Il 29 dicembre 1926 nasce a Milano Liliana Feldmann. Figlia di Pina Granata e Dante Feldmann, due tra i più popolari interpreti di operette di quel periodo, non sembra granché interessata a percorrere la strada dei genitori al fianco dei quali debutta in teatro a soli due anni. La polvere del palcoscenico, gli orari impossibili e il mondo strano del teatro, lungi dall'affascinarla, sono i simboli di una vita che la piccola Liliana vorrebbe evitare. La decisione sembra irreversibile quando Silvio D'Amico, il direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, le offre un posto. Lei oppone un cortese, ma netto, rifiuto. Preferisce dedicarsi agli studi di ragioneria e sogna un tranquillo lavoro senza rischi. A farla tornare sulle sue scelte ci pensano la seconda guerra mondiale e i bombardamenti. Nell'agosto del 1943 le bombe distruggono la casa e tutto quanto possiedono i suoi genitori. L’accaduto sconvolge la sedicenne Liliana che decide di dare il suo contributo al sostentamento della famiglia. Di nascosto dai genitori e accompagnata da una zia si presenta alla sede EIAR di Milano per un’audizione e viene assunta come attrice giovane e cantante. Inizia così una carriera radiofonica che le darà grandi soddisfazioni. Tra gli artefici del suo successo c’è il maestro Giovanni D’Anzi che aveva già dedicato ai suoi genitori il gustoso brano La famiglia Brambilla e che compone quella che diventerà una delle canzoni più famose del suo repertorio: La gagarella del Biffi Scala. Nel 1948 fa il suo esordio come prima soubrette nella rivista “Paradiso per tutti” al fianco di Ugo Tognazzi, poi lavora in teatro con Dario Fo e Gino Bramieri, anche se gran parte della sua popolarità è dovuta al personaggio della "signorina delle 13" che dialoga in diretta con il pubblico dopo il Giornale Radio. Cantante di grande personalità, lega al suo nome l’interpretazione di molte canzoni in dialetto milanese come El mè moros l’è el Guggia di Giovanni D’Anzi o Dona che te durmivett, un brano composto per lei da Enzo Jannacci. Vive la canzone come una sorta di suo mondo privato nel quale ritrovare il gusto di ripercorrere gli umori nascosti della sua città, per questo l'ambiente musicale milanese l'adora e le perdona tutto. Storici restano i tre album di canzoni in dialetto milanese pubblicati dalle etichette Odeon e Cetra, ancora oggi considerati una delle migliori testimonianze del periodo migliore della "canzone meneghina".
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
29 dicembre, 2022
28 dicembre, 2022
28 dicembre 1921 – Johnny Otis, il cuore greco del rhythm and blues
A Vallejo, in California, il 28 dicembre 1921 nasce John, figlio dei due immigrati greci Irene e Alex Veliotes. Pur arrivando da una terra dove abbondano indovini e sibille, i genitori non avrebbero mai potuto credere a chi avesse predetto per il loro figliolo un futuro nella musica nera. Eppure è così. Con il nome d’arte di Johnny Otis, questo strano greco diventerà uno dei protagonisti della diffusione del rhythm and blues. La sua carriera inizia nel 1939, quando debutta come batterista in un’orchestra della sua zona. In breve si conquista una discreta fama e dopo aver militato in alcune delle migliori jazz-band di Reno, Omaha e Kansas City, come quelle di Geo Morrison e Lloyd Hunter, si trasferisce a Los Angeles per suonare con l’orchestra di Harlan Leonard in un locale di cui è proprietario l’ex batterista Curtis Mosby. Proprio quest’ultimo, intuendo le sue qualità, lo convince a formare un proprio gruppo. Nel 1945 nasce così la Otis Love Band, un’orchestra di cui fanno parte musicisti come il sassofonista Paul Quinichette, il trombettista Ted Buckner, il pianista Bill Doggett e il contrabbassista Curtis Counce. L’anno dopo la band ottiene un grande successo discografico con Harlem nocturne, un brano registrato con il supporto di alcuni musicisti del gruppo di Count Basie e con il cantante Jimmy Rushing. Anticipando la crisi delle big band, Johnny Otis scioglie l’orchestra e forma la Rhythm and Blues Caravan. Nel 1948 apre a Watts, un sobborgo di Los Angeles, il Barrelhouse, destinato a diventare in breve tempo un locale di culto per gli appassionati del nascente rhythm and blues e una straordinaria fucina di talenti. Il suo fiuto scopre e valorizza artisti come, tra gli altri, Esther Phillips, Jackie Wilson, Hank Ballard, Big Mama Thornthon, Little Richard, Johnny Guitar Watson, Floyd Dixon ed Etta James. Nel 1955, scioglie la Caravan per dedicarsi a tempo pieno all'attività di produttore e di showman radiotelevisivo, ma la decisione non sarà definitiva. Negli anni Settanta tornerà a riunire più volte i vecchi compagni pubblicando vari album fino al 1982 quando, senza annunci, lascerà davvero le scene per diventare pastore di anime nella chiesa della Comunità di Landmark a Los Angeles.
