Il 26 settembre 1991 muore di cancro il settantaduenne Billy Vaughn, uno dei pochi direttori d’orchestra della vecchia scuola americana capaci di interpretare e, talvolta, anticipare le nuove correnti musicali e i mutamenti di gusto del pubblico dagli anni Trenta agli anni Ottanta. Nato nel 1919 a Glasgow, nel Kentucky, nel corso della sua lunga carriera ricopre l’incarico di direttore musicale della Dot Records, ma soprattutto affronta da protagonista le innovazioni. Come arrangiatore e direttore artistico può essere considerato il vero artefice dei successi di personaggi molto diversi tra di loro come Pat Boone, Fontane Sisters o Gale Storm. Alla sua geniale capacità d’intuire i mutamenti si deve la formazione, nel 1952 del gruppo vocale degli Hiltoppers con Jimmy Sacca, Don McGuire e Seymour Spiegelman. Curioso e disposto a lasciarsi affascinare dalle novità, contrariamente a quanto succede a molti suoi colleghi, nel periodo d'oro del rock & roll non si chiude in una sorta di isolamento sdegnato. Affronta invece con entusiasmo il problema di dare un respiro orchestrale alla freschezza delle nuove soluzioni ritmiche. Dalla fine degli anni Cinquanta ai primi Settanta, l’epoca in cui la musica sembra essere stata investita da un ciclone giovanilistico destinato a cancellare tutto i protagonisti del passato, lui contraddice chi sostiene si tratti semplicemente di un fatto generazionale. Lo fa a modo suo, piazzando ben trentasei album nella classifica statunitense dei dischi più venduti. La sua apertura mentale deriva dalla grande lezione del jazz orchestrale, capace di fusioni e contaminazioni tra generi estremamente diversi. Lo stile caratteristico della sua orchestra è sostenuto da un lavoro di ricerca infaticabile e da una produzione discografica a ritmo continuo decisamente inusuale per un artista del suo livello. Album come Sail along silvery moon, Blue Hawaii, Theme from a Summer Place, Look for a star, Theme from The Sundowners e A swing' Safari vendono milioni di copie e gli regalano un grandissima popolarità. Negli anni Ottanta la sua produzione diminuisce quasi a manifestare il disagio per le nuove mode musicali che lui ritiene più d’immagine che di sostanza. All’inizio degli anni Novanta, quando è già ammalato, viene premiato come uno dei venticinque artisti di maggior successo della storia della musica degli Stati Uniti.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
26 settembre, 2022
25 settembre, 2022
25 settembre 2005 - 50 Cent: voglio che gli altri si tolgano dalle palle...
Il 25 settembre 2005 il rapper 50 Cent, uno dei monumenti dell’hip hop, si esibisce al Palalottomatica di Roma. È il primo concerto di un breve tour italiano di tre tappe. La seconda tappa sarà al Vox Club di Bologna e la terza e ultima al Forum di Assago. Sbarca così, attesissimo, nel nostro paese uno dei fenomeni della scena musicale di quel periodo. 50 Cent, che all’anagrafe si chiama Curtis Jackson, è un raro esemplare di tenacia, furbizia da strada e capacità di comunicare senza tante mediazioni di comodo. Qui da noi i suoi dischi sono arrivati relativamente tardi, visto che il grande pubblico ha potuto conoscerlo soltanto a partire dal 2003 con l’album Get Rich or Die Tryin e il singolo In Da Club, ma è stato amore a prima vista come testimoniano le settantamila copie vendute dell’album e le dodicimila presenze all’unica data live in quel di Milano. Nel 2005 ritorna mentre il suo nuovo lavoro in studio, The Massacre, sta volando alto. Egocentrico, violento, aggressivo, maschilista, bandito, gangster, da tempo si sprecano le definizioni, prevalentemente negative, di questo fenomeno di massa che ha conquistato prima le strade dei ghetti neri statunitensi e poi il pubblico di tutto il mondo. La critica musicale fa oggettivamente fatica a capirlo completamente. Curtis, il futuro 50 Cents apre gli occhi sul mondo in seno a una dinastia legata al mondo dello spaccio nella circoscrizione del Queens, a New York e nel breve volgere di pochi anni deve imparare a cavarsela da solo. Orfano giovanissimo si guadagna i gradi del ghetto agli angoli del quartiere, sul marciapiede del Guy R. Brewer Boulevard dove inizia a darsi da fare per riempire tasche e stomaco senza guardare troppo per il sottile. Sulla strada vive e sulla strada incontra il rap, una forma espressiva che gli sta addosso come un vestito comodo. Il suo primo contratto discografico lo lega alla JMJ, l’etichetta del DJ dei Run DMC, Jam Master Jay, che morirà assassinato nel suo studio di registrazione. Proprio da lui 50 Cents impara come gestire un brano, i ritornelli e la costruzione delle strofe. Nel 1999, i Trackmasters, produttori di successo, riescono a farlo scritturare dalla Columbia Records. Per vincere la sua indolenza lo chiudono per due settimane e mezzo in uno studio di registrazione di New York e mettono le basi per l’ormai leggendario album Power Of A Dollar, mai pubblicato, ma diffuso ugualmente dalle radio di strada e dai mixtape. Il giocoso inno alla rapina How to Rob (Come rubare) in cui immagina di intaccare le fortune dei rapper più popolari gli fa il vuoto intorno. Mentre lui si affanna a spiegare che «si tratta di una farsa basata sulla realtà che la gente trova divertente, ma non c’è nulla di personale…», in molti, da Jay-Z a Big Pun, a Sticky Fingaz e Ghostface Killah gli rispondono con canzoni minacciose. Non sono soltanto parole. Nell’aprile del 2000, 50 Cent viene colpito da nove pallottole, una delle quali, da nove millimetri, lo centra in volto. Sopravvive, ma deve ricominciare da capo perché la Columbia Records lo scarica. L’uomo non si deprime e decide di continuare senza major tra i piedi con l’aiuto di un nuovo socio e amico, Sha Money XL. Insieme producono decine di brani contando sul responso della strada, spesso in grado di far la differenza nel mondo del rap. Nella tarda primavera del 2001, pubblica un album intitolato Guess Who’s Back? (Indovina chi è tornato?) e dà vita a una sua crew, la G Unit. Pochi mesi dopo mette in circolazione un bootleg intitolato 50 Cent Is the Future (50 Cent è il futuro) nel quale rivisita brani di artisti come Jay-Z e Raphael Saadiq. La svolta arriva quando Eminem annuncia ai quattro venti che «è 50 Cent il mio rapper preferito» e decide di prenderlo sotto la sua ala. Da simpatico gaglioffo 50 Cent prima di adeguarsi alle regole del suo nuovo protettore approfitta della pubblicità per mettere in giro un altro bootleg destinato alla strada dal titolo No Mercy, No Fear (Nessuna pietà, niente paura) che contiene anche Wanksta il brano inserito nella colonna sonora del film di Emanem “8 Mile”. È l’inizio del successo planetario scandito dal già citato Get Rich or Die Trying che vende quasi un milione di copie nei primi cinque giorni e dal successivo The Massacre. Di sé dice: «A 12 anni mi è stato dato il passaporto per il ghetto, anche se ero ancora un bambino. Poiché ero solo, erano i miei compari più grandi della mia zona a prendersi cura di me. Qualcuno che occupava una posizione di potere un giorno mi ha detto: da questo momento non ti darò più il tuo pesce quotidiano... Ecco qui la tua canna da pesca. Non era una cattiveria perché lui conosceva solo quello stile di vita, quello del trafficante. Ma devo dire che è stato Eminem a salvarmi dalla strada. Se ti ci fermi troppo a lungo, la sua legge dice che alla fine ammazzerai qualcuno e allora verrai ammazzato a tua volta oppure finirai in galera. La musica per me è stata una via di fuga, una fuga dalla merda». Il 50 Cents che arriva in Italia è il solito spavaldo bullo di strada sicuro di sé che presentava così il suo ultimo album «Quando questo disco uscirà, sarà dura per gli altri andare in giro per il paese…» facendo capire che le regole della giungla del music business non sono diverse da quelle del marciapiede: «…sto ancora cercando di spazzare via la concorrenza dalla mia zona. Il titolo dell'album parla da sé: voglio che gli altri rapper si tolgano dalle palle...».
