21 febbraio, 2023

21 febbraio 1925 – Peckinpah, il controverso

Il 21 febbraio 1925 a Fresno, in California nasce  Sam Peckinpah, all'anagrafe David Samuel Peckinpah, uno dei più controversi e discussi registi del cinema statunitense. Pessimista sul destino del “sogno americano” nei suoi film esalta la capacità distruttiva dell’uomo e spesso ipotizza la disgregazione della società per iniziativa individuale e violenta. Definito come un “anarchico di destra” coltiva una grande nostalgia per un passato che nelle condizioni in cui l’immagina forse non è mai esistito, virile e regolato dalla forza bruta. Il suo cinema sovverte le consolatorie mitologie delle produzioni hollywoodiane proponendo storie nelle quali non esiste una scala di valori morali e dove spesso la morte è appare come l’unico elemento capace di annullare le differenze. Il western è una delle dimensioni preferite per mettere in scena le sue convinzioni. Qui, in quelli che sono stati ribattezzati “dirty western”, la sua narrazione abbandona i codici dettati da John Ford e si fa sporca e brutale raccontando il degrado e il disfacimento di un mondo e di una frontiera dove non esiste alcun futuro né per vincitori né per i vinti. Tra i più importanti film di questo genere ci sono Il mucchio selvaggio del 1969 e Pat Garrett & Billy The Kid del 1973. Fuori dalle strutture del western lascia tracce importanti e un capolavoro assoluto come Cane di paglia del 1971. Tra le curiosità è da annoverare la sua partecipazione nei panni di uno scribacchino ad Amore piombo e furore, un film western all'italiana, genere che ammirava molto. Muore d’infarto il 21 dicembre 1984 a soli cinquantanove anni senza essere riuscito a girare un film a cui teneva molto: Cukoos progress, la versione cinematografica di un romanzo dello scrittore svedese Sture Dahlström, che parla di un uomo la cui unica ambizione è ingravidare tutte le donne della terra. Le sue ceneri, per espressa volontà, vengono sparse sulle acque dell’Oceano Pacifico al largo di Malibu. Muore il 21 dicembre 1984.

20 febbraio, 2023

20 febbraio 1941 - Buffy Sainte-Marie, la folksinger nativa americana

Il 20 febbraio 1941 in una riserva indiana nella Qu'Appelle valley nel Canada centrale nasce  Buffy Sainte-Marie, una delle protagoniste della rivoluzione folk degli anni Sessanta con brani come Universal soldierCod'ine e My country' tis of thy people you're dying. La sua famiglia appartiene alle tribù native, quelle che i film western ci hanno abituato a chiamare indiani o pellirosse. Adottata dai coniugi Albert e Winifred Sainte-Marie e trascorre infanzia e adolescenza a Sabago Lake, nel Maine. Dopo essersi laureata all'Università del Massachusetts in filosofia orientale si trasferisce a New York, attratta dalla vitalità culturale del Greenwich Village e inizia a cantare nei locali off come il Gerde's, il Gaslight e il Bitter End. La grande occasione sembra arrivare quando il grande pubblico la scopre e la applaude nel festival di Newport, ma la ragazza è più impegnata a superare i non pochi problemi causati dalla sua dipendenza dalla droga che a inseguire il successo. Chiusa la brutta parentesi esistenziale si impegna attivamente nella difesa dei diritti degli indiani d'America, tema che ispira molte delle sue canzoni. Nel corso degli anni Sessanta se ne va in giro per il mondo a far concerti toccando l’Europa, l’Australia e l’Asia e pubblica anche alcuni degli album fondamentali del folk di quel periodo come It's my way!, Many a mile, Little wheel/Spin and spin, Quiet places, Native North American child: an odyssey e Fire, fleet, candlelight. Molti suoi brani diventano famosi anche nell'interpretazione di altri artisti come Universal soldier, portata in classifica da Donovan e Glenn Campbell. Nonostante il successo il music business la stanca presto. Nella seconda metà degli anni Settanta, preferisce lasciare l'ambiente musicale per lavorare in una fondazione di assistenza all'infanzia. Nel 1982, però, compone Up where be belong per la colonna sonora del film "Ufficiale e gentiluomo" che, nell'interpretazione di Joe Cocker e Jennifer Warnes, arriva al primo posto della classifica statunitense e diventa il maggior successo della sua carriera. L’exploit la convince a ritornare a comporre con maggior continuità, pur tenendosi sempre lontana dalle lusinghe dello showbusinnes.


19 febbraio, 2023

19 febbraio 1972 – Ridate l’Irlanda agli Irlandesi

Il 19 febbraio 1972 Paul McCartney pubblica con gli Wings il singolo Give Ireland back to the Irish (Ridate l’Irlanda agli Irlandesi). Il “belloccio” dei Beatles, simbolo del disimpegno e da sempre contrapposto al politicizzato John Lennon, interpreta un brano che ferisce la coscienza pelosa dell’Inghilterra conservatrice. Scritta di getto e registrata in meno di due settimane, la canzone denuncia una delle pagine più vergognose della politica britannica nell’Ulster, l’Irlanda del Nord, passata alla storia come “Bloody sunday” (domenica di sangue). Oggetto dell’indignazione dell’ex Beatle è un fatto accaduto diciannove giorni prima, il 30 gennaio 1972, quando a Derry quindicimila persone, in grandissima maggioranza cattolici, marciano chiedendo maggior democrazia. Nell’Irlanda del Nord, in quel periodo, si vota infatti “per censo”, cioè il voto di chi è più ricco conta di più. I cattolici, esclusi dal potere economico, manifestano per rivendicare una delle più elementari regole della democrazia: “una testa, un voto”. Già che ci sono, poi, cercano di far capire che non ne possono più nemmeno delle vessazioni della Ruc, la polizia nordirlandese, protestante e unionista. Il corteo è pacifico e mescola bambini, ragazzi, ragazze, donne, uomini, vecchi e sta concludendosi a Free Derry Corner, dove è previsto un comizio di Bernadette Devlin, la popolare leader cattolica nordirlandese. Proprio mentre sta per parlare la folla viene assalita da paracadutisti inglesi in assetto di guerra. L’aggressione è premeditata. I militari, che hanno l’ordine di sparare per uccidere inseguono e giustiziano sommariamente chiunque capiti loro tra le mani. Sul terreno restano quattordici morti e sedici feriti, tutti civili inermi. Gli assassini in divisa sono comandati dal colonnello Michael Jackson, che quasi trent’anni dopo tornerà all’onore delle cronache come comandante della Nato in Kosovo. La strage suscita orrore, ma gli inglesi, forti della loro esperienza coloniale, sanno che il tempo e il silenzio sono alleati. Presto il mondo dimenticherà. Quando Paul McCartney pubblica il suo disco ci rimangono male. La sua popolarità è tale da compromettere i piani di normalizzazione. Anche contro di lui si scatena la repressione, sia pure in guanti di seta: la canzone viene esclusa dalla programmazione della BBC e stroncata dalla critica. All’ex Beatle dal cuore di coniglio basta così. Spaventato dalle reazioni e preoccupato per il suo ruolo, tornerà alle solite canzoncine senza contenuto che l’hanno reso celebre.