27 dicembre, 2022
27 dicembre 1975 – Gli Staples Singers, duri a morire
Il 27 dicembre 1975 al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti arriva il brano Let's do it again, tema conduttore del film omonimo diretto da Alexander Hall, interpretato da Jane Wyman e Ray Milland e distribuito nelle sale italiane con il titolo "Ancora e per sempre". Lo interpretano gli Staples Singers, il gruppo fondato alla fine degli anni Quaranta dal patriarca Roebuck "Pop" Staple con le figlie Mavis e Cleo e il figlio Pervis, destinato poi a essere sostituito da sua sorella Yvonne. La loro storia per un lungo periodo non è dissimile da quella di tanti gruppi di gospel, rhythm & blues e soul dalla lunga vita e dal modesto successo. La prima svolta avviene, nel 1968, a quasi vent'anni dalla loro costituzione, quando sull'onda dell'esplosione soul di quel periodo vengono scritturati dalla Stax. Il grande pubblico li scopre e se ne innamora. La famiglia canterina degli Staples non si fa pregare e centra una serie di successi che tocca l'apice nel 1971 quando i brani Heavy makes you happy e Respect yourself. Negli anni successivi la crisi del soul e l'affermarsi di nuovi personaggi sembrano chiudere per sempre la loro storia, ma per demoralizzare il vecchio Pop Staple ci vuole ben altro. Gli Staples Singers sono duri a morire. Il quartetto alterna le esibizioni nei locali al lavoro in studio di registrazione, adattandosi anche a fornire il supporto vocale alle performance dei nuovi eroi musicali del periodo. Quella che sembra una sostanziale resa di fronte allo scorrere del tempo è in realtà l'attesa di tempi migliori. La nuova occasione arriva quando Curtis Mayfield, che sta lavorando alla colonna sonora del film "Let's do it again", si ricorda di loro. Una telefonata basta e avanza. Gli Staples Singers, qualche anno prima di festeggiare il trentennale di vita ritornano così prepotentemente alla ribalta. Il vecchio Staple non sta nella pelle anche se la figlia Mavis, la solista del gruppo, si lascia tentare dall'idea di continuare da sola. Lo fa e la sua defezione mette in crisi gli Staples Singers anche se, dopo tre album di scarso successo e un'esperienza in coppia con Eddie Floyd, torna sui suoi passi. L'epopea del gruppo è, però, ormai finita. La loro storia continuerà attraverso le esperienze di Mavis Staple, che dopo aver partecipato, nel 1987, alla realizzazione del doppio album gospel One Lord, one faith, one baptism di Aretha Franklin arriverà al successo alla corte di Prince, suo produttore e nuovo mentore.
26 dicembre, 2022
26 dicembre 1957 – Nasce "Tequila"
Il 26 dicembre 1957 Dave Burgess, un chitarrista ritmico alle dipendenze della Challenge Records di Los Angeles entra in sala di incisione per registrare un brano strumentale Train to november. Burgess ha convinto la sua casa discografica a pubblicarlo perché è convinto che sia destinato al successo. Nella seduta è accompagnato dagli strumentisti della band che accompagna il cantante Jerry Wallace. Al termine della registrazione ha la necessità di scegliere un brano da pubblicare sul retro del disco. Chiede allora aiuto a un suo amico, il sassofonista Chuck Rio, che gli propone un brano dai colori latini, intitolato Tequila e scritto di getto dopo un viaggio in Messico. L’improvvisato gruppo figura sull’etichetta del disco con il nome di The Champs. Nonostante le aspettative di Burgess il suo Train to november passerà quasi inosservato, ma il singolo volerà alto nelle classifiche di vendita grazie proprio a Tequila. Lo straordinario successo cambierà la sua vita e quella del suo amico Chuck Rio facendoli entrare nella storia del pop. Le richieste costringeranno il gruppo fantasma dei Champs a strutturarsi sul serio in una formazione che oltre a loro due, comprenderà il chitarrista Buddy Bruce, il bassista Cliff Hills e il batterista Gene Alden. La vicenda dei Champs continuerà per qualche anno con vari cambiamenti di formazione. Del gruppo faranno parte anche Jim Seals e Dash Croft, il duo considerato dalla critica, tra il 1972 e il 1973, l'erede di Simon & Garfunkel e che costituirà negli anni Sessanta il nucleo centrale dell'esperienza dei Dawnbreakers.
25 dicembre, 2022
25 dicembre 1981 – Natale in carcere per la J. Geils Band
Nel 1981 Peter Wolf, il cantante della J. Geils Band, cedendo alle pressioni della sua compagna Faye Dunaway, convince i suoi compagni a passare il Natale in un carcere esibendosi per una platea composta esclusivamente dai carcerati e dalle loro famiglie. L’iniziativa, tenuta segreta, ha inizio nell’estate, periodo in cui sono stati presi i primi contatti con le autorità competenti. Superate le inevitabili difficoltà è stato infine scelto anche il luogo del concerto: il Norfolk Correctional Center. Quando la band sta per rendere pubblica la sua decisione, però, la vicenda si complica. Proprio in quell’anno, infatti, il rock blues impiantato su una solida struttura rhythm and blues della J. Geils Band ha conquistato un pubblico larghissimo, ottenendo un successo commerciale inaspettato, tanto che il gruppo è arrivato anche al primo posto della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con l’album Freeze frame. In sostanza non sono più un gruppo marginale e paradossalmente questo fatto rischia di far saltare la decisione di suonare per i carcerati. Alcuni dirigenti della casa discografica della band, infatti, esprimono una forte preoccupazione. Temono che un’azione di forte impegno sociale come quella prospettata da Peter Wolf e compagni possa influire negativamente sull’immagine del gruppo in un momento di grande successo commerciale. I rischi vengono prospettati alla band che risponde con un’alzata di spalle e ribadendo la sua determinazione a tenere fede all’impegno. Andato buco il tentativo di dissuasione "amichevole", si passa alle minacce. La casa discografica comunica che è sua intenzione avvalersi di una clausola contrattuale che le dà il diritto di esprimere una sorta di “gradimento preventivo” degli impegni pubblici della band. Non è una minaccia da poco perché sottopone la J. Geils Band al ricatto di una penale salatissima con conseguente rescissione del contratto “per colpa”. Insomma la situazione diventa imprevedibilmente complicata. Le pressioni crescono man mano che s’avvicina la data prevista per il concerto finchè Peter Wolf rompe gli indugi e annuncia ai giornalisti la decisione di suonare per i carcerati di Norfolk. Ormai la frittata è fatta. La casa discografica, nonostante le terribili minacce, teme una figuraccia di fronte all'opinione pubblica, si ritira di buon grado e minimizza. Nel pomeriggio del 25 dicembre 1981 il rock blues della J. Geils Band entra così tra le mura del Norfolk Correctional Center.