24 settembre, 2022
24 settembre 1986 – Zucchero in blues
Il 24 settembre 1986 Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, inizia a comporre le canzoni che sono destinate a far parte del suo nuovo disco. È un passaggio importante nella sua carriera perché può rappresentare la definitiva conferma dopo il buon successo di Rispetto, un album che ha venduto nel 1986 oltre duecentocinquantamila copie. Il lavoro durerà cinque mesi, fino al 5 febbraio dell’anno dopo. Nelle dichiarazioni e nelle interviste il cantautore ha spiegato che vuole scavare ancor di più nelle radici della black music. Pian piano, un’anticipazione dopo l’altra, cresce l’attesa per il lavoro che dovrebbe segnare la definitiva consacrazione di Zucchero. Si parla di ospiti prestigiosi quali Clarence Clemons, il sassofonista di Bruce Springsteen, e i Memphis Horn, la leggendaria sezione fiati di Otis Redding. È tutto vero. Il successo commerciale dell’album, intitolato semplicemente Blue’s, andrà al di là delle più rosee previsioni con un milione e duecentomila copie vendute. A differenza dei precedenti lavori di Zucchero, spesso giudicati in modo contrastante, anche la critica apprezzerà il tentativo di proporre con brani cantati in italiano le due anime del blues: quella ritmica e trasgressiva, come la provocatoria Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica e quella melodica e malinconica, cui appartiene tra gli altri Hey man, una canzone che deve gran parte dell’efficacia del testo alla geniale penna di Gino Paoli. Pervaso di soffusa malinconia riprende il tema della solitudine in un'originale rielaborazione dei modelli tradizionali dei brani blues.
23 settembre, 2022
23 settembre 1989 – Milli Vanilli, la breve stagione del duo fantasma
Il 23 settembre 1989 il singolo I'm gonna miss you dei Milli Vanilli arriva al vertice della classifica negli Stati Uniti. È il terzo successo consecutivo di quell’anno per il duo formato da Rob Pilatus e Fabrice Morvan che hanno già venduto più di sei milioni di copie dell’album All or nothing. Belli da vedere, atletici e perfetti sul palcoscenico, i due fanno man bassa di riconoscimenti e conquistano il Grammy Award come gruppo rivelazione dell'anno. Nel tripudio generale scompaiono anche le poche voci di dissenso, che sottolineano un po’ polemicamente come dal vivo il duo si affidi al playback, cioè finga di cantare su una base registrata. Il loro produttore Frank Farian, già artefice del successo dei Boney M, respinge sdegnato le accuse «Non sempre accade e quando accade è per offrire al pubblico lo stesso livello qualitativo delle incisioni». Nel 1990, però, qualcosa si inceppa. Il giornalista di un settimanale musicale solleva il dubbio che i Milli Vanilli siano in realtà un “gruppo fantasma”, vale a dire un paio di ragazzi bellocci che fingono di cantare brani interpretati da altri. In una polemica conferenza stampa Pilatus e Morvan minacciano querele, ma non spaventano la critica meno compiacente nei confronti delle major discografiche. Nel mese di novembre del 1990 scoppia lo scandalo. I veri cantanti escono dall’anonimato. Si chiamano Brad Howell e John Davies, sono due attempati coristi di studio scelti per la voce, ma inadatti ad apparire perchè la loro immagine «non è in linea con i gusti del pubblico giovanile» (uno dei due ha quarantacinque anni!). Di fronte all’evidenza lo show businnes reagisce scaricando tutte le responsabilità sul produttore Farian. Ai due interpreti originali vengono riconosciuti i diritti d’autore e i Milli Vanilli sono costretti a restituire il Grammy Award tra la riprovazione degli stessi che li avevano osannati e sostenuti. La vicenda è destinata a travolgere tutti i protagonisti. Invano Rob Pilatus e Fabrice Morvan sostengono di essere anche loro vittime e chiedono di poter registrare un disco con le loro vere voci. Riusciranno a tornare in sala di registrazione solo nel 1993, dopo un tentativo di suicidio e vari ricoveri per droga. Non andrà meglio neppure a Brad Howell e John Davies, le vere voci dei Milli Vanilli, che tenteranno, senza fortuna, di approfittare della improvvisa popolarità pubblicando un album. Il Grammy restituito resterà inassegnato, nonostante le proteste degli esclusi Soul II Soul, Tone Loc, Indingo Girls e Neneh Cherry.