18 febbraio, 2023

18 febbraio 1922 - Hazy Osterwald, quello di "Kriminaltango"

Il 18 febbraio 1922 nasce a Berna il trombettista e direttore d'orchestra Hazy Osterwald. Il suo vero cognome è Osterwalder e suo padre è Adolf Josef Felix Osterwalder, uno dei componenti della quadra nazionale di calcio elvetica. Appassionato di musica frequenta il Conservatorio di Berna e prima ancora di diventare maggiorenne scrive numerosi arrangiamenti per vari musicisti, in particolare per Teddy Stauffer. Dal 1941 ottiene vari ingaggi nelle orchestre svizzere più popolari di quel periodo, come quelle di Fred Böhler, Edmond Cohanier e Walter Baumgartner. In qualche caso si esibisce anche come tromba solista. Nel 1944 forma il suo primo gruppo che ben presto trasforma in una grande orchestra con l'apporto di musicisti come Ernst Höllerhagen, Stuff Combe, Eric Brooke, Geo Voumard e altri. Dopo il declino delle grandi orchestre jazzistiche, nel 1949 dà vita all'Hazy Osterwald Sextett, che debutta al festival del jazz di Parigi del 1949 e con il quale riscuote un grande successo internazionale. Tra i suoi brani più conosciuti c'è Kriminaltango inciso per la prima volta nel 1959 e divenuto un successo mondiale. Muore a Berna il 26 febbraio 2012.


17 febbraio, 2023

17 febbraio 1986 – Con i Sigue Sigue Sputnick la seconda truffa non riesce

Il 17 febbraio 1986 viene distribuito nei negozi britannici Love missile F1-11, il primo singolo dei Sigue Sigue Sputnick, una band sconosciuta che ha il suo leader in Tommy James, ex chitarrista dei Chelsea e dei Generation X. Preceduto da una martellante campagna promozionale il disco è già ai vertici delle classifiche di vendita soltanto con le prenotazioni. L’invasione di gadget, anticipazioni, foto del gruppo, presentato come il simbolo dei “ribelli degli anni Ottanta” prima ancora di aver suonato una sola nota, non convince i giornalisti più sperimentati cui sembra di assistere a un “deja vu”. Nonostante siano passati una decina d’anni è ancora vivo il ricordo della colossale operazione commerciale costellata di provocazioni vere e finte e orchestrata dal manager Malcom McLaren per sfruttare l’immagine dei Sex Pistols. L’ombra di quella che è passata alla storia come “La grande truffa del rock and roll” inizia ad aleggiare, sempre più insistente, sui Sigue Sigue Sputnick. Sentendo puzza di bruciato alcune riviste musicali sguinzagliano i loro migliori segugi sulle tracce della band. Si scopre così che la EMI ha concesso a Tommy James e ai suoi compagni un compenso miliardario, inusuale per una band al primo disco. Ci si chiede perché, si denuncia l’operazione commerciale e si parla di “gruppo nato a tavolino", con il risultato di alimentare ulteriormente la già ricca campagna promozionale. Pur non volendolo, i giornalisti sono caduti nella trappola dello stesso sistema già sperimentato con i Sex Pistols: portare all’eccesso la comunicazione sul gruppo facendone lievitare il valore indipendentemente dalla produzione musicale. A differenza di dieci anni prima, questa volta, però, non funzionerà. Il pubblico degli anni Ottanta, abituato a consumare le mode più rapidamente di quanto non facessero i suoi fratelli maggiori, non abbocca per molto tempo all’amo della provocazione. Flaunt it, il primo album della band, pur pubblicato a breve distanza dal singolo, fatica a guadagnare le prime posizioni delle classifiche di vendita. Al primo cedimento segue poi la sostanziale disfatta dell’operazione, che, alla lunga, finisce per ottenere risultati commerciali decisamente modesti. I Sigue Sigue Sputnick si scioglieranno nel 1989 dopo tre anni senza infamia né lode. Non diventeranno il simbolo di nessuna generazione e nessuno potrà dire di aver truffato per la seconda volta il pubblico del rock.


16 febbraio, 2023

16 febbraio 1945 – Pete Christlieb: l'anima non è prigioniera di un genere musicale

