13 febbraio, 2023

13 febbraio 1962 – Con la bossa nova il samba incontra il jazz

Il 13 febbraio 1962 Charlie Byrd, allievo di Django Reinhardt e di André Segovia, pubblica Jazz Samba insieme a un altro famoso jazzista, Stan Getz. L’album segna la definitiva affermazione di un genere, la Bossa Nova, frutto della contaminazione tra il jazz nordamericano e i ritmi del samba brasiliano. Charlie Byrd e Stan Getz verranno salutati come gli "inventori" di un genere innovativo che rompe il muro della divisione artificiale tra musica "colta" e "popolare". In realtà entrambi i musicisti sono consapevoli di non poter rivendicare alcuna primogenitura. La loro opera, pur preziosa e originale, si inserisce nella scia di un grande rinnovamento musicale iniziato qualche anno prima cui stanno dando un grande contributo moltissimi musicisti, primi fra tutti i brasiliani. Lo stesso nome Bossa Nova (che in brasiliano significa "cosa nuova" o "moda nuova" è preso a prestito da uno dei brani riconosciuti ancora oggi come fondativi dello stile omonimo. Si tratta di Desafinado, composto da Antonio Carlos Jobim in collaborazione con il poeta Vinicius De Moraes, e inserito da João Gilberto nell'album Chega de saudade, pubblicato nel 1959 per la Odeon, definito dalla critica "uno strano brano d’atmosfera che lega jazz e samba". La canzone è una sorta di manifesto stilistico in cui compare per la prima volta il termine "bossa nova": «se você insiste em classificar/meu comportamento de antimusical/eu mesmo mentido devo argumentar/que isto è bossa nova/que isto è muito natural». Il brano entrerà nel repertorio di un gran numero di gruppi jazz con il titolo di No more blues. L'album di Stan Getz e del chitarrista Charlie Byrd rappresenta dunque la consacrazione ufficiale nel mondo jazzistico statunitense di questo stile. Da quel momento la bossa nova diviene una vera e propria moda, coinvolgendo musicisti di grande valore come Coleman Hawkins, Sonny Rollins, Cannonball Adderley, Quincy Jones e, soprattutto, Dizzy Gillespie che non l’abbandonerà più. Nessuno, però, tenterà di appropriarsi della primogenitura né metterà in discussione i meriti dei veri creatori. Lo stesso Antonio Carlos Jobim, universalmente riconosciuto come uno dei principali maestri di questo stile, si troverà a vivere momenti di inaspettata popolarità e i brani da lui scritti diventeranno merce preziosa per moltissimi interpreti di ogni parte del mondo.


12 febbraio, 2023

12 febbraio 1914 – Tex Beneke, il sassofono di Glenn Miller

Il 12 febbraio 1914 a Forth Worth, in Texas, nasce il sassofonista Gordon Beneke che, proprio in omaggio al suo stato d’origine, prenderà il nome d’arte di Tex. Strumentista precoce e molto dotato, ha da poco compiuto i vent’anni quando entra a far parte della formazione di Ben Young, una delle orchestre più popolari degli Stati Uniti negli anni Trenta. In breve tempo la sua fama si diffonde in tutto il paese tanto che, nel 1938, Glenn Miller lo vuole con sé. Il compositore ne ha intuito le potenzialità e intende farne l’elemento di spicco della sua grande orchestra. Non si sbaglia. A Tex bastano pochi mesi per diventare, con i suoi interventi solistici, la vedette di una delle più straordinarie formazioni musicali di quel periodo. Molti suoi assoli entrano a far parte della storia della musica. Il più conosciuto è quello di In the mood, il brano registrato dall’orchestra di Glenn Miller nel 1939 per la colonna sonora del film “Serenata a Vallechiara” e destinato a far da sottofondo musicale alla liberazione dell’Europa dal nazismo. All’inizio degli anni Quaranta viene premiato per ben due volte consecutive dalla critica come il miglior sassofono tenore del mondo e nel 1941 partecipa a una leggendaria seduta di registrazione con la Metronome All Stars Band, il gruppo che schiera i migliori strumentisti jazz di quel periodo, da Harry James a Cootie Williams, Tommy Dorsey, Benny Goodman, Benny Carter, Coleman Hawkins, Count Basie, Charlie Cristian e Buddy Rich, solo per citarne alcuni. Il brano One o’ clock jamp, registrato nell’occasione e ancora oggi ambita preda dei collezionisti, è una dimostrazione delle sue qualità solistiche, ma, soprattutto, di quella carica swing che è un po’ la sua caratteristica fondamentale. Nel dopoguerra, scomparso Glenn Miller, in molti chiedono proprio a Tex Beneke di raccoglierne l’eredità e lui non si fa pregare. Cerca i suoi vecchi compagni, li coinvolge nel progetto e rimette insieme quello che resta della formazione dei primi anni Quaranta. Copre poi i posti rimasti vacanti con musicisti di livello adeguato e lascia inalterato l’antico nome. Ridà così vita alla Glenn Miller Orchestra. Pur rivelandosi un buon leader perderà però in originalità e in freschezza e per molti anni rifarà all’infinito se stesso sfruttando la popolarità del nome del suo primo scopritore.