22 settembre, 2022
22 settembre 1994 – Maria Carta, la folksinger che divenne deputata
Il 22 settembre 1994 dopo una lunga e dolorosa agonia muore a Roma Maria Carta. Conosciuta in tutto il mondo come una grandissima folksinger, termine che altro non è se non la traduzione inglese di “cantante popolare”, non sempre è stata apprezzata in Italia, dove l’ambiente musicale è spesso oscillante tra consumismo e provincialismo culturale. Straordinaria interprete della cultura musicale sarda nasce a Siligo, in provincia di Sassari nel 1940 in una famiglia contadina e nei primi anni Sessanta inizia a raccogliere e a studiare la cultura musicale della sua terra d’origine. Successivamente va a Roma dove alterna le esibizioni con il lavoro di ricerca presso il Centro studi di musica popolare dell’Accademia S. Cecilia. Ben presto diventa una presenza abituale e conosciuta nel circuito alternativo della città. Il grande pubblico si accorge di lei nel 1972, quando Ennio Morricone la chiama a interpretare la sigla dello sceneggiato televisivo “Mosè”. Nello stesso anno pubblica anche il suo primo album Paradiso in re per la RCA, seguito nel 1973 da Delirio. Complice anche il ritrovato interesse di quel periodo per la musica popolare e il folk, la voce di Maria, passionale e dal timbro drammatico, conquista il pubblico di tutto il mondo, in particolare quello degli Stati Uniti e, soprattutto, della Francia, dove viene soprannominata “la Piaf sarda”. Cantante istintiva, trasferisce nelle sue canzoni il lungo lavoro di ricerca sui canti della sua regione svolto soprattutto in Logudoro, Barbagia, Gallura e Campidano. In lei la cultura della tradizione, che corre spesso sul filo della memoria, si mescola alla curiosità per le nuove sonorità. Oggi il suo lavoro è considerato una preziosa anticipazione di quel genere che, dopo Peter Gabriel, verrà universalmente chiamato World Music. Il suo impegno non è, però, solo musicale. Quando il Partito Comunista Italiano le offre una candidatura lei accetta e viene eletta alla Camera dei Deputati. Non rinuncia però alla musica e continua a percorrere i teatri e le piazze d’Italia e del mondo con i suoi canti nei quali la cultura del popolo sardo si fonde con le universali aspirazioni di libertà e democrazia. Lei, la sua voce e la sua chitarra. Nient’altro.
21 settembre, 2022
21 settembre 1983 – Tutti sul palco per aiutare Ronnie
Alla fine degli anni Settanta il bassista Ronnie Lane, fondatore e componente storico degli Small Faces, una delle band più significative del movimento Mod, viene immobilizzato su una sedia a rotelle dalla sclerosi multipla. L’insorgere della malattia ha un effetto devastante sulla sua vita e il musicista si chiude in se stesso rifiutando qualsiasi contatto con il mondo. A nulla valgono gli sforzi dei suoi ex compagni d’avventure, soprattutto Ian McLagan e Kenny Jones, che cercano di scuoterlo. «In fondo puoi continuare a suonare. Non abbandonare la musica…», ma lo shock è stato troppo grande perché Ronnie possa uscirne in breve tempo. In un primo momento rifiuta anche le cure, non vuole imparare a muoversi con la sedia a rotelle e passa le sue giornate senza mai abbandonare il letto della sua casa. Chiuso nel suo universo di dolore, però, pian piano prende coscienza del suo stato e si accorge di non essere l’unico al mondo colpito dalla malattia. Incontra altri come lui, scopre un mondo che non conosceva e inizia a reagire. I suoi amici lo incoraggiano a riprendere in mano il suo strumento e, quasi senza accorgersene, torna alla vita attiva. Nei primi anni Ottanta la sua sedia a rotelle diventa una presenza abituale negli studi di registrazione e nei luoghi dove si fa musica. La ritrovata voglia di vivere lo spinge a darsi da fare per aiutare altri, meno ricchi e famosi, che si trovano nella sua condizione. Decide così di fondare l’ARMS, un’associazione di artisti contro la sclerosi multipla, e di programmare un grande concerto a Londra per raccogliere fondi da destinare alla ricerca. Chiede e ottiene la Royal Albert Hall di Londra e chiama a raccolta i suoi amici musicisti. Il 21 settembre 1983, sul palco della prestigiosa sala da concerti londinese, dopo le esibizioni di artisti come Eric Clapton, Jeff Beck, Jimmy Page, Steve Winwood, Charlie Watts, Bill Wyman, Kenny Jones e tanti altri, arriva lui, Ronnie Lane, con la sedia a rotelle e il suo basso elettrico. Ha gli occhi lucidi e ringrazia tutti. Uno dopo l’altro salgono sul palco tutti gli altri protagonisti del concerto. Tra gli applausi del pubblico Ronnie imbraccia il suo strumento e inizia a suonare. Gli altri musicisti lo seguono. Una straordinaria versione di “Layla” è l’ultimo regalo delle rockstar presenti all’amico ritrovato e al pubblico.
20 settembre, 2022
20 settembre 1976 - La prima volta della dark lady
Il 20 settembre 1976 a Londra nel Club 100, considerato il tempio del punk, è in programma una lunga kermesse chiamata, con un po' d'azzardo, "Punk Festival", che vede sul palco due band affermate, i Sex Pistols e i Clash, affiancate da due gruppi alla loro prima esperienza di fronte al pubblico: i Subway Set di Vic Godard e i Siouxsie & The Banshees. Proprio questi ultimi, pur suonando non più di venti minuti per… carenza di brani attirano l'attenzione del pubblico. Sono una band raccogliticcia e improvvisata, ma la loro leader, Siouxsie Sioux, all'anagrafe Susan Janet Dallion, affascina il pubblico con la sua personalità carismatica e inquietante. Per l'occasione le sono accanto due chitarristi, Steve "Bailey" Severin e Marc Pirroni, che diventerà uno dei pilastri degli Adam & The Ant, nonché un improbabile batterista che risponde al nome di John Beverly, ma da tutti è chiamato Sid Vicious. Anche lui diventerà famoso qualche tempo dopo cambiando strumento e diventando il bassista dei Sex Pistols. Dopo una partecipazione, insieme ai Sex Pistols, al programma televisivo "Today" sul canale Thames TV, la formazione subisce alcune sostanziali variazioni. Marc Pirroni se ne va e viene sostituito prima da Peter T. Fenton e poi da John McKay, mentre Kenny Morris prende il posto di Sid Vicious alla batteria. Non sarà l'unico cambiamento in un gruppo in cui la popolarità di Siouxsie, da tutti considerata ormai la dark lady del punk, oscurerà sempre quella dei suoi compagni. Per l'esordio discografico la band dovrà attendere ancora più di un anno. Nell'estate del 1978, scritturati dalla Polydor pubblicheranno il loro primo singolo Hong Kong garden seguito, nel dicembre dello stesso anno dall'album The scream. Non si fermeranno più. Dopo la fine del punk la voce di Siouxsie percorrerà sempre nuove strade senza conoscere declino mentre i suoi compagni, a parte il fedele Severin, cambieranno spesso con il mutare dell'umore della dark lady e delle stagioni.
