Club di Francia. La sua attività viene interrotta dalla guerra. Imprigionato dai tedeschi riesce a fuggire dal campo di prigionia in cui è stato rinchiuso e si stabilisce in Svizzera. Al suo ritorno in Francia, ne1 1946, è tra i primi ad adottare la chitarra elettrica. Forma un sestetto con il quale si esibisce in numerosi club a Parigi, sulla Costa Azzurra, e in tournée all'estero. Dotato di una eccellente tecnica e di una buona sonorità, Marcel Bianchi appare influenzato da Charlie Christian e Les Paul. La critica lo considera il miglior chitarrista francese dopo Django Reinhardt. Muore nel 1998.


26 agosto, 2022

26 agosto 1994 - Rap, coltelli e tanti soldi

Si chiama Colin Alexander Easton, ha ventisei anni e nessuna vocazione alla popolarità. Il 26 agosto 1994 viene accoltellato a Glasgow durante un concerto del rapper Ice Cube. Il volto di Colin Alexander fa il giro del mondo e riapre la mai sopita polemica nei confronti del rap e soprattutto di personaggi come Ice Cube, perennemente in bilico tra inferno e paradiso, tra coerenza e mercato. Nato a Los Angeles, O'Shea Jackson, questo è il vero nome di Ice Cube, si impone all'inizio degli anni Novanta come uno dei più carismatici e discussi rapper hardcore statunitensi. La sua popolarità, inizialmente limitata ai giovani dei quartieri neri delle grandi metropoli, esplode all'improvviso nel 1991 quando l'album Death certificate arriva al secondo posto nelle classifiche di vendita degli Stati Uniti. L'imprevisto exploit coglie di sorpresa l'ambiente musicale statunitense e provoca polemiche a non finire. Ice Cube viene accusato di essere razzista e di incitare alla violenza, in particolare nei confronti delle comunità ebraiche, prese di mira dalla sua No vaseline, e coreane, attaccate nel brano Black Korea. La campagna di accuse e controaccuse non fa che giovare alla causa commerciale del rapper, che interpreta con perfezione un po' sospetta la parte del personaggio maledetto, aggressivo e un po' losco. In breve tempo diventa più di un mito per i giovani dei quartieri neri, soprattutto nel 1992 quando pubblica, immediatamente a ridosso della rivolta nera di Los Angeles, l'album The predator e il singolo Wicked che schizzano con la rapidità del fulmine ai vertici delle classifiche di vendita. Deciso a sfruttare fino in fondo la sua popolarità si presta a essere variamente strumentalizzato, non rifiutando neppure qualche offerta commerciale non proprio coerente con il suo personaggio. Si fa conquistare anche dal cinema e partecipa a film non memorabili come “I trasgressori” di Walter Hill che doveva originariamente intitolarsi "I saccheggiatori", termine considerato "politicamente scorretto" dopo la rivolta di Los Angeles. Negli anni successivi la sua popolarità non accenna a scemare anche se le frange più radicali del movimento rap prendono le distanze da lui, accusandolo di essere ormai una macchina mangiasoldi. L'accoltellamento di Glasgow arriva al momento giusto per rilanciare il "lato oscuro" di questo rapper un po' in difficoltà a reggere il ruolo che gli è stato costruito addosso. Ice Cube non commenta, ma i suoi produttori si fregano sicuramente le mani…


25 agosto, 2022

25 agosto 1973 - Tetsu Yamauchi non può far parte dei Faces perché non è inglese

Un giapponese entra a far parte di uno dei gruppo storici del rock britannico. La notizia sembra inventata, ma è vera. Nel mese di marzo del 1973, dopo la pubblicazione dell'album Ooh la la, i Faces attraversano uno dei tanti periodi turbolenti della loro storia. Il cantante Rod “The Mod” Stewart, sempre più tentato dall’avventura solistica, dichiara alla stampa di sentirsi limitato dai compagni. Per tutta risposta il bassista Ronnie Lane, dopo un tour statunitense portato a termine solo per tenere fede agli impegni contrattuali, se ne va. Non è un colpo da poco, neppure per una band all’apice del successo, perché Lane, oltre a essere uno dei “soci fondatori” del gruppo, ne è anche un simbolo. In ogni caso la decisione sembra definitiva e bisogna andare avanti. Rod Stewart, Kenny Jones, Ron Wood e Ian McLagan si guardano un po’ intorno e poi fanno la loro scelta. Il sostituto di Ronnie Lane è il giapponese Tetsu Yamauchi, un bassista che ha già collaborato con vari artisti britannici, tra i quali Paul Kossof e Simon Kirke dei Free. Un bassista con gli occhi a mandorla in una delle principali band del rock britannico? Non sia mai. L’ambiente, più conservatore e corporativo di quel che sembra, si mobilita in difesa dell’onore nazionale minacciato. Anche l’Associazione dei Musicisti Britannici non perde l’occasione di fare la sua brutta figura e chiede che a Yamauchi, in possesso soltanto di una licenza temporanea, non venga rinnovato il permesso di lavorare in Gran Bretagna. Si va avanti così per un po’ di tempo finché il 25 agosto 1973 le autorità britanniche rifiutano al bassista giapponese il rinnovo del permesso di lavoro. Storia finita? Niente affatto. I Faces non si scompongono. Propongono ricorso contro la decisione e poi annunciano: «Tetsu è il nostro nuovo bassista, non c’è un’altra soluzione e neppure ci interessa trovarla. Se lui non può lavorare in Gran Bretagna, neppure noi possiamo farlo. Vorrà dire che sceglieremo un paese meno razzista e ottuso». La compattezza del gruppo, deciso davvero ad andarsene, otterrà il risultato voluto e Tetsu Yamauchi resterà.

