15 ottobre, 2022

15 ottobre 1964 – Cole Porter e le contaminazioni

Il 15 ottobre 1964 muore Cole Porter, uno dei tre principali artefici della definitiva e decisiva contaminazione del musical bianco con il folk nero. Gli altri due sono George Gershwin e Irving Berlin. Quarant'anni dopo l’anniversario non è passato inosservato. Nel 2004 la sua storia, infatti, ha avuto una nuova versione cinematografica. Si tratta di “De-Lovely”, il film di Irwin Winkler che ha colmato i vuoti lasciati dalla precedente biografia cinematografica realizzata nel 1946 con Cary Grant nella parte del compositore, a quell’epoca ancora vivo e vegeto. Era intitolato “Night and day”, come l’omonima canzone, ed era stato massacrato nell’edizione italiana, intitolata “Notte e dì” con Grant/Porter che parlava con la voce di Alberto Sordi e gran parte delle canzoni doppiate malamente in italiano. Il difetto principale, però, era nel manico: la storia, filtrata dal moralismo Hollywoodiano di quei tempi stendeva un velo di silenzio sulla tutt’altro che latente omosessualità di Porter, sul complicato rapporto di coppia con la moglie Linda e sulla relazione totalizzante del compositore con la musica. Il nuovo film, girato in forma di musical ha avuto il pregio di rimettere un po’ le cose a posto ma, soprattutto, di riaccendere i riflettori su uno dei più grandi compositori del Novecento e sul suo lavoro concretizzatosi in circa mille e quattrocento brani, una trentina dei quali destinati all’immortalità. Cole Porter non è un compositore jazz, come frettolosamente viene spesso definito. La sua formazione scolastica racconta di un diploma alla Harvard School Of Music e di un perfezionamento in composizione a Parigi alla corte di Vincent D’Indy. È un grande compositore di musica leggera capace di saldare nel suo lavoro le pulsioni di un’epoca mescolando come un sapiente alchimista la tradizione bianca con quella nera. Proprio questa capacità di muoversi con grazia sulla linea di confine tra i generi fa di lui (e di Gershwin o Berlin) un anticipatore illuminato di ciò che avverrà nella musica della seconda metà del Novecento. Ed è per queste sue caratteristiche che il jazz si appropria di una parte consistente dei suoi lavori, li rimastica e ne illumina i lati oscuri portando nuove sfumature al suo monumento. Cole Porter è un genio più di quanto i suoi contemporanei possano intuire. Per questa ragione a più di quarant’anni dalla sua morte riesce ancora a influenzare nuove generazioni di artisti lontanissimi dalle sue corde. Basta ascoltare Red hot and blue, un disco-tributo realizzato nel 1990 per raccogliere fondi da destinare alla ricerca contro l’AIDS, per rendersi conto della capacità mutagena dei suoi brani affidati a interpreti come Iggy Pop, Annie Lennox, Tom Waits, gli U2, Lisa Stanfield o l’ex Shalamar Jody Watley. Da anni le sue opere, d’altronde, entrano ed escono dalla musica internazionale, attraversando e accompagnando le evoluzioni e le mode come serpentelli che si rinnovano cambiando la pelle. Everything But The Girl, Simply Red, Harpers Bizarre e Carly Simon, solo per citare i primi quattro nomi che mi vengono in mente, hanno suoi brani nel repertorio, mentre i Deee-Lite, uno dei fenomeni dance degli anni Novanta prendono in prestito il loro nome dalla canzone It's De-Lovely. Peccato che proprio la colonna sonora del film del 2004 contenga alcune versioni un po’ fiacche di brani come Everytime we say goodbye che perde di colore con Natalie Cole o Let´s do it let´s fall in love cui Alanis Morissette non regala niente di suo, ma si sa che la perfezione non è di questo mondo.


14 ottobre, 2022

14 ottobre 1919 – Buddy Anderson dalla tromba al piano per non morire

Il 14 ottobre 1919 nasce a Oklahoma City, nell’omonimo stato nordamericano il jazzista Buddy Anderson, all’anagrafe Bernard Hartwell Anderson. Fin dalla più tenera età coltiva una passione incontenibile per la tromba, strumento al quale dedica la maggior parte del suo tempo. Suona nei gruppi scolastici della sua città e, dopo vari corsi di perfezionamento, inizia a vagabondare nelle orchestre di Kansas City e New Orleans. In breve tempo la sua popolarità si diffonde nell’ambiente jazzistico e nel 1940 Jay McShann lo inserisce nell’organico del suo gruppo. Buddy resta con McShann fino al 1944 quando entra nell’orchestra di Benny Carter. Alla metà degli anni Quaranta, il trombettista sembra aver realizzato il sogno della sua infanzia. Collabora con alcuni tra i grandi jazzisti di quel periodo, come Roy Eldridge e Billy Eckstine, e viene considerato “più di una promessa” dalle riviste specializzate. Sull’ala dell’entusiasmo continua a studiare, a esercitarsi, nel tentativo di superare gli inevitabili limiti dovuti all’inesperienza. Insomma, la sua sembra una favola a lieto fine, ma il destino è in agguato. Un giorno, mentre sta soffiando nel suo strumento, sente una terribile fitta alla cassa toracica. Il dolore non è localizzato, ma è talmente intenso da fargli mancare il fiato. Nei giorni successivi arriva anche la febbre. Ricoverato in ospedale scopre di aver contratto una grave malattia alle vie respiratorie. Il responso dei medici non lascia speranze: guarirà ma, se non vuole morire, non potrà più suonare strumenti a fiato. La sua carriera di trombettista è finita. Per lui è un momento terribile, ma i suoi amici jazzisti non l’abbandonano. Gli stanno vicini, lo aiutano a ritrovare fiducia in se stesso e, più per consolarlo che per reale convinzione, lo incoraggiano a passare a un altro strumento non a fiato. Buddy che, nonostante le apparenze, ha un carattere fortissimo li prende sul serio. Mentre è ancora in convalescenza inizia a esercitarsi al pianoforte, uno strumento che non gli è del tutto sconosciuto e sul quale ha preso confidenza con la musica negli anni dell’infanzia. Contro ogni ragionevole previsione, la determinazione e la voglia di tornare sulle scene faranno il miracolo. Buddy Anderson vivrà una seconda stagione di popolarità come pianista jazz, pur senza raggiungere mai il livello qualitativo toccato in precedenza come trombettista.

