Il 14 giugno 1947 nasce a San Francisco in California il tastierista e polistrumentista Darius Brubeck, il primo figlio del pianista Dave Brubeck, uno dei pilastri della storia del jazz. Per la verità lui si chiama David Darius Brubeck, ma per non essere confuso con un ingombrante monumento come suo padre decide di utilizzare quasi esclusivamente il proprio secondo nome. Già in questo particolare è evidente come per molto tempo abbia avuto il problema di "smarcarsi" dal padre e costruirsi una carriera in proprio. Nel 1961, a cinque anni, inizia a prendere lezioni di pianoforte. Più tardi studia tecnica strumentale, armonia e composizione con maestri come Darius Milhaud, Gordon Smith e Donald Martino. Eclettico e interessato ad allargare le sue conoscenze frequenta anche i corsi di etnomusicologia e storia delle religioni. In quel periodo viene attratto particolarmente dalla cultura indiana. Non avendo a disposizione cattedre specifiche chiede e ottiene di poter studiare privatamente, gli strumenti, le forme e le strutture musicali dell'India. Verso la fine degli anni Sessanta, quando ormai ha terminato gli studi e le varie specializzazioni, decide di dare vita al Darius Brubeck Ensemble, una band che schiera in formazione anche i suoi fratellini Chris e Daniel. Ottiene un buon successo, ma è infastidito dal costante paragone con il padre. Pian piano, però, con il crescere della sicurezza nei propri mezzi, finisce per affrancarsi dall'ingombrante genitore. Non lo vede più come un pericoloso concorrente e si fa solleticare dall'idea di farne un partner. Nel 1972 il suo Darius Brubeck Ensemble si unifica con il Dave Brubeck Trio. Nascono così i Two Generations of Brubeck, un gruppo a base famigliare nel quale Darius suona spesso il sintetizzatore dialogando con il pianoforte del padre. Paradossalmente l'esperienza gli toglie per sempre di dosso l'ombra delle virtù paterne. Ospite fisso di vari Festival di Newport vince anche una lunga serie di importanti premi come compositore.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
14 giugno, 2023
13 giugno, 2023
13 giugno 1970 – In the summertime
Il 13 giugno 1970 schizza al vertice della classifica britannica dei singoli più venduti In the summertime, una canzoncina senza pretese destinata a lasciare un segno indelebile nella storia del pop per i suoi suoni sporchi e per l'utilizzo di strumenti inusuali, compreso il soffio cadenzato nel collo di una damigiana e lo sfregamento di una grattugia. Il disco venderà sei milioni di copie e arriverà al primo posto nelle classifiche di ben ventisei paesi, Italia compresa. Ne sono interpreti i Mungo Jerry, una band formata l'anno precedente dal cantante e chitarrista Ray Dorset insieme a Paul King, anche lui esperto di strumenti a corde, al tastierista Colin Earl e al bassista Mike Cole. Manca un batterista ma la scelta non è casuale. I Mungo Jerry, infatti, nascono nella mente di Dorsey come una sorta di band povera, sulla falsariga delle jug band statunitensi, a strumentazione variabile e arricchita dall'uso musicale di oggetti d'uso comune. Il successo così rapido e inatteso finirà per mettere in crisi la stessa band. Mentre i discografici tentano di sfruttare la formula con un altro paio di singoli, il gruppo non regge la pressione. Pochi mesi dopo il successo di In the summertime Mike Cole se ne va, sostituito rapidamente dal bassista John Godfrey. Non è finita, perché nel 1972 il primo calo di vendite allarma la casa discografica che chiede loro di "elettrizzare" maggiormente i suoni. Colin Earl e Paul King non ci stanno e salutano la compagnia. Dorset "normalizzare" la formazione con il batterista Tim Reeves e il tastierista Jon Pope. È l'inizio della crisi definitiva. A partire dal 1974 i Mungo Jerry sono praticamente una sigla che nasconde il solo Ray Dorset con il supporto di musicisti di studio. Nel 1977 Dorset convincerà Colin Earl a seguirlo nel tentativo di ridare vita alla band con il bassista Chris Warnes e il batterista Pete Sullivan, ma ormai lo spazio loro riservato è soltanto quello della nostalgia e del revival.
12 giugno, 2023
12 giugno 1963 – Muore la tromba della Yerba Buena
Il 12 giugno 1963 muore di cancro a Montreal, in Canada, il quarantaseienne trombettista Bob Scobey. Registrato all'anagrafe con il nome di Robert Alexander Scobey nasce a Tucumcari, nel New Mexico, nel 1916. Due anni dopo con la famiglia si trasferisce a Stockton, in California, dove inizia a soffiare in una cornetta quando non ha ancora compiuto nove anni. A quattordici passa alla tromba e perfeziona gli studi musicali al Berklee College. Se si escludono varie esibizioni con gruppi improvvisati la sua vera attività professionale inizia nel 1936 quando ottiene la prima scrittura da un orchestra da ballo di San Francisco. Due anni dopo conosce il jazz e ne resta affascinato al punto da diventare uno dei principali esponenti di quello che verrà chiamato "San Francisco style". L'artefice principale della conversione è Lu Watters, che diviene un suo inseparabile compagno d'avventure musicali. Proprio con Watters e Turk Murphy partecipa alla costituzione della Yerba Buena Jazz Band, tra i gruppi più originali di San Francisco e di tutto il movimento revivalistico del dopoguerra. Il successo, anche discografico, della Yerba Buena, nasce dalla capacità di riproporre con arrangiamenti spettacolari i classici di Oliver e di Morton rispettandone lo spirito e, per quanto possibile, i suoni originali. L'esperienza, però, non dura. Nel 1947 forma una propria jazz band destinata a ospitare una lunga serie di musicisti di qualità come, tra gli altri, Jack Buck, Wally Rose, Burt Bales, Clancy Hayes, Bob Mielke, Bill Napier, Bob Short, Ralph Sutton, Abe Lincoln e Warren Smith. Nel 1962 si avventura con la sua band in un lungo tour che tocca vari paesi Europei e fa storcere il naso ai puristi del jazz per il contesto in cui si esibisce: lo show sportivo degli Harlem Globetrotters, i funamboli del basket. Il cancro non lo spaventa. Suona fino alla morte. Nel 1976 la sua compagna pubblicherà una biografia intitolata "He rambled' till cancer cut him down".