19 settembre, 2022
19 settembre 1887 – Cora "Lovie" Austin, una donna tra i pionieri del jazz
Il 19 settembre 1887 vede la luce a Chattanooga, nel Tennessee, Cora Calhoun, una donna destinata lasciare un segno profondo nella storia del jazz. Con il nome d’arte di Cora "Lovie" Austin saprà, infatti, imporsi in un ambiente quasi esclusivamente maschile fino a diventare, insieme a Lil Hardin, una delle prime donne capo-orchestra del Novecento. Fin da piccola dimostra di possedere un innato talento musicale che i suoi genitori non ostacolano e indirizzano verso il pianoforte, strumento educativo e adatto a una ragazza. Diplomatasi in pianoforte e composizione alla Roger Williams University di Nashville, si trasferisce a Chicago dove inizia a suonare come professionista nelle orchestre dei più celebri teatri della città. Quando scopre il jazz ne resta affascinata. All’inizio suona per divertimento in qualche session improvvisata, ma ben presto decide di lasciare le orchestre e i teatri per dedicarsi interamente a questo tipo di musica. Gli amici la consigliano di lasciar perdere. Per una donna non è facile trovare spazio nel jazz di quei tempi, quasi interamente maschile per quel che riguarda le parti strumentali. Sono rarissime le donne strumentiste, mentre non mancano le cantanti. Sembra quasi che alle donne sia consentito giocare con la voce solo perché le caratteristiche della voce femminile sono insostituibili, ma non si discute sugli altri ruoli: il jazz è un gioco per i maschi. Cora non si lascia intimidire dalle difficoltà. Cerca e trova la solidarietà delle cantanti che la scelgono come accompagnatrice al piano dei loro concerti. Ben presto diventa la pianista preferita di molte signore del blues come Ida Cox, Ma Rainey, Alberta Hunter, Ethel Waters, Edmonia Enderson e Priscilla Stewart. Il ruolo di semplice “accompagnatrice al piano” in perenne difficoltà a trovare l’intesa con le orchestre dei vari locali finisce per diventarle stretto. È stanca della sufficienza con cui la guarda il maestro di turno, non vuole più avere un ruolo marginale. Pian piano si lascia conquistare dall’idea di formare una sua orchestra. Le signore del blues la sostengono e l’aiutano nella difficile ricerca di un gruppo di strumentisti maschi disposti a sottomettersi all’autorità di una donna capo-orchestra. Alla fine la cocciuta Cora riesce nel suo intento e nel 1923 debutta alla guida dei suoi Blues Serenaders, un gruppo destinato a durare a lungo e del quale faranno parte, in vari momenti, personaggi importanti del jazz come i cornettisti Tommy Ladnier, Bob Shoffner, Natty Dominique, il trombonista Kid Ory e i clarinettisti Jimmy O’Bryant e Johnny Dodds. Energica e determinata, mai gelosa delle fortune dei suoi strumentisti, guida al successo e sa valorizzare al meglio i talenti del gruppo. Non è un caso, per esempio, che proprio nei Blues Serenaders trova la sua prima valorizzazione il cornettista Tommy Ladnier, che diventerà il più suggestivo interprete di blues con il soprannome di “Tommy The Talking Cornettist”, ovvero “il cornettista parlante”. Cora Austin crede in lui quando non è ancora nessuno, lo inserisce nel gruppo e lo lascia libero di utilizzare le sordine dello strumento in modo da creare un suono simile a quello della voce umana: da qui il soprannome. Fa poi lavorare la band in funzione del suo talento, lo valorizza, ne tira fuori le migliori qualità tanto che quando se ne va è ormai un musicista affermato. Altruista e generosa vede nell’insieme dell’orchestra la miglior valorizzazione delle sue capacità e una rivincita contro chi pensava che le donne potessero emergere solo come cantanti o, qualche volta e per gentile concessione, come strumentiste. Forse per reazione diminuisce progressivamente il suo apporto strumentale al pianoforte fino a riservarsi un ruolo di mero sostegno ritmico. Le sue capacità organizzative e il suo talento non passano inosservati. Le viene offerto di assumere la direzione musicale del Monogram Theatre di Chicago. Lei accetta l’incarico che manterrà per più di vent’anni, ma non rinuncia all’orchestra. Continuerà a richiamare in servizio i suoi Blues Serenaders tutte le volte che potrà e nel 1961, a settantatré anni, entrerà per l’ultima volta in sala di registrazione con una formazione comprendente il trombonista Jimmy Archey, il clarinettista Darnell Howard, il bassista Pops Foster, il batterista Jasper Taylor e la cantante Alberta Hunter. Non registrerà altri dischi, ma continuerà a lavorare fino alla morte che la sorprenderà, quasi ottantacinquenne, a Chicago nel 1972. La sua amica e cantante Alberta Hunter farà ancora meglio, visto che nel 1980, a ottantatré anni, accetterà un contratto per un’intera stagione nei locali del Greenwich Village di New York.
18 settembre, 2022
18 settembre 1976 - Il funk dei Wild Cherry
Il 18 settembre 1976 al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti svetta il brano Play that funky music. Ne sono interpreti i Wild Cherry, una band formata a Steubenville, nell'Ohio, nella prima metà degli anni Settanta dal cantante e chitarrista Bob Parissi, dal chitarrista Bryan Bassett, dal bassista Allen Wentz, dal batterista Ron Beitie e dal tastierista Marc Avsec. Dietro alle spalle hanno una lunga gavetta in locali da ballo cercando di imporre il loro funk, pulito e preciso come un metronomo senza perdere in allegria. Il successo di Play that funky music accompagna quello del loro primo album, pubblicato con il solo nome della band in copertina. La critica, pur apprezzando il loro buon taglio stilistico, dà l'impressione di non credere molto nel futuro di un gruppo che tende un po' a confondersi nel panorama generale della dance. Questa sorta di sospensione del giudizio non piace ai componenti dei Wild Cherry che rivendicano nervosi di non essere un'invenzione del momento ma un gruppo dalla solida storia. Eppure la critica non ha torto perché le successive evoluzioni finiranno per evidenziare un ripetitività senza costrutto e, purtroppo per la band, anche senza grandi risultati. Play that funky music invece di essere il primo passo della definitiva affermazioni di una funky band dalle grandi possibilità, finisce per essere l'isolato exploit di un gruppo che si perde per strada. Pur pubblicando ancora gli album Electric funk e I love my music i Wild Cherry non trovano più la fortunata ed esplosiva mescola del debutto discografico. La loro storia si concluderà nel mese di febbraio del 1979 con una separazione consensuale. Il loro nome finirà ingiustamente per confondersi tra quelli dei protagonisti di una sola breve stagione di successo, accanto a band inventate in studio e a gruppi modesti. Dopo lo scioglimento Mark Avsec inizierà a occuparsi di produzione e Bob Parissi lavorerà come disc jockey.
17 settembre, 2022
17 settembre 1988 – Scusa, ma quello non è Mick Jagger?
