13 gennaio, 2023

13 gennaio 1973 – Un concerto per togliere dai guai Eric Clapton

«Il ragazzo è cotto. Dovremmo dargli una mano!» Così, alla fine del 1972, Pete Townshend, il chitarrista degli Who chiama a raccolta un nutrito gruppo di amici perché gli diano una mano a convincere Eric Clapton a tornare sulle scene. Da un anno, infatti, Eric “slowhand”, manolenta, come è soprannominato per la sua capacità di suonare la chitarra trattenendo a lungo le note, si è chiuso in una sorta di cupo esilio volontario, ufficialmente per disintossicarsi. Se la passione per l’eroina e per l’alcool lo stava portando alla tomba, la solitudine e l’isolamento non solo non risolvono i problemi, ma rischiano di perderlo per sempre. L’ultima sua esibizione, se così si può chiamare, risale alla fine del 1971 quando è salito sul palco del concerto londinese di Leon Russel e ha strapazzato la chitarra in un paio di brani. Da quel momento su di lui è sceso un silenzio innaturale. Le insistenze di Pete Townshend sortiscono l’effetto desiderato. Il 13 gennaio 1973, sul palcoscenico del Rainbow di Londra, Eric Clapton torna ufficialmente in concerto. Townshend ha fatto le cose per bene. La band che accompagna il suo ritorno schiera, oltre allo stesso Townshend, musicisti del calibro di Ron Wood, Steve Winwood, Rich Grech, “Reebop” Kwaku Baah e Jimmy Karstein. Ospite d’eccezione, con l’incarico di scaldare il pubblico prima del concerto è l’Average White Band. L’esibizione, nonostante il successo, non scuote dal torpore Eric Clapton che, lungi da risolvere i suoi problemi di tossicodipendenza, ripiomba nell’abulia più totale. La musicoterapia non funziona. Ci vorrà ancora un anno e una lunga permanenza nella fattoria di un amico in Galles perché il chitarrista si senta nuovamente pronto a ritornare davvero in attività. L’esibizione del 13 gennaio serve a risolvere però i problemi della sua casa discografica che, indifferente al dramma di Eric, pensa più che altro alla necessità di immettere almeno un nuovo disco sul mercato prima che il pubblico si dimentichi di lui. Il concerto fornisce materiale sufficiente alla pubblicazione di un album live, Eric Clapton’s Rainbow concert, che, nonostante lo scarso valore artistico, resta la drammatica testimonianza di uno dei periodi più neri della vita personale e artistica del musicista britannico.


12 gennaio, 2023

12 gennaio 1956 – Il ragazzo prodigio del jazz spagnolo

Il 12 gennaio 1956 nasce a Ecija, in Spagna, l'organista Benjamin Leon. La vita gli si presenta subito come una lunga strada in salita. Quando ha appena un anno una rara malattia infantile gli spegne per sempre la luce degli occhi. Tre anni dopo la famiglia si trasferisce a Barcellona e il bambino scopre nel mondo della musica nuove sensazioni. I genitori, che non navigano nell’oro, cercano di assecondare la sua passione, ma non possono permettersi il lusso di costosi maestri privati. L’amore per i suoni resta la sua guida principale fino a undici anni, quando inizia frequentare un corso di solfeggio. Le sue qualità istintive non sfuggono ai docenti che lo spingono verso la scuola di musica Ars Nova. La passione per la musica non gli impedisce di compiere studi regolari tanto che frequenterà la facoltà di filosofia, diplomandosi in psicologia. I genitori lo assecondano ai limiti delle loro possibilità. Ha sedici anni quando gli regalano il primo, vero, organo da professionista. Pochi mesi dopo dà il primo concerto al Forum Vergès di Barcellona entusiasmando pubblico e critica. Da quel momento la città catalana diventa il palcoscenico ideale della sua genialità che attinge a una formazione jazzistica quasi esclusivamente autodidatta. Quando viene interpellato sulle ragioni delle sue scelte stilistiche, Benjamin risponde che i suoi maestri principali sono stati i... dischi, anche se non manca di riconoscere l’importanza del contatto diretto con alcuni musicisti, fra i quali Lou Bennett e Tete Montoliu. I concerti al Cova del Drac di Barcellona testimoniano di una progressiva maturità tecnica e stilistica che trova la sua consacrazione quando a diciannove anni, nel 1975, in occasione del Festival del jazz di Vandrell, si ritrova sul palco insieme a un “mostro sacro” come Illinois Jacquet in una jam session destinata a diventare un punto fermo nella sua leggenda personale. Ad appena vent’anni si ritrova, nelle classifiche delle riviste specializzate, a competere con i migliori jazzisti del mondo. Nonostante le ricche offerte, non si esibisce volentieri fuori dai confini della Spagna, paese nel quale il suo nome diventa uno degli elementi fondamentali di una straordinaria diffusione del jazz. Locali come la Cave de Jazz di Tarrasa, il Satchmo di Barcellona e il Balboa Jazz di Madrid saranno il supporto per un ulteriore crescita della sua popolarità e anche la radio e la televisione gli offriranno spazi mai concessi prima a jazzisti spagnoli.


