19 settembre, 2022

19 settembre 1887 – Cora "Lovie" Austin, una donna tra i pionieri del jazz

Il 19 settembre 1887 vede la luce a Chattanooga, nel Tennessee, Cora Calhoun, una donna destinata lasciare un segno profondo nella storia del jazz. Con il nome d’arte di Cora "Lovie" Austin saprà, infatti, imporsi in un ambiente quasi esclusivamente maschile fino a diventare, insieme a Lil Hardin, una delle prime donne capo-orchestra del Novecento. Fin da piccola dimostra di possedere un innato talento musicale che i suoi genitori non ostacolano e indirizzano verso il pianoforte, strumento educativo e adatto a una ragazza. Diplomatasi in pianoforte e composizione alla Roger Williams University di Nashville, si trasferisce a Chicago dove inizia a suonare come professionista nelle orchestre dei più celebri teatri della città. Quando scopre il jazz ne resta affascinata. All’inizio suona per divertimento in qualche session improvvisata, ma ben presto decide di lasciare le orchestre e i teatri per dedicarsi interamente a questo tipo di musica. Gli amici la consigliano di lasciar perdere. Per una donna non è facile trovare spazio nel jazz di quei tempi, quasi interamente maschile per quel che riguarda le parti strumentali. Sono rarissime le donne strumentiste, mentre non mancano le cantanti. Sembra quasi che alle donne sia consentito giocare con la voce solo perché le caratteristiche della voce femminile sono insostituibili, ma non si discute sugli altri ruoli: il jazz è un gioco per i maschi. Cora non si lascia intimidire dalle difficoltà. Cerca e trova la solidarietà delle cantanti che la scelgono come accompagnatrice al piano dei loro concerti. Ben presto diventa la pianista preferita di molte signore del blues come Ida Cox, Ma Rainey, Alberta Hunter, Ethel Waters, Edmonia Enderson e Priscilla Stewart. Il ruolo di semplice “accompagnatrice al piano” in perenne difficoltà a trovare l’intesa con le orchestre dei vari locali finisce per diventarle stretto. È stanca della sufficienza con cui la guarda il maestro di turno, non vuole più avere un ruolo marginale. Pian piano si lascia conquistare dall’idea di formare una sua orchestra. Le signore del blues la sostengono e l’aiutano nella difficile ricerca di un gruppo di strumentisti maschi disposti a sottomettersi all’autorità di una donna capo-orchestra. Alla fine la cocciuta Cora riesce nel suo intento e nel 1923 debutta alla guida dei suoi Blues Serenaders, un gruppo destinato a durare a lungo e del quale faranno parte, in vari momenti, personaggi importanti del jazz come i cornettisti Tommy Ladnier, Bob Shoffner, Natty Dominique, il trombonista Kid Ory e i clarinettisti Jimmy O’Bryant e Johnny Dodds. Energica e determinata, mai gelosa delle fortune dei suoi strumentisti, guida al successo e sa valorizzare al meglio i talenti del gruppo. Non è un caso, per esempio, che proprio nei Blues Serenaders trova la sua prima valorizzazione il cornettista Tommy Ladnier, che diventerà il più suggestivo interprete di blues con il soprannome di “Tommy The Talking Cornettist”, ovvero “il cornettista parlante”. Cora Austin crede in lui quando non è ancora nessuno, lo inserisce nel gruppo e lo lascia libero di utilizzare le sordine dello strumento in modo da creare un suono simile a quello della voce umana: da qui il soprannome. Fa poi lavorare la band in funzione del suo talento, lo valorizza, ne tira fuori le migliori qualità tanto che quando se ne va è ormai un musicista affermato. Altruista e generosa vede nell’insieme dell’orchestra la miglior valorizzazione delle sue capacità e una rivincita contro chi pensava che le donne potessero emergere solo come cantanti o, qualche volta e per gentile concessione, come strumentiste. Forse per reazione diminuisce progressivamente il suo apporto strumentale al pianoforte fino a riservarsi un ruolo di mero sostegno ritmico. Le sue capacità organizzative e il suo talento non passano inosservati. Le viene offerto di assumere la direzione musicale del Monogram Theatre di Chicago. Lei accetta l’incarico che manterrà per più di vent’anni, ma non rinuncia all’orchestra. Continuerà a richiamare in servizio i suoi Blues Serenaders tutte le volte che potrà e nel 1961, a settantatré anni, entrerà per l’ultima volta in sala di registrazione con una formazione comprendente il trombonista Jimmy Archey, il clarinettista Darnell Howard, il bassista Pops Foster, il batterista Jasper Taylor e la cantante Alberta Hunter. Non registrerà altri dischi, ma continuerà a lavorare fino alla morte che la sorprenderà, quasi ottantacinquenne, a Chicago nel 1972. La sua amica e cantante Alberta Hunter farà ancora meglio, visto che nel 1980, a ottantatré anni, accetterà un contratto per un’intera stagione nei locali del Greenwich Village di New York.


18 settembre, 2022

18 settembre 1976 - Il funk dei Wild Cherry

Il 18 settembre 1976 al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti svetta il brano Play that funky music. Ne sono interpreti i Wild Cherry, una band formata a Steubenville, nell'Ohio, nella prima metà degli anni Settanta dal cantante e chitarrista Bob Parissi, dal chitarrista Bryan Bassett, dal bassista Allen Wentz, dal batterista Ron Beitie e dal tastierista Marc Avsec. Dietro alle spalle hanno una lunga gavetta in locali da ballo cercando di imporre il loro funk, pulito e preciso come un metronomo senza perdere in allegria. Il successo di Play that funky music accompagna quello del loro primo album, pubblicato con il solo nome della band in copertina. La critica, pur apprezzando il loro buon taglio stilistico, dà l'impressione di non credere molto nel futuro di un gruppo che tende un po' a confondersi nel panorama generale della dance. Questa sorta di sospensione del giudizio non piace ai componenti dei Wild Cherry che rivendicano nervosi di non essere un'invenzione del momento ma un gruppo dalla solida storia. Eppure la critica non ha torto perché le successive evoluzioni finiranno per evidenziare un ripetitività senza costrutto e, purtroppo per la band, anche senza grandi risultati. Play that funky music invece di essere il primo passo della definitiva affermazioni di una funky band dalle grandi possibilità, finisce per essere l'isolato exploit di un gruppo che si perde per strada. Pur pubblicando ancora gli album Electric funk e I love my music i Wild Cherry non trovano più la fortunata ed esplosiva mescola del debutto discografico. La loro storia si concluderà nel mese di febbraio del 1979 con una separazione consensuale. Il loro nome finirà ingiustamente per confondersi tra quelli dei protagonisti di una sola breve stagione di successo, accanto a band inventate in studio e a gruppi modesti. Dopo lo scioglimento Mark Avsec inizierà a occuparsi di produzione e Bob Parissi lavorerà come disc jockey.


