Il 16 agosto 1968 a Toronto, in Canada, dove si trova in tournée con gli All Stars di Eddie Condon, muore improvvisamente il trombonista Cutty Cutshall. Ha cinquantasette anni. Nato a Huntington County, in Pennsylvania, 29 dicembre 1911 è registrato all’anagrafe con il nome di Robert Dewee Cutshall. Giovanissimo comincia l'attività professionale a Pittsburg suonando nell'orchestra sinfonica comunale e in vari gruppi da ballo. Nel 1934 viene ingaggiato da Charley Dornberg e dal 1938 al 1940 suona con il gruppo della cantante Jan Savitt Successivamente entra nell’organico dell'orchestra di Benny Goodman e ci resta fino alla fine del 1946 sviluppando un rapporto di amicizia e rivalità professionale con Lou McGarity. Nella band di Goodman Cutshall si fa conoscere e apprezzare sia dai critici sia dal grosso pubblico. Nel 1948 ottiene un importante ingaggio al Nick's, il tempio dei dixielanders di New York, dove suona prima con Billy Butterfield. A partire dal 1949 entra a far parte degli All Stars di Eddie Condon diventandone un componente fedele e quasi inamovibile. Verso la fine degli anni Cinquanta, Cutshall suona anche con le orchestre di Bob Crosby, ancora una volta a fianco di McGarity, e di Wild Bill Davison pur senza abbandonare l’impegno primario con il "clan” di Condon. Nel 1965 entra partecipa a una serie di registrazioni della band di Yank Lawson e Bob Haggart che dal punto di vista stilistico anticipano la nascita della World Greatest Jazz Band nella quale ha ancora una volta al suo fianco McGarity. Non riuscirà però a prender parte alle prime incisioni di quest’orchestra perchè la morte lo sorprende a Toronto dove avrebbe dovuto esibirsi per l’ultima volta con gli All Stars di Condon.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
16 agosto, 2023
15 agosto, 2023
15 agosto 1969 - Alle cinque del pomeriggio inizia Woodstock
Alle cinque del pomeriggio del 15 agosto 1969, sono duecentomila le persone che affollano a Bethel i prati della fattoria di Max Yasgur. Il Woodstock Music and Art Fair sembra destinato a non avere mai inizio, ma i giovani arrivati fin lì non danno l’impressione di preoccuparsene. Non c’è il nervosismo che precede eventi di questo genere. Nella confusione indescrivibile ciascuno aspetta con pazienza che qualcosa succeda. Improvvisamente qualcuno arriva sul palco. È un emozionatissimo Richie Havens che, afferrato il microfono intona con voce tremante la sua Freedom. Inizia così, con un ritardo di molte ore e con la scaletta rivoluzionata, il festival di Woodstock, destinato a entrare nella leggenda come “Tre giorni di pace, amore e musica”. Secondo quanto annunciato dal programma non avrebbe dovuto essere Havens il primo a esibirsi e neppure si sarebbe dovuto attendere il pomeriggio per poter ascoltare le prime note. La manifestazione doveva aprirsi nella mattinata con Joan Baez, seguita da Arlo Guthrie e da Tim Hardin, quindi Havens, poi la Incredible String Band, Ravi Shankar, Bert Sommer e gli Sweetwater, cui era affidato il compito di chiudere la prima delle tre giornate. Già all’alba del 15 agosto, però, si capisce che tutte le previsioni sono saltate. Fin dal giorno prima tutte le linee viarie di comunicazione sono saltate. Una folla immensa sta intasando le strade con ogni mezzo nel tentativo di raggiungere i prati della fattoria di Max Yasgur, incurante degli elicotteri della polizia che con gli altoparlanti invitano a tornare indietro annunciando che l’area del festival è già al limite della capienza. Le autorità preposte all’ordine pubblico fanno diffondere via radio la notizia che la zona viene considerata “area disastrata”, ma non serve a molto. Ogni passaggio degli elicotteri viene accompagnato da gesti di scherno e il fiume umano continua ad avanzare. L’intasamento diventa definitivo quando, vista la situazione, molti ragazzi decidono di abbandonare i propri mezzi di locomozione in mezzo alle strade per continuare a piedi. La situazione che si crea rende, però, difficile, se non impossibile per gli artisti raggiungere l’area del festival. Qualcuno arriverà a piedi, altri riusciranno a garantire la loro presenza solo grazie all’intervento degli elicotteri della polizia. Mentre la fiumana di gente continua ad affluire, l’area