11 febbraio, 2023

11 febbraio 1979 – Stiff Little Fingers, una promessa non mantenuta

L’11 febbraio 1979 la band nordirlandese degli Stiff Little Fingers pubblica il suo primo album Inflammable material. In molti scommettono sulle rapide fortune del gruppo formatosi quasi per caso nell’estate del 1977 a Belfast per iniziativa del chitarrista Jack Burns e del batterista Brian Faloon. I due completano la formazione con l’altro chitarrista Henry Cluney e il bassista Ali McMordie. Indecisi sul nome da darsi, optano infine per Stiff Little Fingers in omaggio a un brano del loro gruppo preferito, i Vibrators. Incendiari e potenti soprattutto dal vivo, nei primi mesi del 1978 attirano l’attenzione di Gordon Ogilvie e Colin McCelland, due giornalisti e autori molto conosciuti nell’ambiente musicale britannico. Decisivo per la loro carriera è però l’incontro con John Peel, il più popolare conduttore musicale della BBC, titolare di una trasmissione radiofonica che ha ospitato tutte le migliori band della storia del rock, Beatles compresi. Un po’ per la stima e l’appoggio esplicito di cui godono da parte di tre personaggi così famosi, un po’ perché davvero gli Stiff Little Fingers ci sanno fare in concerto, quando viene pubblicato il loro primo album il giudizio della critica è entusiastico. In realtà il disco evidenzia alcune scollature nell’intesa tra i suoi componenti che preludono all’abbandono di uno dei due fondatori, il batterista Faloon, che viene sostituito da Jim Reilly. Dopo un paio d’anni d’attività e la pubblicazione di altri tre album la band è ancora considerata una delle “migliori promesse” della musica britannica, quando, nel 1981 anche Reilly se ne va. Nel tentativo di rendere più maturo e solido l’impianto del gruppo viene chiamato Dolphin Taylor, già batterista della Tom Robinson Band. L’esperimento non riesce. Dopo il deludente album Now then la band, ormai divenuta l’eterna promessa mai mantenuta del rock britannico chiude i battenti, mentre ciascuno dei componenti si impegna in un nuovo progetto: Burns forma i Big Wheels, McMordie suona con i Fiction Groove e collabora al primo album di Sinead O'Connor; mentre Taylor torna con Tom Robinson. Dopo lo scioglimento, però, il lavoro della band verrà progressivamente rivalutato e sull’onda della nostalgia, nel 1990 gli Stiff Little Fingers si riformeranno con l'ex bassista dei Jam Bruce Foxton al posto di McMordie.


10 febbraio, 2023

10 febbraio 1937 – Ed Polcer, dallo xilofono alla tromba

Il 10 febbraio 1937 nasce a Paterson, nel New Jersey, il trombettista Ed Polcer. La sua è una famiglia di musicisti. Il padre suona la tromba nelle polka bands, le orchestrine dei balli popolari, con suo zio Mickey, abilissimo al trombone. Lui impara fin da piccolo a suonare lo xilofono e a sei anni è si esibisce negli spettacoli di piazza in una sorta di "duo prodigio" con la sorellina di quattro anni: lui suona il suo xilofono e lei canta. Il suo vero sogno è, però, quello di affiancare papà alla tromba. Quando compie nove anni i suoi genitori l'accontentano. Il suo primo insegnante di tromba è un professore di nome James V. Dittamo che abita a Prospect Parl, sempre nel New Jersey. Studia con lui per tre anni, poi comincia a sentirsi pronto a suonare in pubblico. A tredici anni è la tromba solista della Paterson Civic Band, ma, quello che per lui conta di più, è anche la seconda tromba della polka band di suo padre. La sua carriera musicale procede di pari passo con gli studi. Nel periodo in cui frequenta le scuole superiori suona con i Walt Lawrence’s Knights Of Dixieland e quando, nel 1954, entra all'Università di Princeton è ormai uno strumentista conosciutissimo. In quell'anno ha l’opportunità di sostituire John Dengler negli Stan Rubin’s Tigertown Five, con i quali resta fino alla laurea in Ingegneria Meccanica. Libero dai vincoli dello studio si trasferisce a Manhattan dove divide una soffitta con il trombonista Dick Rath e con il pianista Don Coates. L'area di New York è il suo mondo. Qui diventa uno dei re della notte dei locali jazz dove tira l'alba senza distinguere troppo tra una jam session per divertimento e un ingaggio remunerato. Non gli cambia la vita neppure il servizio di leva visto che dopo essere stato arruolato in aeronautica viene destinato alla sede di Westhampton Beach, a Long Island. Di giorno porta la divisa e la sera suona. Chiusa la parentesi in divisa riprende a vagabondare come al solito senza preoccuparsi più di tanto della carriera. Negli anni Sessanta fatica a mantenere legami stabili con le band e, se si eccettua un intero anno con i Crescent City Five di Andy Mormile al Metropole, il suo unico lavoro è quello di sostituire i musicisti nei locali di Jimmy Ryan ed Eddie Condon. Nel 1969, finalmente, si unisce ai Balaban & Cats con i quali resterà a lungo senza rinunciare a fare esperienze con altri gruppi, come il sestetto di Benny Goodman o con i World Of Jelly Roll Morton di Bob Green.


09 febbraio, 2023

9 febbraio 1989 – Maria Benedetti Giannini, il primo concerto a settantasei anni

Il 9 febbraio 1989 a Bellaria, in Romagna, si esibisce in per la prima volta in un vero e proprio concerto la cantautrice Maria Benedetti Giannini, una delle figure più straordinarie della musica popolare romagnola. Ha settantasei anni e una vita di lavoro dietro alle spalle. Le fanno da padrini due tra i più famosi gruppi di musica popolare: l'Uva Grisa e La Macina. La "ragazza" è molto emozionata, anche perché non è facile per nessuno scegliere la propria città per il debutto sul palco e Bellaria è un po' la sua città d'adozione. Qui Maria, pur essendo nata a Santa Giustina di Rimini, dopo aver lavorato a lungo come bracciante agricola, ha trovato il modo di sbarcare il lunario con vari lavori stagionali nel settore alberghiero. La musica, o meglio, il canto popolare sono la vera passione della sua vita. Dotata di una memoria prodigiosa e di una splendida voce si diverte a cantare per chiunque voglia ascoltarla fino al 1986 quando, settantatreenne, viene "adottata" da L'Uva Grisa, un gruppo di canto popolare che raccoglie le testimonianze musicali di anziani informatori. Inizialmente trattata come una delle tante "informatrici" dai componenti del gruppo finisce per divenirne una collaboratrice preziosa e una sorta di portafortuna. Quando le propongono di esibirsi in concerto Maria tentenna, cerca di svicolare. Messa alle strette spiega che ha un po' paura a cantare in un vero e proprio concerto: «un conto è dare il la a qualche canzone in compagnia, un altro è cantare davanti a tutta quella gente che ti guarda». Alla fine cede, anche perché confortata dal fatto di non essere l'unica attrazione della serata. Con lei si esibisce, infatti, oltre ai suoi amici de L'Uva Grisa, anche il gruppo di canto popolare La Macina, fondato a Jesi da un apostolo della ricerca sulla canzone marchigiana come Gastone Pietrucci. Quando "la Maria" arriva sul palco la gente di Bellaria, che la conosce, la ama e la stima, le tributa un lunghissimo applauso. Sembra non finire più, ma Maria Benedetti Giannini è concentrata. Guarda fissa davanti a sé, forse per evitare il contatto diretto con così tanta gente, e attacca a cantare. La sua voce si alza forte, come se l'impianto d'amplificazione non fosse necessario. Al termine dell'esibizione viene sommersa dagli applausi e dalle ovazioni. I musicisti de L'Uva Grisa e La Macina, con gli occhi lucidi, le fanno corona. Non stanno nella pelle e hanno ragione. Anche per merito loro quella sera a Bellaria è nata una stella di settantasei anni.