17 settembre, 2022

17 settembre 1988 – Scusa, ma quello non è Mick Jagger?

Nel settembre del 1988 in Australia la notizia dell’imminente tournée da solista di Mick Jagger, il cantante dei Rolling Stones, occupa le prime pagine di tutti i giornali. La macchina della campagna promozionale viaggia a pieno ritmo, soprattutto nelle città destinate a ospitare i concerti. Manifesti, vetrine, gadget, tutto concorre a creare quello che viene presentato come l’evento musicale dell’anno. Nessuno si stupisce quando il gestore del Cardomah Cafe di Sidney, in Australia, annuncia al microfono «Domani, eccezionalmente, la band del nostro locale sostituirà il suo cantante con quello dei Rolling Stones». Il pubblico del locale lo conosce e sa che è un burlone che ispira i suoi lunghi sermoni pubblicitari ai fatti dell’attualità. L’elenco delle persone famose annunciate per scherzo è lunghissimo: attori, sportivi, cantanti, personaggi dei cartoni animati e celebri criminali, tutti sono diventati, nel corso degli anni, ospiti virtuali del locale. La frase, pronunciata con tono solenne e accompagnata dalla sigla musicale del locale viene salutata, come al solito, da un assordante boato di lazzi e risate quindi dimenticata. Nessuno può, del resto, ragionevolmente pensare che un locale come il Cardomah Cafe, che al massimo della sua capienza arriva a contenere non più di quattrocento persone, si possa permettere un personaggio come Jagger, capace di attrarre decine di migliaia di persone. Quasi a confermare le previsioni l’indomani, sabato 17 settembre 1988, il Cardomah, gremito di gente come ogni vigilia di festa, ha l’aspetto di sempre. I ragazzi del gruppo ci danno dentro con foga, qualcuno balla e davanti al bancone del bar c’è la solita ressa. Improvvisamente, però, il clima cambia. Le note che provengono dal palco si fanno più dure e si alza il suono lancinante di un’armonica. L’attenzione di tutti va sul gruppo. C’è un nuovo cantante. È Mick Jagger che, senza dire una parola, attacca una serie di classici del blues. Il pubblico si alza in piedi e comincia ad accompagnarlo con il battito delle mani. Il leader degli Stones canta per poco più di mezz’ora poi si inchina, ringrazia il pubblico e se ne va, protetto dai buttafuori del locale. Il gestore annuncia per il giorno dopo la presenza di Paperon De’ Paperoni. Tutti ridono, ma dopo l’esperienza vissuta nessuno se la sente di escludere niente.


16 settembre, 2022

16 settembre 1925 - B.B. King, il bluesman dei carcerati

Il 16 settembre 1925 nasce a Itta Bena, nel Mississippi Riley Ben King, destinato a diventare, con il nome di B.B. King, uno più grandi musicisti di tutti i tempi. Le sue scuole di musica sono la strada e la chiesa. A nove anni strimpella già con sufficiente autonomia le corde della sua chitarra e a quindici è il leader di un gruppo gospel. Nel 1947 si trasferisce a Memphis dove di giorno lavora all'emittente radiofonica WDIA e la sera suona blues nei locali della Beale Street. In questo periodo viene anche coniato il nomignolo con il quale è famoso in tutto il mondo. Tutto nasce quando Don Ferguson inizia a chiamare il ragazzo che suona alla Beale Street con il soprannome di "Beale Street Blues Boy", divenuto poi "Blues Boy" e, quindi, "B.B.". Nel 1949 ottiene il suo primo contratto discografico dai fratelli Bishari, proprietari della RPM Records, cui è stato segnalato da Ike Turner. L'impatto con le asettiche sale di registrazione è, però, deludente. Il suo primo singolo, Miss Martha King, non aggiunge niente alla sua popolarità e non hanno miglior fortuna neppure le successive registrazioni. Il grande successo discografico arriva l'anno dopo con Three o' clock blues, registrato con Ike Turner al pianoforte, che conquista il vertice della classifica dei dischi di rhythm and blues più venduti negli Stati Uniti. Una lunga serie di successi costella la sua carriera fino all'inizio degli anni Sessanta quando, sotto l'incalzare del beat, la sua musica sembra avere un posto soltanto nel circuito del revival per vecchi nostalgici. Per lui e per gli altri grandi del blues il destino ha in serbo, però, una sorpresa. I rockers britannici non rinnegano le radici nere della loro musica e aiutano gran parte di quelli che considerano i loro "padri musicali" a riemergere dall'anonimato e, in molti casi, dall'isolamento artistico. I Rolling Stones impongono la presenza di B.B. King nel loro tour statunitense del 1969 e il vecchio leone nero torna così a ruggire. Il successo, però, non gli fa dimenticare chi è meno fortunato. Dopo la pubblicazione di Live in Cook County Jail, un album dal vivo registrato in un carcere, nel 1972, insieme all'avvocato Lee Bailey, fonda la FAIRR, un'associazione a favore dei detenuti di cui assume la carica di vicepresidente. Nel 1979 accetta, primo fra i grandi bluesman, la proposta di una tournée in Unione Sovietica e nel 1982 dona all'Università del Mississippi la sua collezione di oltre ventimila dischi, tra cui spiccano settemila introvabili raccolte di blues a 78 giri.