11 giugno, 2023
11 giugno 2004 – Nasce l’Emu, la prima etichetta pubblica italiana dopo anni di privatizzazioni
L’11 giugno 2004 dopo anni, anzi decenni, un Ente pubblico ha deciso di diventare editore musicale e discografico. L’Ente è l’Università di Siena che pubblica Foglie in ira dei Dedalo, il primo album prodotto dalla EMU, la neonata etichetta musicale universitaria. C’era una volta in Italia una delle industrie discografiche pubbliche più importanti del mondo. Nata nei primi anni del Novecento aveva accompagnato la diffusione della musica popolare, ne aveva guidato le innovazioni tecniche, anticipando e qualche volta determinando i gusti del pubblico. La sua esistenza era stata anche un punto di riferimento importante per lo sviluppo delle iniziative private. C’era una volta, perché adesso non c’è più. La sbornia privatizzatrice e liberista degli ultimi vent’anni ne ha fatto strame. Tutto è stato messo in vendita e pezzi interi di un catalogo che era, prima di tutto, una parte importante della storia e della cultura del nostro paese, sono scomparsi, volatilizzati nel mercato dei collezionisti e, in qualche caso, perduti in qualche magazzino polveroso. Quasi a dimostrare come ci fosse un nesso inscindibile tra il polo pubblico e l’iniziativa privata, pochi anni dopo l’avvio della furia privatizzatrice, anche la grande industria discografica privata collassa e diventa preda delle major multinazionali. In breve tempo il nostro si trasforma in un paese musicalmente periferico e colonizzato. Sopravvive a stento un arcipelago di medie, piccole e piccolissime strutture di produzione, spesso alimentate dalla passione e da poco altro. Nella calura della desolazione è improvvisamente arrivato un refolo fresco e frizzante. Il primo album prodotto dalla EMU non è una sperimentazione, ma la conclusione di un lungo percorso dell’Ateneo nel campo della comunicazione e dello spettacolo. «EMU nasce proprio dalla volontà di incidere sulla produzione musicale immettendo sul mercato prodotti di qualità che prescindano dalla loro immediata commerciabilità, coerentemente con le nostre finalità istituzionali che sono appunto culturali e non di lucro» dice Monica Granchi, curatrice del progetto. Questa storia del pubblico che ridiventa editore ha colto di sorpresa un po’ tutti, compresa la SIAE che non aveva neppure i moduli adeguati a raccogliere la richiesta di licenza da parte di un’Università, cioè di un “soggetto non iscrivibile alla Camera di Commercio”. L’Ateneo senese rivendica con orgoglio e consapevolezza la decisione di avviarsi «in un cammino imprenditoriale che è la manifestazione tangibile di un progetto culturale che ha le sue radici in una storia lunga otto secoli, in una comunità che apprende, insegna, fa ricerca, pronta ad accogliere le innovazioni, a trarre ispirazione in modelli avanzati, senza paura di perdere la propria identità».
10 giugno, 2023
10 giugno 2004 – Quando la Bardot venne condannata per odio razziale
Il 10 giugno 2004 Brigitte Bardot viene condannata da un tribunale francese. Non è la prima volta che la sex symbol fonte di turbamento per il sonno e la moralità dei benpensanti degli anni Cinquanta e Sessanta si ritrova in tribunale. Questa volta però l’accusa non è simpatica né allude alla sfera delle libertà sessuali o civili. La Bardot, infatti, viene processata e condannata per "incitamento all'odio razziale". La condanna è relativa a un libro nel quale l’ex attrice sostiene posizioni molto vicine a quelle che in Italia negli stessi anni caratterizzano gli scritti di Oriana Fallaci. La sentenza di condanna si sofferma, in modo particolare, su alcuni passaggi relativi all'"Islamizzazione della Francia" e a quella che lei definisce «sotterranea e pericolosa penetrazione dell'Islam» nel paese d’oltralpe dove vive la comunità musulmana più grande d'Europa con oltre cinque milioni di persone. Nello stesso libro gli omosessuali sono definiti "fenomeni da baraccone" e si condanna la presenza delle donne nel governo. In precedenza Brigitte Bardot è già stata anche condannata per opinioni che sembravano giustificare i massacri di civili in Algeria.