destinata al Festival, controllata dai ragazzi della Hog Farm, una comunità hippy che si è assunta l’impegno del servizio d’ordine, ospita già duecentomila giovani, ai quali vengono consegnate razioni gratuite di riso integrale per sopperire alla mancanza di cibo. Alle cinque del pomeriggio il clima non è teso, ma la musica deve iniziare. L’unico cantante presente è Richie Havens, non ci sono dubbi che gli tocchi l’apertura. «Continua fin che ce la fai», gli dicono gli organizzatori e lui va avanti per tre ore, fino allo sfinimento, in attesa che arrivi qualcuno a dargli il cambio. Fortunatamente, quando già il povero Richie comincia a temere di dover cantare per tre giorni da solo, arriva quel folle di Country Joe McDonald che, senza la band, ancora dispersa nel traffico, sale sul palco e intona una lunghissima versione di I feel like I’m fixin’ to die rag, il suo brano contro la guerra del Vietnam, concluso da un coro di centinaia di migliaia di persone che all’unisono con lui urlano un sonoro «Fuck». Anche Country Joe, però, non è di ferro e prima o poi bisognerà pur dargli il cambio, ma non si hanno notizie degli altri artisti previsti dal programma. Gli organizzatori non sanno che pesci pigliare, ma la fortuna è decisamente dalla loro parte. Non si sa bene come, ma scovano tra il pubblico John Sebastian, il leader dei Lovin’ Spoonful, arrivato lì in veste di spettatore. Lo convincono a salire sul palco e guadagnano un’altra preziosa mezz’ora. Nel frattempo comincia ad arrivare qualcuno, sia pure alla spicciolata e senza rispettare l’ordine originario. Dopo Sebastian tocca a Bert Sommer, quindi a Ravi Shankar, la cui esibizione si svolge quasi interamente sotto una pioggia battente e improvvisa. Seguono Arlo Guthrie e gli Sweetwater. Manca sempre Joan Baez. Non c’è problema. Come già per John Sebastian, viene recuperata tra il pubblico Melanie, anche lei arrivata come spettatrice e spedita velocemente sul palco mentre calano le prime ombre della sera. Finalmente arriva anche Joan Baez. Quando la folksinger inizia a cantare è ormai notte fonda e, teoricamente, la prima giornata di Woodstock dovrebbe già essersi chiusa da qualche ora, ma chi ha tempo o voglia di guardare l’orologio?
14 agosto, 2023
14 agosto 1971 – King Curtis accoltellato
Il 14 agosto 1971 il sassofonista King Curtis viene accoltellato a morte da un ladro sorpreso davanti alla porta del suo appartamento a New York. Ha trentasei anni e negli ultimi tempi è divenuto, nei fatti, il direttore musicale di Aretha Franklin, di cui accompagna le esibizioni con la sua band, The King Pins. È sua la tromba che si può ascoltare nell'album Live at the Fillmore West, uno dei migliori della Franklin. Talento precoce, a quindici anni è già un musicista professionista in vari gruppi commerciali della zona di Fort Worth, in Texas, dove è nato. Si trasferisce a New York nel 1952 quando Lionel Hampton lo invita a far parte della sua band. Negli anni successivi lavora con jazzisti di grande valore come Wynton Kelly, Nat Adderley, Sam Jones e molti altri. Parallelamente non disdegna il fronte del rhythm and blues, collaborando con quasi tutti i maggiori esponenti del genere. Eclettico e geniale non vive di sole collaborazioni. Alla testa del suo gruppo si esibisce anche in modo autonomo entusiasmando pubblico e critica con la sua sonorità asciutta e ricca di grinta, con evidenti richiami alla grande scuola del folk blues. Alla fine degli anni Sessanta la sua popolarità si allarga grazie alle musiche scritte per la serie televisiva "Soul", in particolare per il brano Soulful 13 che fa da sigla al programma. Tra le sue composizioni maggiormente conosciute ci sono Soul serenade, Instant groove e Memphis soul stew. La sua morte violenta suscita grande emozione nella scena musicale newyorkese. Tre giorni dopo, il 17, a New York si svolgono i suoi funerali di fronte a una grande folla di musicisti, appassionati e semplici cittadini. Nel corso della cerimonia funebre celebrata dal reverendo Jesse Jackson, sono moltissimi gli artisti che vogliono cantare e suonare per lui. Ci riescono, tra gli altri, Aretha Franklin, Stevie Wonder, Cissy Houston, Brook Benton e Arthur Prysock, Delaney & Bonnie Bramlett, Duane Allman ed Herbie Mann.