13 ottobre, 2022

13 ottobre 1971 - David Essex, da Gesù Cristo a Che Guevara

Il 13 ottobre 1971, al termine delle selezioni, il britannico David Essex viene scelto per interpretare la parte di Gesù Cristo nell’opera rock “Godspell”. Il ragazzotto, il cui nome vero è David Cook, ha ventiquattro anni e nessuna esperienza professionale né come attore né come cantante. La sua faccia pulita e la sua voce bene impostata sono considerati sufficienti per il ruolo. Lo straordinario successo di "Godspell" lo trasforma in uno dei personaggi più popolari dei primi anni Settanta. Sempre incerto tra la carriera di cantante e quella di attore centra per qualche anno una lunga serie di successi discografici con brani di pop leggero come Rock on e Lamplight nel 1973, Gonna make you a star e Stardust nel 1974, Rollin' stone, Hold me close e If I could nel 1975. Nella seconda metà degli anni Settanta, dopo aver interpretato la parte della rockstar in declino nel film "Stardust - Polvere di stelle", la sua ispirazione musicale inizia a percorrere strade nuove allontanandosi progressivamente dal facile pop per adolescenti. La scelta gli procura guai nel rapporto con il suo produttore Jeff Wayne, ma ormai è fatta. Album come Out on the streets e Imperial wizard caratterizzano questo periodo di riflessione. Nel 1978 torna in teatro in un'altra parte, dopo quella di Gesù Cristo, destinata a fare scalpore. È lui, infatti, l'interprete di Che Guevara nella versione londinese del musical "Evita" di Andrew Lloyd Webber. Due anni dopo è il protagonista del film "Silver dream" di cui interpreta anche la colonna sonora. Da quel momento la sua carriera si stabilizzerà su tre fronti distinti: musica, teatro e cinema. Sul piano musicale i suoi album non saranno tutti memorabili e non scaleranno i vertici delle classifiche di vendita, anche se non mancherà qualche zampata di classe come The mutiny del 1983, con la Royal Philarmonic Orchestra, che raccoglie i brani tratti dall'omonimo musical ispirato dall'ammutinamento del Caine.


12 ottobre, 2022

12 ottobre 1990 – Torna la musica nello stadio insanguinato di Santiago del Cile

Il 12 ottobre 1990, nello Stadio Nazionale di Santiago del Cile, ha inizio “From Chile... an embrace of hope” (Dal Cile… un abbraccio di speranza), una kermesse musicale di due giorni destinata a sostenere l’iniziativa di Amnesty International. La scelta del luogo non è casuale. Lo Stadio Nazionale sedici anni prima è, infatti, divenuto tristemente noto in tutto il mondo per essere stato trasformato in un lager dai militari golpisti del dittatore Pinochet. I suoi spalti sono stati muti testimoni dell’agonia e del terrore di decine di migliaia di militanti di partiti di sinistra e di democratici imprigionati, torturati e uccisi. Nonostante il paese sia ormai uscito dal tunnel della dittatura e la democratizzazione abbia mosso i primi, timidi, passi, le autorità avrebbero preferito evitare lo svolgimento del concerto nello Stadio Nazionale, preoccupati, a loro dire, per l’ordine pubblico. Al contrario le organizzazioni democratiche ritenevano importante proprio la sua collocazione il quel luogo per la forte valenza simbolica. Determinante nel lungo braccio di ferro è stata la determinazione delle rockstar internazionali che, in un documento consegnato alle autorità cittadine, facevano sapere che qualunque spostamento avrebbe provocato l’annullamento del concerto con conseguenze rovinose sul piano dell’immagine per il Cile. Il 12 ottobre decine di migliaia di spettatori, in larga parte giovani, assistono all’inizio di due giorni intensi di concerti a favore dei diritti umani in tutto il mondo. Tra i protagonisti della lunga manifestazione ci sono Jackson Browne, Crosby, Stills & Nash, Peter Gabriel, Sinead O’Connor e Sting. Emozionante è l‘esibizione degli Inti Illimani, il gruppo cileno rientrato in patria nel 1989 dopo ben quindici anni d’esilio. Il colpo di Stato li aveva sorpresi a Roma, nel corso della loro prima tournée europea. Considerati sovversivi dal dittatore Pinochet, si erano visti negare il permesso di rientrare nel loro paese e avevano stabilito la loro sede operativa a Roma. Quando il gruppo appare sul palco dello Stadio Nazionale di Santiago scoppia un grande applauso che sembra non finire mai. «Siamo tornati, grazie di tutto! Questo stadio ritorna a vivere, ma ciò che è accaduto non può, non deve essere cancellato», dice Horacio Salinas anche a nome dei suoi compagni e non aggiunge altro. Il resto sono musica e canti.


11 ottobre, 2022

11 ottobre 1976 - L'anima delle Boswell Sister

L'11 ottobre 1976 muore a New York la cantante Connee Boswell, registrata all'anagrafe con il nome di Connie, voce solista e instancabile animatrice del trio delle Boswell Sister con le sorelle Martha e Vet. Nel 1935, quando il trio, nonostante i suoi tentativi di tenerlo in piedi, si scioglie perché Martha si sposa e Vet preferisce abbandonare le scene la coraggiosa Connee continua da sola l'attività artistica nonostante sia ormai da anni costretta a vivere su una sedia a rotelle, conseguenza evidente della poliomielite che l'ha colpita quando era bambina. La grave menomazione non le impedisce di svolgere una vita artistica intensa, anche se non sempre il music business gradisce la sua presenza. Mentre nei programmi radiofonici la presenza scenica è del tutto irrilevante, i teatri e, negli anni successivi, la televisione accampano spesso pretestuose scuse per evitare di mostrare al pubblico una cantante costretta a stare seduta su una sedia a rotelle. Sono pregiudizi che non fiaccano la sua determinazione e non le impediscono di partecipare a vari film musicali da "Artisti e modelle" del 1937 a "Una stella in cielo" del 1942, a "Swing parade" del 1946. Negli anni la sua attività artistica resta intensa e si sviluppa su piani diversi. Ai concerti affianca infatti la preparazione di programmi musicali per la radio e la televisione e l'oscuro lavoro di arrangiamento per se stessa e per altri interpreti. Negli anni Cinquanta, ormai considerata uno dei personaggi più significativi della scena jazz e pop statunitense, riduce progressivamente le sue apparizioni in pubblico, anche se non rinuncia a qualche saltuario concerto o a rare apparizioni televisive, quasi sempre in qualità di ospite d'onore. La sua voce non sembra mostrare tracce del tempo, ma il suo fisico si. Negli anni Sessanta decide infine di ritirarsi a vita privata nella sua casa di New York con il marito Harold Leery, suo ex manager. Alla sua morte vengono ripubblicati numerosi dischi incisi nell'arco della sua carriera tra cui la divertente Bob White in duetto con Bing Crosby.


10 ottobre, 2022

10 ottobre 1976 – Nessun discografico fa soldi sui Sex Pistols, anzi si...