08 febbraio, 2023

8 febbraio 1975 – Dr. Feelgood, il profumo dei Sessanta

L'8 febbraio 1975 i Dr. Feelgood pubblicano il loro primo album Down by the Jetty irrompendo così, con il loro sound anni Sessanta, in una scena musicale confusa e attraversata da grandi cambiamenti, pur se ancora impregnata dalle atmosfere del rock progressivo. La band, che ha i suoi personaggi più rappresentativi nel chitarrista Wilko Johnson e nel batterista "The Big" Figure, all'anagrafe Martin Figure, nasce nel 1971 con una formazione che comprende anche il cantante e armonicista Lee Brilleaux e il bassista John B. Sparks. La loro cristallina impostazione rock and roll, con potenti sfumature che attingono al rock blues britannico degli anni Sessanta si mantiene ben distinta dalle sonorità di quel periodo ma non si lascia catturare dalla trappola della nostalgia. Per farsi le ossa i Dr. Feelgood si sottopongono di buon grado a una lunga gavetta nei locali come gruppo d'accompagnamento di Heinz Burt, l'ex bassista dei Tornados, una delle band di rock and roll strumentale più famose prima dell'arrivo dei Beatles. Recuperata la loro autonomia ottengono nel 1974 il loro primo contratto discografico. La pubblicazione dell'album Down by the Jetty viene accolta bene sia dal pubblico che dalla critica. Quest'ultima vede nel lavoro dei Dr. Feelgood un recupero importante del rock primitivo in un momento di grande confusione musicale, anche se gli entusiasmi sono un po' eccessivi se si pensa che c'è chi non esita a definirli "i nuovi Rolling Stones". Sull'onda del successo vedrà rapidamente la luce un secondo album e, poi un terzo, Stupidity, registrato interamente dal vivo. Proprio quest'ultimo è ancora oggi considerato la miglior testimonianza della potenza scenica e dell'equilibrio sonoro della band nelle esibizioni dal vivo. Nonostante tutto il gruppo non reggerà a lungo il peso della popolarità e le tensioni conseguenti. I primi problemi emergeranno nel 1977 quando, in seguito a contrasti insorti durante la registrazione di Sneakin' suspicion, uno dei due personaggi più rappresentativi della band, Wilko Johnson, se ne andrà. La sua perdita non significherà la fine dei Dr. Feelgood, ma rappresenterà un duro colpo per il gruppo. Pur continuando con lo stesso stile, la stessa musica e la stessa potenza, la band perderà in forza e in efficacia scenica. Gli album successivi avranno il segno di una continuità progressivamente più stanca che assomiglierà sempre più a un'infinita ripetizione di una formula vuota.


07 febbraio, 2023

7 febbraio 1948 – Red McKenzie, uno dei cantanti più dotati e originali della scena jazzistica degli anni Venti e Trenta

Il 7 febbraio 1948 a New York la passione per l'alcool e un'inesorabile cirrosi epatica si portano via il quarantottenne Red McKenzie, all’anagrafe William McKenzie, uno dei cantanti più dotati e originali della scena jazzistica degli anni Venti e Trenta. Nato a St. Louis, nel Missouri, si trasferisce successivamente a Washington al seguito dei genitori. La capitale non gli piace e quando, adolescente, resta orfano torna nella sua città dove conosce tutti e trova sempre un modo per arrangiarsi. Si adatta a fare vari mestieri, dal lustrascarpe al fantino, fino a quando scopre che la musica, il suo hobby più amato, può diventare un lavoro. Dopo qualche esperienza minore, nel 1923 dà vita alla formazione dei Mound City Blue Blowers con i quali gira per qualche anno scavalcando anche l'oceano per esibirsi a Londra. Chiusa quell'esperienza lavora con vari artisti prima di partecipare, tra il 1927 e il 1928, a una lunga serie di registrazioni pubblicate con il nome di Red McKenzie & Condon’s Chicagoans o Chicago Rhythm Kings destinate a restare nella storia del jazz "stile Chicago". Dal 1929 al 1931 recupera il nome di Mound City Blue Blowers per pubblicare una serie di dischi a cui partecipano molti jazzisti di primo piano come Coleman Hawkins e Jack Teagarden. Dal 1932 al 1935 diventa il cantante della band di Paul Whiteman senza rinunciare, però, a realizzare progetti diversi e vari dischi, sempre circondato dai migliori musicisti. Deciso a dare un po' di tranquillità alla sua vita, nel 1935 prende la gestione di un locale a New York nella 52a Strada. La morte della moglie, cui è molto legato, lo annichilisce. Cerca rifugio nell'alcol, torna nella "sua" St. Louis e dimentica quasi del tutto la musica. Periodicamente cede alle insistenze di qualche vecchio amico tornando a esibirsi, ma le sempre più precarie condizioni di salute e l'amicizia con la bottiglia gli impediscono di mantenere gli impegni. Per guadagnare qualche spicciolo si accontenta di lavorare in una fabbrica di birra dove lavora "a giornata" quando è lucido e ha bisogno di soldi. Nel 1944 fa la sua ultima apparizione in pubblico come cantante. Ripulito e tirato a lucido si esibisce in uno dei concerti della band del suo amico Eddie Condon alla Town Hall di New York. Gli ultimi anni della sua vita sono dolorosi e disperati per il costante aggravamento delle condizioni di salute. Con lui scompare, oltre che una figura di grande rilievo della scena jazzistica, un generoso scopritore di talenti.