09 giugno, 2023
9 maggio 1919 - James Reese Europe, ucciso dal batterista
Il 9 maggio 1910 muore assassinato James Reese Europe, uno dei personaggi leggendari del jazz delle origini. Nato a Mobile, in Alabama il 22 febbraio 1881 a dieci anni si trasferisce a Washington DC con la famiglia. Qui inizia a studiare musica. Nel 1904, è a New York, dove comincia la sua attività artistica organizzando nel 1906 la New Amsterdam Musical Association e successivamente dirigendo prima la Clef Club Orchestra e dal 1910 la Society Orchestra , popolarissima per aver accompagnato la celebre coppia di ballerini Irene e Vernon Castle nel musical “Watch You Step”del 1912. Durante la prima guerra mondiale James veste la divisa di tenente dell'esercito degli Stati Uniti e dirige la 369a Infantry Regiment Band che si esibisce con grande successo in molte città d'Europa. Dopo la fine del conflitto nel febbraio del 1919 ritorna negli Stati Uniti. Qui l'attende un trionfale tour. Il 9 maggio 1919 durante una esibizione a Boston, viene ucciso per motivi sconosciuti nel camerino del teatro da Private Herbert Wright il suo batterista.
08 giugno, 2023
8 maggio 2009 - In parità la sfida dei David tra “Gomorra” e “Il divo”
Nella serata dell’8 maggio 2009 alla consegna dei David di Donatello, i più prestigiosi premi del cinema italiano, finisce in parità la sfida all’ultima statuetta tra i film "Gomorra" di Matteo Garrone e "Il Divo" di Paolo Sorrentino, anche se alla prima delle due pellicole vanno i riconoscimenti più prestigiosi, cioè quello per il miglior film e quello per la miglior regia. I due film italiani che hanno entusiasmato pubblico e critica a Cannes caratterizzano l’intera cerimonia di consegna di quelli che vengono chiamati gli Oscar del cinema italiano. Tra le statuette consegnate all'Auditorium della Conciliazione di Roma ne raccolgono sette ciascuno lasciando ben poco spazio agli altri concorrenti. Al film di Matteo Garrone sulla camorra, tratto dal libro di Roberto Saviano, sono andati oltre a quello per il miglior film e quello per la miglior regia anche i premi per la miglior produzione, miglior sceneggiatura, miglior canzone, e miglior fonico di presa diretta e montaggio. Il film di Paolo Sorrentino si è aggiudicato invece i David per il miglior attore protagonista, per la miglior attrice non protagonista, per il direttore della fotografia, il miglior musicista, il trucco, le acconciature e gli effetti speciali visivi. Il resto è stato distribuito tra vari lavori. Il premio per la miglior attrice protagonista è andato alla giovane Alba Rohrwacherper, interprete del "Il papà di Giovanna" di Pupi Avati, mentre come miglior attore non protagonista il riconoscimento è andato a Giuseppe Battiston per "Non pensarci" di Gianni Zanasi. I premi per le scenografie e i costumi sono stati vinti da "I Demoni di San Pietroburgo" di Giuliano Montaldo. Quello per il miglior regista esordiente è stato assegnato a Gianni Di Gregorio per il film "Pranzo di Ferragosto". Il David giovani è stato assegnato a "Si può fare" di Giulio Manfredonia. Il titolo di miglior film dell'Unione Europea è andato al trionfatore degli Oscar "The Millionaire", di Danny Boyle, mentre come miglior film straniero ha vinto "Gran Torino" di Clint Eastwood.
07 giugno, 2023
7 giugno 1969 – In centoventimila in Hyde Park per i Blind Faith
Il 7 giugno 1969, dopo aver completato la registrazione del primo album, i Blind Faith fanno il loro debutto dal vivo con un concerto gratuito in Hyde Park di fronte a centoventimila spettatori. L'affollamento è incredibile, ma non inatteso, vista la gigantesca campagna promozionale che ha accompagnato le notizie dell'avvenuta costituzione di una band che sulla carta sembra destinata a un grandissimo successo. È, infatti, una sorta di supergruppo composto da alcuni tra i migliori strumentisti della scena rock britannica di quel periodo: i chitarristi Steve Winwood dei Traffic ed Eric Clapton dei Cream, il batterista Ginger Baker dei Cream e il bassista Rick Grech dei Family. L'imponente sforzo pubblicitario e promozionale che ha accompagnato la loro costituzione e la registrazione dell'album non ha influenzato soltanto il "popolo del rock", ma anche i musicisti che sono presenti in gran numero al loro debutto dal vivo. In Hyde Park si riconoscono volti noti come quelli di Mick Jagger, Mick Fleetwood, Donovan, Chas Chandler già degli Animals, Mitch Mitchell e Noel Redding dei Jimi Hendrix Experience, Jim Capaldi e Chris Wood dei Traffic, Terry Hicks degli Hollies e Mike Hogg dei Manfred Mann. Il compito di scaldare il pubblico viene affidato a un Richie Havens un po' frastornato dall'eccezionalità dell'evento. Poi tocca ai Blind Faith che presentano gran parte dei brani del loro album appena terminato. L'esibizione infiamma il pubblico che sottolinea con applausi e ululati i passaggi in cui maggiormente emergono i talenti individuali dei componenti della band. Particolarmente applauditi sono l'assolo percussionistico di Baker in Do what you like e quello al violino di Rick Grech in Sea of joy, ma tutto il concerto viene vissuto dai centoventimila presenti in modo entusiasmante. Non è così per i musicisti. Le aspettative suscitate dall'imponente sforzo promozionale che sostiene il progetto dei Blind Faith e le ossessive aspettative del pubblico turbano il delicato equilibrio psicologico dei componenti tanto che sia Winwood che Clapton parleranno con disagio di questa esperienza. I Blind Faith si scioglieranno alla fine della loro prima tournée consegnando alla storia uno splendido album e il ricordo di un'avventura che poteva finire diversamente.