15 settembre, 2022

15 settembre 1983 - Sempre Nomadi

Il 15 settembre 1983 il cantante Augusto Daolio e il tastierista Beppe Carletti dei Nomadi festeggiano a Reggio Emilia il ventennale dei Nomadi, periodicamente dati per spacciati, ma capaci ogni volta di risorgere. La storia del gruppo inizia nel 1961 quando a Novi di Modena Carletti e Daolio danno vita ai Monelli con il sassofonista Gualberto Gelmini, il batterista Leonardo Manfredini, il bassista Antonio Campani e il chitarrista Franco Midili. Due anni dopo alcuni cambiamenti nella formazione precedono il cambio di nome in Nomadi. Nel 1965 il gruppo con Carletti, Daolio, Midili, il batterista Gabriele "Bila" Copellini e il bassista Gianni Coron realizzano il loro primo singolo Donna la prima donna, oggi considerato uno dei pezzi più rari dai collezionisti italiani. Il successo arriva l'anno dopo con Come potete giudicar, la versione italiana di Revolution kind, che spopola al Cantagiro. Alla fine degli anni Sessanta la band è una delle più amate dai giovani italiani con decine di brani destinati a restare nella memoria collettiva di più di una generazione. All'inizio degli anni Settanta, sostituiti Copellini e Coron con il batterista Gianpaolo Lancellotti e il bassista Umberto Maggi, il gruppo si orienta verso un genere più commerciale, partecipa al Festival di Sanremo e segna una profonda frattura con il pubblico della prima ora con brani come Un pugno di sabbia o Io vagabondo. Alla metà degli anni Settanta entra in formazione anche l'irlandese Christopher Patrick Dennis, ma l'insuccesso dell'album Gordon sembra preludere alla fine del gruppo. Nonostante le fosche previsioni, la band recupera l'antico spirito e ritorna prepotentemente alla ribalta nel 1981 con Sempre Nomadi e il 15 settembre 1983 a Reggio Emilia ci sono anche i vecchi fans a celebrare il ventennale. Negli anni successivi la band vive un lungo periodo di tensioni interne che si fanno via via più gravi fino a sfociare in un causa giudiziaria sulla titolarità del nome. La spuntano nel 1990 Daolio e Carletti che riprendono il cammino risistemando l'organico e pubblicando l'album Solo Nomadi che segna il ritorno a brani d'impegno politico e sociale. La tormentata storia dei Nomadi non è ancora al capolinea, anche se il destino non sembra guardare con occhio benevolo la band. Nel 1992 il chitarrista Dante Pergreffi morirà in un incidente stradale e pochi mesi più tardi anche Augusto Daolio si arrenderà a un male incurabile. Gli altri guidati da Carletti tireranno avanti anche per loro.


14 settembre, 2022

14 settembre 1963 - Pete Seeger non cede

Il 14 settembre 1963 le pressioni di Bob Dylan, Joan Baez e molti altri protagonisti della scena folk statunitense sembrano ottenere finalmente quello che si sono prefissi: convincere l'ABC TV a cessare il boicottaggio nei confronti di Pete Seeger e invitarlo a partecipare allo show "Hootenanny". La richiesta degli artisti, accompagnata da una petizione sottoscritta da migliaia di cittadini sostiene che il grande folksinger è stato vittima di due gravi ingiustizie. La prima è la persecuzione "maccartista" nei suoi confronti che, al contrario di quanto dichiarato ai quattro venti dalle autorità, non è mai finita. Nessun canale televisivo è disposto a dare spazio a quel ragazzaccio compagno d'avventure di Woody Guthrie che continua a dirsi comunista e non nasconde le sue simpatie per Fidel Castro, il nemico numero uno dell'America democratica e kennediana. La seconda ingiustizia riguarda il nome stesso della trasmissione televisiva della ABC TV, "Hootenanny", uno degli show di punta dell'emittente, che, come ricordano i firmatari, è stato rubato dall'appellativo degli happening di musica, poesia, e recitazione messi in piedi dovunque ci fossero lavoratori in lotta proprio da Seeger, Guthrie e altri come loro per tirare su il morale e raccogliere fondi. "Hootenanny" si chiamavano e non erano intervallati dalla pubblicità. Anche per questo il fatto che Pete Seeger non possa partecipare alla trasmissione è, a detta dei firmatari della petizione, una scandalosa ingiustizia. Il 14 settembre, dunque, l'ABC TV comunica di non avere più alcuna pregiudiziale nei confronti di Pete Seeger. Questione finita? No, perché i dirigenti dell'emittente chiedono a Pete Seeger di firmare una dichiarazione di fedeltà nei confronti del governo degli Stati Uniti: «una questione puramente formale». Il folksinger va su tutte le furie e si rifiuta. La «questione formale» diventa sostanziale e l'emittente annulla l'invito. Pete Seeger non parteciperà a "Hootenanny".


13 settembre, 2022

13 settembre 1966 - Anna Fougez: il mondo parla e io passo

Il 13 settembre 1966 muore nella sua villa di Santa Marinella, in provincia di Roma, la sessantanovenne Anna Fougez, regina indiscussa del tabarin degli anni Venti e del music-hall italiano degli anni Trenta, simbolo vivente della seduzione e del peccato dell'epoca Liberty. Il suo vero nome è Anna Pappacena e qualche tempo prima di morire ha dato alle stampe una gustosa biografia dal titolo “Il mondo parla e io passo”. La sua vita è movimentata e avventurosa fin dall'infanzia. Nasce a Taranto da una famiglia benestante, ma resta orfana a sei anni e viene adottata da una zia. A otto anni fugge di casa per seguire una compagnia di teatranti girovaghi. Da loro impara i primi trucchi del mestiere e ben presto diventa una bambina prodigio conosciuta e applaudita in tutta Italia. Sul palcoscenico si esibisce in un repertorio di canzoni napoletane o in arie d'operetta. A quindici anni canta in duetto con Ettore Petrolini che resta stupito. In quel periodo la ragazza sceglie il suo nome d'arte: Anna Fougez in onore di Eugénie Fougère, la "femme fatale" del teatro francese. Un paio d’anni dopo è una delle stelle più fulgide del varietà, idolatrata da un pubblico che va in visibilio per la sua voce roca e per le sue pose languide sottolineate da abiti audaci. Interprete raffinata dell’atmosfera di un’epoca, canta canzoni ricche di sensualità come Vipera o La violetera. Il successo ne fa l’artista più pagata dei primi anni del Novecento tanto che nel 1919 il suo compenso è di 1500 lire a spettacolo: un'enormità per l'epoca. Anche il cinema s’accorge di lei e le affida il ruolo della torbida protagonista in molti film di successo. Per tutti gli anni Trenta partecipa alla realizzazione di spettacoli ricchi di musiche e coreografie, sull’esempio del music-hall parigino, nei quali canta brani destinati a un grande successo come Addio signora. Quando il peso degli anni inizia a farsi sentire non attende il declino e si ritira dalla scene.