24 dicembre, 2022
24 dicembre 1972 – Una vigilia con la polizia per Manfred Mann
Il programma natalizio dell’Università di Miami nel 1972 è ricco di iniziative interessanti. Tra tutte spicca il Concerto della Vigilia, affidato alla Manfred Mann's Earth Band, il nuovo gruppo del vulcanico Manfred Mann che, oltre a lui, schiera l’ex chitarrista e cantante dei Bulldog Mick Rogers, il bassista Colin Pattenden e il batterista Chris Slade, già con gli Squires di Tom Jones. La band sta vivendo un buon momento negli Stati Uniti dove i primi due album hanno entusiasmato il pubblico dei più giovani con un heavy rock decisamente commerciale. Non sono soltanto studenti universitari quelli che affollano, il 24 dicembre 1972, la sala dei concerti dell’Università di Miami. Il gruppo, del resto, gode di grande popolarità tra i giovanissimi, ma lascia piuttosto freddini i loro fratelli maggiori. Già a primo vista si intuisce che la sala è gremita in prevalenza da gruppetti di adolescenti arrivati fin lì per passare un paio d’ore di divertimento. Non prevedendo incidenti, la municipalità non ha ritenuto di adottare precauzioni particolari e si è limitata a infiltrare qualche agente di polizia in borghese tra il pubblico per tenere d’occhio la situazione. Quando la band inizia a suonare gran parte dei ragazzi presenti si scatena a ritmo di musica. Vari gruppi, in piedi sulle sedie, saltano a ritmo lanciandosi palline di carta e lattine vuote. I responsabili della sala tentano inutilmente di interrompere il gioco. Un invito in questo senso, lanciato dai microfoni tra una canzone e l’altra, viene accolto da urla, risate e lazzi. L’atmosfera è festosa e un po’ goliardica, ma c’è chi non lo capisce e chiede aiuto alla polizia. Le forze dell’ordine, constatata l’impossibilità di riportare la tranquillità e di rimettere ciascun spettatore disciplinatamente al proprio posto, decidono di sospendere il concerto. Manfred Mann e la sua band se ne vanno, ma gli spettatori no. Gli agenti presenti chiedono rinforzi. Si tenta di convincere il pubblico a sgomberare la sala, ma la trattativa è inutile: i ragazzi non se ne andranno da lì se non riprenderà il concerto. I poliziotti passano alle maniere forti, i giovani anche. Gli scontri sono durissimi e si estendono rapidamente a tutto il quartiere universitario. Solo dopo due ore tornerà la calma. La quiete dopo la tempesta, poco festosa e per niente natalizia.
23 dicembre, 2022
23 dicembre 1931 – Henry Cuesta, un ragazzo pigro che detestava il violino
Il 23 dicembre 1931 a Mac Allen, nel Texas, nasce il clarinettista Henry Cuesta. A nove anni, spinto dal padre appassionato di musica, inizia a studiare violino. È svogliato e indolente, quasi che gli studi musicali non lo interessino molto. Dopo vari tentativi anche la sua famiglia sembra rassegnarsi all'idea che il figlio possa scegliere strade diverse da quelle immaginate per lui. Al momento di abbandonare tutto il giovane Cuesta torna sui suoi passi. Non è la musica a non piacergli, ma il violino. Passa al clarinetto e trova nuovi stimoli per continuare. Diventa uno studente modello e frequenta i corsi di specializzazione organizzati dal Del Mar College Of Music. Il suo rendimento scolastico è tale che le orchestre sinfoniche della zona fanno la coda per lui, compresa la Corpus Christi Simphony Orchestra, la più famosa del Texas. Suonare gli piace molto, ma non è disposto a scuotersi dall'indolenza che caratterizza il suo carattere per la musica. Non ha ambizioni particolari e nel dopoguerra si accontenta di sbarcare il lunario con le orchestre del Midwest che gli garantiscono i mezzi per vivere senza grande fatica. Per quasi vent'anni la sua vita è identica a quella di moltissimi altri strumentisti destinati a non lasciare alcun segno nella storia della musica, ma il destino ha in serbo una sorpresa. Nel 1959 viene ascoltato casualmente da Jack Teagarden che resta colpito dalla sua tecnica e lo ingaggia nel suo sestetto in sostituzione di Jerry Fuller. A ventotto anni Henry Cuesta si ritrova così catapultato da un giorno all'altro a New York dove suona nei locali più importanti della scena jazz statunitense. Al fianco di Teagarden ottiene una notevole popolarità anche grazie a una lunga serie di dischi pubblicati dalla casa discografica Roulette. Tutto questo non gli cambia il carattere, che resta quello degli inizi: pigro e non disposto ad accelerare i suoi ritmi di vita per inseguire o mantenere il successo. I critici lo ritengono un clarinettista eccezionale sotto il profilo tecnico-strumentale, ma gli rimproverano un eccessivo individualismo virtuosistico. Lui non si cura nemmeno di rispondere, convinto che, in fondo, ogni punto di vista abbia le sue ragioni per esistere. Quando si chiude la collaborazione con Teagarden non torna più nel Texas. Resterà a New York, ma si guarderà bene dal mettersi in proprio. Anzi, eviterà anche di avere rapporti fissi troppo lunghi e vagabonderà tra le varie band del clan dei dixielanders newyorkesi. Muore il 17 dicembre 2003.