06 giugno, 2023
6 giugno 1931 – Jimmy Blythe, il pianista affascinato dagli studi di registrazione
Il 6 giugno 1931 muore a Chicago, nell’Illinois, il pianista Jimmy Blythe. Ha solo trent'anni ed è nato a Louisville, nel Kentucky. Nonostante la giovane età attraversa da protagonista l'incontro del jazz con la riproduzione discografica. Quando arriva a Chicago ha da poco compiuto i quindici anni, ma si fa immediatamente notare per le sue qualità tecniche e per la sua fantasia. All'inizio degli anni Venti è già popolarissimo in tutto il South Side come accompagnatore dei principali solisti vocali e si difende bene anche come solista. Curioso e appassionato delle novità resta affascinato dalle sale di registrazione. Proprio in questi luoghi un po' angusti e spesso ricavati nei sotterranei di vecchi palazzi sembra dare il meglio di sé. La sua tecnica e la sua ispirazione si esaltano in assenza di pubblico. In un'epoca in cui il lavoro in sala di registrazione è effettuato in presa diretta, senza possibilità di errori, lui si afferma come leader e pianista di un'infinità di gruppi destinati a dare un impulso decisivo alla diffusione della musica afroamericana. Per tutti gli anni Venti non si muove quasi mai da Chicago, una città che gli dà sicurezza e ricca di sale di registrazione. Nel suo lavoro di studio è affiancato dall'inseparabile Jimmy Bertrand, un suonatore di washboard (asse per lavare i panni), uno strumento costituito da una tavola ricoperta da lamiera ondulata destinata a svolgere un lavoro di sostegno del ritmo. L'apporto di questo singolare sodalizio caratterizza in modo particolare le incisioni chicagoane dei musicisti afroamericani provenienti dalla scuola di New Orleans. Fra il 1924 e il 1931, l'anno della sua morte, partecipa alla realizzazione di una serie di pietre miliari della storia del jazz come, per fare alcuni esempi, Messin' around e Adams apple con Freddie Keppard, Weary way blues e Have mercy con Johnny Dodds o The blues stampede con il quartetto di Louis Armstrong. Il suo pianoforte caratterizza anche alcune tra le più significative esperienze discografiche di quel periodo come quella dei Chicago Footwarmers e dei Dixieland Thumpers. La sua ultima incisione è del 31 marzo e lascia intuire una freschezza d'ispirazione che promette nuove evoluzioni. La sua morte prematura chiude per sempre il discorso iniziato in quel lontano 1916 quando è arrivato per la prima volta a Chicago.
05 giugno, 2023
5 giugno 1971 – Grand Funk Railroad, grande paura della ferrovia
Il 5 giugno 1971 i biglietti per il concerto dei Gran Funk Railroad allo Shea Stadium di New York si esauriscono dopo sole settantadue ore dall'apertura dei botteghini. Si calcola che la band abbia guadagnato, prima ancora di suonare una sola nota, ben trecentoseimila dollari, superando il record dei Beatles del 1966 che era stato di trecentoquattromila dollari. L’organizzatore Sid Bernstein, interpellato sull'argomento, non nasconde la sua sorpresa: «Non avrei mai creduto che qualcuno potesse essere più popolare dei Beatles». Un bel colpo per una band snobbata dalla critica che la ritiene troppo "fracassona" e poco originale! Il gruppo nato a Flint, nel Michigan, per la verità, fracassone lo è davvero, visto che in brevissimo tempo è diventato uno dei capisaldi dell'hard rock statunitense, ma la definizione è un po' riduttiva. La potenza devastante della batteria di Don Brewer, ben supportata dalle evoluzioni al basso di Mel Schacher, è entrata nell'immaginario degli adolescenti statunitensi così come la potente voce del chitarrista Mark Farner, uno dei più amati "guitar hero" del periodo. Il loro nome significa letteralmente "Grande paura della ferrovia" e, come spiega lo stesso Farner, è la traduzione di un'espressione con la quale i nativi americani definivano il passaggio dei primi treni nelle loro praterie. Se non è vero non importa. Quando debuttano al Festival pop di Atlanta del 1969 sono poco più che sconosciuti, non hanno ancora un contratto discografico, ma galvanizzano gli oltre centoventicinquemila presenti. Il loro primo album On time, pubblicato dalla Capitol poco tempo dopo, senza passaggi radiofonici e ferocemente stroncato dalla critica, scala le classifiche e diventa "disco d'oro" in poche settimane. Il rapporto con il pubblico è il vero "valore in più" della loro storia anche se la critica non li accetterà mai.