Il 16 febbraio 1945 nasce a Los Angeles, in California, il sassofonista Pete Christlieb. Figlio del maestro di fagotto Don Christlieb, si può dire che respiri musica fin dalle prime ore di vita. A sette anni inizia a studiare violino, strumento che lascia per il sax dopo essere stato folgorato dall’ascolto di Gerry Mulligan. Il padre accetta il suo amore per il jazz purché continui gli studi. Nel 1957, a soli dodici anni, vince una borsa di studio per studiare al Valley College di Akron, nell’Ohio. Lontano da casa e fuori dall’autorità del severo genitore, fugge dal College dopo poche settimane per aggregarsi all’orchestra di Si Zentner. Inizia così la carriera di uno dei più dotati e poliedrici sassofonisti degli anni Settanta e Ottanta. Geniale e ribelle rifugge dalla standardizzazione e non si lascia imprigionare da un genere. Alterna l’impegno in jazz band di grande livello, come quelle di Chet Baker e Woody Herman, a esperienze come session man in concerto e negli studi di registrazione. Tra le sue performance c’è anche un filmato televisivo in cui accompagna Elvis Presley. Il suo nome figura in alcuni tra i migliori dischi del gruppo diretto dal batterista Louis Bellson, come Break through, Explosion o Sunshine rock. Instancabile e innamorato del suo strumento, alla fine degli anni Sessanta non disdegna di partecipare a spettacoli televisivi delle popstar di quel periodo. «So di dire una stupidaggine, ma io amo la musica. Non potrei immaginare la mia vita senza di lei, è la mia droga. Ringrazio il destino per avermi permesso di vivere di musica». Non si cura di tutelare la propria immagine. Crea un proprio quintetto jazz con il vibrafonista Charlie Shoemake, il pianista Terry Trotter, il bassista Harvey Newmark e il batterista Steve Schaffer, ma non rinuncia al lavoro di studio con personaggi come Doc Severinsen, Freddie Hubbard, Pat Williams, Tom Waits e Quincy Jones. A chi gli chiede la ragione di questo continuo alternarsi tra generi commerciali e musiche più impegnate lui risponde, serafico: «La musica è solo musica e basta. Jazz, pop, rock, blues, sono nomi che indicano, in fondo, la stessa cosa: una lunga serie di note messe in fila e destinate a produrre dei suoni. È l’anima dello strumentista che dà loro vita, non l’etichetta… e l’anima non è prigioniera di un genere musicale».



15 febbraio, 2023

15 febbraio 1981 – La misteriosa fine di Mike Bloomfield

È la mattina del 15 febbraio 1981, domenica. Nella zona di Forest Hills, a San Francisco, è parcheggiata una Mercury beige del 1971. Uno dei rari passanti nota che sul sedile posteriore c'è il corpo d'un uomo apparentemente addormentato. I vetri limpidi e non appannati fanno pensare all'assenza di respirazione. Preoccupato, il passante picchia sui vetri nel tentativo di richiamare l'attenzione dello sconosciuto, ma non ottiene alcuna risposta. Dà l'allarme e in breve tempo, come nella scena di un film, arriva un'auto della polizia, un'ambulanza e un mezzo dei vigili del fuoco. Dopo aver forzato la serratura i soccorritori scoprono che l'uomo sul sedile posteriore è morto. Accanto al cadavere c’è una boccetta di barbiturici, quasi a indicare un riuscito tentativo di suicidio. Lo sconosciuto ha un volto noto. È quello del bluesman Mike Bloomfield, uno dei chitarristi più rappresentativi del blues bianco di Chicago. La notizia della sua morte, battuta dalle agenzie di stampa, fa il giro del mondo. La tesi del suicidio, a prima vista considerata inequivocabile, viene progressivamente messa in dubbio. L'autopsia attribuisce la morte del chitarrista a un micidiale cocktail di alcool, barbiturici e sostanze varie. Restano i dubbi sulla dinamica e sulle circostanze, ma l'indagine ufficiale si chiude rapidamente non sciogliendo il dilemma tra suicidio e fatalità. Ben presto emerge, però, un'altra più inquietante ipotesi. Un'inchiesta giornalistica, meno disposta a cedere alle pressioni dello show business, mette in dubbio che il cantante sia morto nella sua auto. Chi si sarebbe preso la briga, però, di costruire la messinscena del suicidio? E per coprire chi? Tra pressioni, minacce e pentimenti vari le ricerche dei cronisti finiscono per far trapelare uno scenario completamente diverso da quello descritto nelle versioni ufficiali. In sostanza, Mike Bloomfield sarebbe morto all’alba in una villa privata durante una festa cui avrebbero partecipato musicisti, discografici e varie "persone importanti" del mondo politico ed economico di San Francisco. Preoccupati dal coinvolgimento in uno scandalo degli illustri partecipanti al party, gli organizzatori avrebbero provveduto a trasportarne il corpo a Forest Hills imbastendo poi il finto suicidio. La ricostruzione farà scalpore, ma di fronte al muro di gomma delle autorità, non avrà seguito mentre i personaggi citati si guarderanno bene dallo sporgere querela contro i giornalisti.


14 febbraio, 2023

14 febbraio 1946 - Tina Aumont, la figlia di Maria Montez

Il 14 febbraio 1946 nasce a Hollywood Tina Aumont, una delle protagoniste della scena cinematografica italiana degli anni Sessanta e Settanta. Maria Christina Aumont, questo è il suo vero nome, è figlia d'arte. Sua madre è l'attrice Maria Montez, che muore quando la piccola ha appena cinque anni mentre il padre è l'attore francese Jean Pierre Aumont. Il suo debutto cinematografico avviene nel 1966 con il nome di Tina Marquand preso in prestito da un marito, l'attore francese Christian Marquand, sposato a diciassette anni e perso per strada ben presto. La sua prima esperienza nel cinema è nel divertente "Modesty Blaise", un film di Joseph Losey ispirato a una famosa serie di fumetti con Monica Vitti nel ruolo della protagonista. L'anno dopo Alberto Sordi le offre il ruolo di Romina nella commedia "Scusi, lei è favorevole o contrario?", un film interpretato e diretto dallo stesso Sordi e sceneggiato da un giovanissimo Dario Argento. Nel 1968, con il nome di Tina Aumont è Circe nel "Satyricon" diretto da Gian Luigi Polidoro. Proprio in quell'anno Bernardo Bertolucci la chiama per interpretare il ruolo della protagonista in "Partner", sui segue "Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano" di Luigi Comencini e sceneggiato dallo stesso Comencini con Suso Cecchi d´Amico. Nel 1969 recita accanto a Vittorio Gassman e Adolfo Celi in "L'alibi" e nel 1970 interpreta con Gigi Proietti "L'urlo" di Tinto Brass. Nel 1972 è la volta di Alberto Lattuada che le affida una parte in "Bianco, rosso e..." con Sophia Loren e Adriano Celentano e nel 1973 interpreta Luciana in "Malizia" di Salvatore Samperi. Nel 1976 Roberto Rossellini le affida il ruolo dell'adultera in "Il Messia" e Federico Fellini la vuole nel suo "Casanova". All'inizio degli anni Ottanta lascia l'Italia e se ne va in Francia non accettando più alcuna offerta dal cinema del nostro paese. L'ultimo film interpretato è del 2000. Si intitola "La mécanique des femmes" ed è diretto da Jérôme de Missolz. Il 28 ottobre 2006 muore d'embolia polmonare a Port-Vendres. 