12 settembre, 2022

12 settembre 1935 - Nasce Trincale, il nostro Woody Guthrie

Il 12 settembre 1935 a Militello in Val di Catania nasce Franco Trincale, cantautore o, come lui stesso si definisce, cantastorie. Proprio alla tradizione dei cantastorie, infatti, si rifà quasi tutto il suo lavoro musicale, iniziato negli anni Cinquanta in Sicilia. Insofferente a qualunque tipo di condizionamento ha messo in musica e raccontato le storie dell'Italia degli ultimi cinquant'anni. Se fosse nato negli Stati Uniti oggi sarebbe considerato il "nuovo" Woody Guthrie. I punti di contatto tra la sua storia e quella del più grande folk singer d'oltreoceano sono molti. Come Guthrie è un vagabondo armato di chitarra che scorrazza nel suo paese laddove le tensioni sociali si fanno più acute. Alla fine del servizio militare si trasferisce dalla natìa Sicilia a Milano. Qui le sue canzoni, fino a quel momento rimaste nell'ambito del folklore e della tradizione, si fanno più aggressive, in sintonia con i movimenti di lotta che accompagnano le grandi trasformazioni sociali degli anni Sessanta. Nello stesso periodo vince ben tre edizioni del festival dei cantastorie di Piacenza e diventa un "soggetto" interessante per le case discografiche. Il rapporto tra lui e l'industria dei dischi dura poco. Il suo carattere fondamentalmente alieno a qualunque tipo di disciplina imposta dall'alto ed estraneo alle ragioni di mercato lo porta ben presto a scegliere la strada dell'autoproduzione. Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta diventa così un antesignano delle "vendite militanti" inaugurando una sorta di microrete destinata all'autodistribuzione che fungerà ancora da modello per le esperienze dell'hip hop e per la musica alternativa degli anni Ottanta. Album come Canzoni in piazza e Canzoni di lotta vendono un numero impressionante di copie e c'è chi sostiene che se fossero state diffuse attraverso i normali canali di vendita avrebbero conteso alla più conosciute pop star la vetta delle classifiche di vendita. Il fenomeno Trincale va però al di là della, pur interessante, esperienza commerciale. Egli, infatti, si caratterizza nel movimento della nuova canzone sociale italiana per il suo modo originale di scrivere canzoni oltre che per lo stile vocale direttamente ispirato al modello dei cantastorie. I suoi testi, infatti, costruiti sui modelli narrativi tradizionali, spesso non rispettano le strutture metriche classiche, privilegiando il concetto alla purezza stilistica. La sua attività non termina con l'esaurirsi della grande stagione della canzone politica italiana, ma continua senza sosta fino ai giorni nostri.


11 settembre, 2022

11 settembre 1987 – Uno sparo sull’erede di Marley

L’11 settembre 1987 a Kingston in Giamaica tre uomini entrano nella casa di Peter Tosh per rubare. Qualcuno ha detto loro che il cantante è all’estero e che l’abitazione è vuota, ma l’informazione è falsa. Tosh è in casa e non è solo. Con lui ci sono il cuoco vegetariano che l’accompagna ovunque e un amico disk jockey. È un problema che si può risolvere. Spianano le pistole e li uccidono. Finiscono così la vita e la carriera di Peter Tosh, l’interprete di reggae che alla morte di Bob Marley era stato da molti indicato come il suo erede. L’assassinio rafforza le convinzioni di chi crede che ci sia una maledizione destinata a perseguitare i grandi interpreti di questo genere musicale, colpevoli di avere commercializzato una musica che appartiene alla tradizione magico-sacrale della Giamaica. Al momento della sua morte Peter Tosh, che all’anagrafe è registrato con il nome di Winston Hubert McIntosh, non ha ancora compiuto trentatré anni. Nasce infatti il 9 ottobre 1944 e, dopo qualche piccola esperienza come cantante solista, alla metà degli anni Sessanta forma gli Wailers insieme ai suoi amici Bob Marley e Bunny Livingston. Più che per la sua voce si fa apprezzare per la sua genialità musicale. Alla sua fertile creatività si devono, infatti, alcuni dei brani più popolari della band di Marley come Get up, stand up e 400 years. Nel 1974 lascia i compagni per continuare come solista e un paio d’anni dopo diventa popolare in tutto il mondo con il brano Legalize it (Legalizzatela), dichiaratamente a favore della legalizzazione della marijuana. Particolarmente impegnato sui temi sociali nell’album successivo, Equal rights denuncia le ingiustizie sociali giamaicane. La sua attività attira l’attenzione dei Rolling Stones, che lo vogliono con loro nel tour statunitense del 1978 e lo scritturano per la loro etichetta discografica. Dopo la morte del suo vecchio amico e compagno Bob Marley sono molti quelli che sperano di trovare in lui l’erede del “Re del reggae”, anche se la sua produzione appare ancora troppo discontinua e non sempre all’altezza del ruolo che dovrebbe ricoprire. L’11 settembre 1987 la pistola degli assassini chiude per sempre la discussione sulle sue potenzialità artistiche.