11 gennaio, 2023

11 gennaio 1924 – Slim Harpo: il blues? Una musica splendida per ballare

L’11 gennaio 1924 nasce a Lodbell, in Louisiana, James Moore, destinato a diventare alla fine degli anni Cinquanta uno dei maggiori esponenti del blues e, soprattutto, del rhythm and blues con il nome d’arte di Slim Harpo . Fin da bambino impara a suonare l’armonica e mentre i suoi coetanei sono ancora curvi sui banchi di scuola, lui inizia a peregrinare per le vie polverose della Louisiana seguendo i vecchi cantastorie neri di strada. Da loro impara i trucchi del mestiere e con il passare degli anni si conquista simpatie e popolarità dovunque ci sia gente in festa: nelle fiere di paese, nei matrimoni, nei fidanzamenti e nei battesimi. Intuitivo e abile nel capire i gusti del pubblico, si diverte e fa divertire contaminando le radici drammatiche del blues nero con il country & western della tradizione bianca. Verso la metà degli anni Cinquanta collabora a lungo con Lightnin’ Slim. Da questo sodalizio nascono alcuni brani considerati in larga parte anticipatori del rhythm and blues e, più ancora, di quel genere che vent’anni più tardi verrà ribattezzato country blues. Il primo a intuire che dietro quel burlone vagabondo con l’armonica si nasconde un genio musicale è il produttore Jay D. Miller che, non senza fatica, lo convince a sottoscrivere un contratto discografico. Negli anni Sessanta la sua stella brilla alta nel firmamento musicale statunitense tanto che alcune sue incisioni arriveranno nelle classifiche dei dischi più venduti anche al di fuori delle sezioni riservate alla musica nera. La voce nasale, l’armonica graffiante e la scanzonata ironia, a tratti un po’ goliardica, conquistano anche il pubblico bianco, in genere sospettoso nei confronti della musica nera. Tra i suoi successi spiccano I’m a king bee, ripreso dai Rolling Stones e, soprattutto, Scratch my back, un classico del repertorio di Otis Redding. Per lui il blues non è tristezza o malinconia, ma allegria, voglia di vivere e piacere di ballare. La sua lunga esperienza di musicista itinerante lo rende impermeabile alle critiche. «Quando sulle tue scarpe hai la polvere delle strade, quando hai suonato sotto lo scroscio di un temporale senza nessuno che ti ripari con l’ombrello, che t’importa di chi ti taglia i panni addosso?» C’è chi lo rimprovera di suonare un blues senz’anima, addomesticato, ma lui non se la prende. Guarda l’interlocutore con aria sorniona e poi sbotta: «Il blues? È una musica splendida per ballare, amico…».


10 gennaio, 2023

10 gennaio 1976 – Il blues selvaggio di Howlin' Wolf

Il 10 gennaio 1976 nel Veteran Administration Hospital di Los Angeles muore il bluesman Chester Arthur Burnett, meglio conosciuto come Howlin’ Wolf. Da tempo sofferente per un tumore al cervello, ha sessantacinque anni ed è stato uno degli artefici della rivoluzione nel blues nel dopoguerra innestando sugli stili del blues di Chicago, l'aggressività e il linguaggio musicale del blues rurale. Figlio di piantatori di cotone, impara a suonare blues da un grande vecchio come Charley Patton e alterna l'attività di musicista con quella di bracciante nelle zone rurali del Delta del Mississippi dove è nato. Alla fine della seconda guerra mondiale se ne va a cercar fortuna a Memphis dove lavora saltuariamente come disk jockey e suona quando può. I suoi più fedeli compagni d'avventura sono l'armonicista James Cotton, il pianista Ike Turner e l'altro armonicista Little Jr. Parker. È in questo periodo che prende forma il suo stile unico con la voce che si arrampica sulle note scolpendole e colorandole di suoni torbidi, aspri e selvaggi. Nel 1951 con How many more years e Morning at midnight la sua vocalità accoppiata alla tecnica chitarristica di Willie Johnson definisce quelle che in seguito verranno considerate le regole auree del dialogo tra canto e strumento nell'era elettronica. Come quasi tutti i grandi bluesmen della sua epoca corre il rischio di restare confinato nella ristretta cerchia del "ghetto musicale" destinato alla popolazione nera degli Stati Uniti, anche perché la carica sessuale esplicita del suo modo di cantare e delle sue storie scandalizza il music business bianco che preferisce dare spazio a un rock and roll addomesticato e tranquillizzante. L'opera di marginalizzazione, però, non funziona. L'eco del suono nero non si lascia contenere. Vola in alto, attraversa l'oceano e arriva in Gran Bretagna, dove i giovani esponenti bianchi del rock blues, a partire dai Rolling Stones, recuperano il lavoro di Howlin' Wolf e degli altri innovatori. Lui si lascia coinvolgere con entusiasmo anche se confessa di essere un po' stupito dall'attenzione suscitata. Lo stupore quasi si trasforma in panico quando, nel 1970 si esibisce di fronte a una folla incredibile in compagnia di Charlie Watts, Bill Wyman, Ian Stewart ed Eric Clapton in un concerto che viene poi pubblicato nell'album London sessions. Nel 1972 partecipa alla realizzazione di "Wolf" un film sulla sua vita diretto da Len Sauer.


09 gennaio, 2023

9 gennaio 1963 – Muore dimenticata dal mondo Yvonne De Fleuriel

Il 9 gennaio 1963 Adele Croce, una donna schiva, sola e dimenticata dal mondo muore poverissima a Roma. Ha settantaquattro anni. Nessuno riconosce in quel povero corpo consunto dalla povertà e dalla sofferenza la bellissima Yvonne De Fleuriel, una delle donne più amate del teatro e della canzone italiana d'inizio secolo. Nata a Teano, in provincia di Caserta, fa il suo esordio nello spettacolo come attrice generica e cantante al fianco del grande Eduardo Scarpetta. Non ha ancora vent'anni quando incontra Nicola Maldacea, che, oltre a essere uno dei più popolari interpreti del "caffè concerto", è molto sensibile al fascino femminile. Colpito dalla sua bellezza la aiuta a farsi strada nell'ambiente musicale. È lui che le suggerisce il nome d'arte di Yvonne De Fleuriel, più in sintonia con il repertorio di canzoni francesi che ne caratterizza le esibizioni. L'equivoco o, meglio, il mistero costruito ad arte sulle sue origini esotiche dura fino al 1911 quando, in duetto con Gennaro Pasquariello, si esibisce al celeberrimo Salone Margherita di Napoli, in una lunga rassegna di canzoni napoletane ostentando un "purissimo accento" partenopeo. Da quel momento diventa una delle donne di spettacolo più amate. Mentre la sua popolarità si estende oltre i confini nazionali lei interpreta con disinvoltura il ruolo di "femme fatale" richiesto da suo personaggio. Consapevole dei suoi mezzi ama definirsi «attrice, cantante e fine dicitrice», ma sa gestire con astuzia il suo personaggio non rinunciando a esibizioni clamorose che scandalizzano i benpensanti dell'epoca come la capriola sul palco durante l'interpretazione di 'O scugnizzo o il concerto nella gabbia dei leoni al teatro Apollo di Roma. Di lei si innamorano principi, uomini illustri e personaggi dello spettacolo. Non mancano le storie tragiche come quella di Carlo Mirelli, che insieme a Rocco Galdieri cura per lei la versione italiana del successo parigino Thérèsine e poi, viste respinte le sue offerte d'amore, si uccide. L'episodio alimenta la sua fama di "donna irraggiungibile", ma la segna profondamente. Con il passare del tempo e con lo sfiorire della bellezza fisica scopre che le notevoli doti canore e sceniche non bastano a mantenere il successo. Il declino è rapido e doloroso. Lascia l'Italia e va in Germania, dove rimedia ancora qualche saltuaria scrittura. Progressivamente, però, perde la voglia di lottare e si lascia andare. Torna in Italia e si stabilisce definitivamente a Roma dove muore tra l'indifferenza e l'oblio degli stessi che le avevano giurato amore eterno.