13 febbraio, 2023

13 febbraio 1962 – Con la bossa nova il samba incontra il jazz

Il 13 febbraio 1962 Charlie Byrd, allievo di Django Reinhardt e di André Segovia, pubblica Jazz Samba insieme a un altro famoso jazzista, Stan Getz. L’album segna la definitiva affermazione di un genere, la Bossa Nova, frutto della contaminazione tra il jazz nordamericano e i ritmi del samba brasiliano. Charlie Byrd e Stan Getz verranno salutati come gli "inventori" di un genere innovativo che rompe il muro della divisione artificiale tra musica "colta" e "popolare". In realtà entrambi i musicisti sono consapevoli di non poter rivendicare alcuna primogenitura. La loro opera, pur preziosa e originale, si inserisce nella scia di un grande rinnovamento musicale iniziato qualche anno prima cui stanno dando un grande contributo moltissimi musicisti, primi fra tutti i brasiliani. Lo stesso nome Bossa Nova (che in brasiliano significa "cosa nuova" o "moda nuova" è preso a prestito da uno dei brani riconosciuti ancora oggi come fondativi dello stile omonimo. Si tratta di Desafinado, composto da Antonio Carlos Jobim in collaborazione con il poeta Vinicius De Moraes, e inserito da João Gilberto nell'album Chega de saudade, pubblicato nel 1959 per la Odeon, definito dalla critica "uno strano brano d’atmosfera che lega jazz e samba". La canzone è una sorta di manifesto stilistico in cui compare per la prima volta il termine "bossa nova": «se você insiste em classificar/meu comportamento de antimusical/eu mesmo mentido devo argumentar/que isto è bossa nova/que isto è muito natural». Il brano entrerà nel repertorio di un gran numero di gruppi jazz con il titolo di No more blues. L'album di Stan Getz e del chitarrista Charlie Byrd rappresenta dunque la consacrazione ufficiale nel mondo jazzistico statunitense di questo stile. Da quel momento la bossa nova diviene una vera e propria moda, coinvolgendo musicisti di grande valore come Coleman Hawkins, Sonny Rollins, Cannonball Adderley, Quincy Jones e, soprattutto, Dizzy Gillespie che non l’abbandonerà più. Nessuno, però, tenterà di appropriarsi della primogenitura né metterà in discussione i meriti dei veri creatori. Lo stesso Antonio Carlos Jobim, universalmente riconosciuto come uno dei principali maestri di questo stile, si troverà a vivere momenti di inaspettata popolarità e i brani da lui scritti diventeranno merce preziosa per moltissimi interpreti di ogni parte del mondo.


12 febbraio, 2023

12 febbraio 1914 – Tex Beneke, il sassofono di Glenn Miller

Il 12 febbraio 1914 a Forth Worth, in Texas, nasce il sassofonista Gordon Beneke che, proprio in omaggio al suo stato d’origine, prenderà il nome d’arte di Tex. Strumentista precoce e molto dotato, ha da poco compiuto i vent’anni quando entra a far parte della formazione di Ben Young, una delle orchestre più popolari degli Stati Uniti negli anni Trenta. In breve tempo la sua fama si diffonde in tutto il paese tanto che, nel 1938, Glenn Miller lo vuole con sé. Il compositore ne ha intuito le potenzialità e intende farne l’elemento di spicco della sua grande orchestra. Non si sbaglia. A Tex bastano pochi mesi per diventare, con i suoi interventi solistici, la vedette di una delle più straordinarie formazioni musicali di quel periodo. Molti suoi assoli entrano a far parte della storia della musica. Il più conosciuto è quello di In the mood, il brano registrato dall’orchestra di Glenn Miller nel 1939 per la colonna sonora del film “Serenata a Vallechiara” e destinato a far da sottofondo musicale alla liberazione dell’Europa dal nazismo. All’inizio degli anni Quaranta viene premiato per ben due volte consecutive dalla critica come il miglior sassofono tenore del mondo e nel 1941 partecipa a una leggendaria seduta di registrazione con la Metronome All Stars Band, il gruppo che schiera i migliori strumentisti jazz di quel periodo, da Harry James a Cootie Williams, Tommy Dorsey, Benny Goodman, Benny Carter, Coleman Hawkins, Count Basie, Charlie Cristian e Buddy Rich, solo per citarne alcuni. Il brano One o’ clock jamp, registrato nell’occasione e ancora oggi ambita preda dei collezionisti, è una dimostrazione delle sue qualità solistiche, ma, soprattutto, di quella carica swing che è un po’ la sua caratteristica fondamentale. Nel dopoguerra, scomparso Glenn Miller, in molti chiedono proprio a Tex Beneke di raccoglierne l’eredità e lui non si fa pregare. Cerca i suoi vecchi compagni, li coinvolge nel progetto e rimette insieme quello che resta della formazione dei primi anni Quaranta. Copre poi i posti rimasti vacanti con musicisti di livello adeguato e lascia inalterato l’antico nome. Ridà così vita alla Glenn Miller Orchestra. Pur rivelandosi un buon leader perderà però in originalità e in freschezza e per molti anni rifarà all’infinito se stesso sfruttando la popolarità del nome del suo primo scopritore.