Il 10 ottobre 1976 i Sex Pistols firmano il loro primo contratto discografico con la EMI. La band riceve quarantamila sterline d'anticipo, la cifra più alta mai pagata a un gruppo sostanzialmente sconosciuto e all’esordio in sala di registrazione. La notizia coglie di sorpresa l’ambiente musicale britannico che non si aspettava una così rapida conclusione delle trattative. C’è anche chi vede in questa firma un cedimento da parte del gruppo, considerato l’alfiere dell’ala alternativa e anticommerciale del movimento punk. In quel periodo la formazione dei Sex Pistols comprende il chitarrista Steve Jones, il batterista Paul Cook, il bassista Glen Matlock e il cantante Johnny Rotten, che all’anagrafe è registrato con il nome di Johnny Lydon. Qualche mese dopo Matlock verrà espulso dai suoi compagni perché sospettato di “cedimenti commerciali” e sarà sostituito dall’inquietante Sid Vicious. Al momento della firma del primo contratto i giornalisti chiedono a Johnny Rotten, considerato un po’ il personaggio simbolo e portavoce della band, se non ci sia una contraddizione tra la loro accesa contestazione del sistema e la sottoscrizione di un accordo con una delle più importanti case discografiche britanniche. Senza scomporsi Rotten sghignazza e dichiara: «Si sa com’è la vita. Le firme vanno e vengono, ma state tranquilli, nessuna casa discografica riuscirà a far soldi sui Sex Pistols». Mai previsione è stata più azzeccata. Qualche settimana dopo il loro primo singolo targato EMI, Anarchy in the UK scala rapidamente la classifica, ma la casa discografica non riuscirà a capitalizzarne i guadagni. Dopo le polemiche suscitate dalla scandalosa e devastante apparizione del gruppo in TV nella puntata del 1° dicembre del programma “Today”, la stessa EMI chiederà e otterrà la rescissione del contratto versando ai Sex Pistols un indennizzo di cinquantamila sterline. Un bell’affare per la band che in un pochi mesi di vita è riuscita a diventare per il punk quello che i Beatles sono stati per il beat. Non sarà l’ultimo. Altre major tenteranno di approfittare della popolarità del gruppo, ma ogni volta, di fronte alla carica eversiva delle canzoni e alla potenzialità distruttiva dei comportamenti, si vedranno costrette a recedere pagando profumatissime penali. Così, mentre la musica dei Sex Pistols infiamma la Gran Bretagna diventando il simbolo di una profonda rottura generazionale, i suoi componenti si arricchiscono a dismisura alle spalle delle case discografiche con i soldi delle penali. È un modo singolare e redditizio di mettere a nudo la fragilità dell’industria nata sulle culture alternative, pronta a metabolizzare la protesta di facciata, ma incapace di fagocitare la ribellione vera. È quasi imbarazzante la rapidità con la quale gli “uomini in grigio” delle case discografiche versano loro denaro per averli in esclusiva e poi ne versano altro per disfarsene. I Sex Pistols si arricchiscono alle spalle del sistema. Non si tratta di un caso, ma di una precisa e scientifica pianificazione messa in atto dal loro manager Malcom McLaren e descritta nei minimi particolari dal film "The great rock 'n' roll swindle" (La grande truffa del rock and roll). I giudizi su di loro sono contrastanti. C’è chi li ritiene degli oltraggiosi innovatori e chi una banda di truffatori. Entrambe le definizioni sono azzeccate. Nessun gruppo, nella storia del rock, ha avuto un effetto così dirompente in un tempo così breve. In meno di due anni, tanto dura la loro storia dal primo concerto all’annuncio dello scioglimento, diventano miliardari, scardinano le sicurezze dell’industria discografica, infiammano la scena musicale britannica e si lasciano consumare dall’incendio da loro appiccato. Anarchici e nichilisti non si preoccupano dei giudizi di nessuno e vivranno la loro avventura fino in fondo, fino all’autodistruzione, almeno per quel che riguarda Vicious. Gli altri proseguiranno su strade diverse giurando fedeltà all'impostazione originaria fino a quando accetteranno di riunirsi in alcuni malinconici ritorni sulla scena per ...qualche sterlina in più.


09 ottobre, 2022

9 ottobre 1964 – Per gli Stones l’apartheid è una vergogna

«Ci hanno detto di fottercene della politica, di tirare diritti per la nostra strada perché la musica è un linguaggio universale e non può essere al servizio di una bandiera. In questi giorni ci hanno tirato in tanti per la giacca. Abbiamo ascoltato tante belle parole e concetti importanti da persone che fino a qualche tempo fa stimavamo. Ci hanno telefonato in tanti, amici vecchi e nuovi. Tutta questa agitazione aveva, però, un solo scopo: quello di convincerci a confermare la nostra tournée sudafricana. C’è anche chi ci ha proposto di farlo inserendo in scaletta una canzone per la fratellanza tra le razze. Noi vogliamo farvi sapere, invece, che non ci andremo. Non andremo in un paese che discrimina gli uomini sulla base del colore della pelle. Consideriamo l’apartheid una vergogna per tutto il genere umano al quale, fino a prova contraria, appartengono anche i musicisti». Così il 9 ottobre 1964 i Rolling Stones comunicano la loro intenzione di annullare tutti i concerti della loro tournée in Sudafrica già previsti e annunciati da tempo. Contemporaneamente alla decisione della band il sindacato dei musicisti britannici diffonde un appello ai cantanti e ai gruppi musicali del Regno Unito perché seguano l’esempio degli Stones e annullino i tour sudafricani per protestare contro l’apartheid. Molti sono gli artisti che si associano alla presa di posizione, ma pochi quelli che aggiungeranno all’adesione atti concreti. Le case discografiche britanniche considerano il mercato sudafricano troppo importante per poter accettare con leggerezza una decisione del genere. Iniziano quindi le pressioni sugli artisti perché «assumano una posizione più realistica di fronte a un problema che la musica da sola non può risolvere». Sono parole di apparente buon senso che hanno però un solo scopo: isolare la posizione dei Rolling Stones e mantenere aperto il canale commerciale con il Sudafrica. Ci cascheranno in molti. Qualcuno, forse per sopire i sensi di colpa, o, più probabilmente per non perdere la faccia, pretenderà di potersi esibire anche per il “pubblico nero”: La maggioranza alzerà le spalle e farà quello che gli diranno gli impresari perché «in fondo i musicisti non possono cambiare il mondo» e perché i soldi, a differenza delle persone, non hanno colore.