Nel settembre del 1988 in Australia la notizia dell’imminente tournée da solista di Mick Jagger, il cantante dei Rolling Stones, occupa le prime pagine di tutti i giornali. La macchina della campagna promozionale viaggia a pieno ritmo, soprattutto nelle città destinate a ospitare i concerti. Manifesti, vetrine, gadget, tutto concorre a creare quello che viene presentato come l’evento musicale dell’anno. Nessuno si stupisce quando il gestore del Cardomah Cafe di Sidney, in Australia, annuncia al microfono «Domani, eccezionalmente, la band del nostro locale sostituirà il suo cantante con quello dei Rolling Stones». Il pubblico del locale lo conosce e sa che è un burlone che ispira i suoi lunghi sermoni pubblicitari ai fatti dell’attualità. L’elenco delle persone famose annunciate per scherzo è lunghissimo: attori, sportivi, cantanti, personaggi dei cartoni animati e celebri criminali, tutti sono diventati, nel corso degli anni, ospiti virtuali del locale. La frase, pronunciata con tono solenne e accompagnata dalla sigla musicale del locale viene salutata, come al solito, da un assordante boato di lazzi e risate quindi dimenticata. Nessuno può, del resto, ragionevolmente pensare che un locale come il Cardomah Cafe, che al massimo della sua capienza arriva a contenere non più di quattrocento persone, si possa permettere un personaggio come Jagger, capace di attrarre decine di migliaia di persone. Quasi a confermare le previsioni l’indomani, sabato 17 settembre 1988, il Cardomah, gremito di gente come ogni vigilia di festa, ha l’aspetto di sempre. I ragazzi del gruppo ci danno dentro con foga, qualcuno balla e davanti al bancone del bar c’è la solita ressa. Improvvisamente, però, il clima cambia. Le note che provengono dal palco si fanno più dure e si alza il suono lancinante di un’armonica. L’attenzione di tutti va sul gruppo. C’è un nuovo cantante. È Mick Jagger che, senza dire una parola, attacca una serie di classici del blues. Il pubblico si alza in piedi e comincia ad accompagnarlo con il battito delle mani. Il leader degli Stones canta per poco più di mezz’ora poi si inchina, ringrazia il pubblico e se ne va, protetto dai buttafuori del locale. Il gestore annuncia per il giorno dopo la presenza di Paperon De’ Paperoni. Tutti ridono, ma dopo l’esperienza vissuta nessuno se la sente di escludere niente.
16 settembre, 2022
16 settembre 1925 - B.B. King, il bluesman dei carcerati
Il 16 settembre 1925 nasce a Itta Bena, nel Mississippi Riley Ben King, destinato a diventare, con il nome di B.B. King, uno più grandi musicisti di tutti i tempi. Le sue scuole di musica sono la strada e la chiesa. A nove anni strimpella già con sufficiente autonomia le corde della sua chitarra e a quindici è il leader di un gruppo gospel. Nel 1947 si trasferisce a Memphis dove di giorno lavora all'emittente radiofonica WDIA e la sera suona blues nei locali della Beale Street. In questo periodo viene anche coniato il nomignolo con il quale è famoso in tutto il mondo. Tutto nasce quando Don Ferguson inizia a chiamare il ragazzo che suona alla Beale Street con il soprannome di "Beale Street Blues Boy", divenuto poi "Blues Boy" e, quindi, "B.B.". Nel 1949 ottiene il suo primo contratto discografico dai fratelli Bishari, proprietari della RPM Records, cui è stato segnalato da Ike Turner. L'impatto con le asettiche sale di registrazione è, però, deludente. Il suo primo singolo, Miss Martha King, non aggiunge niente alla sua popolarità e non hanno miglior fortuna neppure le successive registrazioni. Il grande successo discografico arriva l'anno dopo con Three o' clock blues, registrato con Ike Turner al pianoforte, che conquista il vertice della classifica dei dischi di rhythm and blues più venduti negli Stati Uniti. Una lunga serie di successi costella la sua carriera fino all'inizio degli anni Sessanta quando, sotto l'incalzare del beat, la sua musica sembra avere un posto soltanto nel circuito del revival per vecchi nostalgici. Per lui e per gli altri grandi del blues il destino ha in serbo, però, una sorpresa. I rockers britannici non rinnegano le radici nere della loro musica e aiutano gran parte di quelli che considerano i loro "padri musicali" a riemergere dall'anonimato e, in molti casi, dall'isolamento artistico. I Rolling Stones impongono la presenza di B.B. King nel loro tour statunitense del 1969 e il vecchio leone nero torna così a ruggire. Il successo, però, non gli fa dimenticare chi è meno fortunato. Dopo la pubblicazione di Live in Cook County Jail, un album dal vivo registrato in un carcere, nel 1972, insieme all'avvocato Lee Bailey, fonda la FAIRR, un'associazione a favore dei detenuti di cui assume la carica di vicepresidente. Nel 1979 accetta, primo fra i grandi bluesman, la proposta di una tournée in Unione Sovietica e nel 1982 dona all'Università del Mississippi la sua collezione di oltre ventimila dischi, tra cui spiccano settemila introvabili raccolte di blues a 78 giri.
15 settembre, 2022
15 settembre 1983 - Sempre Nomadi
Il 15 settembre 1983 il cantante Augusto Daolio e il tastierista Beppe Carletti dei Nomadi festeggiano a Reggio Emilia il ventennale dei Nomadi, periodicamente dati per spacciati, ma capaci ogni volta di risorgere. La storia del gruppo inizia nel 1961 quando a Novi di Modena Carletti e Daolio danno vita ai Monelli con il sassofonista Gualberto Gelmini, il batterista Leonardo Manfredini, il bassista Antonio Campani e il chitarrista Franco Midili. Due anni dopo alcuni cambiamenti nella formazione precedono il cambio di nome in Nomadi. Nel 1965 il gruppo con Carletti, Daolio, Midili, il batterista Gabriele "Bila" Copellini e il bassista Gianni Coron realizzano il loro primo singolo Donna la prima donna, oggi considerato uno dei pezzi più rari dai collezionisti italiani. Il successo arriva l'anno dopo con Come potete giudicar, la versione italiana di Revolution kind, che spopola al Cantagiro. Alla fine degli anni Sessanta la band è una delle più amate dai giovani italiani con decine di brani destinati a restare nella memoria collettiva di più di una generazione. All'inizio degli anni Settanta, sostituiti Copellini e Coron con il batterista Gianpaolo Lancellotti e il bassista Umberto Maggi, il gruppo si orienta verso un genere più commerciale, partecipa al Festival di Sanremo e segna una profonda frattura con il pubblico della prima ora con brani come Un pugno di sabbia o Io vagabondo. Alla metà degli anni Settanta entra in formazione anche l'irlandese Christopher Patrick Dennis, ma l'insuccesso dell'album Gordon sembra preludere alla fine del gruppo. Nonostante le fosche previsioni, la band recupera l'antico spirito e ritorna prepotentemente alla ribalta nel 1981 con Sempre Nomadi e il 15 settembre 1983 a Reggio Emilia ci sono anche i vecchi fans a celebrare il ventennale. Negli anni successivi la band vive un lungo periodo di tensioni interne che si fanno via via più gravi fino a sfociare in un causa giudiziaria sulla titolarità del nome. La spuntano nel 1990 Daolio e Carletti che riprendono il cammino risistemando l'organico e pubblicando l'album Solo Nomadi che segna il ritorno a brani d'impegno politico e sociale. La tormentata storia dei Nomadi non è ancora al capolinea, anche se il destino non sembra guardare con occhio benevolo la band. Nel 1992 il chitarrista Dante Pergreffi morirà in un incidente stradale e pochi mesi più tardi anche Augusto Daolio si arrenderà a un male incurabile. Gli altri guidati da Carletti tireranno avanti anche per loro.