04 giugno, 2023
4 giugno 2004 - Anthony Steffen, il pistolero partigiano scoperto da Citto Maselli
Il 4 giugno 2004 muore a Rio De Janeiro l’italo-brasiliano Antonio de Teffé, in arte Anthony Steffen, un attore che occupa un posto di rilievo nella galleria dei ritratti dei protagonisti principali del western all’italiana. Caratteristi a parte è forse l’attore protagonista che ha attraversato senza mai scendere di sella o abbandonare la colt, l’intera epopea del western all’italiana. È stato Django, Ringo, Gringo, Arizona Joe, Gentleman Joe, Shango, Garringo e molti altri personaggi entrati nell’immaginario degli appassionati di questo genere. La sua interpretazione di Johnny in 7 dollari sul rosso è considerata una delle migliori della sua carriera in chiave western, insieme a Django il bastardo di cui scrive anche parte del soggetto e della sceneggiatura, 1.000 dollari sul nero, Un treno per Durango e Garringo. La sua caratteristica principale è quella di non essere mai sopra le righe. Duttile e in genere molto apprezzato dai registi per la capacità di capire al volo quello che si vuole da lui, non tende mai a sovrapporre la sua personalità a quella del personaggio che interpreta. Non è mancanza di personalità, ma conoscenza e amore per la “macchina” del cinema, oltre che rispetto per chi ci lavora. Non è un caso che la sua carriera inizi proprio dietro la macchina da presa come operatore e direttore di seconde unità di ripresa di film degli anni Cinquanta come Capitan fantasma, Ci troviamo in galleria o Cento anni d’amore. Antonio de Teffé, il futuro Anthony Steffen, nasce il 21 luglio 1930 a Roma, in Piazza Navona, nella sede dell'ambasciata brasiliana. Suo padre è l’ex campione di Formula 1 Manoel de Teffé von Hoonholtz, in quel periodo ambasciatore in Italia del Brasile. Fin dai primi anni di vita Antonio, che possiede sia la nazionalità italiana che quella brasiliana si dimostra un tipo sveglio e poco disposto a lasciarsi irreggimentare dalle regole delle rappresentanze diplomatiche. Dopo l’8 settembre 1943, a soli tredici anni, scappa di casa e, grazie al fatto che dimostra qualche anno in più, si unisce ai partigiani che combattono contro i nazisti. Dopo la Liberazione inizia a lavorare nell’ambiente cinematografico, prima come operatore, poi come assistente di regia e, infine, come attore. Come accade a Tomas Milian il primo a credere in lui è Citto Maselli che nel 1955 gli affida uno dei ruoli principali nel film Gli sbandati. Seguono poi pellicole di vari generi del cinema popolare dai feuilleton come La cieca di Sorrento ai peplum come Gli invincibili fratelli Maciste, ai primi musicarelli come I ragazzi del Juke Box. Negli anni Sessanta diventa uno dei protagonisti del boom del western all’italiana. Nella sua carriera ha interpretato più di sessanta film, per la maggior parte italiani. Colto e raffinato a partire dalla seconda metà degli anni Settanta si allontana progressivamente dal cinema. Alla fine degli anni Ottanta si trasferisce a Rio De Janeiro, città nella quale muore il 4 giugno 2004 dopo una lunga battaglia con un nemico implacabile come il cancro.
03 giugno, 2023
3 giugno 1950 – Suzy Quatro, grinta da vendere
Il 3 giugno 1950 nasce a Detroit, nel Michigan, Suzy Quatro, il cui vero nome è Susan Kay Quattrocchio. Piccola di statura e fisicamente più simile a uno scricciolo che a una rockstar, sul palco si trasforma. Con il basso e la giacca di pelle nera è una delle prime donne capace di misurarsi con i maschi del rock sul loro stesso terreno: la grinta e la spigolosità del messaggio musicale. Figlia del pianista jazz Arthur Quatro, a otto anni debutta su un palcoscenico suonando i bongos nella band del padre, l'Art Quatro Trio. Innamorata della musica nera a quattordici anni canta con il nome d'arte di Suzy Soul. Nel 1965 con la sorella Patti e tre compagni di scuola forma i Pleasure Seekers una soulband dalla vita breve che chiude i battenti dopo un paio di dischi. Nel 1968 aggiunge alla formazione la sorella più giovane, Nancy, e ribattezza il gruppo con il nome di Cradle ritagliandosi un discreto spazio nei circuiti alternativi con gli Amboy Duke di Ted Nugent, Mitch Ryder e gli MC5. All'inizio degli anni Settanta il produttore Mickie Most la convince a trasferirsi in Gran Bretagna. Qui forma una nuova band con il chitarrista Len Tuckey, il batterista Keith Hodge e il tastierista Alastair McKenzie. Nel mese di maggio del 1973, dopo un tour al fianco degli Slade, la sua canzone Can the can arriva al vertice della classifica delle vendite e fa di lei uno dei fenomeni musicali più eclatanti del glam rock. Strapazza i colleghi maschi sfidandoli sullo stesso terreno con una grinta da far paura e un basso elettrico più grande di lei. Diventa anche una bandiera per le sue coetanee: «L'industria discografica non crede al rock suonato dalle donne. Io sono stata la prima a rompere la crosta, adesso tocca voi». Non si cura dell'immagine né dello stile, per lei il rock è energia. «Si può avere stile e si può avere grinta, ma non si possono avere tutti e due insieme», risponde a chi le suggerire di accentuare la sua femminilità. Quando nella seconda metà degli anni Settanta la sua popolarità inizia a declinare non accetta di riciclarsi. Preferisce pensare a se stessa e a Laura, la figlia nata dalla sua unione con il fido chitarrista Len Tuckey. Dopo un lungo periodo di silenzio, interrotto da qualche rara apparizione televisiva nelle vesti di attrice, sorprenderà pubblico e critica interpretando in teatro la parte della protagonista in una versione del musical "Anna prendi il fucile". In anni più recenti si è concessa qualche concerto sull'onda del revival e ha registrato vari album.