06 febbraio, 2023

6 febbraio 1982 – La svolta politica dei Kraftwerk

Il 6 febbraio 1982 il gruppo techno-pop tedesco dei Kraftwerk arriva al primo posto della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna con il singolo contenente i brani The model e Computer love estratti dal concept-album Computerworld. La struttura della band affonda le sue radici creative e musicali nel duo formato dai tedeschi Ralf Hütter e Florian Shneider Esleben, due strumentisti con una solida formazione classica, cui si sono aggiunti i percussionisti Wolfgang Flur e Karl Bartos. Dopo un periodo di silenzio di tre anni, dedicato alla ristrutturazione della loro fucina creativa, il Kling Klang Studio, i Kraftwerk riappaiono così sulla scena musicale con l'album più politico della loro storia musicale. Anticipando i tempi della futura globalizzazione denunciano esplicitamente l'utilizzo del computer a scopi di controllo da parte di organizzazioni come l'Interpol, la Deutsche Bank, l'FBI e Scotland Yard. È evidente nell'impostazione complessiva dei brani l'influsso della lezione di Orwell e del suo "grande fratello". Ciò che più stupisce gli ascoltatori distratti è, però, l'improvvisa politicizzazione di un genere, come il techno pop, nato all'insegna di una sperimentalità astratta, talvolta danzereccia, quasi sempre indifferente ai ragionamenti politico-sociali. La scelta non stupisce, invece, chi conosce da tempo il lavoro di Ralf Hütter e Florian Shneider Esleben, iniziato nei primi anni Settanta quando molti gruppi arricchiscono le loro potenzialità sonore con l'uso dei sintetizzatori. In quel periodo i due strumentisti, affascinati dalle sperimentazioni dei Pink Floyd e dei Tangerine Dream formano, con i percussionisti Basil Hammoudi, Butch Haufe e Fred Monicks, gli Organisation, una band dalla vita breve che cerca di trasferire su vinile le atmosfere cupe e grigie della città di Düsseldorf, dove vivono. La sperimentazione si sposa già allora con la critica sociale e con un'ironia glaciale e caustica. In questa prospettiva Computerworld diventa il frutto di un'elaborazione progressiva che non ha mai sposato l'idea di una sperimentalità fine a se stessa. A riprova di ciò, nel 1983 i Kraftwerk saranno protagonisti di un'altra operazione demistificatoria, questa volta nei confronti del music business. Annunceranno la pubblicazione di un album intitolato Tecno pop, anticipandone i contenuti e le linee fondamentali e provocando un dibattito sul niente destinato a chiudersi soltanto quando si scoprirà che… l'anticipazione era falsa.


05 febbraio, 2023

5 febbraio 1966 – State attenti, perché sono un Berretto Verde!

All’inizio del 1966 negli Stati Uniti inizia a crescere l’ondata della contestazione giovanile, soprattutto studentesca, nei confronti del sistema, contro il razzismo e per i diritti civili. Da qualche tempo si sta facendo più corposa anche la protesta contro la guerra nel Vietnam e si moltiplicano le voci di chi vorrebbe un immediato ritiro delle truppe impegnate nel paese asiatico. Quasi a smentire il dissenso, il 5 febbraio 1966 arriva al primo posto della classifica dei singoli più venduti la canzone The ballad of the Green Berets, (La ballata dei Berretti Verdi) una canzone di stampo militarista interpretata da un ex marine con all’attivo una lunga permanenza in Vietnam, il Sergente Barry Sadler. Il brano è destinato a restare al vertice per oltre tre mesi. Il suo successo viene vissuto come una sorta di rassicurante rivincita da parte dell’opinione pubblica più conservatrice e alcuni giornali sottolineano come l’exploit del Sergente Sadler sia la risposta dell'America più sana e patriottica contro la disgregazione delle tradizioni e della struttura sociale. Non manca chi parla anche di “sano recupero dei valori della musica tradizionale” e di “ingloriosa conclusione della parabola discendente del rock, un genere che ha fatto, fortunatamente, il suo tempo”. L’euforia dura poco, anche perché la risposta dei settori più progressisti del mondo musicale non si fa attendere. Un mese dopo, a marzo, Bob Seger e gli Omens pubblicano, con lo pseudonimo di Beach Bums, un singolo satirico intitolato The ballad of Yellow Berets (La ballata dei Berretti Gialli) che mette in ridicolo l’impostazione patriottico-militarista del brano di Sadler. Cantata in coro nelle manifestazioni e trasmessa dalle radio più progressiste, la canzone diventa popolarissima. L’ironia colpisce duro e sull’ex marine canterino si stenderà il velo dell’oblio, almeno dal punto di vista artistico, perché la cronaca tornerà a occuparsi di lui in un paio d’occasioni. La prima sarà nel dicembre 1978 quando la polizia di Nashville lo coinvolgerà nelle indagini relative a una misteriosa sparatoria nella quale trova la morte il cantautore Lee Bellamy. Nel 1981, invece, verrà accusato da un suo socio di affari di aver chiuso una discussione a colpi di pistola. In giudizio protesterà la propria innocenza davanti al giudice dichiarando «È ovvio che le sue accuse sono false. È vivo! Sono un berretto verde e se gli avessi sparato ora sarebbe morto».


04 febbraio, 2023

4 febbraio 1956 - Il primo disco dei Famous Flame

Il 4 febbraio 1956 i Famous Flame registrano il loro primo disco. Il gruppo, scoperto per caso da Clint Bradley, il manager di Little Richard, da tempo tenta senza successo di trovare spazio sulla scena musicale statunitense. Bradley è impressionato dalla forza e dall'impatto scenico del cantante della band che si chiama James Brown. Dopo una lunga serie di delusioni riesce finamente a ottenere una scrittura dall'etichetta King/Federal Records. Così, il 4 febbraio 1956, a Cincinnati, la band registra Please, please, please il suo singolo d'esordio. Il 45 giri riesce ad arrivare nella Top ten della classifica di rhythm and blues e contribuisce ad accrescere la popolarità di James Brown. Dopo l'esplosivo successo di Please, please, please nessuno può immaginare che Brown e i suoi compagni d'avventura possano fallire i colpi successivi. Eppure i nove dischi che dal giugno 1956 al maggio 1958 seguono il fortunato singolo d'esordio si rivelano dei fiaschi. Scoraggiata dall'insuccesso la prima formazione dei Famous Flames si scioglie all'inizio del 1957 e prima della fine dell'anno Syd Nathan della King/Federal Records annulla il contratto discografico. Il caparbio James Brown però non si arrende e comincerà a ricostruire pezzo dopo pezzo tutta la formazione.