08 gennaio, 2023

8 gennaio 1984 – Per i Soft Cell un concerto d’addio di due giorni

L’8 gennaio 1984 l’Hammersmith Palais di Londra ha in cartellone un concerto d’addio. È quello dei Soft Cell, il duo formato quasi per scherzo a Leeds nel 1979 da due studenti del locale politecnico, Marc Almond e David Ball, e divenuto rapidamente uno dei fenomeni musicali dei primi anni Ottanta. L’afflusso di spettatori è notevole tanto che da almeno un paio di giorni non si trovano più biglietti. Nonostante il “tutto esaurito”, però, sembra che centinaia di ammiratori del duo abbiano comunque intenzione di presentarsi all’Hammersmith. Fin dall’inizio si è tentato di convincere i due artisti a tenere un altro concerto il giorno successivo, ma la risposta è stata negativa. «È un concerto d’addio, non la tappa di un tour». Mentre cresce la paura di incidenti i responsabili dell’ordine pubblico aumentano la pressione sui Soft Cell che, alla fine, cedono: il concerto d’addio sarà ripetuto il giorno dopo... Si chiude così, con un commiato in due episodi, il sodalizio tra due persone troppo diverse per poter continuare a lavorare insieme. La scalata al successo inizia nel 1979 quando realizzano Mutant moments, un album autoprodotto di grande qualità ed estremamente innovativo sul piano sonoro. L'etichetta indipendente Some Bizarre ne intuisce le potenzialità e in inserisce la loro Girl with the patent leather face in una raccolta di gruppi emergenti. Il successo è inaspettato e rapido Nel 1981 sono al vertice della classifica delle vendite con Tainted love, versione di un vecchio successo di Gloria Jones scritto da Ed Cobb. A differenza di molti gruppi di quel periodo, perfetti solo in sala di registrazione, i Soft Cell sono una forza della natura anche dal vivo con il contrasto tra lo scatenato Almond e l’immobilità minacciosa e distaccata del gigantesco Ball. La lunga serie di successi si interrompe nel 1983 quando il duo decide di prendersi una vacanza creativa. Almond forma con Matt Johnson il gruppo dei Marc and The Mambas, mentre Ball si dedica alla composizione di un musical. I diversi interessi finiscono per favorire la decisione di separarsi. David Ball lascerà le scene e si dedicherà all’attività di produttore mentre Marc Almond inizierà una fortunata carriera solistica. Una successiva reunion non convincerà del tutto i vecchi fans.


07 gennaio, 2023

7 gennaio 1998 - L'Ordine del Tempio Solare tenta un suicidio di gruppo

Il 7 gennaio 1998 a Santa Cruz de Tenerife, l'isola più grande delle Canarie, le squadre speciali antiterrorismo della Policia Nacional sventano un tentativo di suicidio collettivo di trentadue persone. I protagonisti della vicenda sono tutti adepti di una setta religiosa che si è autonominata "Ordine del Tempio Solare", fondata e presieduta dalla cinquantaseienne berlinese Heide Fittkau Garthe. Nel gruppo ci sono anche cinque bambini. La polizia interviene prima dell'ora fissata per il suicidio, le 20.00 dello stesso giorno, cioè il momento preciso in cui la setta ha previsto l'inizio della fine del mondo. Al momento dell'irruzione degli agenti i membri sono rinchiusi da quindici giorni in un appartamento. Tra il materiale rinvenuto all'interno ci sono studi psicologici su ciascuno dei componenti del gruppo, vari opuscoli propagandistici e un bidone colmo di sostanze chimiche.

06 gennaio, 2023

6 gennaio 1963– Billy J. Kramer, la concretezza di un operaio delle ferrovie

All’inizio del 1963 William Howard Ashton ha vent’anni e non pensa alla musica come a un possibilità di occupazione seria per il proprio futuro. Lui un lavoro ce l’ha già. È operaio in ferrovia di giorno e la sera si esibisce come cantante. Proprio nei primi giorni dell’anno ha ricevuto una telefonata di Brian Epstein, l’inventore dei Beatles, che, senza giri di parole gli ha detto: «Ho bisogno di un cantante come te per un nuovo gruppo. Ci stai?» Se la decisione dipendesse dai suoi genitori lascerebbe perdere: meglio un lavoro fisso che un’avventura senza garanzie. Lui, però, è diverso. Gli piace la musica e non ne può più di mangiare nebbia fin dalle prime ore del mattino sui binari gelati per quattro soldi. Chiama Epstein: «Va bene. Ci sto». Il 6 gennaio 1963 firma un contratto che lo impegna per sei anni con la NEMS, la società creata dallo scopritore dei Beatles per mettere ordine alla sua attività in campo musicale. La settimana dopo ha un nome d’arte, Billy J. Kramer, e un nuovo gruppo, i Dakotas, che hanno già pubblicato un disco senza particolare fortuna. Nascono così Billy J. Kramer & the Dakotas, destinati a diventare una delle band più famose del Liverpool Sound. Oltre a Billy, alias William, la compongono il batterista Tony Mansfield, i chitarristi Mike Maxfield e Robin McDonald e il bassista Ray Jones. Sotto la guida di un geniale e smaliziato volpone come Epstein il gruppo arriva rapidamente al successo con brani che portano la firma di John Lennon e Paul McCartney come Do you want to know a secret? e Bad to me. Profondamente legati all’esplosione del Liverpool Sound, ne seguono il destino fino in fondo. Quando il beat diventa adulto inizia il loro declino, che è rapido e veloce quanto la scalata al successo. Nel 1966 si sciolgono. La loro avventura è durata poco più di due anni. Billy cerca di continuare come solista alla ricerca di nuove e più impegnative strade, ma i risultati sono scarsi e poco incoraggianti. Messi da parte i sogni e recuperata la concretezza dell’operaio che lavorava in ferrovia, nel 1973 riforma la sua vecchia band e riprende a esibirsi nei circuiti del rock revival per la soddisfazione dei nostalgici: almeno il pane è assicurato.