10 settembre, 2022

10 settembre 1974 – Si sciolgono le bambole di New York

Il 10 settembre 1974 viene annunciato lo scioglimento dei New York Dolls, la band amata dall’underground newyorkese, ma incompresa e rifiutata dal music business. Il titolo del loro ultimo album Too much too soon (Troppo e troppo presto) riassume più di tanti discorsi il senso della loro breve apparizione sulla scena rock. Troppo in anticipo rispetto ai tempi, hanno aperto nuove strade al rock internazionale senza riuscire a goderne i frutti. Considerati dai critici superficiali i precursori del glam rock, i New York Dolls sono in realtà gli anticipatori dell’ondata rinnovatrice della new wave. Formati nel 1972 dal bassista Arthur Kane, dai chitarristi Johnny Thunder (all’anagrafe Jerry Gonzales) e Sylvain Sylvain (all’anagrafe Sil Mizrahi), dal batterista Billy Murcia e dal cantante David Johansen, fin dal primo momento devono fare i conti con la carica distruttiva di una critica che non accetta il loro esagerato uso di mascara, rossetto e abiti femminili e la loro voglia di provocare. Affascinano, però, la punta più avanzata dell’intellettualità newyorkese che li considera gli eredi dei Velvet Underground. Le vicende interne al gruppo non ne aiutano la carriera. Nell’autunno del 1972, nel corso di un breve tour in Gran Bretagna, perdono Billy Murcia, soffocato nella notte da una quantità industriale di alcool e droghe. Al suo posto arriva Jerry Nolan, con il quale realizzano il loro primo album New York Dolls. Come se non bastassero i problemi iniziano anche a esibirsi con un’enorme bandiera rossa alle spalle e non nascondono le loro simpatie per i comunisti. Per gli Stati Uniti degli anni Settanta è un po’ troppo. Dopo il secondo album, il già citato Too much too soon, vengono scaricati dalla loro casa discografica, la Polygram, e si ritrovano in seri guai finanziari. La storia dei New York Dolls è finita, anche se Johansen e Sylvain, cocciutamente, tentano di tenerne in vita lo spirito esibendosi per qualche anno nei piccoli club ai margini del grande circuito del rock con il nome di Dolls. Sei anni dopo la loro scomparsa la new wave britannica li trasformerà in una band di culto, riconoscendone il coraggio e la capacità di precorrere i tempi. Il riconoscimento postumo servirà anche ad arricchire i discografici, che rimetteranno sul mercato gran parte del materiale a suo tempo disprezzato. Alla fine alcuni di loro cederanno alle suggestioni della nostalgia e rimetteranno in piedi la band, ma questa è già un'altra storia...


09 settembre, 2022

9 settembre 1972 – La prima e unica volta di Arlo in classifica

Il 9 settembre 1972 Arlo Guthrie entra per la prima e unica volta della sua carriera nella classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con il brano The city of New Orleans. Si tratta di un exploit casuale che non si ripeterà più. Il successo commerciale non si addice al suo personaggio e la musica è soltanto uno dei suoi mille interessi. Figlio del grande folksinger Woody Guthrie frequenta, fin da piccolo, le “cattive compagnie” della scena musicale antagonista statunitense legate alla sinistra e al movimento sindacale. Gli è maestro Pete Seeger, vecchio amico di suo padre e ostinato ribelle, perseguitato per le sue simpatie nei confronti dei comunisti. È lui che lo introduce sulla scena del folk di protesta americano fin dalla più tenera età. Arlo muove i suoi primi passi artistici negli anni Sessanta tra le comunità hippy, ma i suoi interessi non sono solo musicali. Pubblica, infatti, il libro fortemente autobiografico Alice's Restaurant, e interpreta se stesso nell’omonimo film diretto dalle abili mani di Arthur Penn. Nel 1967 la sua partecipazione al festival di Newport sembra consacrarlo tra le nuove stelle del folk politico statunitense, ma gli difetta la continuità e la sua timidezza rende difficile il suo rapporto con il pubblico dei grandi avvenimenti. Preferisce esibirsi in piccole riunioni o per cause importanti come i diritti civili e sindacali, le iniziative a favore delle minoranze o degli immigrati clandestini. Come molti figli d'arte rimane schiacciato dal confronto con la grandezza della figura del padre, nonostante la pubblicazione di album di notevole valore come Arlo nel 1968, Running down the road nel 1969 e Washington county nel 1970. I testi delle sue canzoni, più aspri e diretti di quelli di Bob Dylan, sono l'espressione della protesta sociale più radicale dell'America alla fine degli anni Sessanta, ma la sua produzione discografica è discontinua e non sempre curata. Memorabile resta l’album doppio del 1975 Live together in concert registrato dal vivo insieme a Pete Seeger. Nel 1982, dopo Precious friend, l’ennesimo album realizzato insieme a Pete Seeger, annuncia la sua intenzione di non pubblicare altri dischi, ma non manterrà fede all’impegno. Tornerà, infatti, in sala di registrazione a partire dalla colonna sonora del film Woody Guthrie - Hard travelin' da lui realizzato in omaggio al padre.


08 settembre, 2022

8 settembre 1978 – Un saltimbanco alla batteria

L’8 settembre 1978 muore Keith Moon, il batterista degli Who. La sera prima ha partecipato a una festa in casa dell’ex Beatle Paul McCartney. Tornato a casa si è addormentato tranquillo, ma non si è più svegliato. L’autopsia rivela che gli è stata fatale una dose eccessiva di Heminevrin, un sedativo prescrittogli dai medici per sostenere il suo tentativo di uscire dal tunnel dell’alcoolismo. Ha trentun anni e da quindici è l’anima folle degli Who. Nato a Wembley, in Gran Bretagna, il 23 agosto 1946, ha diciassette anni quando incontra per la prima volta i suoi futuri compagni Pete Townshend, Roger Daltrey e John Entwistle, che in quel periodo si chiamano High Numbers. Gli piace il loro modo di suonare e pensa di essere il batterista ideale per quel tipo di musica. Decide di proporsi, anche se il posto alla batteria è già coperto da Doug Sanden. Il giovane Keith non si formalizza tanto e, dopo aver bevuto qualche bicchierino per farsi coraggio, va a trovarli. Quando entra nella sala vestito con un completino color zenzero e leggermente alticcio Pete Townshend interrompe le prove e lo guarda con curiosità. «Vorrei provare a suonare la batteria con voi. Posso?». La risposta è positiva. Sanden si alza e gli cede il suo posto. Keith ce la mette tutta e, sulle note finali, si fa un po’ trascinare dalla foga e distrugge il rullante della batteria. Townshend e Daltrey si guardano e annuiscono. È fatta. Doug Sanden dovrà cedergli definitivamente il posto. Inizia così la straordinaria cavalcata di uno dei più grandi gruppi del rock mondiale. Dopo la sua morte Pete Townshend parla alla stampa anche a nome degli altri Who. Dalle sue parole commosse traspare il presentimento che la storia del gruppo sia finita. «Abbiamo perso il nostro grande saltimbanco, il principale interprete del melodramma, l’uomo che non viveva per sé ma per gli spettatori. Keith si sarebbe dato fuoco se avesse pensato che questo avrebbe fatto ridere o saltare sulle sedie il pubblico... Siamo determinati a continuare e vorremmo farlo anche per lui... La storia degli Who continua ma nessuno potrà mai prendere il posto di Keith.” Viene reclutato Kenney Jones, l’ex batterista degli Small Faces, ma non è più la stessa cosa. 