08 ottobre, 2022

8 ottobre 1971 – Slade, i proletari del glam rock

L’8 ottobre 1971 la Polydor pubblica un singolo degli Slade il cui testo, a partire dal titolo, è interamente scritto nello slang delle bettole. È Coz I luv you. In meno di un mese arriva al vertice della classifica britannica e segna l’esplosione della Slademania con i dischi della band venduti come il pane e concerti scanditi dalla voce di migliaia di ragazzi che cantano storie e sentimenti nel dialetto della provincia e della campagna inglese. Formati dal cantante e chitarrista Neville “Noddy” Holder con l’altro chitarrista Dave Hill, il batterista Don Powell e un bassista bravo anche con il violino e le tastiere come Jimmy Lea, gli Slade diventano gli alfieri dell’ala proletaria e rozza del glam rock. In quel teatrino per adolescenti che è il glam, caratterizzato da fantasmagorici travestimenti ed effetti scenografici, ma evanescente e fragile sul piano musicale, loro con le magliette a righe, le bretellone, i cappellacci e le canzoni in slang accompagnate da un rock greve da birreria danno voce e rappresentanza ai giovanissimi delle periferie e dei borghi di provincia. Sono l’altra faccia degli adolescenti di quel periodo, ma sono anche musicisti veri. Non a caso il primo ad accorgersi di loro, quando ancora si chiamano Ambrose Slade, è quello stesso Chas Chandler che per primo ha scoperto Jimi Hendrix. A parte l’immagine in scena, un ruolo rilevante nello straordinario successo della band hanno le canzoni scritte dalla coppia Holder e Lea, quasi sempre con testi in puro slang, nelle quali a un rock pesante e aggressivo si sovrappone la voce allucinata dello stesso Holder. Brani come Coz I luv you, Take me back'ome, Mama weer all crazee now, Cum on feel the noize o Merry Xmas everybody sono destinati a diventare dei classici al di là delle stesse intenzioni del gruppo e contengono una carica dissacrante e ironica sconosciuta ad altri protagonisti del glam. Il gruppo non si prenderà mai sul serio, neanche nei momenti di maggior fortuna, e quando inizierà il declino si prenderanno in giro da soli pubblicando l’album Whatever happened to Slade (Cosa diavolo è successo agli Slade?).


07 ottobre, 2022

7 ottobre 1967 – Mamma Africa in classifica

Il 7 ottobre 1967 con il brano Pata pata entra per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti la sudafricana Miriam Makeba, esponente di punta, non solo sul piano culturale, della lotta contro l’apartheid. La cantante, nata a Johannesburg, è soprannominata “Mamma Africa” per la sua tenace e implacabile lotta contro l'apartheid nel suo paese d’origine. Ai giornalisti che le fanno notare come sia la prima volta che un’artista africana arriva al successo negli Stati Uniti, lei finge di cadere dalle nuvole: «Davvero? Eppure vedo più neri qui che in alcune vie del mio quartiere!». Figlia di un maestro elementare inizia a cantare sui banchi di scuola per poi passare ai locali alternativi, quelli dove i neri possono frequentare più o meno liberamente i bianchi che non approvano la discriminazione razziale. La sua carriera artistica non è mai disgiunta dall’impegno politico. A vent'anni entra a far parte dei Manhattan Brothers, uno dei più celebri gruppi vocali del Sudafrica e nel 1955 è la protagonista femminile del musical "King Kong", un'opera jazz ispirata all'uccisione di un pugile nero. Nel 1958 partecipa alla realizzazione del film antiapartheid "Come back Africa", con il quale partecipa ai festival cinematografici di Venezia e di Londra. Alla fine degli anni Cinquanta la repressione nei suoi confronti si fa più dura e la costringe a lasciare il suo paese natale. Si trasferisce negli Stati Uniti dove può contare sull’appoggio di numerosi artisti, primo fra tutti Harry Belafonte, e sulla solidarietà di un forte movimento d’appoggio alla lotta del popolo sudafricano. Quando il governo razzista di Pretoria le revoca la cittadinanza sudafricana si dichiara “cittadina d’Africa”. Il suo rapporto con le autorità statunitensi alterna momenti di tranquillità ad altri di forte tensione. Più di una volta viene invitata a limitare il suo frenetico attivismo politico soprattutto quando, nel 1968, sposa Stokeley Carmichael, un autorevole esponente del Black Power Movement. Nel giugno del 1990 dopo la revoca da parte del Sudafrica dei provvedimenti contro di lei potrà finalmente tornare nel suo paese natale per abbracciare il vecchio amico Nelson Mandela.


06 ottobre, 2022

6 ottobre 1962 – L'assassinio di Scrapper Blackwell non fa notizia

Il 6 ottobre 1962, in un vicolo di Indianapolis, nell’Indiana, viene trovato il cadavere del cantante e chitarrista Scrapper Blackwell. L’indagine sulle cause della sua morte, condotta in modo superficiale e svogliato, si limita a stabilire che è stato assassinato in una banale rissa di strada. I giornali dedicano poche righe all’accaduto che viene ben presto dimenticato. Muore così, a cinquantanove anni uno dei personaggi più importanti del blues, artefice di uno stile basato sulle note singole che ha influenzato in modo determinante l’evoluzione strumentale del rock. Blackwell è anche uno dei precursori nell’utilizzo del “break” strumentale, divenuto con il passare del tempo un elemento comune a tutti i bluesmen del mondo. La sua vita non è stata un divertimento. Nato a Syracuse, nel North Carolina, il 21 febbraio 1903, si trasferisce all’età di tre anni a Indianapolis con la famiglia e a sei inizia a suonare la chitarra sotto la guida del padre. Passa le giornate nella strada e ben presto impara a cavarsela da solo. Negli anni del protezionismo alterna l’attività musicale con quella di manovale nelle distillerie clandestine controllate dalla malavita. Nel 1927 l’incontro con il pianista Leroy Carr lascia un segno profondo nella sua ispirazione artistica e il sodalizio tra i due è premiato da uno straordinario successo. Il duo sembra destinato a durare in eterno, ma nel 1935, Carr muore consumato dall'alcol. Blackwell, sconvolto e annichilito, decide di lasciare la musica. Trova un lavoro come manovale in una fabbrica di bitume e taglia decisamente i ponti con il passato. Passano cinque anni prima che il grande capo-orchestra Jack Dupree riesca convincerlo a tornare sui suoi passi. Alla fine del 1940 ricomincia a suonare proprio con l’orchestra di Dupree al Cotton Club di Indianapolis. Pian piano riprende confidenza con l’ambiente e nel 1958 ricuce i rapporti anche con l’industria discografica realizzando alcuni dischi per la 77 Records e per la Bluesville destinati a diventare merce preziosa per i collezionisti. Nei primi anni Sessanta sull’onda dell’evoluzione del rock si parla di lui come di un maestro, il suo lavoro viene riscoperto e c’è chi gli propone nuove collaborazioni. La mano di un anonimo assassino chiude per sempre il discorso.