05 gennaio, 2023

5 gennaio 1983 – Everything But The Girl, un nome preso dall’insegna di un negozio

Il 5 gennaio 1983 il palcoscenico dell’ICA Theatre di Londra ospita la prima esibizione di un duo composto dalla filiforme Tracey Horn, già cantante delle Marine Girls e da Ben Watt, un cantante solista che gode di una discreta popolarità. L’esibizione è stata annunciata da manifesti sui quali compare con grande evidenza il nome del duo, Everything But The Girl, preso a prestito dall'insegna di un negozio di articoli di seconda mano di Hull. Non c’è il pubblico delle grandi occasioni, ma in platea è presente un buon numero di musicisti, quasi a testimoniare la considerazione di cui godono i due artisti negli ambienti musicali londinesi. Il lungo concerto ne denuncia l’elegante ispirazione jazzistica, anche se mitigata da sonorità decisamente commerciali, e può contare sull’apporto di un ospite d’eccezione come l’ex leader dei Jam Paul Weller che sale sul palco per cantare insieme alla coppia, il brano The girl from Ipanema. Inizia così, un po’ in sordina, l’avventura degli Everything But The Girl che pochi giorni dopo realizzano il loro primo disco Night and day, una curiosa e patinata versione del famoso successo di Cole Porter destinata ad attirare l’attenzione della critica, ma a non suscitare particolari entusiasmi nel pubblico. La mancanza di risultati concreti, soprattutto dal punto di vista finanziario, non scoraggia Tracey Horn e Ben Watt che, credendo nel loro lavoro, decidono di mantenere in vita il duo, pur senza rinunciare a cimentarsi in altre imprese, come accade nel 1984 a Tracey, che partecipa alla realizzazione dell'album Café Bleu degli Style Council. Il grande successo commerciale per gli Everything But The Girl arriva solo nel 1988 con I don't want to talk about it. Il loro prestigio negli ambienti musicali resta, però, legato ad album come Eden, Love not money e soprattutto The language of life realizzato nel 1990 con la collaborazione di Stan Getz che suona il sax nel brano The road. Proprio questo album rappresenta il punto più alto della loro produzione musicale. Nel 1991, la pubblicazione di un disco fiacco e senza idee come World wide denuncia l’inizio della inevitabile crisi creativa e artistica di un duo che, nella sua carriera, ha ottenuto meno di quanto meritasse.


04 gennaio, 2023

4 gennaio 1992 – Le contraddizioni e i guai di Chrissie Hynde

Il 4 gennaio 1992 la cantante e chitarrista Chrissie Hynde, anima e cuore dei Pretenders, partecipa ad Amsterdam, in Olanda, all’inaugurazione di una nuova linea vegetariana di prodotti creati dalla filiale olandese della McDonald. La notizia è un duro colpo d’immagine per le organizzazioni che si battono contro la multinazionale dei fast-food perché sancisce la resa di uno dei più impegnati personaggi del mondo dello spettacolo alle ragioni del potente avversario. Poco importa che la sua presenza sia legata a una linea di prodotti realizzati accogliendo le richieste dei vegetariani, il messaggio veicolato dall’avvenimento è chiaro: Chrissie Hynde non è più avversaria della McDonald. Le associazioni che fino al giorno prima ne avevano fatto un simbolo la condannano e c’è chi parla di tradimento. La storia, però, è un po’ più complessa di quanto appaia a prima vista e prende le mosse l’8 giugno del 1989 a Londra quando la cantante e chitarrista dei Pretenders interviene a una conferenza stampa di Greenpeace contro la multinazionale, i cui hamburger sono visti come il terminale di una catena di sfruttamento degli animali. Trascinata dalla discussione e vegetariana convinta, sostiene che se toccasse a lei decidere non avrebbe dubbi: incendierebbe i McDonald. Una dichiarazione così dura da parte di un personaggio popolare è un’occasione da non perdere per i media che la rilanciano con grande evidenza nei giornali radiotelevisivi della sera. Probabilmente la questione finirebbe lì, se il giorno dopo una bomba incendiaria non colpisse il McDonald di Milton Keynes. L’attentato cambia radicalmente le cose. Accusata di istigazione al terrorismo e minacciata di querele da parte della multinazionale dei fast food si trova al centro di pressioni fortissime. La sua casa discografica, preoccupata per le possibili ritorsioni commerciali, tenta di minimizzare e la convince a firmare un documento di condanna dell’episodio. Da quel momento la sua militanza diventerà sempre più sfumata. Più volte dichiarerà la sua insofferenza nei confronti di chi l’ha trasformata in un simbolo. La presenza all’inaugurazione del 4 gennaio è, probabilmente, un modo per sanare definitivamente i debiti con la McDonald.