02 giugno, 2023
2 giugno 1900 - Valaida Snow la jazzista in campo di concentramento
Il 2 giugno 1900, anche se sull'anno non si è proprio certi, nasce a Chattanooga, Tennessee o a Washington, D.C (la ragazza amava dare versioni diverse) Valaida Snow, trombettista e cantante di gran pregio. Figlia di un'insegnante di musica ha due sorelle, Lavaida e Alvaida, che oltre a dimostrare l'eccentricità dei genitori nel scegliere il nome diventano anche loro cantanti. Intorno alla metà degli anni Trenta Valaida sposa il ballerino Ananias Berry uno dei celebri Berry Brothers. La sua carriera inizia verso il 1920 ad Atlantic City e Filadelfia. Canta al Barron's nel 1922 e poi va in tournée con la Will Masten's Revue. Fino al 1926 partecipa a vari spettacoli attraverso tutti gli Stati Uniti e nel 1926, in agosto, canta e suona a Shanghai con l'orchestra di Jack Carter. Ritornata negli Stati Uniti si esibisce a Chicago e nel 1929 parte per una lunga tournée alla volta della Russia, del Medio Oriente e dell'Europa. Nel 1933 partecipa alla Grand Terrace Revue e nel 1934 è la vedette della rivista Blackbird che proprio nell'agosto di quell'anno debutta a Londra. Rimane a Londra vari mesi e il 18 gennaio 1935 incide i primi dischi sotto suo nome con l'orchestra di Billy Mason. Nel maggio del 1935 torna negli Stati Uniti e nell'estate si esibisce con Ananias Berry a Los Angeles. In quel periodo gira anche due film: "Take it From Me" di William Beaudine e "Irresistible you". Nel mese di giugno del 1936 si esibisce all'Apollo di New York e in settembre ritorna in Gran Bretagna dove partecipa a quattro sedute di incisione con Freddy Gardner e George Scott. Nel 1939 decide di trasferirsi in Scandinavia, prima in Svezia, dove registra con l'orchestra di Lulle Ellboj, poi, nel 1940, in Danimarca dove incide i suoi ultimi dischi con il trombettista Winstrup Olesen. Nel 1940 a Copenaghen viene internata dai nazisti in un campo di concentramento dove resta fino alla metà del 1943. Nel 1944 riesce a ritornare negli Stati Uniti; nel 1944 lavora nel New Jersey e nel 1945 in California. Muore a New York il, 30 maggio 1956. Fino alla fine non lascia il palcoscenico. Il suo ultimo ingaggio è al Palace Theatre di New York.
01 giugno, 2023
1° giugno 1973 – Il drammatico volo di Robert Wyatt
Il 1° giugno 1973 Robert Wyatt, l'ex batterista dei Soft Machine, da poco più di un anno impegnato con la sua nuova band, i Matching Mole, viene ricoverato d'urgenza all'ospedale dopo un pauroso salto nel vuoto dall'altezza di tre piani. Le prime notizie battute dalle agenzie parlano di "circostanze misteriose", lasciando intuire chissà quali retroscena. In realtà il povero Robert è stato vittima di una terribile fatalità provocata da un pizzico d'incoscienza. Ospite di amici, cerca di abbandonare furtivamente una festa uscendo dalla finestra di un solaio. La sua intenzione è quella di sorprendere tutti suonando il campanello e ricomparendo per la seconda volta all'ingresso. Uscito dalla finestrella del solaio deve percorrere un brevissimo tratto sulla copertura del tetto prima di calarsi sul balcone del piano dove si sta svolgendo la festa. Sono poco più di due passi, ma sufficienti a cambiargli la vita per sempre. Appoggia malamente un piede, scivola e rotola verso il vuoto. Manca l'aggancio con il balcone e fa un salto di tre piani. Ai primi soccorritori le sue condizioni appaiono subito gravissime. Trasportato d'urgenza al pronto soccorso riuscirà a sopravvivere, ma resterà paralizzato nella parte inferiore del corpo e passerà il resto della vita costretto a muoversi in carrozzella. Nei lunghi mesi delle cure e della rieducazione allo alternerà momenti di speranza a periodi di disperazione. Non tornerà più alla batteria, ma non abbandonerà la musica. Proprio sul lettino dello Stoke Mandeville Hospital comporrà nuovi brani. Il rock perderà un batterista, ma troverà un nuovo autore e interprete dalla amara vena intimistica. L'aiuto degli amici sarà determinante. Verrà organizzato un concerto destinato a raccogliere fondi per le sue cure che frutterà diecimila sterline. Vari artisti gli saranno vicini nella ripresa. Il più attivo sarà Nick Mason dei Pink Floyd, produttore dell'album Rock bottom che raccoglie i brani composti in ospedale.