11 febbraio, 2023

11 febbraio 1979 – Stiff Little Fingers, una promessa non mantenuta

L’11 febbraio 1979 la band nordirlandese degli Stiff Little Fingers pubblica il suo primo album Inflammable material. In molti scommettono sulle rapide fortune del gruppo formatosi quasi per caso nell’estate del 1977 a Belfast per iniziativa del chitarrista Jack Burns e del batterista Brian Faloon. I due completano la formazione con l’altro chitarrista Henry Cluney e il bassista Ali McMordie. Indecisi sul nome da darsi, optano infine per Stiff Little Fingers in omaggio a un brano del loro gruppo preferito, i Vibrators. Incendiari e potenti soprattutto dal vivo, nei primi mesi del 1978 attirano l’attenzione di Gordon Ogilvie e Colin McCelland, due giornalisti e autori molto conosciuti nell’ambiente musicale britannico. Decisivo per la loro carriera è però l’incontro con John Peel, il più popolare conduttore musicale della BBC, titolare di una trasmissione radiofonica che ha ospitato tutte le migliori band della storia del rock, Beatles compresi. Un po’ per la stima e l’appoggio esplicito di cui godono da parte di tre personaggi così famosi, un po’ perché davvero gli Stiff Little Fingers ci sanno fare in concerto, quando viene pubblicato il loro primo album il giudizio della critica è entusiastico. In realtà il disco evidenzia alcune scollature nell’intesa tra i suoi componenti che preludono all’abbandono di uno dei due fondatori, il batterista Faloon, che viene sostituito da Jim Reilly. Dopo un paio d’anni d’attività e la pubblicazione di altri tre album la band è ancora considerata una delle “migliori promesse” della musica britannica, quando, nel 1981 anche Reilly se ne va. Nel tentativo di rendere più maturo e solido l’impianto del gruppo viene chiamato Dolphin Taylor, già batterista della Tom Robinson Band. L’esperimento non riesce. Dopo il deludente album Now then la band, ormai divenuta l’eterna promessa mai mantenuta del rock britannico chiude i battenti, mentre ciascuno dei componenti si impegna in un nuovo progetto: Burns forma i Big Wheels, McMordie suona con i Fiction Groove e collabora al primo album di Sinead O'Connor; mentre Taylor torna con Tom Robinson. Dopo lo scioglimento, però, il lavoro della band verrà progressivamente rivalutato e sull’onda della nostalgia, nel 1990 gli Stiff Little Fingers si riformeranno con l'ex bassista dei Jam Bruce Foxton al posto di McMordie.


10 febbraio, 2023

10 febbraio 1937 – Ed Polcer, dallo xilofono alla tromba

Il 10 febbraio 1937 nasce a Paterson, nel New Jersey, il trombettista Ed Polcer. La sua è una famiglia di musicisti. Il padre suona la tromba nelle polka bands, le orchestrine dei balli popolari, con suo zio Mickey, abilissimo al trombone. Lui impara fin da piccolo a suonare lo xilofono e a sei anni è si esibisce negli spettacoli di piazza in una sorta di "duo prodigio" con la sorellina di quattro anni: lui suona il suo xilofono e lei canta. Il suo vero sogno è, però, quello di affiancare papà alla tromba. Quando compie nove anni i suoi genitori l'accontentano. Il suo primo insegnante di tromba è un professore di nome James V. Dittamo che abita a Prospect Parl, sempre nel New Jersey. Studia con lui per tre anni, poi comincia a sentirsi pronto a suonare in pubblico. A tredici anni è la tromba solista della Paterson Civic Band, ma, quello che per lui conta di più, è anche la seconda tromba della polka band di suo padre. La sua carriera musicale procede di pari passo con gli studi. Nel periodo in cui frequenta le scuole superiori suona con i Walt Lawrence’s Knights Of Dixieland e quando, nel 1954, entra all'Università di Princeton è ormai uno strumentista conosciutissimo. In quell'anno ha l’opportunità di sostituire John Dengler negli Stan Rubin’s Tigertown Five, con i quali resta fino alla laurea in Ingegneria Meccanica. Libero dai vincoli dello studio si trasferisce a Manhattan dove divide una soffitta con il trombonista Dick Rath e con il pianista Don Coates. L'area di New York è il suo mondo. Qui diventa uno dei re della notte dei locali jazz dove tira l'alba senza distinguere troppo tra una jam session per divertimento e un ingaggio remunerato. Non gli cambia la vita neppure il servizio di leva visto che dopo essere stato arruolato in aeronautica viene destinato alla sede di Westhampton Beach, a Long Island. Di giorno porta la divisa e la sera suona. Chiusa la parentesi in divisa riprende a vagabondare come al solito senza preoccuparsi più di tanto della carriera. Negli anni Sessanta fatica a mantenere legami stabili con le band e, se si eccettua un intero anno con i Crescent City Five di Andy Mormile al Metropole, il suo unico lavoro è quello di sostituire i musicisti nei locali di Jimmy Ryan ed Eddie Condon. Nel 1969, finalmente, si unisce ai Balaban & Cats con i quali resterà a lungo senza rinunciare a fare esperienze con altri gruppi, come il sestetto di Benny Goodman o con i World Of Jelly Roll Morton di Bob Green.


09 febbraio, 2023

9 febbraio 1989 – Maria Benedetti Giannini, il primo concerto a settantasei anni

Il 9 febbraio 1989 a Bellaria, in Romagna, si esibisce in per la prima volta in un vero e proprio concerto la cantautrice Maria Benedetti Giannini, una delle figure più straordinarie della musica popolare romagnola. Ha settantasei anni e una vita di lavoro dietro alle spalle. Le fanno da padrini due tra i più famosi gruppi di musica popolare: l'Uva Grisa e La Macina. La "ragazza" è molto emozionata, anche perché non è facile per nessuno scegliere la propria città per il debutto sul palco e Bellaria è un po' la sua città d'adozione. Qui Maria, pur essendo nata a Santa Giustina di Rimini, dopo aver lavorato a lungo come bracciante agricola, ha trovato il modo di sbarcare il lunario con vari lavori stagionali nel settore alberghiero. La musica, o meglio, il canto popolare sono la vera passione della sua vita. Dotata di una memoria prodigiosa e di una splendida voce si diverte a cantare per chiunque voglia ascoltarla fino al 1986 quando, settantatreenne, viene "adottata" da L'Uva Grisa, un gruppo di canto popolare che raccoglie le testimonianze musicali di anziani informatori. Inizialmente trattata come una delle tante "informatrici" dai componenti del gruppo finisce per divenirne una collaboratrice preziosa e una sorta di portafortuna. Quando le propongono di esibirsi in concerto Maria tentenna, cerca di svicolare. Messa alle strette spiega che ha un po' paura a cantare in un vero e proprio concerto: «un conto è dare il la a qualche canzone in compagnia, un altro è cantare davanti a tutta quella gente che ti guarda». Alla fine cede, anche perché confortata dal fatto di non essere l'unica attrazione della serata. Con lei si esibisce, infatti, oltre ai suoi amici de L'Uva Grisa, anche il gruppo di canto popolare La Macina, fondato a Jesi da un apostolo della ricerca sulla canzone marchigiana come Gastone Pietrucci. Quando "la Maria" arriva sul palco la gente di Bellaria, che la conosce, la ama e la stima, le tributa un lunghissimo applauso. Sembra non finire più, ma Maria Benedetti Giannini è concentrata. Guarda fissa davanti a sé, forse per evitare il contatto diretto con così tanta gente, e attacca a cantare. La sua voce si alza forte, come se l'impianto d'amplificazione non fosse necessario. Al termine dell'esibizione viene sommersa dagli applausi e dalle ovazioni. I musicisti de L'Uva Grisa e La Macina, con gli occhi lucidi, le fanno corona. Non stanno nella pelle e hanno ragione. Anche per merito loro quella sera a Bellaria è nata una stella di settantasei anni.