04 ottobre, 2022

4 ottobre 1985 - Communards per il socialismo

Il 4 ottobre 1985 i Communards, un duo formato dall’ex leader dei Bronski Beat Jimmy Somerville e dal pianista Richard Coles, realizzano il loro primo singolo You are my world. Il nome del gruppo, scelto dallo stesso Somerville, risponde alla necessità di caratterizzarsi immediatamente dal punto di vista politico con un esplicito riferimento all’esperienza della Comune di Parigi. Sembra quasi che Jimmy abbia voglia di liberarsi al più presto dai segni lasciati su di lui dall'esperienza precedente. Nonostante la stampa abbia parlato di una sorta di "separazione consensuale" della vecchia band, quando viene interpellato sulle ragioni dello scioglimento appare feroce e caustico nei suoi giudizi sui suoi ex compagni dei Bronski Beat: «Larry e Steve, con il successo, hanno perso la testa. Hanno cominciato a frequentare un altro giro, diverso dai nostri amici precedenti e hanno cominciato a trascurare l’impegno politico. Non riuscivo più a discutere di cose serie con loro. La politica non li interessava più e non leggevano nemmeno i giornali. L’unica cosa che suscitava il loro interesse erano i soldi, volevano guadagnarne tanti e mantenere il successo più a lungo possibile. Io non potevo andare avanti così. Non ce la facevo davvero più. Avevo ricominciato a bere ancora più di quanto non facessi quando ero disoccupato. Arrivavo sbronzo ai concerti perché, in fondo, provavo vergogna di fronte a me stesso di salire sul palco insieme a loro. Far musica solo per avere successo per me è una stronzata. Equivale ad autodistruggersi. Non sei più nessuno, perché non è possibile fare buona musica quando non si ha niente da dire. Per questo ho formato i Communards con Richards, con il quale divido molti ideali, e voglio rendere più forte il mio messaggio sociale, senza abbandonare la musica pop perché mi interessa far arrivare il messaggio in modo più diretto possibile senza filtri intellettuali o cervellotici. Per me, per noi e per il socialismo».


03 ottobre, 2022

3 ottobre 1967 – Una chitarra che uccide i fascisti

Il 3 ottobre 1967 dopo un calvario durato tredici anni di ricoveri, guarigioni e speranze muore al Queen Hospital di New York, consumato dal morbo di Hutchinson, il folksinger Woody Guthrie. Il padre della moderna canzone di protesta statunitense ha da pochi mesi compiuto cinquantacinque anni. Registrato all’anagrafe con il nome di Woodrow Wilson Guthrie, nasce, infatti, il 12 luglio 1912 nella cittadina di Okemah in Oklahoma e a dieci anni già si guadagna da vivere come manovale e impara a strimpellare la chitarra. Quando esplode la crisi della Grande Depressione, cerca fortuna vagabondando con gli "hobos", i disoccupati costretti a spostarsi da un lato all'altro degli Stati Uniti alla ricerca di lavori precari. Le esperienze vissute in quel periodo e le storie delle persone che incontra diventano canzoni. La sua vicenda personale di artista “on the road” si intreccia però anche con le grandi lotte operaie, con i movimenti dei disoccupati e con i tentativi della sinistra americana degli anni Trenta e Quaranta di organizzare e offrire prospettive credibili alle grandi masse di quell’immenso paese. Woody non è al di sopra delle parti e, prima da solo, poi con gli Almanac Singers, garantisce presenza, sostegno e solidarietà alle azioni di lotta. Per non lasciare dubbi sul suo modo di pensare incide sulla cassa armonica della sua chitarra la frase “this machine kills fascists” (Questa macchina uccide i fascisti). Dopo la seconda guerra mondiale, deluso dalla litigiosità interna della sinistra statunitense e perseguitato dalla caccia ai comunisti, cerca di sopravvivere come può, ma inizia a fare i conti con un nemico invisibile: la paralisi progressiva provocata dalla malattia che l’ha colpito. Nel 1954 entra per la prima volta in ospedale e fino alla morte non avrà più una vita normale. Non per questo rinuncerà a lavorare nei giorni in cui la malattia allenta la presa. Quando il suo cuore cessa di battere lascia in eredità al mondo un patrimonio musicale di enormi proporzioni. La sua produzione musicale, infatti, ha spaziato su molti fronti: dalle canzoni per bambini a quelle di lotta, alle ballate, alle canzoni di protesta. Si calcola che siano più di un migliaio i brani da lui composti e destinati a influenzare le generazioni successive di folksinger nordamericani. Sulla sua esperienza ha scritto nel 1943 il libro autobiografico “Bound for glory”, da cui nel 1976 è stato tratto un film uscito in Italia con il titolo “Questa terra è la mia terra".



02 ottobre, 2022

2 ottobre 1981 – Fun Boy Three, tre ragazzi divertenti

«Sì, lasciamo gli Specials. Abbiamo nuovi progetti in mente, ma le nostre idee non cambiano». Il 2 ottobre 1981 il cantante Terry Hall, il chitarrista Linval Golding e il percussionista Neville Staples annunciano in una conferenza stampa la decisione di abbandonare gli Specials e di dare vita a un nuovo gruppo, i Fun Boy Three. Smentiscono però le voci che attribuiscono a divergenze politiche con il leader del gruppo Jerry Dammers le ragioni della scelta. «Da Jerry ci dividono le scelte artistiche, non quelle politiche. La linea politica della band è sempre stata elaborata da tutto il gruppo e non ci sono mai state discussioni sull’argomento. Crediamo invece che sia ora di dare più leggerezza alla parte musicale, di aprirsi a nuove sonorità e di trasformare in divertimento anche l’impegno politico. Non sempre gli Specials sono riusciti a essere impegnati e divertenti allo stesso tempo. Forse è giunto il tempo di aggiungere una nuova voce al movimento musicale alternativo, capace di conquistare anche il pubblico che guarda con sospetto chi si ripete all’infinito. Tutto qua. La rottura con il passato è nell’impostazione artistica, non nella linea politica. Nessuno s’illuda: ci consideriamo sempre al di qua della barricata e lo dimostreremo presto». Nonostante la smentita ufficiale c’è chi approfitta dell’uscita del trio dagli Specials per parlare di crisi politica del movimento ska e di sostanziale ritorno alla normalità dei tre, stanchi di essere la bandiera dei gruppi più radicali della sinistra giovanile inglese. Per i sostenitori di questa tesi il nome stesso del nuovo gruppo, Fun Boy Three, indicherebbe la scelta del divertimento e del disimpegno come linea fondamentale. Le illazioni durano lo spazio di un mese. Il primo singolo del gruppo, The lunatics have taken over the asylum spazza via ogni dubbio. Con un testo ricco di caustica ironia, la canzone prende di mira il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Thatcher. Le novità rispetto al passato riguardano la musica, meno aggressiva e più aperta alle contaminazioni commerciali. La scelta è indovinata: i Fun Boy Three continueranno su questa strada per qualche anno con buon successo alternando canzoni d’impegno politico a originali cover di brani famosi.