03 gennaio, 2023

3 gennaio 1982 - Nebraska, un album di rottura

Il 3 gennaio 1982 Bruce Springsteen inizia a registrare una manciata di canzoni utilizzando un semplice registratore a cassette a quattro piste. Non si dà una scadenza precisa e lavora quando può, in studio, in albergo o nella sua casa. Sta attraversando un momento di grande tensione creativa. Tutto il mondo, infatti, gli riconosce le stimmate del nuovo profeta del rock e non senza ragione. In un periodo in cui la musica rock sembrava essere ormai alla fine della sua corsa, lui e la sua E Street Band l'hanno riportata sugli antichi binari del cuore e dell'energia, dimostrando che si possono entusiasmare le folle anche senza trucchi e look particolari. Per questa ragione c'è molta curiosità attorno al suo lavoro che sembra recuperare una dimensione artigianale. I brani finiranno nell'album Nebraska, destinato a restare una pietra miliare della sua carriera. Lontano dalle pulsazioni ritmiche dei precedenti dischi le canzoni mostrano, infatti, un cantante solitario che si rifà al country e al folk di Woody Guthrie e Hank Williams. La semplicità della proposta musicale gli permette di scandagliare meglio i suoi personaggi preferiti: uomini e donne di un'America lontana anni luce dagli stereotipi, a partire dal condannato a morte della canzone che dà il titolo all'album («… la giuria mi ha considerato colpevole e il giudice mi ha condannato a morte… …e volevano sapere perché l'ho fatto… beh, signore, il mondo è fondamentalmente crudele…»). Nebraska resterà con John Wesley Harding di Bob Dylan e Plastic Ono Band di John Lennon uno dei grandi album di rottura della storia del rock.


02 gennaio, 2023

2 gennaio 1991 – Renato Rascel, un omino candido e sognatore

Il 2 gennaio 1991 muore Renato Rascel, uno dei pilastri della storia del teatro leggero in Italia. Cantante, autore, attore e capace di misurarsi con quasi tutti i ruoli dello spettacolo moderno non si adagia mai sugli allori del successo raggiunto ma cerca sempre nuovi stimoli, nuove fonti d’ispirazione per il suo talento artistico. Il suo percorso artistico è straordinario. Dall’operetta passa sempre da protagonista all’avanspettacolo degli anni difficili della guerra e dell’occupazione tedesca. Chiusa la parentesi bellica dopo la Liberazione è uno dei principali artefici del successo della grande rivista e della commedia musicale. La sua duttilità artistica gli consente di passare con uguale successo dal teatro al cinema, alla radio, alla commedia musicale e anche alla televisione. A volte segue il filo della corrente delle mode altre volte si muove in direzione contraria come alla fine degli anni Cinquanta quando gli appassionati della canzone italiana impazziscono per gli “urlatori” e lui sceglie di andare controcorrente: «…tutti urlavano e io sussurravo, tutti si agitavano e io mi presentavo con la mia figura esile a dichiararmi l'ultimo poeta che sospira alla luna…». Il suo rapporto con la musica è tutt’altro che casuale visto che fin da giovane frequenta regolari lezioni di armonia e contrappunto appassionandosi poi alla batteria a cimentandosi in una lunga serie di strumenti dalle percussioni alla chitarra, all'organetto al corno inglese. Nel suo repertorio di cantante e compositore passa senza troppi problemi dai ritmi sincopati di derivazione jazz alle melodie dolcissime, ariose e ricche di poesia. Gorni Kramer ha detto di lui: «… è il cantante che ogni direttore d'orchestra vorrebbe avere. Orecchio finissimo, timbro di voce estremamente personale, duttilità a qualsiasi genere, grande accuratezza nelle esecuzioni…» Figlio del cantante d’operetta Cesare Ranucci e della ballerina classica Paola Massa, Renato Rascel, all’anagrafe Renato Ranucci, nasce il 27 aprile 1912 a Torino. Le sue origini “piemontesi” sono un caso visto che i genitori sono romani ma si trovano nel capoluogo sabaudo perché impegnati in tournée. La sua infanzia trascorre a Roma dove cresce affidato alle cure di nonna Margherita quando i genitori sono in viaggio per lavoro. Bambino prodigio fin dalla più tenera età nel 1925, a tredici anni, esordisce in una sala da ballo come batterista per un compenso di 20 lire alla settimana. Nel 1928 entra a far parte di una compagnia d’avanspettacolo, ricoprendo i ruoli di fantasista e ballerino di tip-tap. Il suo nome diventa rapidamente popolare nel teatro di varietà grazie a una galleria di figure caricaturali che si adattano perfettamente al suo fisico gracile e minuto e delineano il personaggio di un omino candido e sognatore. Negli anni Cinquanta fonda una propria compagnia e diventa uno dei grandi protagonisti delle commedie musicali, soprattutto di quelle scritte dal duo Garinei e Giovannini. Da quel momento il successo non lo abbandona più. Innumerevoli gli spettacoli a cui lega la sua fama. Nel 1955 scrive la famosissima Arrivederci Roma e nel 1960 vince il Festival di Sanremo con Romantica, in coppia con Tony Dallara. Torna ancora sul palcoscenico sanremese nel 1970 per presentare Nevicava a Roma in coppia con Pio. A partire dagli anni Ottanta riduce progressivamente i suoi impegni senza abbandonare mai del tutto le scene fino alla morte che lo coglie, non troppo, inaspettata nella sua Roma il 2 gennaio 1991.