08 febbraio, 2023

8 febbraio 1975 – Dr. Feelgood, il profumo dei Sessanta

L'8 febbraio 1975 i Dr. Feelgood pubblicano il loro primo album Down by the Jetty irrompendo così, con il loro sound anni Sessanta, in una scena musicale confusa e attraversata da grandi cambiamenti, pur se ancora impregnata dalle atmosfere del rock progressivo. La band, che ha i suoi personaggi più rappresentativi nel chitarrista Wilko Johnson e nel batterista "The Big" Figure, all'anagrafe Martin Figure, nasce nel 1971 con una formazione che comprende anche il cantante e armonicista Lee Brilleaux e il bassista John B. Sparks. La loro cristallina impostazione rock and roll, con potenti sfumature che attingono al rock blues britannico degli anni Sessanta si mantiene ben distinta dalle sonorità di quel periodo ma non si lascia catturare dalla trappola della nostalgia. Per farsi le ossa i Dr. Feelgood si sottopongono di buon grado a una lunga gavetta nei locali come gruppo d'accompagnamento di Heinz Burt, l'ex bassista dei Tornados, una delle band di rock and roll strumentale più famose prima dell'arrivo dei Beatles. Recuperata la loro autonomia ottengono nel 1974 il loro primo contratto discografico. La pubblicazione dell'album Down by the Jetty viene accolta bene sia dal pubblico che dalla critica. Quest'ultima vede nel lavoro dei Dr. Feelgood un recupero importante del rock primitivo in un momento di grande confusione musicale, anche se gli entusiasmi sono un po' eccessivi se si pensa che c'è chi non esita a definirli "i nuovi Rolling Stones". Sull'onda del successo vedrà rapidamente la luce un secondo album e, poi un terzo, Stupidity, registrato interamente dal vivo. Proprio quest'ultimo è ancora oggi considerato la miglior testimonianza della potenza scenica e dell'equilibrio sonoro della band nelle esibizioni dal vivo. Nonostante tutto il gruppo non reggerà a lungo il peso della popolarità e le tensioni conseguenti. I primi problemi emergeranno nel 1977 quando, in seguito a contrasti insorti durante la registrazione di Sneakin' suspicion, uno dei due personaggi più rappresentativi della band, Wilko Johnson, se ne andrà. La sua perdita non significherà la fine dei Dr. Feelgood, ma rappresenterà un duro colpo per il gruppo. Pur continuando con lo stesso stile, la stessa musica e la stessa potenza, la band perderà in forza e in efficacia scenica. Gli album successivi avranno il segno di una continuità progressivamente più stanca che assomiglierà sempre più a un'infinita ripetizione di una formula vuota.


07 febbraio, 2023

7 febbraio 1948 – Red McKenzie, uno dei cantanti più dotati e originali della scena jazzistica degli anni Venti e Trenta

Il 7 febbraio 1948 a New York la passione per l'alcool e un'inesorabile cirrosi epatica si portano via il quarantottenne Red McKenzie, all’anagrafe William McKenzie, uno dei cantanti più dotati e originali della scena jazzistica degli anni Venti e Trenta. Nato a St. Louis, nel Missouri, si trasferisce successivamente a Washington al seguito dei genitori. La capitale non gli piace e quando, adolescente, resta orfano torna nella sua città dove conosce tutti e trova sempre un modo per arrangiarsi. Si adatta a fare vari mestieri, dal lustrascarpe al fantino, fino a quando scopre che la musica, il suo hobby più amato, può diventare un lavoro. Dopo qualche esperienza minore, nel 1923 dà vita alla formazione dei Mound City Blue Blowers con i quali gira per qualche anno scavalcando anche l'oceano per esibirsi a Londra. Chiusa quell'esperienza lavora con vari artisti prima di partecipare, tra il 1927 e il 1928, a una lunga serie di registrazioni pubblicate con il nome di Red McKenzie & Condon’s Chicagoans o Chicago Rhythm Kings destinate a restare nella storia del jazz "stile Chicago". Dal 1929 al 1931 recupera il nome di Mound City Blue Blowers per pubblicare una serie di dischi a cui partecipano molti jazzisti di primo piano come Coleman Hawkins e Jack Teagarden. Dal 1932 al 1935 diventa il cantante della band di Paul Whiteman senza rinunciare, però, a realizzare progetti diversi e vari dischi, sempre circondato dai migliori musicisti. Deciso a dare un po' di tranquillità alla sua vita, nel 1935 prende la gestione di un locale a New York nella 52a Strada. La morte della moglie, cui è molto legato, lo annichilisce. Cerca rifugio nell'alcol, torna nella "sua" St. Louis e dimentica quasi del tutto la musica. Periodicamente cede alle insistenze di qualche vecchio amico tornando a esibirsi, ma le sempre più precarie condizioni di salute e l'amicizia con la bottiglia gli impediscono di mantenere gli impegni. Per guadagnare qualche spicciolo si accontenta di lavorare in una fabbrica di birra dove lavora "a giornata" quando è lucido e ha bisogno di soldi. Nel 1944 fa la sua ultima apparizione in pubblico come cantante. Ripulito e tirato a lucido si esibisce in uno dei concerti della band del suo amico Eddie Condon alla Town Hall di New York. Gli ultimi anni della sua vita sono dolorosi e disperati per il costante aggravamento delle condizioni di salute. Con lui scompare, oltre che una figura di grande rilievo della scena jazzistica, un generoso scopritore di talenti.