01 ottobre, 2022

1 ottobre 1980 – L’inatteso fiasco di Paul Simon

Il 1° ottobre 1980 c’è molta attesa a New York per il debutto cinematografico come protagonista di Paul Simon, ex componente del mitico duo Simon & Garfunkel in cerca di conferme. Dopo la buona prova nell’inedita veste d’attore fornita nel 1977, quando Woody Allen gli ha affidato una piccola parte in “Io e Annie”, il pubblico e la critica lo attendono al varco con curiosità. Preceduto da una martellante campagna promozionale il film s’annuncia ricco di spunti autobiografici e ha un cast che comprende famosi protagonisti della scena musicale: da Lou Reed ai B-52’s, a Tiny Tim, ai Lovin’ Spoonful. Anche il regista sembra una garanzia. È Robert M. Young, il geniale artefice di film come “Alambrista”, premiato dalla critica un paio d’anni prima al festival di San Sebastian e di “Esecuzione al braccio 3”, un pregevole film corale sulle condizioni carcerarie statunitensi. Nelle ore che precedono la prima del film cresce l’attesa per quello che, forse un po’ troppo avventatamente, è già stato definito “uno degli eventi cinematografici della nuova stagione”. Il 1° ottobre 1980, finalmente, in una sala newyorkese assediata dai soliti fans vocianti attirati dalla presenza delle rockstar, viene proiettato per la prima volta “One-trick pony” (che arriverà in Italia con l’incredibile titolo “Divorzio stile New York”). Il pubblico che assiste alla prima è composto, oltre che dai protagonisti e da qualche invitato di riguardo, da un rilevante numero di critici. Quasi tutte le più importanti testate della carta stampata e i principali network radiotelevisivi sono presenti alla proiezione. Quando le luci si riaccendono l’evento dell’anno è già divenuto uno dei primi “flop” della stagione cinematografica. L’applauso che accoglie i titoli di coda è gelido e formale. La lacrimosa storia della rockstar in crisi che tenta di salvare il matrimonio e di recuperare il proprio pubblico è un pasticcio che non convince nessuno. Paul Simon è legnoso, assente e non riesce a emozionarsi neppure quando la trama si inerpica su alcune evidenti citazioni autobiografiche. Insomma, il film si rivela un disastro e la critica lo fa a pezzettini. Sarà un fiasco anche ai botteghini. Il pubblico salverà solo la colonna sonora, scritta dallo stesso Paul Simon, e, soprattutto la canzone Late in the evening, che volerà alta nelle classifiche per tutto il periodo natalizio.


30 settembre, 2022

30 settembre 1977 – I Foghat: salviamo la memoria del blues!


Nell’estate del 1977 vari intellettuali e ricercatori denunciano lo stato di conservazione delle vecchie registrazioni di brani del blues delle origini conservate presso la Public Library di New York in Lincoln Centre. «C’è bisogno di un restauro complessivo degli archivi. Alcuni supporti magnetici sono già irrimediabilmente danneggiati e nessuno si preoccupa. È un pezzo importante della non lunghissima storia di questo paese che se ne sta andando. Non ci bastano le adesioni formali, abbiamo bisogno di soldi e di attrezzature, non di chiacchiere…». Il grido d’allarme degli studiosi sembra non scalfire l’ambiente musicale statunitense che non dà segni di vita. In più, come se non bastasse la mancanza d’attenzione, c’è chi mette addirittura in discussione la legittimità di considerare “reperti storici” i nastri e i documenti conservati nell’archivio, ritenendoli in gran parte «paccottiglia musicale la cui scomparsa lascerà del tutto indifferenti i veri studiosi della storia e delle tradizioni degli Stati Uniti d’America». Proprio quando sembra che la questione stia ormai annegando in polemiche inutili e pretestuose, qualcuno trova il coraggio di prendere posizione. È la rock-band britannica dei Foghat, che il 30 settembre 1977 rompe gli indugi e si esibisce in concerto al Palladium di New York per raccogliere fondi da destinare al restauro della raccolta. Nato da una costola dei Savoy Brown, il gruppo ha lasciato nel 1973 il Regno Unito seguendo le rotte degli antichi emigranti e ha ottenuto uno straordinario successo negli Stati Uniti con album come il milionario Energized o Rock and roll outlaws. Tocca al cantante Dave Peverett spiegare al pubblico il motivo per il quale proprio loro, britannici, hanno deciso di battersi per salvare l’archivio: «Non capisco perché gli americani non si impegnino in modo più energico per difendere un pezzo di quello che secondo noi è il patrimonio più importante della loro cultura: una musica che ha cambiato il modo di suonare di milioni di persone nel mondo. Vorremmo sbagliarci, ma abbiamo l’impressione che dietro a tutte le strane giustificazioni, le polemiche e l’indifferenza che abbiamo colto in questi giorni ci fosse una ragione sola: il razzismo. Si vuol far morire la memoria del blues perché la si considera soltanto la memoria dei neri».

29 settembre, 2022

29 settembre 1971 – Gilbert O'Sullivan, il cantautore vestito da operaio

Il 29 settembre 1971 alla Royal Albert Hall di Londra è in programma un concerto a favore del WWF. Il cartellone prevede, accanto ai nomi di personaggi popolarissimi di quel periodo come i Rockpile, gli Sweet e Ashton Gardner, la partecipazione di Gilbert O’Sullivan, un oscuro e sconosciuto cantautore. Quando si presenta sul palcoscenico il pubblico resta colpito da questo venticinquenne pallido e dall'aria triste vestito come un operaio inglese dei primi del Novecento: calzoni corti, scarpe grandi, camicia di flanella e berrettone di traverso. Il suo vero nome è Raymond O'Sullivan ed è nato a Waterford, in Irlanda. Le sue canzoni gentili e delicate rappresentano una ventata di novità nel frastuono di suoni e colori del glam rock imperante in quegli anni. L'esibizione alla Royal Albert Hall lascia il segno. Sottolineata da brani come Nothing rhymed, Underneath the blanket go, We will e No matter how I try la sua popolarità cresce di giorno in giorno. Sempre più sicuro di se stesso Gilbert ottiene nel 1972 un grande successo internazionale con
Alone again (naturally)
, un vero e proprio inno alla semplicità che viene vissuto, a dispetto delle parole, come una sfida anticonformista agli eccessi del music business. Si ripete l'anno dopo con Get down, ma la decisione del suo produttore Gordon Mills di insistere su brani eccessivamente semplici lo fa scadere ben presto nella banalità. Il cantautore cerca di ribellarsi alle imposizioni con l'unico risultato di bloccare per un lungo periodo la sua attività discografica. La separazione da Mills, in possesso di diritti esclusivi su di lui gli impedisce, infatti, di tornare in sala di registrazione. Gilbert, però, piuttosto di restare sotto la tutela del suo manager, accusato dallo stesso cantante di averlo eccessivamente sfruttato negli anni precedenti, preferisce il silenzio. Si libera dell'opprimente cappa soltanto nel 1980 quando torna al successo con l'album Off centre e con il singolo What's in a kiss?. Nel 1982 la causa con Mills si conclude con la condanna di quest'ultimo. O'Sullivan recupera così i diritti sulle sue canzoni e ottiene due milioni di sterline di risarcimento, ma non riuscirà più a ripetersi ai livelli del suo periodo d'oro. Circondato dall'atteggiamento ostile dell'ambiente discografico che non gli perdonerà mai la ribellione alle regole, si accontenterà di suonare dal vivo nei locali e di qualche sporadica partecipazione televisiva.