01 gennaio, 2023

1° gennaio 1884 – Oscar Celestin, una tromba nobile di New Orleans

Il 1° gennaio 1884 a Napoleonville, in Louisiana nasce Oscar Celestin, detto Papa Celestin, considerato una specie di gloria nazionale a New Orleans negli anni Venti quando dirige la Original Tuxedo Orchestra, in assoluto una delle migliori brass band della città del Delta. Eccellente prima tromba dall'attacco possente e dall'eccezionale volume sonoro è anche uno specialista della sordina con la quale cesella assoli ricchi d’atmosfera. Celestin comincia a suonare la cornetta e il trombone a St. Charles in varie brass band locali. Trasferitosi a New Orleans nel 1906 fa parte della Indiana Brass Band, della Allen Brass Band e, successivamente, dell'Olympia Band. Nel 1910 forma una sua orchestra per suonare alla Tuxedo Dance Hall con l’altro trombettista George Filhe, il violoncellista Peter Bocage, il clarinettista Lorenzo Tio jr, il batterista Louis Cottrell e il pianista Manuel Manetta. Il gruppo mantiene l’ingaggio sino alla chiusura del locale disposta dalla Polizia nel 1913. Suona quindi al Villa Cafe alla testa di una formazione comprendente Eddie Atkins, Louis Nelson, Joe Howard, ancora Manetta e il giovane Baby Dodds. Nel 1917 con il trombonista William Ridgeley forma l'Original Tuxedo Orchestra che diventa rapidamente popolarissima. A partire dal 1925 registra vari dischi per la Okeh e la Columbia. Negli anni Trenta Celestin riduce l'attività, ricostituendo l’orchestra solo in occasione di importanti ingaggi come quello al Pelican Roof. Nel dopoguerra la Tuxedo, composta da molti elementi di spicco come Bill Mathews, Alphonse Picou, Paul Barnes, Ricard Alexis, Octave Crosby, ritrova nuovo smalto nell'ambito del cosiddetto New Orleans Revival. Nel 1953 in occasione di un giro di concerti attraverso gli Stati Uniti suona alla Casa Bianca alla presenza del presidente Eisenhower. L’anno dopo muore a New Orleans, in Louisiana, il 15 dicembre 1954.


31 dicembre, 2022

31 dicembre 1985– Addio a Ricky Nelson

Il 31 dicembre 1985 un aereo in volo dall’Alabama al Texas precipita nei pressi della cittadina di Guntersville. I passeggeri muoiono tutti. Tra le vittime ci sono Ricky Nelson, uno degli idoli dei teenagers nella seconda metà degli anni Cinquanta, la sua compagna Helen Blair, il tecnico del suono Clark Russell e i quattro componenti del suo gruppo, Bobby Neal, Patrick Woodward, Rick Intveld e Andy Chapin. Figlio del jazzista Ozzie Nelson, Ricky, all’anagrafe Eric Hilliard Nelson, nasce nel 1940 a Teaneck nel New Jersey. A soli nove anni debutta alla radio e a dodici interpreta se stesso in un serial televisivo. Nel 1956 pubblica il suo primo disco, una versione di I'm walking di Fats Domino che vende oltre un milione di copie. Il vero successo arriva però l’anno dopo quando il produttore Lew Chudd lo convince ad abbandonare l'immagine dell'adolescente romantico e a mettere in mostra una grinta maggiore, in sintonia con i protagonisti del nascente rock and roll. L’operazione riesce e in breve il giovane Ricky diventa l’idolo delle ragazzine statunitensi con brani come Be-bop baby, Waiting in school e Poor little fool. Anche Hollywood si accorge di lui e gli affida la parte di Colorado nel film "Un dollaro d'onore" di Howard Hawks, il primo di una lunga serie. All’inizio degli anni Sessanta per scrollarsi di dosso l’immagine dell’eterno adolescente toglie il diminutivo al suo nome e diventa Rick Nelson. Nonostante il successo di Travellin' man, nel 1961, il suo momento d’oro sembra però finito. Per qualche anno si rassegna a un ruolo di secondo piano e sbarca il lunario cantando nei night club, ma, inaspettatamente, nel 1969, torna alla ribalta come interprete di country rock alla testa della Stone Canyon Band, un gruppo che comprende anche il futuro Eagles Randy Meisner e l'ex Bockaroos Tom Brumley. Ritrova il successo con una intelligente e gradevole versione di She belongs to me di Bob Dylan, ma non dura. Nel 1972 l’avventura con la Stone Canyon Band finisce e Nelson si ritrova, con sempre minor convinzione, a ripetere sé stesso all’infinito. Cinque anni dopo la sua morte, nel 1990, i suoi figli Gunnar e Matthew, inizieranno a ripercorrerne le orme formando la band dei Nelson.


30 dicembre, 2022

30 dicembre 1992 – Gli Z.Z. Top contro i ladri di musica

«Si, è vero. Abbiamo depositato una querela nei confronti della Mitsubishi Motor per aver utilizzato un nostro brano in uno spot pubblicitario. Non sappiamo se siamo i primi a dire basta a chi ruba la musica per scopi commerciali, certamente siamo i più incazzati!». Così il 30 dicembre 1992 gli Z.Z. Top annunciano di aver iniziato una loro guerra personale contro il “massacro” di brani celebri da parte della pubblicità. Nella querela depositata in tribunale chiedono quindici milioni di dollari di danni alla struttura commerciale della casa automobilistica giapponese e alla sua agenzia di pubblicità per aver utilizzato, senza autorizzazione, il brano La grange in alcuni spot pubblicitari. Più di vent’anni dopo la sua formazione la band dalle lunghissime barbe torna così a graffiare la scena musicale. Nati nel 1969 in Texas dall’incontro di Billy Gibbons, ex cantante e chitarrista dei Moving Sidewalks con Dusty Hill e Frank Beard, rispettivamente bassista e batterista degli American Blues, gli Z.Z: Top pubblicano l’anno dopo il loro primo singolo Salt lick e l’album Z.Z. Top's First Album. In breve tempo il loro rock blues solido e grintoso conquista il pubblico di tutto il mondo e nel 1973 il terzo album Tres hombres e il singolo estratto La grange diventano un successo internazionale. Un paio di album e un tour statunitense del 1976, con un milione e duecentomila biglietti venduti, precedono un lungo periodo di riposo che a molti sembra una separazione definitiva. Non è così. Alla fine degli anni Settanta tornano a far sentire il loro ruggito, ma il decennio successivo sembra consacrarli nell’Olimpo delle vecchie glorie. La critica li accusa di ripetersi all’infinito, cedendo, di volta in volta, alle pressioni degli arrangiatori alla moda e dei produttori. Nel 1985 pubblicano Eliminator, l’album con sonorità “dance” che vende dieci milioni di copie in tutto il mondo, ma viene rinnegato dai vecchi fans che accusano il gruppo di aver tradito l’originaria ispirazione rock blues. Cinque anni di silenzio precedono Recycler, l’album con cui aprono gli anni Novanta. La querelle con la Mitsubishi in difesa del loro primo grande successo rilancia l’entusiasmo dei vecchi fans che, nonostante tutto, tornano al loro fianco.