13 agosto, 2023
13 agosto 1965 - Il primo volo del Jefferson Airplane
Nell’estate del 1965 la città di San Francisco è un immenso laboratorio musicale. La città più europea degli Stati Uniti vive uno straordinario fermento creativo e culturale in cui si mescolano le utopie delle comunità hippy, i figli dei fiori con la loro idea di “rivoluzione dell’amore”, i primi gruppi più politicizzati in cerca di sbocchi radicali, gli spinelli e la psichedelia. Nei mille ritrovi improvvisati si suona di tutto, dal folk elettrico al blues più nero al jazz, mentre i gruppi nascono e muoiono come i funghi nel sottobosco di un caldo settembre. In questo clima nessuno presta molta attenzione al gruppo in cartellone il 13 agosto 1965 al Matrix Club, uno dei tanti locali alternativi della città. Sono i Jefferson Airplane, la band destinata a rappresentare per San Francisco quello che i Beatles sono stati per Liverpool: la sintesi più alta di un crogiuolo di esperienze passato alla storia con il nome di “San Francisco sound”. La storia del gruppo è iniziata pochi mesi prima per iniziativa di tre personaggi molto conosciuti nei localini alternativi della città: il cantante e poeta Marty Balin, l’occhialuto chitarrista Paul Kantner, un tipo singolare reduce da un’esperienza nell’entourage dei Byrds, e Jorma Kaukonen, anch’egli chitarrista, appassionato di blues e con all’attivo una breve militanza nel gruppo di Janis Joplin. I tre, decisi a dar vita a un gruppo musicale, l’hanno completato con il bassista Jack Casady, il batterista Skid Spence e la cantante Signe Anderson. Con questi sei componenti i Jefferson Airplane esordiscono il 13 agosto 1965 di fronte al pubblico del Matrix. La storia del gruppo è solo all’inizio. La formazione subirà una rapida evoluzione nel giro di pochi mesi. Skip Spence se ne andrà con i Moby Grape e verrà sostituito da Spencer Dryden, mentre Signe Anderson lascerà il suo posto a Grace Slick, l'ex modella ed ex cantante dei Great Society destinata a diventare un personaggio chiave nella vita e nel successo della band. Rapidamente la popolarità dei Jefferson Airplane supererà i confini di San Francisco fino a farli diventare un punto di riferimento fondamentale per un’intera generazione.
12 agosto, 2023
12 agosto 1985 - Kyu Sakamoto, la star giapponese del rock and roll
Il 12 agosto 1985 nella concitazione e nel caldo del periodo attorno a Ferragosto le agenzie battono la notizia di un incidente aereo accaduto nei pressi di Tokyo. In poche asettiche e impersonali righe si dice che sono morte cinquecentoventi persone tra le quali il "famoso Sakamoto". Il nome senza alcuna precisazione o più probabilmente la scarsa cultura musicale di qualche giornalista fa sì che in brevissimo tempo si diffonda la notizia della morte di Ryuichi Sakamoto, uno dei più popolari musicisti giapponesi, già componente della Yellow Magic Orchestra, collaboratore dei Japan e di David Bowie. Mentre si stanno preparando in fretta e furia vari servizi commemorativi dell'artista, Ryuichi Sakamoto in persona compare nei notiziari per dimostrare di essere vivo e vegeto. Finalmente qualcuno decide di capirne di più e scopre che la vittima dell'incidente aereo non è, ovviamente, Ryuichi, ma Kyu Sakamoto, uno dei nove figli di un ristoratore di Tokyo che negli anni Sessanta è riuscito a diventare una star del rock and roll anche in occidente. Il suo debutto risale agli anni Cinquanta quando, giovanissimo, inizia a esibirsi nei jazzclub della capitale giapponese. L'esplosione del rock and roll fa di lui uno degli interpreti idolatrati dai giovani di un Giappone in bilico tra le musiche della tradizione e i nuovi suoni che sostengono la progressiva americanizzazione del paese. La sua musica, per la verità, è una sorta di sintesi tra i ritmi del rock and roll d'importazione e le atmosfere tradizionali. In pochi anni vende milioni di dischi e diventa una star cinematografica e televisiva. Il suo successo è straordinario, ma senza una fortunata combinazione sarebbe, con ogni probabilità rimasto confinato nei confini giapponesi. La buona sorte ha le sembianze di un produttore britannico che, nel 1963, dopo aver ascoltato la sua Ue o muite aruko, ne cura la versione inglese con il titolo di Sukiyaki. Il brano, interpretato da Kenny Ball, si rivela un buon successo di vendite e agevola l'immissione sul mercato della versione originale. Nel mese di giugno del 1963 Kyu Sakamoto arriva al vertice della classifica statunitense nonostante la campagna di alcuni ambienti conservatori e di qualche associazione di veterani della Seconda Guerra mondiale che ricordano come egli non sia altro che un "muso giallo". Il successo favorisce la pubblicazione di un album con i suoi brani migliori, ma è destinato a restare un fatto isolato. Di lui non si parlerà più fino alla scomparsa nell'incidente aereo del 12 agosto 1985.