31 maggio, 2023
31 maggio 1970 - Iniziano i mondiali di Italia-Germania 4-3
Dal 31 maggio al 21 giugno 1970 il Messico ospita i campionati del mondo di calcio, i primi nei quali viene ammessa la sostituzione dei giocatori durante la partita. Il sorteggio per la composizione dei giorni finali assegna come avversari all’Italia la Svezia , l’Uruguay e Israele. Nella partita di esordio contro la Svezia un tiro di Domenghini sfuggito alla presa del portiere Hellstroem dà agli azzurri una vittoria preziosa alla luce dei successivi pareggi per 0 a 0. Il 14 giugno, nei quarti di finale, l’Italia travolge i padroni di casa del Messico con un secco 4 a 1. La semifinale degli azzurri contro la Germania Ovest è destinata a passare alla storia dei mondiali come una delle più belle partite mai disputate. Dopo pochi minuti dall’inizio Boninsegna segna con un tiro dal limite dell’area un gol che può valere l’accesso alla finale. Gli azzurri si difendono per quasi tutto l’incontro, ma finiscono per capitolare a tempo scaduto, quando un intervento acrobatico di Schnellinger regala il pareggio alla Germania Ovest. Nel primo tempo supplementare Poletti, subentrato a Rosato, si fa tradire dall’emozione e consente a Müller di segnare il 2 a 1, ma subito Burgnich, di sinistro, pareggia. Pochi minuti dopo con un’azione sulla sinistra Domenghini serve Riva che, in area; dopo una finta ai danni dell’avversario diretto segna con un preciso diagonale. Il primo tempo supplementare finisce con l’Italia in vantaggio per 3 a 2. Cinque minuti dopo l’inizio del secondo tempo supplementare, il solito Müller, servito di testa da Seeler, pareggia i conti. I tedeschi non hanno neppure il tempo di esultare che Rivera, raccolto in mezzo all’area avversaria un cross rasoterra di Boninsegna, fissa definitivamente il punteggio sul 4 a 3. In finale gli azzurri, provati dalla battaglia sostenuta contro i tedeschi, perderanno per 4 a 1 contro il fortissimo Brasile di Pelé, Jairzinho, Tostào, Gerson e Rivellino.
30 maggio, 2023
30 maggio 1987 – L’arresto di King Ad-Rock dei Beastie Boys
29 maggio, 2023
29 maggio 1989 – Tace la chitarra di Cipollina
Il 29 maggio 1989 un enfisema polmonare si porta via il chitarrista John Cipollina, uno dei più rappresentativi personaggi dell'underground californiano. Due mesi dopo avrebbe compiuto quarantasei anni. Il suo nome è legato a filo doppio alla breve, ma intensa, storia dei Quicksilver Messenger Service, una delle band tra le più rappresentative del movimento sviluppatosi nella seconda metà degli anni Sessanta in una San Francisco divenuta crogiolo di esperienze musicali diverse. John Cipollina è figlio d'arte. Sua madre, pianista classica di grande fama, gli insegna i segreti della tastiera fin da piccolo e, volendo fare di lui un grande musicista, lo affida alle cure del pianista spagnolo José Iturbi. Il ragazzo fa tesoro dell'esperienza, ma preferisce liberare la sua creatività attraverso un altro strumento: la chitarra. Musicista vero, sperimenta sulle corde del suo strumento preferito le differenti tecniche, dal flamenco al country blues. In breve tempo diventa uno dei chitarristi più innovativi del periodo. Nella burrascosa vicenda dei Quicksilver, falcidiati da droga, carcere e frequenti cambiamenti, è, forse, quello che maggiormente difende il progetto musicale iniziale, anche a dispetto della realtà dei fatti. Tra lui e la band c'è un rapporto di amore e odio che durerà ben oltre la fine del movimento hippie e della vita stessa del gruppo. È Cipollina a pensare per primo ai Quicksilver come gruppo aperto alle più varie collaborazioni, ma quando le contaminazioni ne mettono in dubbio l'ispirazione originale se ne va. Le sue non sono mai, però, rotture definitive. Nel 1970, già in polemica con il gruppo, ma senza lasciare i suoi compagni, dà vita all'esperienza dei Copperhead, una band parallela ai Quicksilver. Sono le prime avvisaglie di una crisi che finirà con lo scioglimento. Lui non si arrenderà. Tenterà di proseguire sulla stessa strada formando vari gruppi di breve durata tra i quali i più significativi saranno i Man.
28 maggio, 2023
28 maggio 1965 - Geronimo se ne va
«È morto Alfredo. S’è schiantato con la macchina mentre tornava a casa dopo una serata» Il 28 maggio 1965 uno schianto nella notte chiude la carriera artistica di Alfredo Mazzini, in arte Geronimo, il fratellino adorato da Mina. La cantante è sconvolta dalla notizia, perché la colpisce in un periodo in cui tutto sembra andare male. La morte di Alfredo la segnerà per sempre. Tra i due fratelli c’era un legame profondo. Quando lui aveva deciso di tentare la carriera musicale lei gli era stata accanto, l’aveva spronato, incoraggiato e aiutato a orientarsi nell’ambiente. Anche il suo nome d’arte, Geronimo, l’aveva scelto Mina dopo aver fatto notare una curiosa somiglianza tra il naso del fratello e quello del grande capo indiano. Discreto cantante e buon chitarrista era riuscito a costruirsi uno spazio fuori dall’ingombrante ombra della sorella. Dinoccolato e con l’aria svagata aveva conquistato il pubblico con uno stile chitarristico in cui si notavano le influenze degli interpreti statunitensi del rock and roll più morbido come Duane Eddy. Quando muore ha ventitré anni. Da poco aveva ripreso a esibirsi dopo la forzata interruzione dovuta al servizio militare.