22 dicembre, 2022
22 dicembre 1988 – La storia degli Smiths si chiude, ma forse no
Alla Civic Hall di Wolverhampton il 22 dicembre 1988 si esibiscono per l’ultima volta in pubblico gli Smiths, considerati dalla critica britannica il migliore e più rappresentativo gruppo inglese degli anni Ottanta. Già in agosto Morissey, il leader della band, ne ha annunciato lo scioglimento, ma moltissimi fans sperano in un ripensamento. Speranza vana, perché lo stesso Morissey conferma la decisione di chiudere e l’intenzione di continuare come solista. «La storia degli Smiths si chiude oggi. Ciascuno di noi è già impegnato in nuovi progetti e non c’è proprio spazio per alcun ripensamento. No, non sono triste, perché dovrei? È la fine di un ciclo importante, ma anche l’inizio di nuove esperienze in cui crediamo molto...». Finisce così un’avventura iniziata nel 1982 quando il chitarrista John Maher, in arte Johnny Marr, alla ricerca di un autore di testi per le sue canzoni, incontra il vulcanico poeta, scrittore e cantante Morrissey, all’anagrafe Stephen Patrick Morrissey. I due decidono di dar vita agli Smiths. I primi provvisori compagni d’avventura sono il batterista Simon Wolstencroft e il bassista James Maker, presto sostituiti rispettivamente da Mike Joyce e Andy Rourke. In pochi mesi la popolarità della band s’allarga a macchia d’olio, soprattutto dopo la leggendaria esibizione dal vivo ai microfoni di Radio One, nella trasmissione di John Peel riservata ai gruppi emergenti. Il “fenomeno Smiths” cresce rapidamente tanto che nella primavera del 1983, quando la formazione non ha ancora un anno d’attività, il loro primo singolo Hand in glove arriva al vertice delle classifiche indipendenti britanniche. Nel mese di febbraio dell'anno successivo l'album The Smiths viene prenotato in trecentomila copie prima ancora di essere disponibile nei negozi. Nel 1985 gli Smiths toccano il punto più alto del successo commerciale con l'album Meat is murder, che arriva al primo posto della classifica britannica dei dischi più venduti. Le anime inquiete di Morissey e dei suoi compagni non accettano, però, di interpretare il ruolo delle star ripetendosi all’infinito. Quando sentono che l’ispirazione viene meno decidono di chiudere. La loro vicenda verrà raccontata, come in uno splendido e visionario film, dal video “The south bank show” e i periodici tentativi di riunioni successive non aggiungeranno nulla di più alla loro storia.
21 dicembre, 2022
21 dicembre 1974 – Il Natale dei Mud
Il 21 dicembre 1974 al vertice della classifica britannica dei singoli più venduti ci sono i Mud con il brano natalizio Lonely this Christmas. La band si conferma così uno dei fenomeni commerciali dei primi anni Settanta al fianco degli alfieri Slade, T. Rex, Sweet, Bay City Rollers, Alvin Stardust e Gary Glitter. Il singolo di Natale è il settimo disco dei Mud che arriva nelle posizioni di vertice della classifica e conferma una sequenza di successi iniziata con Crazy nel 1973. Si tratta di un risultato che va al di là delle più rosee previsioni del gruppo formato nel 1966 dal cantante Les Gray, dal chitarrista Rob Davis, dal bassista Ray Stiles e dal batterista Dave Mount. Le fortune commerciali, però, non arrivano per caso. Sono, infatti, il frutto dell'attenta promozione di una coppia dalle mani d'oro come quella formata dagli autori e produttori Chinn & Chapman, geniali protagonisti della scena glam e artefici del successo di artisti come Suzi Quatro e gli Sweet. La parabola ascendente dei Mud continuerà fino al 1975, anno in cui piazzeranno ben sei brani in classifica: The secrets that you keep, Oh boy, Moonshine Sally, One night, L-L-Lucy e Show me you're a woman. Nello stesso anno, però, il rapporto che li lega a Chinn & Chapman si sfilaccerà fino alla rottura. I Mud penseranno di poter continuare da soli senza pigmalioni, ma non sarà così. Da una parte la crisi inarrestabile del glam rock e dall'altra l'ingenua scelta di ripetersi all'infinito segnerà l'inizio di un lento declino della band, nonostante il successo di brani come Oh boy e altri.
20 dicembre, 2022
20 dicembre 1986 – Noi Bangles siamo carine, ma non stupide
Il 20 dicembre 1986 le Bangles arrivano al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con Walk like an egyptian, un brano scritto da Liam Stemberg nel 1983 e rifiutato da Tony Basil, destinato a essere inserito quindici anni dopo nell'elenco delle "canzoni proibite" negli Stati Uniti dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 contro le Twins Towers. Il successo caratterizza il miglior momento della band interamente femminile che ha preso nel cuore degli amanti del pop il posto delle disciolte Go-Go's. «Se siamo carine non significa che siamo anche stupide» è la lapidaria frase con la quale in breve tempo Susanna Hoffs la leader del gruppo gela gli intervistatori improvvisati e diventa il terrore dei talk show. Brave e preparate le Bangles non sbucano dal nulla ma hanno alle spalle una lunga gavetta. Susanna si fa le ossa negli Unconscious prima di dare vita, con la chitarrista Viki Peterson e sua sorella batterista Debbi Peterson, nonché con la bassista Annette Zalinkas alle Bangs. Quando Annette se ne va, sostituita da Michael Steele che, nonostante il nome maschile, è una ragazza che arriva dalle Runaways, il nome Bangs cambia in Bangles. Il loro suono divertente e psichedelico fa il resto. Aiutate da un'altra grintosa donna del rock come Cyndi Lauper centrano proprio con Walk like an egyptian, un'ironica canzone ricca di nonsense nella quale i poliziotti «passano il loro tempo in pasticceria» il grande successo che, però, non durerà a lungo. L'eccessiva pressione favorirà i contrasti interni e porterà la band a sciogliersi alla fine degli anni Ottanta. Non mancheranno più o meno inaspettate reunion che non aggiungeranno nulla alla loro storia.