03 febbraio, 2023

3 febbraio 1947 – Melanie, la voce femminile dei grandi raduni

Il 3 febbraio 1947 nasce a New York Melanie Safka, destinata a diventare con il semplice nome di Melanie, una delle protagoniste della stagione dei grandi raduni musicali nei primi anni Settanta. Figlia di un cantante jazz impara fin da piccola a suonare il piano e muove poi i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo in un piccolo teatro del suo quartiere. È ancora adolescente quando decide di dedicarsi esclusivamente alla musica. Determinante, sotto molti aspetti, è l'incontro con Peter Schekeryk, che diviene prima suo manager, quindi produttore e, infine, suo compagno nella vita. Dopo aver pubblicato un paio d’album, nel 1970 diventa, per caso, una delle protagoniste del grande raduno di Woodstock. Il suo nome non figura tra quelli degli artisti in programma, ma lei non vuole mancare a un appuntamento così importante. Confusa tra il pubblico mentre calano le prime ombre della sera sta attendendo la più volte annunciata esibizione di Joan Baez, ma la folksinger è bloccata dal colossale ingorgo di traffico provocato dalla marea umana che sta affluendo sul luogo del raduno. Melanie non è una sconosciuta. La sua versione di Ruby tuesday qualche mese prima ha ottenuto un discreto successo di vendite e le sue canzoni sono molto popolari tra i giovani del Greenwich Village. Quando gli organizzatori la vedono pensano a lei come riempitivo in attesa della Baez e le chiedono di salire sul palco. Da spettatrice si ritrova così protagonista di un evento destinato a entrare nella leggenda. Memorabile è la scena del documentario girato durante la manifestazione nel quale la Baez, arrivata in ritardo, se ne sta seduta in un angolo ad assistere all’esibizione di Melanie. Sull’onda di Woodstock partecipa a quasi tutti i grandi raduni musicali di quel periodo e centra una buona serie di successi. Nel 1971 realizza anche la colonna sonora del film “Il ribelle” di Michael Chapman. L’anno dopo, insofferente alle pressioni dei discografici, fonda la Neighborhood, un’etichetta di cui è comproprietaria insieme al suo compagno. L’avventura discografica è destinata però a finire male e Melanie, visti inutili i tentativi di ritrovare spazio ridurrà la sua attività a qualche saltuario album destinato a fare la gioia di un ristretto manipolo di irriducibili quanto nostalgici ammiratori.


02 febbraio, 2023

2 febbraio 1984 – I metalmeccanici vincono il Festival di Sanremo

Giovedì 2 febbraio 1984 inizia la Trentaquattresima edizione del Festival di Sanremo. I giornali hanno descritto minutamente le scenografie del fiorentino Enzo Somigli e hanno dato largo spazio agli ospiti annunciati, primi fra tutti i leggendari, anche se un po’ bolsi, Queen di Freddy Mercury. Sono gli anni Ottanta, sono gli anni del disimpegno “obbligato” e delle luci accecanti e colorate che sembrano cancellare le differenze. Si è parlato a lungo degli interpreti, dei loro vestiti, e delle loro canzoni, in un’edizione che pare segnare il ritorno al melodico e alla tradizione. Nessuno ha previsto, invece, l’arrivo in massa di un soggetto sociale periodicamente dato per spacciato: gli operai. Fin dal pomeriggio tre vagoni speciali aggiunti in coda al treno Roma-Ventimiglia e sette pullman, oltre a numerose auto, hanno portato nella “città dei fiori” i lavoratori dell’Italsider intenzionati a denunciare la grave situazione dell’economia ligure e la pesante situazione che si è determinata nella loro azienda, con licenziamenti e cassa integrazione. Man mano che s’avvicina l’ora d’inizio del Festival il gruppo cresce di numero. Alle 20.30 sono oltre milletrecento gli elmetti gialli che scandiscono slogan di fronte al Teatro Ariston fronteggiati da un robusto cordone di polizia. La manifestazione è stata preceduta, nel pomeriggio da una febbrile trattativa tra sindacato, organizzazione del Festival e RAI che si è conclusa con un accordo nel quale si prevede che Pippo Baudo, il presentatore della rassegna canora di quell’anno, legga all’inizio della diretta televisiva un breve comunicato approvato dai lavoratori. A parte un vago accenno alla protesta, però, l’accordo non viene rispettato. Nessuno legge niente e lo spettacolo continua. I lavoratori non ci stanno e iniziano a premere verso l’entrata del Teatro Ariston in modo sempre più insistente. Mentre la tensione sale si aprono nuove, febbrili, trattative. Sono passate da poco le 21 quando una piccola delegazione ottiene di poter entrare in sala e parlare direttamente, senza intermediari, ai telespettatori che assistono al Festival da casa. Gli operai salgono sul palco dell’Ariston e, visibilmente emozionati, leggono il documento ignorato da Pippo Baudo. Poi si rivolgono al pubblico in sala: «Vi ringraziamo per l’ospitalità e vi chiediamo scusa per il disturbo. Crediamo che sia chiara a tutti la gravità della nostra situazione». Saranno loro la più importante novità di un Festival senza particolari emozioni dal punto di vista musicale.