14 settembre, 2022
14 settembre 1963 - Pete Seeger non cede
Il 14 settembre 1963 le pressioni di Bob Dylan, Joan Baez e molti altri protagonisti della scena folk statunitense sembrano ottenere finalmente quello che si sono prefissi: convincere l'ABC TV a cessare il boicottaggio nei confronti di Pete Seeger e invitarlo a partecipare allo show "Hootenanny". La richiesta degli artisti, accompagnata da una petizione sottoscritta da migliaia di cittadini sostiene che il grande folksinger è stato vittima di due gravi ingiustizie. La prima è la persecuzione "maccartista" nei suoi confronti che, al contrario di quanto dichiarato ai quattro venti dalle autorità, non è mai finita. Nessun canale televisivo è disposto a dare spazio a quel ragazzaccio compagno d'avventure di Woody Guthrie che continua a dirsi comunista e non nasconde le sue simpatie per Fidel Castro, il nemico numero uno dell'America democratica e kennediana. La seconda ingiustizia riguarda il nome stesso della trasmissione televisiva della ABC TV, "Hootenanny", uno degli show di punta dell'emittente, che, come ricordano i firmatari, è stato rubato dall'appellativo degli happening di musica, poesia, e recitazione messi in piedi dovunque ci fossero lavoratori in lotta proprio da Seeger, Guthrie e altri come loro per tirare su il morale e raccogliere fondi. "Hootenanny" si chiamavano e non erano intervallati dalla pubblicità. Anche per questo il fatto che Pete Seeger non possa partecipare alla trasmissione è, a detta dei firmatari della petizione, una scandalosa ingiustizia. Il 14 settembre, dunque, l'ABC TV comunica di non avere più alcuna pregiudiziale nei confronti di Pete Seeger. Questione finita? No, perché i dirigenti dell'emittente chiedono a Pete Seeger di firmare una dichiarazione di fedeltà nei confronti del governo degli Stati Uniti: «una questione puramente formale». Il folksinger va su tutte le furie e si rifiuta. La «questione formale» diventa sostanziale e l'emittente annulla l'invito. Pete Seeger non parteciperà a "Hootenanny".
13 settembre, 2022
13 settembre 1966 - Anna Fougez: il mondo parla e io passo
Il 13 settembre 1966 muore nella sua villa di Santa Marinella, in provincia di Roma, la sessantanovenne Anna Fougez, regina indiscussa del tabarin degli anni Venti e del music-hall italiano degli anni Trenta, simbolo vivente della seduzione e del peccato dell'epoca Liberty. Il suo vero nome è Anna Pappacena e qualche tempo prima di morire ha dato alle stampe una gustosa biografia dal titolo “Il mondo parla e io passo”. La sua vita è movimentata e avventurosa fin dall'infanzia. Nasce a Taranto da una famiglia benestante, ma resta orfana a sei anni e viene adottata da una zia. A otto anni fugge di casa per seguire una compagnia di teatranti girovaghi. Da loro impara i primi trucchi del mestiere e ben presto diventa una bambina prodigio conosciuta e applaudita in tutta Italia. Sul palcoscenico si esibisce in un repertorio di canzoni napoletane o in arie d'operetta. A quindici anni canta in duetto con Ettore Petrolini che resta stupito. In quel periodo la ragazza sceglie il suo nome d'arte: Anna Fougez in onore di Eugénie Fougère, la "femme fatale" del teatro francese. Un paio d’anni dopo è una delle stelle più fulgide del varietà, idolatrata da un pubblico che va in visibilio per la sua voce roca e per le sue pose languide sottolineate da abiti audaci. Interprete raffinata dell’atmosfera di un’epoca, canta canzoni ricche di sensualità come Vipera o La violetera. Il successo ne fa l’artista più pagata dei primi anni del Novecento tanto che nel 1919 il suo compenso è di 1500 lire a spettacolo: un'enormità per l'epoca. Anche il cinema s’accorge di lei e le affida il ruolo della torbida protagonista in molti film di successo. Per tutti gli anni Trenta partecipa alla realizzazione di spettacoli ricchi di musiche e coreografie, sull’esempio del music-hall parigino, nei quali canta brani destinati a un grande successo come Addio signora. Quando il peso degli anni inizia a farsi sentire non attende il declino e si ritira dalla scene.
12 settembre, 2022
12 settembre 1935 - Nasce Trincale, il nostro Woody Guthrie
Il 12 settembre 1935 a Militello in Val di Catania nasce Franco Trincale, cantautore o, come lui stesso si definisce, cantastorie. Proprio alla tradizione dei cantastorie, infatti, si rifà quasi tutto il suo lavoro musicale, iniziato negli anni Cinquanta in Sicilia. Insofferente a qualunque tipo di condizionamento ha messo in musica e raccontato le storie dell'Italia degli ultimi cinquant'anni. Se fosse nato negli Stati Uniti oggi sarebbe considerato il "nuovo" Woody Guthrie. I punti di contatto tra la sua storia e quella del più grande folk singer d'oltreoceano sono molti. Come Guthrie è un vagabondo armato di chitarra che scorrazza nel suo paese laddove le tensioni sociali si fanno più acute. Alla fine del servizio militare si trasferisce dalla natìa Sicilia a Milano. Qui le sue canzoni, fino a quel momento rimaste nell'ambito del folklore e della tradizione, si fanno più aggressive, in sintonia con i movimenti di lotta che accompagnano le grandi trasformazioni sociali degli anni Sessanta. Nello stesso periodo vince ben tre edizioni del festival dei cantastorie di Piacenza e diventa un "soggetto" interessante per le case discografiche. Il rapporto tra lui e l'industria dei dischi dura poco. Il suo carattere fondamentalmente alieno a qualunque tipo di disciplina imposta dall'alto ed estraneo alle ragioni di mercato lo porta ben presto a scegliere la strada dell'autoproduzione. Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta diventa così un antesignano delle "vendite militanti" inaugurando una sorta di microrete destinata all'autodistribuzione che fungerà ancora da modello per le esperienze dell'hip hop e per la musica alternativa degli anni Ottanta. Album come Canzoni in piazza e Canzoni di lotta vendono un numero impressionante di copie e c'è chi sostiene che se fossero state diffuse attraverso i normali canali di vendita avrebbero conteso alla più conosciute pop star la vetta delle classifiche di vendita. Il fenomeno Trincale va però al di là della, pur interessante, esperienza commerciale. Egli, infatti, si caratterizza nel movimento della nuova canzone sociale italiana per il suo modo originale di scrivere canzoni oltre che per lo stile vocale direttamente ispirato al modello dei cantastorie. I suoi testi, infatti, costruiti sui modelli narrativi tradizionali, spesso non rispettano le strutture metriche classiche, privilegiando il concetto alla purezza stilistica. La sua attività non termina con l'esaurirsi della grande stagione della canzone politica italiana, ma continua senza sosta fino ai giorni nostri.