19 dicembre, 2022
19 dicembre 1935 – Il posteggiatore che piaceva a Wagner
Il 19 dicembre 1935 muore a Napoli l'ottantunenne Giuseppe Di Francesco, il più celebre posteggiatore della fine Ottocento. L'Italia fascista, disattenta e superficiale, non si accorge neppure della scomparsa di Peppino o' zingariello, com'era soprannominato Di Francesco per la piccola statura e per la vita nomade. Una carriera lunga la sua, iniziata a otto anni quando, con la fedele chitarra, canta nelle trattorie della sua Napoli. Posteggiatore di scuola classica, ancora adolescente se ne va a cercare fortuna per il mondo. In breve tempo diventa popolarissimo nei locali di varie città europee. Nel 1870 torna nella sua città, forte di un contratto di ben otto anni con il Ristorante Stella. Nel 1879 la sua esibizione alla Villa Dorotea di Posillipo affascina il compositore Richard Wagner che lo convince a seguirlo in Germania dove diviene un personaggio popolarissimo e acclamato nell’ambiente dei musicisti e dei letterati. Il clima della Germania, meteorologico e umano, non fa per lui. Dopo quatto anni di "esilio" preso da nostalgia per Napoli, fugge senza neppure salutare il suo celebre protettore e torna nella sua città. Non ha un posto fisso, né denaro per vivere, ma fortunatamente il proprietario del Ristorante Stella gli vuole bene e lo accetta di nuovo nel suo locale. Per qualche anno sembra deciso a non muoversi più. Con lo scoccare del nuovo secolo si riaccende, però, la scintilla nomade. Nel 1900, infatti, forma un duo con il venticinquenne Eduardo Abbate, che lui considera un po' il suo erede, e si avventura in una lunga tournée nella lontana Russia. Ci resta più di quindi anni, fino alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre quando, senza un soldo e con la sola dote della sua chitarra torna, come al solito, a Napoli. La sua voce morbida e penetrante, la sua abilità con la chitarra, frutto di una lungo apprendimento da autodidatta affinato da un gran numero di esperienze in giro per il mondo, e la capacità di rinnovare costantemente il proprio repertorio sono le ragioni più importanti di un successo popolare che non l'abbandonerà mai. Negli anni Venti è ospite fisso in uno dei più popolari Ristoranti di Posillipo dove intrattiene i commensali cantando oltre alle canzoni di Mario Costa e Salvatore Di Giacomo, un gran numero di brani che ha visto nascere e che in quegli anni sono già considerati dei classici. L'età non lo spaventa. Ormai ottantenne, non abbandona la fidata chitarra e la sua voce risuona nei ristoranti e nelle vie di Posillipo fino a pochi giorni prima di morire.
18 dicembre, 2022
18 dicembre 1962 – Bentornati Beatles e grazie di tutto!
All’inizio dell’inverno del 1962 i Beatles sono l’argomento di discussione prevalente tra i giovani d’Amburgo. Qui i quattro ragazzi sono di casa. Li hanno visti crescere e farsi le ossa in locali come il Top Ten e lo Star Club. Nessuno si è meravigliato quando, a ottobre, sono esplosi scalando le classifiche con i brani P.S. I love you e Love me do. Le riviste specializzate dicono che è già pronto il nuovo disco Please please me, ma che viene tenuto in frigorifero per non danneggiare le vendite del primo. Insomma i quattro ragazzi col caschetto che frequentavano i bar della città sono improvvisamente diventati delle star. Il proprietario dello Star Club ha appeso dietro al bancone del bar la loro fotografia e mostra a tutti il contratto annuale che prevede ancora un’esibizione della band nel locale negli ultimi tredici giorni di dicembre, Capodanno compreso, per il modesto compenso pattuito quando erano ancora degli illustri sconosciuti. In pochi credono davvero che i Beatles tornino a suonare ad Amburgo. In caso di forfait la penale è ridicola, proporzionata ai quattro soldi che dovrebbero percepire per tredici giorni di concerti. Verranno o no? In molti credono che i quattro non rinunceranno a ricchi contratti solo per tenere fede a un impegno preso in un periodo di vacche magre. L’unico a ostentare tranquillità è il proprietario dello Star Club. Come se niente fosse, espone la solita scarna locandina con l’elenco dei gruppi del mese che annuncia, a partire dal 18 dicembre 1962, l’esibizione dei Beatles e di Johnny & The Hurricanes. La sera del 18 dicembre lo Star Club è affollato da centinaia di giovani. Improvvisamente nella confusione risuona alta la voce di John Lennon: «Davvero qualcuno pensava che avremmo potuto mancare? Gli impegni sono impegni!». Un boato accoglie la band, mentre un gruppo srotola uno striscione scritto a mano con la scritta “Bentornati Beatles”. Per tredici giorni i quattro si esibiranno nel locale come un normale gruppo di sala, rispettando il contratto. A Capodanno Ted Taylor, il componente di una band di Liverpool chiamata King Size Taylor & The Dominoes registra il loro ultimo concerto allo Star Club. Nel 1977 quella registrazione diventerà un disco.