07 settembre, 2022

7 settembre 1984 – Viva i minatori, abbasso la Thatcher

Nel mese di settembre del 1984 i minatori britannici sono impegnati in una delle più lunghe e faticose battaglie che la storia sindacale di quel paese ricordi. Hanno occupato le miniere e sono determinati a resistere a oltranza contro i progetti del governo conservatore. Obiettivo principale della lotta sono i tagli sull’occupazione e, in particolare, la chiusura di alcune miniere, ma il loro impegno diventa anche la punta più avanzata del tentativo di contrastare il disegno governativo di smantellare gran parte della garanzie sociali. I minatori diventano un simbolo di resistenza che va al di là del settore produttivo nel quale operano e attorno alle loro famiglie si sviluppa un grande movimento di sostegno e solidarietà concreta. Associazioni sindacali, comitati e semplici cittadini concorrono a raccogliere fondi, cibo, abiti e tutto quanto serve per sostenerne le necessità primarie. Anche il mondo dello spettacolo si mobilita. Paul Weller, il leader degli Style Council, in una conferenza stampa annuncia la sua intenzione di tenere un concerto a Londra per raccogliere fondi da devolvere ai lavoratori in lotta e spiega ai giornalisti che «Quella gente sta lottando anche per noi, per il nostro futuro. Non possiamo chiedere loro di resistere per mesi senza salario, senza aiuto. Non hanno bisogno di chiacchiere, ma di soldi». L’idea di Weller trova adesione e consenso e il 7 settembre 1984 alla Royal Albert Hall di Londra, una delle sale da concerto più prestigiose della capitale britannica gli Style Council sono tra i protagonisti di una lunga kermesse musicale che vede presenti anche gli idolatrati Wham! di George Michael. I fondi raccolti durante il concerto vengono consegnati al coordinamento della lotta istituito dai sindacati, ma l’impegno di Weller non si ferma qui. Insieme a Mick Talbot, Jimmy Ruffin, D.C. Lee, Vaughn Toulouse e Junior Giscombe, pubblica, sotto il nome di Council Collective, il singolo Soul deep, il cui ricavato è esplicitamente destinato a sostenere le famiglie dei minatori in sciopero. Non si limiterà alle lotte sindacali. Negli anni successivi fonderà insieme ad altri artisti come Billy Bragg e gli Smiths l'organizzazione “Red Wedge”, una sorta di corrente musicale di appoggio all’azione della sinistra del partito laburista britannico.


06 settembre, 2022

6 settembre 1926 - L'inventore del back beat

Il 6 settembre 1926 nasce a Chicago, nell’Illinois, il batterista Freddie Below, famoso in tutto il mondo per il suo modo di accompagnare le esecuzioni di blues, singolare e carico di swing trascinante. Negli anni la sua tecnica, detta del "back beat", ha fatto numerosi adepti. È ancora piccolo quando, nella sua Chicago, vagabonda tra le piccole band che suonano jazz. Lo affascina in particolare la carica innovativa dei boppers, di cui intuisce la carica innovativa prima ancora che il vento inizia a soffiare forte nelle loro vele. Proprio con loro fa le prime esperienze professionali, in particolare con Gene Ammons, che quando lo scopre non vorrebbe più lasciarlo andare via. In realtà il buon Freddie pur considerando il jazz utile per farsi le ossa, ha nel blues il primo, grande e unico amore. Con il suo baschetto spesso costellato da spilline colorate e con la grande croce d'oro appesa al petto, diventa uno dei protagonisti della storia del blues. In realtà lui non vede una grande differenza tra blues e jazz e si muove quasi sempre in una sorta di terra di nessuno in cui i due generi si danno la mano. Dal jazz attinge la precisione tecnica e la rapidità dell'esecuzione, ma al blues deve l'anima, il sentimento e l'ispirazione. Per questo i bluesmen come Junior Wells, Memphis Slim, Eddie Boyd, Otis Rush e Buddy Guy se lo contendono e lo coccolano. Ben presto si accorge di lui anche la Chess, una delle grandi etichette del blues moderno, che lo scrittura e gli apre le porte dei gruppi di artisti come Muddy Waters, Bo Diddley, Chuck Berry, Sonny Boy Williamson, Etta James e Sugar Pie. Nella seconda metà degli anni Sessanta una lunga malattia lo costringe all'inattività forzata. Tornerà sulle scene nel 1969 quando il lavoro di artisti come lui non viene più richiuso in confini né in ghetti. Vagabonderà a lungo alla scoperta del mondo e compirà numerose tournées in Europa e in Africa lavorando anche con l'armonicista bianco Charlie Musselwhite. Muore a Chicago il 14 agosto 1988.




05 settembre, 2022

5 settembre 1950 - Una stupida morte per Al Killian

«Una stupida morte per un maledetto stupido!». Così, il 5 settembre 1950 gli amici in lacrime accolgono la notizia della morte di Al Killian, uno dei più straordinari trombettisti di quel periodo, assassinato per futili motivi in un albergo di Los Angeles, in California. Nato a Birmingham, in Alabama, nel 1916 e registrato all'anagrafe con il nome di Albert Killian, non ha ancora compiuto trentaquattro anni ed è stato tradito dal suo carattere stizzoso e irascibile. «È sempre pronto a farsi gli affari degli altri anche quando sono più forti di lui!» Così viene definito da amici e colleghi, del resto l'aria che respira fin dai primi giorni di vita è quella dei locali fumosi del Sud degli stati Uniti, dove quasi sempre quando il clima si fa pesante devi sapere cavartela da solo. Prima o poi, però, trovi qualcuno più forte di te che te la fa pagare. Per Al l'incontro con un balordo più determinato e rognoso di lui è fatale. Finisce così, con un lenzuolo che pietosamente ne copre il corpo, la carriera di un musicista che aveva fatto gridare al miracolo critici e pubblico. Non si sa in quale momento della sua vita sia nata la passione per la tromba, quello che si conosce è, però, la cocciuta determinazione con cui si applica nello studio fino ad acquisire una tecnica straordinaria, soprattutto sul registro acuto dello strumento dove non ha eguali. Dopo lunghi anni passati tra incarichi saltuari e precario lavoro di studio, a ventitré anni ottiene la prima, sospirata, scrittura da Slim Gaillard che nel 1939 lo inserisce nell'organico della sua band. Killian, però, non è fatto per gli incarichi fissi. Ben presto lascia Gaillard e si rende disponibile come una sorta di free-lance della tromba. Molte sono le orchestre che richiedono i suoi servigi. Lavora con Don Redman, con Claude Hopkins e, soprattutto, con Count Basie, il leader che più di tutti sa sfruttare le sue qualità. Nella seconda metà degli anni Quaranta suona nell'ensemble di Lionel Hampton e col gruppo viaggiante del Jazz at the Philarmonic. Finisce poi nella big band di Duke Ellington, con cui nel 1950 arriva anche in Europa per una lunga e acclamata tournée. Proprio in questo periodo ottiene i maggiori consensi della critica che acclama entusiasta il suo ruolo in "Trumpet no end (Blue skies)" e nella famosissima "Liberian suite", entrambe pubblicate anche su disco. La sua carriera ha ormai imboccato la strada che dovrebbe portarlo ai grandi trionfi, ma nel settembre dello stesso anno la morte spegne per sempre la luce del suo genio.