01 febbraio, 2023

1° febbraio 1948 – Rick James, il disertore del funk 'n' roll

Il 1° febbraio 1948 nasce a Buffalo, negli Stati Uniti, Rick James, all'anagrafe Ricky Matthews, l'inventore del funk 'n' roll o, meglio, il protagonista dell'ultima colossale campagna promozionale della Motown, la macchina da successi creata da Berry Gordy jr. Il ragazzo fa le sue prime esperienze musicali, ancora giovanissimo, alla metà degli anni Sessanta, nei Minah Byrds, una band nella quale è affiancato nientemeno che da Neil Young, da Bruce Palmer, un altro futuro componente dei Buffalo Springfield, e da Goldie McJohn, poi protagonista dell'avventura degli Steppenwolf. L'allegra compagnia si scioglie rapidamente. Gli altri vanno per la loro strada e Rick continua da solo come interprete con scarsi risultati. Gli va meglio come autore. Il suo lavoro è molto apprezzato e utilizzato da artisti come gli Spinners o le Marvelettes. Per evitare di finire in Vietnam se ne va a Londra dove forma i Main Line. Quando torna negli States pensa che l'esercito l'abbia ormai dimenticato, ma non è così. Arrestato per renitenza alla leva si trova coinvolto in una lunga serie di guai giudiziari che gli impediscono di pensare seriamente alla musica. Risolti i problemi nel 1977 riesce a ottenere il primo contratto discografico con la Motown. Dopo qualche album d'assaggio il suo funk 'n' roll, un felice incontro tra il ritmo del funky nero e la scansione armonica del rock bianco, conquista il pubblico e fa volare alti i suoi dischi come Street songs del 1981 che resta per oltre un anno nella classifica dei dischi più venduti degli Stati Uniti. Eclettico e curioso sperimentatore percorre anche le strade della produzione curando, tra gli altri, Wild and peaceful l'album del debutto di Teena Marie, In 'n' out della Stone City Band e partecipando, nel 1982, all'operazione di rilancio dei Temptations. Le sue fortune discografiche e il successo come interprete sopravvivono nel 1988 anche alla brusca separazione dalla Motown con il passaggio alla Reprise. All'inizio degli anni Novanta, però, una lunga serie di brutte vicende giudiziarie lo porta progressivamente ai margini del music business. Non ci resta per molto, perché il nascente movimento rap lo riscopre e gli offre la possibilità di tornare a produrre. Nonostante i guai la sua genialità si mantiene bene, vista la rapidità con la quale porta al vertice delle classifiche di tutto il mondo un personaggio considerato decisamente scomodo come il rapper M.C. Hammer! La vita vissuta sempre al limite lascia profondi segni sulla sua salute. Rick James muore per un’improvvisa crisi cardiaca il 6 agosto 2004.


31 gennaio, 2023

31 gennaio 1933 – Carlo Sola, da tamburino a batterista

Il 31 gennaio 1933 nasce a Torino il batterista jazz Carlo Sola. Figlio d'arte a nove anni è già impegnato negli studi musicali che culmineranno con l'iscrizione ai corsi di contrabbasso nel conservatorio della sua città natale. Basta una breve esperienza come tamburino nella fanfara della scuola per farlo innamorare della batteria. Dopo la Liberazione trova la sua prima scrittura come batterista in un'orchestra da ballo e nel 1946 se ne va a zonzo per l'Europa intenzionato a fare esperienza. Quando rientra in Italia viene scritturato dall'orchestra di Gaetano Gimelli. Proprio in occasione di una breve tournée del gruppo in Germania assiste a Garmisch all'esibizione di Louis Armstrong con i suoi All Stars e diventa amico di Cozy Cole, uno dei più importanti batteristi di quel periodo. Deciso a seguirne le orme, Carlo Sola decide di mollare tutto e andarsene a New York dove frequenta la scuola gestita dallo stesso Cole. Gli è tutor e maestro, in quel periodo, un altro personaggio di spicco del jazz statunitense come Stan Levey. Quando torna a Torino riprende a suonare con i Jazz at Kansas City cui segue, nel 1954, un'intensa esperienza con OKB di Nini Rosso. La sua costante crescita tecnica e artistica trova molti estimatori soprattutto tra i personaggi che più di altri stanno tentando di rinnovare il jazz italiano. C'è però il problema che in quel periodo non si può vivere di solo jazz. Il genere non è ricco e non può garantire la sopravvivenza economica. Per questa ragione la sua attività si sviluppa su due binari: da un lato ingaggi sicuri e remunerati con orchestre stabili e dall'altro una lunga serie di collaborazioni importanti. Per quel che riguarda la soluzione dei problemi economici, dopo aver fatto parte dell’orchestra jazz di Armando Trovajoli, nel 1962 entra stabilmente nell’Orchestra della Rai di Milano. Proprio negli anni Sessanta la sua attività jazzistica si fa intensa e a partire dal 1969 le sue collaborazioni si fanno più stabili. Non rinuncia, però, a qualche esperienza free lance con vari musicisti stranieri di prestigio come Slide Hampton, Dexter Gordon, Don Byas, Bud Freeman, Art Farmer, Teddy Wilson, Dizzy Reece, Charlie Mariano, Lionel Hampton, Joe Venuti, Chet Baker e John Lewis, solo per citare i più importanti. Il suo impegno musicale si unisce talvolta a quello politico e sociale, come quando registra con Enrico Intra i brani Nuova civiltà e To the victims of Vietnam, due tra le sue migliori incisioni.

30 gennaio, 2023

30 gennaio 1959 – Jody Watley, dagli Shalamar al Grammy

Il 30 gennaio 1959 nasce a Chicago Jody Watley. Fin da quando inizia a respirare la musica è nella sua vita. La madre è cantante e pianista mentre il padre alterna il mestiere di disk jockey alle cerimonie religiose come pastore della chiesa del suo quartiere. Se non bastasse il suo padrino di battesimo è il famoso Jackie Wilson. A quindici anni, trasferitasi a Los Angeles con la madre dopo la separazione dei suoi genitori, debutta come ballerina nel programma televisivo "Soul train". Tre anni dopo entra a far parte come ballerina e cantante degli Shalamar, uno dei gruppi di punta della disco music, con cui resta fino al 1984. Quando lascia il gruppo la sua intenzione è quella di debuttare come solista sfruttando la notevole popolarità acquisita negli Shalamar, ma nonostante gli sforzi non riesce a trovare nessuna casa discografica immediatamente disponibile a seguirla nell'avventura. In molti le dicono che lasciare un gruppo di successo è stato un errore e che la sua carriera è praticamente finita. Questa storia va avanti per tre anni, ma Jody non si arrende. Molla il music business statunitense e se ne va in Gran Bretagna a esibirsi nei club. L’accoglienza del pubblico la spinge a continuare. Torna negli Stati Uniti e finalmente nel 1987 pubblica Jody Watley, un buon album che le vale il Grammy come miglior nuova interprete femminile e dal quale vengono estratti tre singoli di successo come Don't you want me, Looking for a new love e Some kind of lover. Le sue notevoli potenzialità vengono confermate due anni dopo dall'album Larger than life e dai singoli Real love, Friends ed Everything. Per meglio sfruttare il suo successo sempre nel 1989 viene anche pubblicato You wanna dance with me?, un album che contiene la versione dance dei suoi brani più popolari. Nel 1990 Jody registra la canzone After you, who? di Cole Porter per l'album benefico Red, Hot & Blue e l'anno dopo pubblica Affairs of the heart, un album deludente che non riesce ad andare oltre le posizioni basse della classifica. L’insuccesso non la ferma. Caparbia come sempre dopo quasi due anni di silenzio discografico ricomincia da capo con Intimacy, un disco che la riporta in alto. Più attenta a non lasciarsi consumare dall’industria discografica aspetta cinque anni per pubblicare Flowers nel 1998, l’album che le apre le porte del nuovo millennio