17 dicembre, 2022
17 dicembre 2004 - Bob Marley eroe nazionale giamaicano?
Il 17 dicembre 2004 vari giornali riportano la notizia di una singolare iniziativa nata in Giamaica. «In qualsiasi parte del mondo uno si trovi, quando sente pronunciare la parola Giamaica si accorge che viene inevitabilmente accostata a un nome solo, quello di Bob Marley». La dichiarazione è di Jacqueline Knight-Campbell, la donna che ha presentato l’iniziativa della “Bob Marley Foundation” per chiedere alle autorità del paese caraibico che il Profeta del Reggae venga proclamato Eroe Nazionale e che il giorno della sua nascita venga considerato Festa Nazionale. La mobilitazione da qualche tempo si sta intensificando e comincia a prendere forma la possibilità che possa avere successo. Se accadesse Bob Marley diventerebbe l’ottavo Eroe Nazionale di un paese decisamente restio a elargire con facilità questo tipo di onorificenza. Non mancano le resistenze da parte di chi sostiene che Bob ha avuto un rapporto spesso contrastato con l’isola che gli ha dato i natali e alla fine non se ne fa nulla, ma la questione è ancora aperta.
16 dicembre, 2022
16 dicembre 1983 – Gli Who si sciolgono, anzi no
Il 16 dicembre 1983 gli Who, che dopo la morte di Keith Moon hanno alla batteria Kenny Jones, annunciano ufficialmente la loro separazione. Resta ancora un tour, l’ultimo a detta loro, nel corso del quale viene registrato quello che dovrebbe essere l'album d'addio Who's last pubblicato nel 1984. Non è, però, l'ultimo atto della storia della band. Non passa un anno dalla pubblicazione dell’ultimo disco che gli Who si riuniscono. Accade nel 1985 e la scusa è che devono suonare nel Live Aid. Si riuniscono ancora nel 1988 per festeggiare la consegna di un premio alla carriera e per sponsorizzare l’uscita di una raccolta di vecchi brani, Who's better, Who's best, accompagnata da un video. Nel 1989, per celebrare degnamente i venticinque anni dalla nascita della band, partono addirittura per un tour mondiale con Simon Phillips alla batteria al posto di Kenny Jones e nel 1990 registrano l'album Join together. Nello stesso anno vengono inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame.
15 dicembre, 2022
15 dicembre 1968 – Il pugno chiuso di Grace Slick
Il 15 dicembre 1968 negli studi di "The smothers brothers comedy hour", uno dei più popolari show televisivi statunitensi, c'è un po' di apprensione. La scaletta prevede la partecipazione dal vivo dei Jefferson Airplane nel brano Crown of creation. La loro presenza, "suggerita" dalla RCA, ha provocato contrasti nella struttura dirigenziale del programma che li ritiene una potenziale fonte di guai per il loro legami con il movimento hippie. I Jefferson Airplane, infatti, sono stati tra i più attivi sostenitori del Carousel Ballroom, un centro musicale autogestito dalle comunità hippie. Quando il locale è passato nelle mani di Bill Graham che vi ha edificato il suo Fillmore, non sono stati con le mani in mano. Con i primi guadagni ottenuti dalla vendita dei dischi hanno acquistato una grande casa al numero 2400 di Fulton Street a San Francisco e l'hanno regalata al movimento pacifista e per i diritti civili. In questa sorta di centro sociale la band abita, registra i suoi dischi e promuove iniziative. Non è soltanto un gruppo musicale, quindi, quello che il 15 dicembre 1968, dovrebbe esibirsi davanti alle telecamere di uno degli show più popolari degli Stati Uniti, ma un simbolo di un movimento che partendo dalle esperienze delle comuni hippie sta scoprendo l'impegno politico e sociale per i diritti civili, contro la guerra del Vietnam e, quel che è più grave, inizia a mettere in discussione il sistema capitalistico. I responsabili dello show, per evitare guai, impongono ai ragazzi una clausola contrattuale che vieta loro di pronunciare qualsiasi parola che non sia il testo di Crown of creation. La penale è altissima. Temono, però, qualche alzata di genio della band, che appare troppo remissiva e quasi indifferente. L'intero staff della trasmissione assiste con il fiato sospeso all'ingresso in scena dei Jefferson Airplane. I ragazzi entrano, sistemano gli strumenti e, dopo il segnale di partenza, iniziano a suonare. Ne manca uno, anzi una. La cantante, la bellissima Grace Slick, non è ancora in scena. Arriva prima della fine dell'introduzione strumentale e i responsabili del programma hanno un tuffo al cuore. Ha la faccia interamente dipinta di nero e le sue mani sono coperte da un paio di guanti dello stesso colore. Quando finisce di cantare, mentre gli strumenti dei compagni allungano la chiusura del brano guarda fissa la telecamera poi, abbassando il capo, alza il pugno chiuso guantato di nero. Davanti a milioni di telespettatori va in onda così il saluto del Black Panther Party, senza una parola, come da contratto.