28 settembre, 2022

28 settembre 1968 – Il primo contratto degli Stooges

Il 28 settembre 1968 gli Stooges di Iggy Pop sono impegnati in concerto a Detroit insieme agli MC5. L'ambiente nel quale si esibiscono è surriscaldato dalla presenza di centinaia di militanti delle White Panthers che scandiscono slogan contro la guerra, i padroni e il sistema. Nonostante la minor politicizzazione la band di Iggy Pop è accolta con simpatia dal pubblico che accompagna con boati le improvvise e devastanti accelerazioni di Ron Asheton alla chitarra, strumento di cui è titolare da pochi mesi, da quando, cioè la formazione è aumentata di un elemento. Meno di un anno prima, infatti, Iggy e i suoi compagni si chiamano ancora Psychedelic Stooges e sono un trio in cui Ron si arrangia con il basso e suo fratello Scott suona la batteria. La formazione si assesta quando arriva un bassista vero, Dave Alexander. Ron Asheton passa alla chitarra e libera Iggy Pop dalla necessità di inventarsi chitarrista. Nel passaggio da trio a quartetto il gruppo perde parte del nome. Rinuncia a Psychedelic e mantiene il più semplice Stooges. Quando, il 28 settembre 1968, devono affiancare gli MC5 suppliscono con l'energia e la grinta alle inevitabili mancanze dal punto di vista strumentale. Nonostante tutto la loro esibizione colpisce Danny Fields, un talent scout dell'Elektra, l'etichetta che ha sotto contratto i Doors e che sta valutando l'ipotesi di scritturare gli MC5. Al termine del concerto avvicina Iggy Pop e gli dà un appuntamento per i giorni successivi. Non c'è trattativa. Gli Stooges di fronte a un anticipo di 25.000 dollari accettano senza fiatare tutto quanto viene loro proposto. Pochi mesi dopo pubblicano The Stooges, un album prodotto da John Cale che comprende anche il brano 1969, No fun, che verrà ripreso, molti anni dopo, dai Sex Pistols. Le mutate condizioni economiche e la maggior popolarità incideranno negativamente sul difficile equilibrio della band che, dopo la registrazione del secondo album Fun house, arriverà sull'orlo dello scioglimento. Più per esigenze contrattuali che per reale convinzione gli Stooges tireranno avanti perdendo per strada Dave Alexander e risistemando la formazione a quattro con l'arrivo di James Williamson ex chitarrista degli Chosen Few. Alla rottura definitiva si arriverà nel 1974, dopo un concerto al Michigan Palace di Detroit che verrà registrato e fornirà il materiale per la realizzazione nel 1976 dell'album live postumo Metallic KO.


27 settembre, 2022

27 settembre 1948 – Meat Loaf, il polpettone del rock

Il 27 settembre 1948 nasce a Dallas, nel Texas, Marvin Lee Aday, destinato a diventare uno dei più pittoreschi personaggi del rock mondiale con il nome di Meat Loaf. Dal corpo imponente deve proprio alla sua ingombrante mole fisica il nome d'arte, che tradotto in italiano equivale a "polpettone", preso a prestito dal soprannome di un famoso allenatore di football americano. Non ha ancora vent'anni quando forma a Los Angeles la sua prima band, la Meat Loaf Soul che successivamente cambia nome in Popcorn Blizzard. Pur non andando al di là dei confini californiani, la sua popolarità si allarga a macchia d'olio grazie all'esuberanza scenica e a una voce dotata di notevole estensione e con un timbro inusuale per i cantanti rock. Insieme alla sua band si esibisce anche come supporter nei concerti californiani di artisti come gli Who, Johnny & Edgar Winter, Ted Nugent e Iggy Pop. Nel 1971 pubblica alcuni singoli per la Rare Earth Records, l'etichetta "bianca" della Motown, e l'album Stoney & Meat Loaf, con la cantante Stoney, conosciuto dai collezionisti anche con il titolo di Rock on. L'album verrà ripubblicato nel 1979 con il titolo Meat Loaf & Stoney. Nei primi anni Settanta partecipa a musical come "Rainbow in New York" o "Rocky Horror Picture Show", nel quale è un indimenticabile Eddie. Nel 1974 incontra Jim Steinman autore di vere e proprie storie in musica che consentono a Meat Loaf di utilizzare al meglio le sue qualità vocali e la sua capacità teatrale. Da quel momento, smentendo gli esperti d'immagine, il ciccione sudato inizia una straordinaria scalata al successo. Nel 1977 il suo album Bat out of hell frantuma tutti i record di vendita con ottantadue settimane di permanenza in classifica negli Stati Uniti e oltre tre anni in Gran Bretagna, superando i sette milioni di copie vendute in tutto il mondo. L'ormai trentenne Meat Loaf diventa così un idolo dei giovanissimi grazie alla sua carica dal vivo e al fascino delle storie un po' wagneriane di Jim Steinman. La popolarità si mantiene intatta anche negli anni successivi nonostante una produzione non sempre all'altezza della sua fama e un delicato intervento chirurgico alla gola che lo obbliga a star fermo per molto tempo. Nel 1993 festeggia il suo cinquantacinquesimo compleanno pubblicando, con la produzione di Todd Rundgren, l'esplosivo album Bat out of hell II, back into hell, una sorta di seconda parte dell'epopea che l'ha portato al successo. Muore a Nashville il 20 gennaio 2022 per complicazioni insorte dopo aver contratto il Covid - 19.


26 settembre, 2022

26 settembre 1991 – Addio a Billy Vaughn, un geniale costruttore di successi

Il 26 settembre 1991 muore di cancro il settantaduenne Billy Vaughn, uno dei pochi direttori d’orchestra della vecchia scuola americana capaci di interpretare e, talvolta, anticipare le nuove correnti musicali e i mutamenti di gusto del pubblico dagli anni Trenta agli anni Ottanta. Nato nel 1919 a Glasgow, nel Kentucky, nel corso della sua lunga carriera ricopre l’incarico di direttore musicale della Dot Records, ma soprattutto affronta da protagonista le innovazioni. Come arrangiatore e direttore artistico può essere considerato il vero artefice dei successi di personaggi molto diversi tra di loro come Pat Boone, Fontane Sisters o Gale Storm. Alla sua geniale capacità d’intuire i mutamenti si deve la formazione, nel 1952 del gruppo vocale degli Hiltoppers con Jimmy Sacca, Don McGuire e Seymour Spiegelman. Curioso e disposto a lasciarsi affascinare dalle novità, contrariamente a quanto succede a molti suoi colleghi, nel periodo d'oro del rock & roll non si chiude in una sorta di isolamento sdegnato. Affronta invece con entusiasmo il problema di dare un respiro orchestrale alla freschezza delle nuove soluzioni ritmiche. Dalla fine degli anni Cinquanta ai primi Settanta, l’epoca in cui la musica sembra essere stata investita da un ciclone giovanilistico destinato a cancellare tutto i protagonisti del passato, lui contraddice chi sostiene si tratti semplicemente di un fatto generazionale. Lo fa a modo suo, piazzando ben trentasei album nella classifica statunitense dei dischi più venduti. La sua apertura mentale deriva dalla grande lezione del jazz orchestrale, capace di fusioni e contaminazioni tra generi estremamente diversi. Lo stile caratteristico della sua orchestra è sostenuto da un lavoro di ricerca infaticabile e da una produzione discografica a ritmo continuo decisamente inusuale per un artista del suo livello. Album come Sail along silvery moon, Blue Hawaii, Theme from a Summer Place, Look for a star, Theme from The Sundowners e A swing' Safari vendono milioni di copie e gli regalano un grandissima popolarità. Negli anni Ottanta la sua produzione diminuisce quasi a manifestare il disagio per le nuove mode musicali che lui ritiene più d’immagine che di sostanza. All’inizio degli anni Novanta, quando è già ammalato, viene premiato come uno dei venticinque artisti di maggior successo della storia della musica degli Stati Uniti.