29 gennaio, 2023

29 gennaio 1951 – L’Italia dei Festival nasce di lunedì

Nel 1951 il 29 gennaio cade di lunedì. Per gran parte degli italiani non è che una dura giornata di lavoro che precede il secondo giorno lavorativo della settimana. Per questa ragione chi deve alzarsi presto per andare a lavorare è probabilmente già a letto alle 22 quando, diffusa in tutta Italia dal Programma Nazionale della RAI, la voce di Nunzio Filogamo, proveniente dalla Sala delle Feste del Casinò di Sanremo, annuncia per la prima volta il Festival della Canzone Italiana: «Signori e signore, benvenuti al Casinò di Sanremo per un'eccezionale serata organizzata dalla RAI, una serata della canzone con l'orchestra di Cinico Angelini. Premieremo, tra duecentoquaranta composizioni inviate da altrettanti autori italiani, la più bella canzone dell'anno. Le venti canzoni prescelte vi saranno presentate in due serate e saranno cantate da Nilla Pizzi e da Achille Togliani con il duo vocale Fasano». Neppure in sala c’è la percezione del grande evento. Il pubblico seduto ai tavolini, infatti, presta una modesta e distratta attenzione ai brani preferendo dedicarsi con maggior impegno alla cena e alla conversazione. Se ne accorge anche chi ascolta la radio. Le esibizioni dei cantanti arrivano nelle case con il sottofondo di un brusio diffuso e del tintinnare delle stoviglie. La presenza è scarsa, non soltanto perché è lunedì, ma anche perché il prezzo d’ingresso di ciascuna serata è di 500 lire, una cifra all’epoca non certo alla portata di tutte le tasche. Al termine delle due serate il primo premio verrà assegnato alla canzone Grazie dei fiori di Saverio Seracini, Mario Panzeri e Giancarlo Testoni, interpretata da Nilla Pizzi. Sette sono i giurati: il vicesindaco di Sanremo, il presidente della società concessionaria del Casinò, il maestro Giulio Razzi, il capo dell’ufficio stampa del Festival, l’avvocato Nino Bobba, Nunzio Filogamo e una signora scelta tra il pubblico. La premiazione sarà anche l’occasione per la prima gaffe della storia del Festival. Ne è artefice il presentatore Nunzio Filogamo, il quale, ignorando che Seracini, cieco, diserta qualunque cerimonia mondana ne reclamerà la presenza sul palco per ritirare il premio. Sarà Cinico Angelini a togliere tutti dall’imbarazzo annunciando: “il maestro Seracini non c’è e non verrà. Ha composto questa canzone poco dopo essere improvvisamente diventato cieco...”.


28 gennaio, 2023

28 gennaio 1985 – In tanti a Hollywood per l’Etiopia

L’idea è di Harry Belafonte, uno degli artisti statunitensi più impegnati nel campo dei diritti civili. Dopo l’iniziativa dei musicisti britannici raccolti sotto la sigla di Band Aid esprime ai colleghi il proprio disagio per la mancanza di sensibilità sul problema della carestia in Etiopia. «È vergognoso che l’ambiente musicale nero statunitense non senta il dovere di far qualcosa per i nostri fratelli africani». Nasce così la decisione di rispondere all’esperienza britannica. In breve tempo è pronto We are the world, un brano composto da Lionel Richie e Michael Jackson, i cui spartiti vengono inviati in tutta fretta ai cantanti e ai musicisti interessati. Il 28 gennaio 1985, approfittando della cerimonia di consegna degli annuali American Music Awards, una vera folla di artisti si presenta negli studi di Hollywood della A&M per registrare la canzone sulla base preparata tre giorni prima da un gruppo di musicisti che comprende personaggi come Paulinho da Costa, Michael Boddicker, Louis Johnson, David Paich, Steve Porcaro, Greg Phillinganes, Ian Underwood e Michael Omartian.. La registrazione della parte vocale dura due ore e mezza, un tempo incredibilmente breve per la produzione di un brano di sette minuti e due secondi destinato a invadere il mercato mondiale. Ben ventuno sono i solisti che si alternano davanti ai sei microfoni allestiti nello studio in un ordine miracolosamente rispettato fino all’ultimo: Lionel Richie, Stevie Wonder, Paul Simon, Kenny Rogers, James Ingram, Tina Turner, Billy Joel, Michael Jackson, Diana Ross, Dionne Warwick, Willie Nelson, Al Jarreau, Bruce Springsteen, Kenny Loggins, Steve Perry, Daryl Hall, Huey Lewis, Cindy Lauper, Kim Carnes, Bob Dylan e Ray Charles. Alla registrazione partecipa poi un fantastico coro composto da attori, componenti di bands e solisti come Dan Aykroyd, Sheila E, Bob Geldof, Lindsey Buckingham, John Oates, Jackie Jackson, LaToya Jackson, Marlon Jackson, Randy Jackson, Tito Jackson, Waylon Jennings, Bette Midler, Jeffrey Osborne, le Pointer Sisters, Smokey Robinson e tutti i componenti dei News di Huey Lewis. Pubblicato due mesi dopo con la sigla USA for Africa, We are the world arriverà al vertice delle classifiche di tutto il mondo.