14 dicembre, 2022
14 dicembre 1977 – Con “Saturday night fever” iniziano gli Ottanta
Il 14 dicembre 1977 viene presentato a New York in prima mondiale il film “Saturday night fever” (La febbre del sabato sera), diretto da John Badham, scritto da Norman Wexler e ispirato a un raccontino di Nick Cohn. Interpretato da John Travolta il film racconta le avventure di una coppia di giovani proletari i cui problemi gravitano quasi esclusivamente intorno a una discoteca. Si avvale di una lussuosa colonna sonora che comprende brani di artisti come i Bee Gees, i Trammps, Kool & the Gang, i Tavares, gli MSFB, K.C. & the Sunshine Band e Yvonne Elliman. È l’inizio del boom della disco music, ma soprattutto è l’inizio della cultura del “riflusso” che troverà degli anni Ottanta il suo trionfo. In Italia, come nel resto del mondo, la delusione per gli scarsi risultati ottenuti dall’impegno politico e sociale anche per l’incapacità della sinistra parlamentare ed extraparlamentare di trovare sbocchi reali al desiderio di cambiamento, porta i giovani a rinchiudersi sempre più nel privato. È la cultura del “ritorno a casa” e il primo sintomo che qualcosa sta cambiando nella testa delle giovani generazioni è il boom della disco music, nella riscoperta dei locali da ballo. Le discoteche vivono in quel periodo un momento di rapidissima espansione tanto da raddoppiare di numero nei primi mesi del 1978, mentre le statistiche dicono che i giovani frequentatori abituali di questo tipo di locali sono passati da poco più di un milione a quasi cinque milioni. La musica che fa da colonna sonora a questo mutamento si chiama ‘disco music’ ed è un ritmo di quattro quarti senza scansione di accenti, in cui le funzioni del battere e del levare sembrano unificarsi. Ha una ritmica monotona, ossessionante e ripetitiva, ideale per ballare. Pur affondando le sue radici nel soul nero degli anni Sessanta, viene “ripulita” e patinata per rispondere alle esigenze della nuova industria discografica. Il film “La febbre del sabato sera” ne rappresenta il principale traino mediatico, crea il mito del John Travolta ballerino e consegna alla storia alcune canzoni dei Bee Gees, un gruppo bianco di pop melodico un po’ in disarmo che ha ritrovato smalto aggiungendo una diversa base ritmica alla struttura dei suoi brani.
13 dicembre, 2022
13 dicembre 1986 – Bruce Hornsby, un disco dopo settanta rifiuti
Il 13 dicembre 1986 il singolo The way it is di Bruce Hornsby & The Range arriva al primo posto della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti, bissando il successo dell'album omonimo. Una bella soddisfazione per un artista considerato un buon compositore ma un interprete decisamente inadatto al mercato. Hornsby, infatti, ha trentadue anni e prima di arrivare incidere il suo disco si è sentito per ben settanta volte rispondere di lasciar perdere da una miriade di produttori! Originario di Williamsburg, in Virginia, è figlio d'arte: suo padre suona nella band dello zio, gli Sherwood Hornsby & The Rhythm Boy. Per il giovane Bruce la scelta degli studi musicali è quasi naturale. Frequenta la Berklee School of Music di Boston e nel 1978 forma il suo primo gruppo, The Bruce Hornsby Band, con il quale inizia il suo personale calvario fatto di provini e rifiuti da parte delle case discografiche. Nel 1980 Michael McDonald dei Doobie Brothers lo porta a Los Angeles dove viene assunto dal settore produttivo ed editoriale della 20th. Century Fox. Ci resta per tre anni, mentre le sue canzoni cominciano a essere notate dagli altri artisti. Nel 1982, Huey Lewis include la sua Let the girl rock, nell'album Sports, mentre lui si adatta a suonare nel gruppo che accompagna Sheena Easton. Nel 1985, stanco di affidarsi agli altri, forma una nuova band, The Range, con il chitarrista George Martinelli, il bassista Joe Puerta, il batterista John Motto e il violinista David Mansfield. Tocca alla RCA interrompere la serie dei rifiuti da parte delle case discografiche. Il successo di The way it is rappresenta un po' la sua rivincita contro il destino e, soprattutto, contro il music business che non era disposto a investire nulla su di lui, prima perché troppo giovane e poi perché troppo vecchio e quindi, per definizione, "fuori moda". Le soddisfazioni, però, non finiranno qui. Vincerà anche il Grammy Award come "rivelazione del 1986" e potrà permettersi finalmente di realizzare i progetti che aveva nel cassetto da tempo. Oltre a produrre una lunga serie di dischi di successo si aprirà a collaborazioni importanti, come quelle con i Clannad e con il country singer Tom Wopat. Nel 1990 la sua canzone The valley road, interpretata dalla Nitty Gritty Dirt Band, vincerà un altro Grammy, mentre Bruce potrà finalmente esibirsi con i "vecchi" Grateful Dead, da sempre la sua band preferita alla faccia degli esperti in marketing!