25 settembre, 2022

25 settembre 2005 - 50 Cent: voglio che gli altri si tolgano dalle palle...

Il 25 settembre 2005 il rapper 50 Cent, uno dei monumenti dell’hip hop, si esibisce al Palalottomatica di Roma. È il primo concerto di un breve tour italiano di tre tappe. La seconda tappa sarà al Vox Club di Bologna e la terza e ultima al Forum di Assago. Sbarca così, attesissimo, nel nostro paese uno dei fenomeni della scena musicale di quel periodo. 50 Cent, che all’anagrafe si chiama Curtis Jackson, è un raro esemplare di tenacia, furbizia da strada e capacità di comunicare senza tante mediazioni di comodo. Qui da noi i suoi dischi sono arrivati relativamente tardi, visto che il grande pubblico ha potuto conoscerlo soltanto a partire dal 2003 con l’album Get Rich or Die Tryin e il singolo In Da Club, ma è stato amore a prima vista come testimoniano le settantamila copie vendute dell’album e le dodicimila presenze all’unica data live in quel di Milano. Nel 2005 ritorna mentre il suo nuovo lavoro in studio, The Massacre, sta volando alto. Egocentrico, violento, aggressivo, maschilista, bandito, gangster, da tempo si sprecano le definizioni, prevalentemente negative, di questo fenomeno di massa che ha conquistato prima le strade dei ghetti neri statunitensi e poi il pubblico di tutto il mondo. La critica musicale fa oggettivamente fatica a capirlo completamente. Curtis, il futuro 50 Cents apre gli occhi sul mondo in seno a una dinastia legata al mondo dello spaccio nella circoscrizione del Queens, a New York e nel breve volgere di pochi anni deve imparare a cavarsela da solo. Orfano giovanissimo si guadagna i gradi del ghetto agli angoli del quartiere, sul marciapiede del Guy R. Brewer Boulevard dove inizia a darsi da fare per riempire tasche e stomaco senza guardare troppo per il sottile. Sulla strada vive e sulla strada incontra il rap, una forma espressiva che gli sta addosso come un vestito comodo. Il suo primo contratto discografico lo lega alla JMJ, l’etichetta del DJ dei Run DMC, Jam Master Jay, che morirà assassinato nel suo studio di registrazione. Proprio da lui 50 Cents impara come gestire un brano, i ritornelli e la costruzione delle strofe. Nel 1999, i Trackmasters, produttori di successo, riescono a farlo scritturare dalla Columbia Records. Per vincere la sua indolenza lo chiudono per due settimane e mezzo in uno studio di registrazione di New York e mettono le basi per l’ormai leggendario album Power Of A Dollar, mai pubblicato, ma diffuso ugualmente dalle radio di strada e dai mixtape. Il giocoso inno alla rapina How to Rob (Come rubare) in cui immagina di intaccare le fortune dei rapper più popolari gli fa il vuoto intorno. Mentre lui si affanna a spiegare che «si tratta di una farsa basata sulla realtà che la gente trova divertente, ma non c’è nulla di personale…», in molti, da Jay-Z a Big Pun, a Sticky Fingaz e Ghostface Killah gli rispondono con canzoni minacciose. Non sono soltanto parole. Nell’aprile del 2000, 50 Cent viene colpito da nove pallottole, una delle quali, da nove millimetri, lo centra in volto. Sopravvive, ma deve ricominciare da capo perché la Columbia Records lo scarica. L’uomo non si deprime e decide di continuare senza major tra i piedi con l’aiuto di un nuovo socio e amico, Sha Money XL. Insieme producono decine di brani contando sul responso della strada, spesso in grado di far la differenza nel mondo del rap. Nella tarda primavera del 2001, pubblica un album intitolato Guess Who’s Back? (Indovina chi è tornato?) e dà vita a una sua crew, la G Unit. Pochi mesi dopo mette in circolazione un bootleg intitolato 50 Cent Is the Future (50 Cent è il futuro) nel quale rivisita brani di artisti come Jay-Z e Raphael Saadiq. La svolta arriva quando Eminem annuncia ai quattro venti che «è 50 Cent il mio rapper preferito» e decide di prenderlo sotto la sua ala. Da simpatico gaglioffo 50 Cent prima di adeguarsi alle regole del suo nuovo protettore approfitta della pubblicità per mettere in giro un altro bootleg destinato alla strada dal titolo No Mercy, No Fear (Nessuna pietà, niente paura) che contiene anche Wanksta il brano inserito nella colonna sonora del film di Emanem “8 Mile”. È l’inizio del successo planetario scandito dal già citato Get Rich or Die Trying che vende quasi un milione di copie nei primi cinque giorni e dal successivo The Massacre. Di sé dice: «A 12 anni mi è stato dato il passaporto per il ghetto, anche se ero ancora un bambino. Poiché ero solo, erano i miei compari più grandi della mia zona a prendersi cura di me. Qualcuno che occupava una posizione di potere un giorno mi ha detto: da questo momento non ti darò più il tuo pesce quotidiano... Ecco qui la tua canna da pesca. Non era una cattiveria perché lui conosceva solo quello stile di vita, quello del trafficante. Ma devo dire che è stato Eminem a salvarmi dalla strada. Se ti ci fermi troppo a lungo, la sua legge dice che alla fine ammazzerai qualcuno e allora verrai ammazzato a tua volta oppure finirai in galera. La musica per me è stata una via di fuga, una fuga dalla merda». Il 50 Cents che arriva in Italia è il solito spavaldo bullo di strada sicuro di sé che presentava così il suo ultimo album «Quando questo disco uscirà, sarà dura per gli altri andare in giro per il paese…» facendo capire che le regole della giungla del music business non sono diverse da quelle del marciapiede: «…sto ancora cercando di spazzare via la concorrenza dalla mia zona. Il titolo dell'album parla da sé: voglio che gli altri rapper si tolgano dalle palle...».