11 settembre, 2022
11 settembre 1987 – Uno sparo sull’erede di Marley
L’11 settembre 1987 a Kingston in Giamaica tre uomini entrano nella casa di Peter Tosh per rubare. Qualcuno ha detto loro che il cantante è all’estero e che l’abitazione è vuota, ma l’informazione è falsa. Tosh è in casa e non è solo. Con lui ci sono il cuoco vegetariano che l’accompagna ovunque e un amico disk jockey. È un problema che si può risolvere. Spianano le pistole e li uccidono. Finiscono così la vita e la carriera di Peter Tosh, l’interprete di reggae che alla morte di Bob Marley era stato da molti indicato come il suo erede. L’assassinio rafforza le convinzioni di chi crede che ci sia una maledizione destinata a perseguitare i grandi interpreti di questo genere musicale, colpevoli di avere commercializzato una musica che appartiene alla tradizione magico-sacrale della Giamaica. Al momento della sua morte Peter Tosh, che all’anagrafe è registrato con il nome di Winston Hubert McIntosh, non ha ancora compiuto trentatré anni. Nasce infatti il 9 ottobre 1944 e, dopo qualche piccola esperienza come cantante solista, alla metà degli anni Sessanta forma gli Wailers insieme ai suoi amici Bob Marley e Bunny Livingston. Più che per la sua voce si fa apprezzare per la sua genialità musicale. Alla sua fertile creatività si devono, infatti, alcuni dei brani più popolari della band di Marley come Get up, stand up e 400 years. Nel 1974 lascia i compagni per continuare come solista e un paio d’anni dopo diventa popolare in tutto il mondo con il brano Legalize it (Legalizzatela), dichiaratamente a favore della legalizzazione della marijuana. Particolarmente impegnato sui temi sociali nell’album successivo, Equal rights denuncia le ingiustizie sociali giamaicane. La sua attività attira l’attenzione dei Rolling Stones, che lo vogliono con loro nel tour statunitense del 1978 e lo scritturano per la loro etichetta discografica. Dopo la morte del suo vecchio amico e compagno Bob Marley sono molti quelli che sperano di trovare in lui l’erede del “Re del reggae”, anche se la sua produzione appare ancora troppo discontinua e non sempre all’altezza del ruolo che dovrebbe ricoprire. L’11 settembre 1987 la pistola degli assassini chiude per sempre la discussione sulle sue potenzialità artistiche.
10 settembre, 2022
10 settembre 1974 – Si sciolgono le bambole di New York
Il 10 settembre 1974 viene annunciato lo scioglimento dei New York Dolls, la band amata dall’underground newyorkese, ma incompresa e rifiutata dal music business. Il titolo del loro ultimo album Too much too soon (Troppo e troppo presto) riassume più di tanti discorsi il senso della loro breve apparizione sulla scena rock. Troppo in anticipo rispetto ai tempi, hanno aperto nuove strade al rock internazionale senza riuscire a goderne i frutti. Considerati dai critici superficiali i precursori del glam rock, i New York Dolls sono in realtà gli anticipatori dell’ondata rinnovatrice della new wave. Formati nel 1972 dal bassista Arthur Kane, dai chitarristi Johnny Thunder (all’anagrafe Jerry Gonzales) e Sylvain Sylvain (all’anagrafe Sil Mizrahi), dal batterista Billy Murcia e dal cantante David Johansen, fin dal primo momento devono fare i conti con la carica distruttiva di una critica che non accetta il loro esagerato uso di mascara, rossetto e abiti femminili e la loro voglia di provocare. Affascinano, però, la punta più avanzata dell’intellettualità newyorkese che li considera gli eredi dei Velvet Underground. Le vicende interne al gruppo non ne aiutano la carriera. Nell’autunno del 1972, nel corso di un breve tour in Gran Bretagna, perdono Billy Murcia, soffocato nella notte da una quantità industriale di alcool e droghe. Al suo posto arriva Jerry Nolan, con il quale realizzano il loro primo album New York Dolls. Come se non bastassero i problemi iniziano anche a esibirsi con un’enorme bandiera rossa alle spalle e non nascondono le loro simpatie per i comunisti. Per gli Stati Uniti degli anni Settanta è un po’ troppo. Dopo il secondo album, il già citato Too much too soon, vengono scaricati dalla loro casa discografica, la Polygram, e si ritrovano in seri guai finanziari. La storia dei New York Dolls è finita, anche se Johansen e Sylvain, cocciutamente, tentano di tenerne in vita lo spirito esibendosi per qualche anno nei piccoli club ai margini del grande circuito del rock con il nome di Dolls. Sei anni dopo la loro scomparsa la new wave britannica li trasformerà in una band di culto, riconoscendone il coraggio e la capacità di precorrere i tempi. Il riconoscimento postumo servirà anche ad arricchire i discografici, che rimetteranno sul mercato gran parte del materiale a suo tempo disprezzato. Alla fine alcuni di loro cederanno alle suggestioni della nostalgia e rimetteranno in piedi la band, ma questa è già un'altra storia...