29 dicembre, 2022

29 dicembre 1926 – Liliana Feldmann, la gagarella del Biffi Scala

Il 29 dicembre 1926 nasce a Milano Liliana Feldmann. Figlia di Pina Granata e Dante Feldmann, due tra i più popolari interpreti di operette di quel periodo, non sembra granché interessata a percorrere la strada dei genitori al fianco dei quali debutta in teatro a soli due anni. La polvere del palcoscenico, gli orari impossibili e il mondo strano del teatro, lungi dall'affascinarla, sono i simboli di una vita che la piccola Liliana vorrebbe evitare. La decisione sembra irreversibile quando Silvio D'Amico, il direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, le offre un posto. Lei oppone un cortese, ma netto, rifiuto. Preferisce dedicarsi agli studi di ragioneria e sogna un tranquillo lavoro senza rischi. A farla tornare sulle sue scelte ci pensano la seconda guerra mondiale e i bombardamenti. Nell'agosto del 1943 le bombe distruggono la casa e tutto quanto possiedono i suoi genitori. L’accaduto sconvolge la sedicenne Liliana che decide di dare il suo contributo al sostentamento della famiglia. Di nascosto dai genitori e accompagnata da una zia si presenta alla sede EIAR di Milano per un’audizione e viene assunta come attrice giovane e cantante. Inizia così una carriera radiofonica che le darà grandi soddisfazioni. Tra gli artefici del suo successo c’è il maestro Giovanni D’Anzi che aveva già dedicato ai suoi genitori il gustoso brano La famiglia Brambilla e che compone quella che diventerà una delle canzoni più famose del suo repertorio: La gagarella del Biffi Scala. Nel 1948 fa il suo esordio come prima soubrette nella rivista “Paradiso per tutti” al fianco di Ugo Tognazzi, poi lavora in teatro con Dario Fo e Gino Bramieri, anche se gran parte della sua popolarità è dovuta al personaggio della "signorina delle 13" che dialoga in diretta con il pubblico dopo il Giornale Radio. Cantante di grande personalità, lega al suo nome l’interpretazione di molte canzoni in dialetto milanese come El mè moros l’è el Guggia di Giovanni D’Anzi o Dona che te durmivett, un brano composto per lei da Enzo Jannacci. Vive la canzone come una sorta di suo mondo privato nel quale ritrovare il gusto di ripercorrere gli umori nascosti della sua città, per questo l'ambiente musicale milanese l'adora e le perdona tutto. Storici restano i tre album di canzoni in dialetto milanese pubblicati dalle etichette Odeon e Cetra, ancora oggi considerati una delle migliori testimonianze del periodo migliore della "canzone meneghina".


28 dicembre, 2022

28 dicembre 1921 – Johnny Otis, il cuore greco del rhythm and blues

A Vallejo, in California, il 28 dicembre 1921 nasce John, figlio dei due immigrati greci Irene e Alex Veliotes. Pur arrivando da una terra dove abbondano indovini e sibille, i genitori non avrebbero mai potuto credere a chi avesse predetto per il loro figliolo un futuro nella musica nera. Eppure è così. Con il nome d’arte di Johnny Otis, questo strano greco diventerà uno dei protagonisti della diffusione del rhythm and blues. La sua carriera inizia nel 1939, quando debutta come batterista in un’orchestra della sua zona. In breve si conquista una discreta fama e dopo aver militato in alcune delle migliori jazz-band di Reno, Omaha e Kansas City, come quelle di Geo Morrison e Lloyd Hunter, si trasferisce a Los Angeles per suonare con l’orchestra di Harlan Leonard in un locale di cui è proprietario l’ex batterista Curtis Mosby. Proprio quest’ultimo, intuendo le sue qualità, lo convince a formare un proprio gruppo. Nel 1945 nasce così la Otis Love Band, un’orchestra di cui fanno parte musicisti come il sassofonista Paul Quinichette, il trombettista Ted Buckner, il pianista Bill Doggett e il contrabbassista Curtis Counce. L’anno dopo la band ottiene un grande successo discografico con Harlem nocturne, un brano registrato con il supporto di alcuni musicisti del gruppo di Count Basie e con il cantante Jimmy Rushing. Anticipando la crisi delle big band, Johnny Otis scioglie l’orchestra e forma la Rhythm and Blues Caravan. Nel 1948 apre a Watts, un sobborgo di Los Angeles, il Barrelhouse, destinato a diventare in breve tempo un locale di culto per gli appassionati del nascente rhythm and blues e una straordinaria fucina di talenti. Il suo fiuto scopre e valorizza artisti come, tra gli altri, Esther Phillips, Jackie Wilson, Hank Ballard, Big Mama Thornthon, Little Richard, Johnny Guitar Watson, Floyd Dixon ed Etta James. Nel 1955, scioglie la Caravan per dedicarsi a tempo pieno all'attività di produttore e di showman radiotelevisivo, ma la decisione non sarà definitiva. Negli anni Settanta tornerà a riunire più volte i vecchi compagni pubblicando vari album fino al 1982 quando, senza annunci, lascerà davvero le scene per diventare pastore di anime nella chiesa della Comunità di Landmark a Los Angeles.