27 gennaio, 2023

27 gennaio 1967 – Luigi Tenco, una morte inutile

Alle 2:30 del 27 gennaio 1967 sul pavimento della camera n° 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo viene ritrovato il corpo senza vita del cantautore Luigi Tenco. Indossa ancora i vestiti con i quali si è esibito qualche ora prima sul palcoscenico del Festival cantando il suo brano Ciao amore ciao dedicato alla problematica dell'emigrazione interna italiana ed è immerso in un lago di sangue. La prima ad accorgersi di quanto accaduto è la cantante italofrancese Dalida, sua compagna nell’avventura festivaliera che, in preda al panico, chiede aiuto. Il più lesto ad arrivare è Lucio Dalla, che alloggia alla camera 215 dello stesso albergo. Arriva anche un medico, il dottor Franco Borelli, ma non c’è più niente da fare. Secondo la ricostruzione effettuata dalla polizia Tenco si sarebbe sparato un colpo di pistola alla tempia destra con una Walker PPK calibro 7.65 di sua proprietà. Poche ore prima la giuria del Festival di Sanremo aveva escluso dalla finale la sua canzone. Viene anche diffuso il testo di una lettera trovata accanto al corpo nel quale sarebbero spiegate le ragioni del gesto: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi». Il suo sarebbe, quindi, un gesto di protesta contro l'esclusione dalle finali e di delusione per non essere stato compreso dal pubblico italiano. Tutto chiaro? Tutt’altro. L'episodio, ricco di lati oscuri, non sarà mai interamente chiarito e molti metteranno in dubbio la versione del suicidio. Tra questi uno dei più appassionati sostenitori della necessità di rivedere un’inchiesta che appare affrettata e in alcuni passaggi poco credibile è il cronista radiotelevisivo Sandro Ciotti, grande amico di Tenco. Il Festival, però, ha fretta di seppellire l’ingombrante cantautore. Anche a nome di altri colleghi Tata Giacobetti del Quartetto Cetra chiede con un telegramma al ministro del Turismo e dello Spettacolo la sospensione del Festival di Sanremo perché la morte di Tenco sarebbe «...un’evidente conseguenza della drammatizzazione di un ambiente contagiato da fini esclusivamente commerciali». Il ministro non risponde. Non succederà niente. Il Festival continuerà come se nulla fosse accaduto.


26 gennaio, 2023

26 gennaio 1978 – Niente Buzzcocks, non stampiamo dischi immorali!

Il 26 gennaio del 1978 la ditta che dovrebbe stampare il secondo singolo dei Buzzcocks What do I get comunica alla casa discografica del gruppo di non poter rispettare l’accordo perché la legge vieta di produrre “materiale offensivo per la morale comune". La querelle riguarda il brano che dovrebbe occupare il lato B del disco, intitolato Oh, shit (Oh, merda). Immediatamente consultati, i componenti di quello che viene considerato un po’ il gruppo caposcuola del punk “morbido” si rifiutano di cambiare il testo del brano incriminato e comunicano di essere anche indisponibili a sostituirlo con un altro. Non ci sono vie d’uscita. Tra la casa discografica e la ditta incaricata di stampare i dischi inizia una controversia legale tanto rapida quanto violenta e costellata da diffide, ultimatum, appelli all’opinione pubblica e dichiarazioni d’irresponsabilità. Alla fine il disco verrà pubblicato e diventerà il primo grande successo commerciale dei Buzzcocks, la band formata un paio d’anni prima da uno studente di elettronica al Bolton Institute of Technology che si fa chiamare Pete Shelley, anche se il suo vero nome è Peter McNeish e da uno studente di filosofia che risponde al nome di Howard Devoto. I due decidono di formare un gruppo dopo aver assistito a un concerto dei Sex Pistols. Quando nasce la polemica sulla canzone offensiva per la morale Devoto ha già lasciato i compagni per seguire nuove strade (formerà i Magazine) e la band è composta, oltre che da Shelley, dal batterista John Maher, dal bassista Steve Diggle e dal chitarrista Steve Garvey. Polemiche a parte i Buzzcocks sono destinati a lasciare un segno nella fulminante e breve epopea del punk, per il loro suono brillante e cristallino, in netto contrasto con le note cupe e lancinanti di quel periodo. Anche la polemica per il brano è, in fondo, un po’ forzata, viste le canzoni del gruppo. Nonostante la crudezza del linguaggio, infatti, il loro repertorio è composto, in larga parte, da canzoni d’amore lontane anni luce dal nichilismo esasperato che sembra caratterizzare la maggioranza dei gruppi punk. Lo stesso Shelley così descriverà quel periodo qualche anno più tardi: «I Buzzcocks erano un gruppo punk con un'ambizione in più: quella di scrivere canzoni che tutti potessero sentire proprie senza filtri o forzature. Per questo non c’era nei nostri brani quella rabbia, spesso finta, che piaceva tanto ai produttori».


25 gennaio, 2023

25 gennaio 1982 – Un gruppo fuori moda?

Il Marquee Club di Londra, uno dei templi del rock britannico, ospita il 25 gennaio 1982 il primo concerto da protagonisti di una band insolita e snobbata dalla critica. Sono i Marillion, un gruppo di appassionati cultori di un genere come il rock progressivo, considerato irrimediabilmente datato nei primi anni Ottanta, un periodo in cui, a parte la new wave, l’intera produzione discografica sembra privilegiare musiche fatte per non pensare e di rapido consumo. La band, nata ad Aylesbury, è formata dal batterista Mick Pointer, dal chitarrista Steve Rothery, dal tastierista Mark Kelly, dal bassista Peter Trawavas e dal carismatico cantante Fish, all’anagrafe Derek William Dick. Proprio a quest’ultimo, in possesso di una solida formazione classica e profondamente innamorato del rock progressivo inglese della prima metà degli anni Settanta, si deve l’ispirazione e la linea musicale dei Marillion. Quando il gruppo, considerato da gran parte della critica come una sorta di “scherzo della natura” nostalgico e velleitario, arriva al Marquee non ha ancora un contratto discografico, né un manager. Può contare soltanto su una solida nicchia di appassionati che non intendono arrendersi alle mode. Nonostante le pessimistiche previsioni il locale è affollato da un gran numero di spettatori e il concerto assume i toni di una rivincita contro tutti i detrattori. Il successo dell’esibizione frutta alla band il primo, sospirato, contratto discografico con una major. È la EMI l’etichetta che decide di correre qualche rischio con un gruppo “fuori moda”. La scommessa si rivelerà vincente. Nel 1983 l'album Script for a jester's tears segnerà l’inizio di un sorprendente successo destinato a spiazzare critici e detrattori e che toccherà l’apice nel 1985 con la pubblicazione di Misplaced childhood che arriva addirittura al primo posto della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Nel frattempo anche la formazione si irrobustisce con l’arrivo di Ian Mosley, l’ex batterista dei Curved Air, al posto di Mick Pointer. Nonostante tutto la maggior parte dei critici britannici non cambierà opinione e continuerà a considerare “incomprensibile” l’exploit di Fish e compagni. Da parte sua il leader della band continuerà a provocare e sorprendere i suoi detrattori con continue incursioni nel passato fino a registrare nel 1988, in The thieving magpie una personalissima versione della Gazza ladra di Gioacchino Rossini.