09 settembre, 2022
9 settembre 1972 – La prima e unica volta di Arlo in classifica
Il 9 settembre 1972 Arlo Guthrie entra per la prima e unica volta della sua carriera nella classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con il brano The city of New Orleans. Si tratta di un exploit casuale che non si ripeterà più. Il successo commerciale non si addice al suo personaggio e la musica è soltanto uno dei suoi mille interessi. Figlio del grande folksinger Woody Guthrie frequenta, fin da piccolo, le “cattive compagnie” della scena musicale antagonista statunitense legate alla sinistra e al movimento sindacale. Gli è maestro Pete Seeger, vecchio amico di suo padre e ostinato ribelle, perseguitato per le sue simpatie nei confronti dei comunisti. È lui che lo introduce sulla scena del folk di protesta americano fin dalla più tenera età. Arlo muove i suoi primi passi artistici negli anni Sessanta tra le comunità hippy, ma i suoi interessi non sono solo musicali. Pubblica, infatti, il libro fortemente autobiografico Alice's Restaurant, e interpreta se stesso nell’omonimo film diretto dalle abili mani di Arthur Penn. Nel 1967 la sua partecipazione al festival di Newport sembra consacrarlo tra le nuove stelle del folk politico statunitense, ma gli difetta la continuità e la sua timidezza rende difficile il suo rapporto con il pubblico dei grandi avvenimenti. Preferisce esibirsi in piccole riunioni o per cause importanti come i diritti civili e sindacali, le iniziative a favore delle minoranze o degli immigrati clandestini. Come molti figli d'arte rimane schiacciato dal confronto con la grandezza della figura del padre, nonostante la pubblicazione di album di notevole valore come Arlo nel 1968, Running down the road nel 1969 e Washington county nel 1970. I testi delle sue canzoni, più aspri e diretti di quelli di Bob Dylan, sono l'espressione della protesta sociale più radicale dell'America alla fine degli anni Sessanta, ma la sua produzione discografica è discontinua e non sempre curata. Memorabile resta l’album doppio del 1975 Live together in concert registrato dal vivo insieme a Pete Seeger. Nel 1982, dopo Precious friend, l’ennesimo album realizzato insieme a Pete Seeger, annuncia la sua intenzione di non pubblicare altri dischi, ma non manterrà fede all’impegno. Tornerà, infatti, in sala di registrazione a partire dalla colonna sonora del film Woody Guthrie - Hard travelin' da lui realizzato in omaggio al padre.
08 settembre, 2022
8 settembre 1978 – Un saltimbanco alla batteria
L’8 settembre 1978 muore Keith Moon, il batterista degli Who. La sera prima ha partecipato a una festa in casa dell’ex Beatle Paul McCartney. Tornato a casa si è addormentato tranquillo, ma non si è più svegliato. L’autopsia rivela che gli è stata fatale una dose eccessiva di Heminevrin, un sedativo prescrittogli dai medici per sostenere il suo tentativo di uscire dal tunnel dell’alcoolismo. Ha trentun anni e da quindici è l’anima folle degli Who. Nato a Wembley, in Gran Bretagna, il 23 agosto 1946, ha diciassette anni quando incontra per la prima volta i suoi futuri compagni Pete Townshend, Roger Daltrey e John Entwistle, che in quel periodo si chiamano High Numbers. Gli piace il loro modo di suonare e pensa di essere il batterista ideale per quel tipo di musica. Decide di proporsi, anche se il posto alla batteria è già coperto da Doug Sanden. Il giovane Keith non si formalizza tanto e, dopo aver bevuto qualche bicchierino per farsi coraggio, va a trovarli. Quando entra nella sala vestito con un completino color zenzero e leggermente alticcio Pete Townshend interrompe le prove e lo guarda con curiosità. «Vorrei provare a suonare la batteria con voi. Posso?». La risposta è positiva. Sanden si alza e gli cede il suo posto. Keith ce la mette tutta e, sulle note finali, si fa un po’ trascinare dalla foga e distrugge il rullante della batteria. Townshend e Daltrey si guardano e annuiscono. È fatta. Doug Sanden dovrà cedergli definitivamente il posto. Inizia così la straordinaria cavalcata di uno dei più grandi gruppi del rock mondiale. Dopo la sua morte Pete Townshend parla alla stampa anche a nome degli altri Who. Dalle sue parole commosse traspare il presentimento che la storia del gruppo sia finita. «Abbiamo perso il nostro grande saltimbanco, il principale interprete del melodramma, l’uomo che non viveva per sé ma per gli spettatori. Keith si sarebbe dato fuoco se avesse pensato che questo avrebbe fatto ridere o saltare sulle sedie il pubblico... Siamo determinati a continuare e vorremmo farlo anche per lui... La storia degli Who continua ma nessuno potrà mai prendere il posto di Keith.” Viene reclutato Kenney Jones, l’ex batterista degli Small Faces, ma non è più la stessa cosa.
07 settembre, 2022
7 settembre 1984 – Viva i minatori, abbasso la Thatcher
Nel mese di settembre del 1984 i minatori britannici sono impegnati in una delle più lunghe e faticose battaglie che la storia sindacale di quel paese ricordi. Hanno occupato le miniere e sono determinati a resistere a oltranza contro i progetti del governo conservatore. Obiettivo principale della lotta sono i tagli sull’occupazione e, in particolare, la chiusura di alcune miniere, ma il loro impegno diventa anche la punta più avanzata del tentativo di contrastare il disegno governativo di smantellare gran parte della garanzie sociali. I minatori diventano un simbolo di resistenza che va al di là del settore produttivo nel quale operano e attorno alle loro famiglie si sviluppa un grande movimento di sostegno e solidarietà concreta. Associazioni sindacali, comitati e semplici cittadini concorrono a raccogliere fondi, cibo, abiti e tutto quanto serve per sostenerne le necessità primarie. Anche il mondo dello spettacolo si mobilita. Paul Weller, il leader degli Style Council, in una conferenza stampa annuncia la sua intenzione di tenere un concerto a Londra per raccogliere fondi da devolvere ai lavoratori in lotta e spiega ai giornalisti che «Quella gente sta lottando anche per noi, per il nostro futuro. Non possiamo chiedere loro di resistere per mesi senza salario, senza aiuto. Non hanno bisogno di chiacchiere, ma di soldi». L’idea di Weller trova adesione e consenso e il 7 settembre 1984 alla Royal Albert Hall di Londra, una delle sale da concerto più prestigiose della capitale britannica gli Style Council sono tra i protagonisti di una lunga kermesse musicale che vede presenti anche gli idolatrati Wham! di George Michael. I fondi raccolti durante il concerto vengono consegnati al coordinamento della lotta istituito dai sindacati, ma l’impegno di Weller non si ferma qui. Insieme a Mick Talbot, Jimmy Ruffin, D.C. Lee, Vaughn Toulouse e Junior Giscombe, pubblica, sotto il nome di Council Collective, il singolo Soul deep, il cui ricavato è esplicitamente destinato a sostenere le famiglie dei minatori in sciopero. Non si limiterà alle lotte sindacali. Negli anni successivi fonderà insieme ad altri artisti come Billy Bragg e gli Smiths l'organizzazione “Red Wedge”, una sorta di corrente musicale di appoggio all’azione della sinistra del partito laburista britannico.
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