06 febbraio, 2023

6 febbraio 1982 – La svolta politica dei Kraftwerk

Il 6 febbraio 1982 il gruppo techno-pop tedesco dei Kraftwerk arriva al primo posto della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna con il singolo contenente i brani The model e Computer love estratti dal concept-album Computerworld. La struttura della band affonda le sue radici creative e musicali nel duo formato dai tedeschi Ralf Hütter e Florian Shneider Esleben, due strumentisti con una solida formazione classica, cui si sono aggiunti i percussionisti Wolfgang Flur e Karl Bartos. Dopo un periodo di silenzio di tre anni, dedicato alla ristrutturazione della loro fucina creativa, il Kling Klang Studio, i Kraftwerk riappaiono così sulla scena musicale con l'album più politico della loro storia musicale. Anticipando i tempi della futura globalizzazione denunciano esplicitamente l'utilizzo del computer a scopi di controllo da parte di organizzazioni come l'Interpol, la Deutsche Bank, l'FBI e Scotland Yard. È evidente nell'impostazione complessiva dei brani l'influsso della lezione di Orwell e del suo "grande fratello". Ciò che più stupisce gli ascoltatori distratti è, però, l'improvvisa politicizzazione di un genere, come il techno pop, nato all'insegna di una sperimentalità astratta, talvolta danzereccia, quasi sempre indifferente ai ragionamenti politico-sociali. La scelta non stupisce, invece, chi conosce da tempo il lavoro di Ralf Hütter e Florian Shneider Esleben, iniziato nei primi anni Settanta quando molti gruppi arricchiscono le loro potenzialità sonore con l'uso dei sintetizzatori. In quel periodo i due strumentisti, affascinati dalle sperimentazioni dei Pink Floyd e dei Tangerine Dream formano, con i percussionisti Basil Hammoudi, Butch Haufe e Fred Monicks, gli Organisation, una band dalla vita breve che cerca di trasferire su vinile le atmosfere cupe e grigie della città di Düsseldorf, dove vivono. La sperimentazione si sposa già allora con la critica sociale e con un'ironia glaciale e caustica. In questa prospettiva Computerworld diventa il frutto di un'elaborazione progressiva che non ha mai sposato l'idea di una sperimentalità fine a se stessa. A riprova di ciò, nel 1983 i Kraftwerk saranno protagonisti di un'altra operazione demistificatoria, questa volta nei confronti del music business. Annunceranno la pubblicazione di un album intitolato Tecno pop, anticipandone i contenuti e le linee fondamentali e provocando un dibattito sul niente destinato a chiudersi soltanto quando si scoprirà che… l'anticipazione era falsa.


05 febbraio, 2023

5 febbraio 1966 – State attenti, perché sono un Berretto Verde!

All’inizio del 1966 negli Stati Uniti inizia a crescere l’ondata della contestazione giovanile, soprattutto studentesca, nei confronti del sistema, contro il razzismo e per i diritti civili. Da qualche tempo si sta facendo più corposa anche la protesta contro la guerra nel Vietnam e si moltiplicano le voci di chi vorrebbe un immediato ritiro delle truppe impegnate nel paese asiatico. Quasi a smentire il dissenso, il 5 febbraio 1966 arriva al primo posto della classifica dei singoli più venduti la canzone The ballad of the Green Berets, (La ballata dei Berretti Verdi) una canzone di stampo militarista interpretata da un ex marine con all’attivo una lunga permanenza in Vietnam, il Sergente Barry Sadler. Il brano è destinato a restare al vertice per oltre tre mesi. Il suo successo viene vissuto come una sorta di rassicurante rivincita da parte dell’opinione pubblica più conservatrice e alcuni giornali sottolineano come l’exploit del Sergente Sadler sia la risposta dell'America più sana e patriottica contro la disgregazione delle tradizioni e della struttura sociale. Non manca chi parla anche di “sano recupero dei valori della musica tradizionale” e di “ingloriosa conclusione della parabola discendente del rock, un genere che ha fatto, fortunatamente, il suo tempo”. L’euforia dura poco, anche perché la risposta dei settori più progressisti del mondo musicale non si fa attendere. Un mese dopo, a marzo, Bob Seger e gli Omens pubblicano, con lo pseudonimo di Beach Bums, un singolo satirico intitolato The ballad of Yellow Berets (La ballata dei Berretti Gialli) che mette in ridicolo l’impostazione patriottico-militarista del brano di Sadler. Cantata in coro nelle manifestazioni e trasmessa dalle radio più progressiste, la canzone diventa popolarissima. L’ironia colpisce duro e sull’ex marine canterino si stenderà il velo dell’oblio, almeno dal punto di vista artistico, perché la cronaca tornerà a occuparsi di lui in un paio d’occasioni. La prima sarà nel dicembre 1978 quando la polizia di Nashville lo coinvolgerà nelle indagini relative a una misteriosa sparatoria nella quale trova la morte il cantautore Lee Bellamy. Nel 1981, invece, verrà accusato da un suo socio di affari di aver chiuso una discussione a colpi di pistola. In giudizio protesterà la propria innocenza davanti al giudice dichiarando «È ovvio che le sue accuse sono false. È vivo! Sono un berretto verde e se gli avessi sparato ora sarebbe morto».