27 maggio, 2023
27 maggio 1971 – Avanguardia e nuove tendenze in Versilia contro i "padroni della musica"
Il 27 maggio 1971 nella pineta di Lagomare, a Torre del Lago, vicino a Viareggio, inizia il Primo Festival della Musica d’Avanguardia e delle Nuove Tendenze, che resterà nella storia del pop italiano come il primo grande raduno giovanile di massa. Organizzato da Massimo Bernardi dura sette giorni e presenta una eccezionale rassegna di gruppi e artisti emergenti, molti dei quali sono destinati a diventare protagonisti della musica italiana degli anni Settanta. Il Festival che originariamente si doveva tenere a Viareggio, si svolge a Torre del Lago perché l’amministrazione comunale di Viareggio, temendo incidenti, ha revocato nelle ultime settimane l’autorizzazione a utilizzare il Palazzo dello Sport. Nella pineta del Lungomare di Torre del lago convergono decine di migliaia di giovani che suppliscono con la buona volontà all'assenza di strutture d'accoglienza. Per una settimana si esibiscono i migliori talenti del panorama rock e pop italiano. C’è anche una gara, e non poteva mancare, affidata a una sorta di "giuria di qualità" che comprende, tra gli altri, il d. j. Renzo Arbore e il giornalista Armando Gallo. I riconoscimenti principali vanno alla Premiata Forneria Marconi, a Mia Martini & la Macchina e agli Osanna. Premi speciali vengono assegnati ai Fholks, alla Nuova Idea e ai Delirium. L'elenco dei gruppi che nei sette giorni del Festival si esibiscono a Torre del Lago è nutritissimo. Ci sono il Rovescio della Medaglia, gli Stormy Six, gli italo-inglesi Godfathers, i Circus 2000, Le Madri, gli Alluminogeni, i Flea On The Honey e molti altri. Nel ruolo di ospiti d’onore fuori concorso arriva anche la Formula Tre, mentre il pop internazionale è rappresentato da due gruppi britannici: i Jerico Jones e i Medicine Head. Il programma prevedeva anche l’esibizione degli Strawbs, ma le potenzialità dell'impianto audio sono insufficienti per la band di Rick Wakeman che è costretta a rinunciare. Non mancheranno momenti di tensione legati alla carenza di strutture, di cibo e acqua e nella giornata di chiusura la parte più politicizzata dei gruppi di giovani presenti al Festival improvviserà una manifestazione contro i “padroni della musica” e contro gli inviati delle televisioni, delle radio e dei giornali, accusati di essere “servi dei padroni” e di occuparsi dei giovani solo "quando fanno colore”.
26 maggio, 2023
26 maggio 1960 – Little Tony, un italiano a Londra
Il 26 maggio 1960 il settimanale di musica e spettacolo “Il Musichiere” racconta di un giovane cantante italiano di rock and roll che sta conquistando il pubblico della Gran Bretagna. Il suo singolo Too good ha venduto oltre mezzo milione di copie in un mese e il ragazzo è risultato tra i personaggi più votati nel programma televisivo “Wham!”, insieme ad altri tre idoli degli adolescenti: Adam Faith, Cliff Richard e Craig Douglas. Ha diciannove anni e si chiama Antonio Ciacci, ma per i fans britannici ha assunto il nome d’arte di Little Tony. Le scarne note biografiche raccontano la storia di un figlio d'arte, che ha iniziato fin da piccolo ad accompagnare il padre, fisarmonicista e cantante, nelle feste di piazza e nei locali alla moda. Da qualche disco regalatogli da turisti americani scopre il rock and roll e se ne innamora. Ha quindici anni quando, nel 1956, nel corso di una serata in un ristorante di Grottaferrata, trova il coraggio di proporre insieme ai fratelli, uno di questi scatenati brani dal ritmo nero che arrivano d'oltreoceano. Il pubblico, composto prevalentemente da turisti americani, lo applaude entusiasta e lo incoraggia a continuare su quella strada. Poco tempo dopo pubblica un disco contenente quattro classici del periodo: Believe what you say, Lara lovin', I'm walking e Take me nice. Il prodotto è destinato a essere venduto direttamente al pubblico che assiste alle sue esibizioni. Sono proprio quelle incisioni ad attirare l'interesse del conduttore del programma televisivo britannico "Boys meet girls" che lo scrittura. È l'inizio della fortunata avventura di Little Tony. Il successo ottenuto in Gran Bretagna gli aprirà le porte della scena musicale italiana. Alla fine del 1960 tornerà in Italia e, in coppia con l'altro astro nascente Adriano Celentano, porterà il rock and roll al Festival di Sanremo con 24.000 baci. La sua carriera non si interromperà più e sarà costellata da milioni di dischi venduti. Muore il 27 maggio 2013.
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