04 settembre, 2022

4 settembre 1971 – Joan Baez a Roma

Sola, con una semplice luce bianca che la illumina e la compagnia della sua fedele chitarra: così Joan Baez si presenta la sera del 4 settembre 1971 agli oltre dodicimila spettatori, in gran parte ragazzi e ragazze, che affollano il Palasport di Roma per assistere al suo concerto. Accanto a lei, seduta su una delle due sedie che costituiscono l’unica invenzione scenografica del palco, c’è un interprete che le consente di comunicare e farsi capire dal pubblico italiano. Fin dalle prime ore del mattino la capitale è stata invasa da gruppi di giovani provenienti da ogni parte d’Italia che hanno preso d’assalto i botteghini alla ricerca dei biglietti di gradinata, venduti a mille lire l’uno. Non è la prima volta che la folksinger si esibisce in Italia. L’anno precedente, infatti, è stata a Milano all’Arena Civica e nel 1969 al Teatro Sistina di Roma, ma questa volta c’è un’attesa particolare per questo avvenimento che apre la stagione musicale dell’autunno romano. Joan Baez è reduce dallo strepitoso successo del tema del film “Sacco e Vanzetti” che le ha dato, nel nostro paese, un successo commerciale senza precedenti e, in più, ha annunciato la sua intenzione di dare un più radicale contenuto politico alle sue esibizioni. Il Palasport di Roma l’accoglie con grande entusiasmo e con qualche intemperanza di troppo, soprattutto quando una piccola parte del pubblico inizia a sottolineare con fischi le parole dell’interprete che traduce i lunghi interventi parlati della cantante. La Baez non si fa impressionare e spiega che nei suoi spettacoli parole, musica e ragionamenti politici sono un tutt’uno. Se il pubblico romano non è d’accordo lei è disposta ad andarsene subito, perché non accetta che qualcuno sia lì soltanto per ascoltare qualche canzone. Un fragoroso applauso sommerge i “fischiatori” e il concerto può continuare. Per marcare meglio la sua posizione fa comunicare ai giornalisti in attesa di intervistarla al termine del concerto che non risponderà a domande sulla musica perché per lei il rigo musicale è solo «…un ottimo strumento per trasmettere un messaggio». E durante la conferenza stampa a chi pensa di coglierla in fallo chiedendole se si senta più un simbolo politico o un personaggio musicale risponde: «Io? Io sono solo una magra messicana».


03 settembre, 2022

3 settembre 1966 – La band dal punto interrogativo

Sorpresa e curiosità suscita il 3 settembre 1966 l’ingresso nella classifica dei singoli più venduti di un brano interpretato da un gruppo il cui nome è preceduto da un punto interrogativo. Il brano è 96 tears e gli interpreti sono ? & The Mysterians. Il mistero sull’identità della band dà vita a una serie pressoché infinita di ipotesi. C’è chi sostiene sia un disco registrato per scherzo da un gruppo di anonimi sessionmen e chi ipotizza la presenza di nomi illustri dietro a quello che viene scambiato per uno pseudonimo. La casa discografica per molto tempo si guarda bene dal chiarire l’enigma, vista la risonanza del caso. Le congetture e le ipotesi sono, però, destinate a essere spazzate via dall’annuncio della prima tournée del gruppo. Si scopre così che ? & The Mysterians non sono un prodotto da laboratorio, ma una band di intraprendenti ragazzi messicani composta dal cantante “?”, il cui vero nome è Rudy Martinez, dal chitarrista Roberto “Bobby” Valderrama, dal bassista Frank Lugo, dall’organista Francisco “Frank” Rodriguez e dal batterista Eduardo “Eddie” Serrato. Immigrati in modo avventuroso negli Stati Uniti, hanno iniziato a suonare in una cantina della cittadina di Flint nello Stato del Michigan e in breve tempo sono diventati uno dei gruppi di punta del “garage beat” degli States. Il successo commerciale di 96 tears sorprende prima di tutto loro, ma è destinato a restare un episodio isolato che non riusciranno più a ripetere con le successive incisioni. In breve tempo ? & The Mysterians tornano a essere un gruppo “da cantina” idolatrato dai suoi ammiratori ma sostanzialmente ignorato dal music business. Un destino diverso toccherà al loro brano 96 tears che ancora oggi è considerato uno dei grandi classici del “garage” di quegli anni. Periodicamente tornerà a nuova vita e scalerà le classifiche grazie alle versioni di artisti come Eddie & The Hot Rods, Garland Jeffreys, gli Stranglers e tanti altri. Il ricorrente successo del brano riporta di tanto in tanto agli onori della cronaca anche i suoi primi interpreti come, nel 1985, quando gran parte del lavoro di ? & The Mysterians è stato pubblicato nell’album antologico 96 tears forever.