04 febbraio, 2023

4 febbraio 1956 - Il primo disco dei Famous Flame

Il 4 febbraio 1956 i Famous Flame registrano il loro primo disco. Il gruppo, scoperto per caso da Clint Bradley, il manager di Little Richard, da tempo tenta senza successo di trovare spazio sulla scena musicale statunitense. Bradley è impressionato dalla forza e dall'impatto scenico del cantante della band che si chiama James Brown. Dopo una lunga serie di delusioni riesce finamente a ottenere una scrittura dall'etichetta King/Federal Records. Così, il 4 febbraio 1956, a Cincinnati, la band registra Please, please, please il suo singolo d'esordio. Il 45 giri riesce ad arrivare nella Top ten della classifica di rhythm and blues e contribuisce ad accrescere la popolarità di James Brown. Dopo l'esplosivo successo di Please, please, please nessuno può immaginare che Brown e i suoi compagni d'avventura possano fallire i colpi successivi. Eppure i nove dischi che dal giugno 1956 al maggio 1958 seguono il fortunato singolo d'esordio si rivelano dei fiaschi. Scoraggiata dall'insuccesso la prima formazione dei Famous Flames si scioglie all'inizio del 1957 e prima della fine dell'anno Syd Nathan della King/Federal Records annulla il contratto discografico. Il caparbio James Brown però non si arrende e comincerà a ricostruire pezzo dopo pezzo tutta la formazione.


03 febbraio, 2023

3 febbraio 1947 – Melanie, la voce femminile dei grandi raduni

Il 3 febbraio 1947 nasce a New York Melanie Safka, destinata a diventare con il semplice nome di Melanie, una delle protagoniste della stagione dei grandi raduni musicali nei primi anni Settanta. Figlia di un cantante jazz impara fin da piccola a suonare il piano e muove poi i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo in un piccolo teatro del suo quartiere. È ancora adolescente quando decide di dedicarsi esclusivamente alla musica. Determinante, sotto molti aspetti, è l'incontro con Peter Schekeryk, che diviene prima suo manager, quindi produttore e, infine, suo compagno nella vita. Dopo aver pubblicato un paio d’album, nel 1970 diventa, per caso, una delle protagoniste del grande raduno di Woodstock. Il suo nome non figura tra quelli degli artisti in programma, ma lei non vuole mancare a un appuntamento così importante. Confusa tra il pubblico mentre calano le prime ombre della sera sta attendendo la più volte annunciata esibizione di Joan Baez, ma la folksinger è bloccata dal colossale ingorgo di traffico provocato dalla marea umana che sta affluendo sul luogo del raduno. Melanie non è una sconosciuta. La sua versione di Ruby tuesday qualche mese prima ha ottenuto un discreto successo di vendite e le sue canzoni sono molto popolari tra i giovani del Greenwich Village. Quando gli organizzatori la vedono pensano a lei come riempitivo in attesa della Baez e le chiedono di salire sul palco. Da spettatrice si ritrova così protagonista di un evento destinato a entrare nella leggenda. Memorabile è la scena del documentario girato durante la manifestazione nel quale la Baez, arrivata in ritardo, se ne sta seduta in un angolo ad assistere all’esibizione di Melanie. Sull’onda di Woodstock partecipa a quasi tutti i grandi raduni musicali di quel periodo e centra una buona serie di successi. Nel 1971 realizza anche la colonna sonora del film “Il ribelle” di Michael Chapman. L’anno dopo, insofferente alle pressioni dei discografici, fonda la Neighborhood, un’etichetta di cui è comproprietaria insieme al suo compagno. L’avventura discografica è destinata però a finire male e Melanie, visti inutili i tentativi di ritrovare spazio ridurrà la sua attività a qualche saltuario album destinato a fare la gioia di un ristretto manipolo di irriducibili quanto nostalgici ammiratori.


02 febbraio, 2023

2 febbraio 1984 – I metalmeccanici vincono il Festival di Sanremo

Giovedì 2 febbraio 1984 inizia la Trentaquattresima edizione del Festival di Sanremo. I giornali hanno descritto minutamente le scenografie del fiorentino Enzo Somigli e hanno dato largo spazio agli ospiti annunciati, primi fra tutti i leggendari, anche se un po’ bolsi, Queen di Freddy Mercury. Sono gli anni Ottanta, sono gli anni del disimpegno “obbligato” e delle luci accecanti e colorate che sembrano cancellare le differenze. Si è parlato a lungo degli interpreti, dei loro vestiti, e delle loro canzoni, in un’edizione che pare segnare il ritorno al melodico e alla tradizione. Nessuno ha previsto, invece, l’arrivo in massa di un soggetto sociale periodicamente dato per spacciato: gli operai. Fin dal pomeriggio tre vagoni speciali aggiunti in coda al treno Roma-Ventimiglia e sette pullman, oltre a numerose auto, hanno portato nella “città dei fiori” i lavoratori dell’Italsider intenzionati a denunciare la grave situazione dell’economia ligure e la pesante situazione che si è determinata nella loro azienda, con licenziamenti e cassa integrazione. Man mano che s’avvicina l’ora d’inizio del Festival il gruppo cresce di numero. Alle 20.30 sono oltre milletrecento gli elmetti gialli che scandiscono slogan di fronte al Teatro Ariston fronteggiati da un robusto cordone di polizia. La manifestazione è stata preceduta, nel pomeriggio da una febbrile trattativa tra sindacato, organizzazione del Festival e RAI che si è conclusa con un accordo nel quale si prevede che Pippo Baudo, il presentatore della rassegna canora di quell’anno, legga all’inizio della diretta televisiva un breve comunicato approvato dai lavoratori. A parte un vago accenno alla protesta, però, l’accordo non viene rispettato. Nessuno legge niente e lo spettacolo continua. I lavoratori non ci stanno e iniziano a premere verso l’entrata del Teatro Ariston in modo sempre più insistente. Mentre la tensione sale si aprono nuove, febbrili, trattative. Sono passate da poco le 21 quando una piccola delegazione ottiene di poter entrare in sala e parlare direttamente, senza intermediari, ai telespettatori che assistono al Festival da casa. Gli operai salgono sul palco dell’Ariston e, visibilmente emozionati, leggono il documento ignorato da Pippo Baudo. Poi si rivolgono al pubblico in sala: «Vi ringraziamo per l’ospitalità e vi chiediamo scusa per il disturbo. Crediamo che sia chiara a tutti la gravità della nostra situazione». Saranno loro la più importante novità di un Festival senza particolari emozioni dal punto di vista musicale.