23 agosto, 2022

23 agosto 1995 - Nina non subisce, Nina spara!

Il 23 agosto 1995 Nina Simone, una delle più grandi voci della storia del jazz e del soul, viene condannata a otto mesi di carcere dal tribunale di Aix-en-Provence, in Francia, per aver ferito un ragazzo alle gambe sparandogli con la pistola a Bouc-Bel-Air, nel Sud della Francia. La cantante, che ha sessantadue anni, si scusa con tutti, ma spiega di essere stata a lungo bersaglio di stupidi scherzi e schiamazzi da parte del giovane e di un gruppo di suoi amici. «Non amo la violenza, ma sono cresciuta in un paese, gli Stati Uniti, dove a una donna nera spesso non resta altra scelta che difendersi da sola. E poi io l'avevo detto al ragazzo: «Attenzione, Nina non subisce, Nina spara!» I giudici non sono teneri con lei anche perché i famigliari del ferito sostengono che «quella vecchia negra è pazza». In aggiunta al carcere c'è l'obbligo di sottoporsi a cure psichiatriche e il pagamento di ventimila franchi di danni e interessi, ai quali vanno aggiunti tremila franchi di multa. A capo chino quella che è stata per lungo tempo "la voce dei diritti civili" dei neri americani, ascolta la sentenza. È un brutto momento, ma passerà come sono passati quelli precedenti. Eunice Waymon, questo è il vero nome di Nina Simone, nasce nel 1933 a Tryon, nel North Carolina, sesta di otto fratelli e figlia di un pastore metodista. Inizia a cantare nel 1954 in un club di Atlantic City e verso la metà degli anni Sessanta ottiene una serie di successi con brani come Don't let me be misunderstood e I put a spell on you, ma scopre anche l'impegno politico. Attivamente coinvolta dal movimento per i diritti civili e sospettata di qualche simpatia nei confronti del Black Panthers Party, regala al mondo canzoni destinate a entrare nella storia di quegli anni come Why? (The king of love is dead), in memoria di Martin Luther King, e Young, gifted and black, scritta da lei e interpretata in seguito anche da Aretha Franklin. Nella seconda metà degli anni Settanta, di fronte al mutare delle mode e all'affievolirsi delle spinte ideali dei movimenti, va in crisi. Tornerà periodicamente in sala di registrazione e qualche volta in concerto più per spirito di sopravvivenza che per convinzione. Non la scuoterà neppure l'inaspettato successo, nel 1987, di My baby just cares for me, arrivato ai primi posti della classifica in molti paesi europei dopo essere stato utilizzato nello spot di un profumo. Due anni prima della condanna da parte del tribunale francese ha pubblicato il modesto A single woman.


19 agosto, 2022

19 agosto 1906 - Manzie Johnson e il sogno di una vita ad Harlem

Il 19 agosto 1906 nasce a Putnam, nel Connecticut, Manzie Johnson, uno dei più eleganti ed essenziali batteristi del jazz di New Orleans. Pressoché sconosciuto al grande pubblico, anche per il suo carattere asciutto, incapace di autopromozione e di poche parole, gode invece di una notevole popolarità e stima nella ristretta cerchia degli appassionati di tutto il mondo. Per lui il jazz è un sogno coltivato da piccolo, così come il desiderio di lasciarsi alle spalle la vita difficile nella cittadina dove è nato. Nei suoi occhi ci sono i locali e i teatri di Harlem, scenari che la sua fantasia carica di colori e significati particolari. Ha da poco smesso di portare i calzoni corti quando lascia la città natale per cercare fortuna a New York. A differenza di altri trova davvero quello che cerca. Nella "grande mela", infatti, si fa conoscere suonando per molto tempo allo Small's Paradise con l'orchestra di quel Willie Gant che, in quell'epoca, è considerato uno dei giganti della scena di Harlem. Successivamente suona e registra con quasi tutti i più importanti gruppi degli anni Trenta, da Freddie Johnson a June Clark, da Frankie Newton a Don Redman, da Willie Bryant a Joe Sullivan, a Bobby Burnett. Ancora oggi le sue registrazioni del 1938 con la band di Tommy Ladnier e Mezz Mezzrow sono merce pregiata per i collezionisti. Il suo carattere lo porta a non mettersi in evidenza, spesso con il rischio di non valorizzare abbastanza il suo apporto solido ed essenziale, perfettamente inquadrato nello schema della scuola tradizionale. Non si pensi, però, che la sua esperienza musicale finisca con la fine del periodo d'oro dello stile New Orleans. L'incontro con le aperture dello swing e del grande jazz orchestrale ma anche con le forme più evolute del dopoguerra fornisce alla sua tecnica nuovi stimoli. Resta per tutta la carriera un batterista dalla formazione classica, ma non rinuncia ad aperture e variazioni che denotano una acuta sensibilità e la capacità di adattarsi con intelligenza alle evoluzioni del suo genere musicale. Se può non si sposta da New York. Fino alla morte, che lo sorprende nel 1971, trascorrerà, infatti, gran parte della sua vita in quella città che era nei suoi sogni di ragazzo e che gli ha dato la possibilità di vivere di musica. Del suo lavoro restano testimonianza preziosa alcune registrazioni al fianco dei grandi del jazz come una straordinaria Doin' what I please con Don Retman del 1932, Sixty street con Lil Armstrong del 1939 e The mooche con Sidney Bechet del 1941.