12 dicembre, 2022
12 dicembre 1940 – Dionne Warwick, la ragazza dei gospel
Il 12 dicembre 1940 a East Orange, nel New Jersey, nasce la cantante Dionne Warwick. La sua è una famiglia canterina. Sia il padre che la madre, infatti, cantano gospel e anche lei a sei anni entra a far parte del coro della chiesa del suo quartiere al fianco dei genitori. La musica le piace e la diverte. Perché, dunque, non farla diventare qualcosa in più di una semplice passione? Assecondata dalla sua famiglia perfeziona le tecniche di canto presso l’Hart College of Music di Hartford e alla fine degli anni Cinquanta forma le Gospelairs, un quartetto femminile di cui, oltre a lei, fanno parte sua sorella Dee Dee, Cissy Houston, la futura madre di Whitney Houston, e Doris Try. Le ragazze lavorano in sala di registrazione e prestano la loro voce per i cori nei dischi di artisti famosi. Proprio in uno studio di registrazione Dionne Warwick viene notata da due vecchie volpi della scena musicale statunitense, Burt Bacharach e Hal David, che le procurano il primo contratto discografico con la Scepter Records. Nel 1962 pubblica il suo primo disco Don’t make me over, ma per il successo ci vuole un po' più di tempo. Arriva nel 1964 con Walk on by, il primo di una lunga serie di canzoni e di album destinati a fare di lei una delle cantanti più importanti degli anni Sessanta. Nel 1971 abbandona la Scepter Records e firma un nuovo contratto con la Warner Brothers, accettando di rinunciare a un pizzico di libertà e indipendenza per mettersi nelle mani di un produttore di lusso come Isaac Hayes. Artista versatile e curiosa non rinuncia alle sperimentazioni e alle collaborazioni come quando, nel 1974, arriva al vertice della classifica statunitense dei singoli più venduti interpretando, insieme agli Spinners, il brano Then came you. Negli anni successivi diraderà le sue performance discografiche, mantenendo inalterata la sua fama di artista dalla voce duttile capace di confrontarsi con un repertorio vastissimo formato da stili e generi molto diversi tra loro. Inconfondibile resta il suo timbro vocale che, pur possedendo gran parte delle caratteristiche tipiche dei grandi interpreti afroamericani, ha la capacità di assumere sfumature e toni molto diversi fino ad apparire in alcune occasioni come una voce “bianca”. Padrona delle tecniche jazzistiche manipola a suo piacere il tempo dei brani interpretati, trasformando in forza espressiva una tecnica virtuosistica che ha avuto in Ella Fitzgerald uno dei momenti artisticamente più alti.
11 dicembre, 2022
11 dicembre 1971 - John Lennon cerca rogne
L'11 novembre 1971 John Lennon e Yoko Ono si esibiscono nella Crisler Arena ad Ann Arbor, nel Michigan, in un concerto a favore del militante di sinistra John Sinclair, ex manager degli MC5, leader e ideologo del White Panther Party, arrestato per possesso di marijuana nel 1969 e condannato a venti anni di carcere. A tutta l'opinione pubblica democratica statunitense appare chiaro fin dall'inizio che la condanna, non proporzionata al reato contestato e inquadrata in una vasta azione di repressione dell'attività dei gruppi di estrema sinistra, è un modo per regolare definitivamente i conti con uno dei personaggi più esposti sul piano politico. A disturbare i manovratori arriva John Lennon che utilizza la sua popolarità per rompere il silenzio creato ad arte intorno alla vicenda. Nel corso del concerto, che è dedicato "alla libertà di John Sinclair e di tutti i prigionieri politici", esegue John Sinclair, una canzone che verrà anche inserita nell'album Some time in New York City, nella quale non usa perifrasi per denunciare l'ispirazione politica della condanna: «John Sinclair, in galera solo perché respirava…/…bisogna, bisogna, bisogna liberarlo/Se fosse un soldato/che ammazza i gialli in Vietnam/se fosse la CIA/che vende droga e crea casini/sarebbe libero, lo lascerebbero/respirare l'aria, proprio come voi e me…/… che altro possono fare quei bastardi?/ bisogna, bisogna, bisogna liberarlo». Lennon cerca rogne e le trova. L'establishment statunitense non gli perdonerà la presa di posizione. Numerosi saranno i tentativi di ridurlo al silenzio, compreso un decreto di espulsione contro il quale l'ex Beatle si opporrà legalmente in una onerosissima battaglia che durerà molti anni.
10 dicembre, 2022
10 dicembre 1967 – La fine del sogno di Otis Redding
Il 1967 è un anno decisamente positivo per il ventiseienne Otis Redding, soprannominato “Big O”, il grande O, da tutti considerato ormai uno dei protagonisti più originali della grande esplosione del soul degli anni Sessanta. Il suo ultimo album Live in Europe, registrato dal vivo nel corso di una lunga tournée nel Vecchio Continente, fa il punto sulla sua carriera e sembra preludere a un’ulteriore evoluzione. Nel referendum annuale di “Melody Maker” ha addirittura strappato, lui dalla pelle nera come il carbone, la palma di “miglior voce maschile” al bianco re del rock and roll, Elvis Presley, da dieci anni abituato a vincere a mani basse. In più c’è stato il Festival di Monterey, un grande raduno che ha catturato l’attenzione dei media e ha ufficializzato l’abbattimento delle barriere razziali, almeno in campo musicale. In autunno si sottopone a una operazione alle corde vocali. La convalescenza e il riposo forzato gli danno la possibilità di comporre nuove canzoni, ma soprattutto di riflettere. Si accorge che i tempi stanno cambiando rapidamente e che il pubblico si sta stancando della ripetitività ossessiva del soul e del rhythm and blues. È convinto che il futuro stia nella contaminazione tra i generi, più che nel rinnovamento di una moda, e che l’ambiente sia ormai maturo per nuove esperienze. Insieme al chitarrista Steve Cropper compone un brano che nelle sue intenzioni dovrebbe indicare la via del rinnovamento. È (Sittin’ on) The dock of the bay, una ballata soul carezzevole e leggermente ipnotica che si presta a infinite variazioni interpretative. Il 7 dicembre ne registra la prima versione, anche se si ripromette di lavorarci ancora con calma più avanti. In quel momento non può. Lo aspetta un breve tour nel Mid-West che avrebbe preferito evitare. Gli piace poco l’idea di spostarsi ogni giorno volando da una città all’altra come un pacco postale senza avere neppure il tempo di pensare. Non finirà mai la tournée perché il 10 dicembre 1967 l’aereo che lo sta trasportando a Madison, nel Wisconsin precipita nelle fredde acque del Lago Monoma. Con lui perdono la vita anche quattro componenti dei Bar-Kays, il gruppo che l’accompagna nei concerti: Jimmy King, Ron Caldwell, Phalm Jones e Carl Cunningham.
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