27 dicembre, 2022

27 dicembre 1975 – Gli Staples Singers, duri a morire

Il 27 dicembre 1975 al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti arriva il brano Let's do it again, tema conduttore del film omonimo diretto da Alexander Hall, interpretato da Jane Wyman e Ray Milland e distribuito nelle sale italiane con il titolo "Ancora e per sempre". Lo interpretano gli Staples Singers, il gruppo fondato alla fine degli anni Quaranta dal patriarca Roebuck "Pop" Staple con le figlie Mavis e Cleo e il figlio Pervis, destinato poi a essere sostituito da sua sorella Yvonne. La loro storia per un lungo periodo non è dissimile da quella di tanti gruppi di gospel, rhythm & blues e soul dalla lunga vita e dal modesto successo. La prima svolta avviene, nel 1968, a quasi vent'anni dalla loro costituzione, quando sull'onda dell'esplosione soul di quel periodo vengono scritturati dalla Stax. Il grande pubblico li scopre e se ne innamora. La famiglia canterina degli Staples non si fa pregare e centra una serie di successi che tocca l'apice nel 1971 quando i brani Heavy makes you happy e Respect yourself. Negli anni successivi la crisi del soul e l'affermarsi di nuovi personaggi sembrano chiudere per sempre la loro storia, ma per demoralizzare il vecchio Pop Staple ci vuole ben altro. Gli Staples Singers sono duri a morire. Il quartetto alterna le esibizioni nei locali al lavoro in studio di registrazione, adattandosi anche a fornire il supporto vocale alle performance dei nuovi eroi musicali del periodo. Quella che sembra una sostanziale resa di fronte allo scorrere del tempo è in realtà l'attesa di tempi migliori. La nuova occasione arriva quando Curtis Mayfield, che sta lavorando alla colonna sonora del film "Let's do it again", si ricorda di loro. Una telefonata basta e avanza. Gli Staples Singers, qualche anno prima di festeggiare il trentennale di vita ritornano così prepotentemente alla ribalta. Il vecchio Staple non sta nella pelle anche se la figlia Mavis, la solista del gruppo, si lascia tentare dall'idea di continuare da sola. Lo fa e la sua defezione mette in crisi gli Staples Singers anche se, dopo tre album di scarso successo e un'esperienza in coppia con Eddie Floyd, torna sui suoi passi. L'epopea del gruppo è, però, ormai finita. La loro storia continuerà attraverso le esperienze di Mavis Staple, che dopo aver partecipato, nel 1987, alla realizzazione del doppio album gospel One Lord, one faith, one baptism di Aretha Franklin arriverà al successo alla corte di Prince, suo produttore e nuovo mentore.


26 dicembre, 2022

26 dicembre 1957 – Nasce "Tequila"

Il 26 dicembre 1957 Dave Burgess, un chitarrista ritmico alle dipendenze della Challenge Records di Los Angeles entra in sala di incisione per registrare un brano strumentale Train to november. Burgess ha convinto la sua casa discografica a pubblicarlo perché è convinto che sia destinato al successo. Nella seduta è accompagnato dagli strumentisti della band che accompagna il cantante Jerry Wallace. Al termine della registrazione ha la necessità di scegliere un brano da pubblicare sul retro del disco. Chiede allora aiuto a un suo amico, il sassofonista Chuck Rio, che gli propone un brano dai colori latini, intitolato Tequila e scritto di getto dopo un viaggio in Messico. L’improvvisato gruppo figura sull’etichetta del disco con il nome di The Champs. Nonostante le aspettative di Burgess il suo Train to november passerà quasi inosservato, ma il singolo volerà alto nelle classifiche di vendita grazie proprio a Tequila. Lo straordinario successo cambierà la sua vita e quella del suo amico Chuck Rio facendoli entrare nella storia del pop. Le richieste costringeranno il gruppo fantasma dei Champs a strutturarsi sul serio in una formazione che oltre a loro due, comprenderà il chitarrista Buddy Bruce, il bassista Cliff Hills e il batterista Gene Alden. La vicenda dei Champs continuerà per qualche anno con vari cambiamenti di formazione. Del gruppo faranno parte anche Jim Seals e Dash Croft, il duo considerato dalla critica, tra il 1972 e il 1973, l'erede di Simon & Garfunkel e che costituirà negli anni Sessanta il nucleo centrale dell'esperienza dei Dawnbreakers.


25 dicembre, 2022

25 dicembre 1981 – Natale in carcere per la J. Geils Band

Nel 1981 Peter Wolf, il cantante della J. Geils Band, cedendo alle pressioni della sua compagna Faye Dunaway, convince i suoi compagni a passare il Natale in un carcere esibendosi per una platea composta esclusivamente dai carcerati e dalle loro famiglie. L’iniziativa, tenuta segreta, ha inizio nell’estate, periodo in cui sono stati presi i primi contatti con le autorità competenti. Superate le inevitabili difficoltà è stato infine scelto anche il luogo del concerto: il Norfolk Correctional Center. Quando la band sta per rendere pubblica la sua decisione, però, la vicenda si complica. Proprio in quell’anno, infatti, il rock blues impiantato su una solida struttura rhythm and blues della J. Geils Band ha conquistato un pubblico larghissimo, ottenendo un successo commerciale inaspettato, tanto che il gruppo è arrivato anche al primo posto della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con l’album Freeze frame. In sostanza non sono più un gruppo marginale e paradossalmente questo fatto rischia di far saltare la decisione di suonare per i carcerati. Alcuni dirigenti della casa discografica della band, infatti, esprimono una forte preoccupazione. Temono che un’azione di forte impegno sociale come quella prospettata da Peter Wolf e compagni possa influire negativamente sull’immagine del gruppo in un momento di grande successo commerciale. I rischi vengono prospettati alla band che risponde con un’alzata di spalle e ribadendo la sua determinazione a tenere fede all’impegno. Andato buco il tentativo di dissuasione "amichevole", si passa alle minacce. La casa discografica comunica che è sua intenzione avvalersi di una clausola contrattuale che le dà il diritto di esprimere una sorta di “gradimento preventivo” degli impegni pubblici della band. Non è una minaccia da poco perché sottopone la J. Geils Band al ricatto di una penale salatissima con conseguente rescissione del contratto “per colpa”. Insomma la situazione diventa imprevedibilmente complicata. Le pressioni crescono man mano che s’avvicina la data prevista per il concerto finchè Peter Wolf rompe gli indugi e annuncia ai giornalisti la decisione di suonare per i carcerati di Norfolk. Ormai la frittata è fatta. La casa discografica, nonostante le terribili minacce, teme una figuraccia di fronte all'opinione pubblica, si ritira di buon grado e minimizza. Nel pomeriggio del 25 dicembre 1981 il rock blues della J. Geils Band entra così tra le mura del Norfolk Correctional Center.