02 settembre, 2022

2 settembre 1986 – Il precoce talento di Debbie Gibson

La mattina del 2 settembre 1986, quando firma il suo primo contratto discografico con la Atlantic, la cantautrice Debbie Gibson ha compiuto sedici anni da meno di due giorni. È nata, infatti, il 31 agosto 1970 a Long Island. I discografici non vogliono, però, perdere tempo e già nel pomeriggio la ragazza inizia a registrare il suo primo album sotto le attente cure del produttore Fred Zarr. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non si tratta dell’ennesimo caso di un’adolescente belloccia dall’immagine patinata costruita a tavolino da furbi produttori. Pianista, cantante e autrice precoce Debbie Gibson è da tempo un personaggio nell’ambiente musicale newyorkese. A partire dall’età di sei anni si è fatta notare con una serie di composizioni premiate in vari concorsi riservati ai giovani talenti. Allieva, come Billy Joel, del grande Morton Estrin, nel 1984 ha prestato la sua voce alla colonna sonora del film "Ghostbusters" e un anno dopo è stata scelta dai produttori del musical "I miserabili", ispirato al romanzo di Victor Hugo, per vestire sulla scena i panni della giovane protagonista. Il padre ha ritenuto, però, che il tempo di permanenza in scena e le fatiche del teatro musicale fossero incompatibili con la sua giovane età, per cui non se n’è fatto niente. Le più importanti case discografiche statunitensi l’hanno corteggiata con insistenza e alla fine l’ha spuntata l’Atlantic Records. La sedicenne Debbie pubblica nei primi mesi del 1987 il suo primo album Out of blues, che arriva al terzo posto nelle classifiche di vendita statunitensi, dal quale vengono estratti alcuni singoli di successo come Only in my dreams, Shake your love e Out of the blue . Nel 1988 con Foolish beat ottiene uno straordinario successo di vendite tanto da diventare la più giovane cantautrice mai arrivata al vertice delle classifiche discografiche statunitensi. Contrariamente a quanto accade a molti giovanissimi artisti Debbie non perderà mai il senso della misura. Terminerà gli studi e, dopo il parziale insuccesso del terzo album Anything is possible, nel 1990 deciderà di ritirarsi per qualche tempo dalle scene musicali e di dedicarsi al teatro. Tornerà in sala di registrazione solo nel 1993.


01 settembre, 2022

1° settembre 1979 - Sette pazzi scatenati

Il 1° settembre 1979 i Madness entrano per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna con il singolo The Prince, un brano dedicato al giamaicano Prince Buster, re del bluebeat. Inizia così il successo commerciale di uno dei più contraddittori e discussi gruppi ska. Nati alla fine del 1976 per iniziativa di Mike Barson e Lee “Kick” Thompson, due ragazzi famosi nel loro quartiere più per la loro abilità nel rubare dischi dagli scaffali dei supermercati che per la preparazione musicale, i futuri Madness sono originariamente un trio nel quale Kick suona il sax, il loro amico Chris “Chrissie Boy” Foreman la batteria e Mike, l’unico che ha qualche nozione musicale, le tastiere. L’incongruenza della formazione è evidente anche ai ragazzi tanto che nel 1977 il gruppo diventa un sestetto con Gary Dovey alla batteria, con Carl “Chas Smash” Smyth che prima suona il basso e poi passa ai fiati con l’arrivo del bassista Mark “Bedders” Bedford. Quando Dovey se ne va affidano la batteria a John Hasler che però non sa suonare. Dopo un mese di prove decidono che Hasler funziona più come manager del gruppo che come batterista e dietro ai tamburi arriva Dan “Woody” Woodgate, un vecchio amico di Bedford. I sei, che in quel periodo si chiamano Invaders, diventano sette con l’arrivo del cantante Graham “Suggs” McPherson. All’inizio del 1979 cambiano nome in Madness e vengono scritturati dalla 2-Tone, l’etichetta ska autogestita fondata da Jerry Dammers, il leader degli Specials. Figli delle periferie londinesi e attivi militanti antifascisti e antirazzisti, diventano famosi per la loro capacità di mettersi nei guai in un periodo in cui i concerti di ska sono spesso bersaglio delle violenze dell’estrema destra. I Madness amano passare dal ruolo dei provocati a quello dei provocatori, secondo la regola universale del «chi picchia per primo vince». Per questo, a volte, di fronte alle prime provocazioni verbali abbandonano il palco e si gettano tra il pubblico dando il via a risse colossali. Sul piano musicale c’è chi li ama e chi li detesta. La critica li tratta o come una banda di buffoni o come uno dei gruppi più originali del periodo. Il pubblico, però, si innamora dei sette pazzi scatenati che con il successo di The Prince iniziano una lunghissima carriera destinata a sopravvivere anche alla rapida fine del movimento ska.


31 agosto, 2022

31 agosto 1976 - Quel copione di George Harrison

Il 31 agosto 1976 l’ex Beatle George Harrison viene riconosciuto colpevole di plagio. My sweet Lord, il suo grande successo pubblicato nel dicembre del 1970, è stato spudoratamente copiato dalla canzone di Ronnie Mack He’s so fine, portata al successo dalle Chiffons nel 1963. A nulla è valsa la linea difensiva predisposta dai legali di Harrison che sostenevano la casualità della coincidenza di alcuni brevissimi passaggi. A loro dire, infatti, l’ex Beatle si era, casomai, ispirato a un altro brano, Oh happy days, portato al successo dagli Edwin Hawkins Singers nel 1969. La vicenda, trascinatasi per alcuni anni ha ridato nuova popolarità al brano di Ronnie Mack che è stato ripubblicato in varie versioni, compresa quella originale delle Chiffons. La chiusura della causa legale scrive la parola fine sulla vicenda. Il giudice statunitense Richard Owen accoglie la tesi della non casualità delle coincidenze tra le due canzoni, rilevando come esse sono sostanziali e decisive nella stessa struttura compositiva, oltre che nell’arrangiamento, di My sweet Lord. La sentenza, che verrà resa pubblica il 7 settembre, condanna George Harrison a pagare più di mezzo milione di dollari alla Bright Tunes a titolo di compensazione per i diritti non percepiti e diffida il cantante e il suo manager dal mettere in atto azioni, atteggiamenti o iniziative che possano recare altri danni alla stessa Bright Tunes. Apparso a tutti come il più dinamico dei Beatles dopo lo scioglimento della band, Harrison, aveva centrato subito il successo con l’album triplo “All things must pass” che aveva fatto gridare al miracolo la critica. L’entusiasmo della stampa specializzata orfana dei quattro di Liverpool e alla ricerca di un sostituto era parso un po’ troppo eccessivo. Titoli come quello di “Melody Maker” che strillava «Dimenticate i Beatles. Ascoltate George!», non avevano una reale consistenza nella qualità della produzione dell’artista. Passata la sbornia iniziale, l’immagine dell’ex Beatle si era appannata a partire dal 1971, un po’ per le vicende legali relative a My sweet Lord ma, soprattutto, per i pasticci truffaldini legati all’organizzazione del Concerto per il Bangladesh.