11 agosto, 2023
11 agosto 1966 - Vade retro Lennon!
L’11 agosto 1966 all’Astor Towers Hotel di Chicago si svolge una burrascosa conferenza stampa dei Beatles, sbarcati negli Stati Uniti per esibirsi in quello che è destinato a essere il loro ultimo tour oltreoceano. Per una volta, però non sono i giornalisti a creare grattacapi ai quattro ragazzi di Liverpool. Anzi, c’è chi rileva come siano “più o meno le stesse del tour precedente”. Quello che disturba è la presenza vociante e aggressiva fuori dall’albergo di varie organizzazioni cristiane integraliste che alzano cartelli in cui si chiede a John Lennon di pentirsi e alle autorità americane di espellere i “blasfemi inglesi”. Allieta l’ambiente un grande falò di dischi e manifesti della band in puro stile Ku Klux Klan. La ragione di tanto trambusto è da ricercare in una non recentissima intervista rilasciata da John Lennon a Maureen Cleave, una giornalista dell’”Evening Standard”, nella quale il musicista rileva, tra l’altro, che “i Beatles sono oggi più conosciuti nel mondo di quanto non sia Gesù Cristo.” In quello stesso 11 agosto, mentre si sta svolgendo la conferenza stampa, un’associazione conservatrice di Memphis chiede che venga annullato il concerto che i quattro di Liverpool dovrebbero tenere nella città. In caso contrario si promettono disordini e contestazioni, oltre che la dannazione eterna per i responsabili del sacrilegio. E mentre il Sudafrica, che non ha mai sopportato John Lennon per il suo impegno antiapartheid, coglie l’occasione per mettere al bando i dischi dei Beatles, i vertici della Chiesa Cattolica tentano di riportare un po’ tutti alla realtà. Su “L’Osservatore Romano” e il “Catholic Herald” compaiono due editoriali molto simili che rilevano come, pur se sbagliate nel tono, le dichiarazioni Lennon siano sostanzialmente vere. Forse perché non leggono, ma più probabilmente perché non capiscono, varie organizzazioni di estrema destra, non tutte a sfondo confessionale, si daranno appuntamento a Memphis il 20 agosto, data del concerto dei Beatles in quella città, per limitarsi a bersagliare con frutta marcia e immondizia la band. I disordini promessi finiranno lì.
10 agosto, 2023
10 agosto 1918 - Il sax selvaggio di Arnett Cobb
Il 10 agosto 1918 nasce a Houston, nel Texas, il sassofonista Arnett Cobb o, come risulta all'anagrafe, Arnett Cleophus Cobb, considerato il sax tenore "più selvaggio" della storia del jazz. Il suo swing mordente al punto da sembrare violento, i suoi attacchi improvvisi e aggressivi contribuiscono a farlo entrare nella leggenda. Non è male per un musicista la cui carriera sembrava destinata a svilupparsi nella musica classica. Cobb, infatti, studia a lungo pianoforte e violino prima di scoprire il fascino del sassofono tenore. Il suo debutto sulle scene jazzistiche avviene nel 1933 quando si esibisce con l'orchestra di Frank Davis nella città dove è nato. Tra lui e il jazz, ma soprattutto tra lui e il sassofono, è amore a prima vista, una passione intensa che lo porta a vagabondare tra le maggiori orchestre di quel periodo. Dal 1934 al 1936 è con Chester Booner, poi se ne va con la band di Milton Larkins dove incontra Illinois Jacquet ed Eddie Vinson. Sono queste due vecchie volpi a incoraggiare il suo lato musicalmente più aggressivo e a fare di lui un protagonista della scena jazzistica mondiale. A partire dal 1942, con l'orchestra di Lionel Hampton, la sua popolarità si consolida definitivamente. Il destino, però, è in agguato. Nell'aprile del 1947, deciso a sfruttare fino in fondo il buon momento artistico, lascia Hampton e si mette in proprio con una band costruita su misura per mettere in risalto le sue caratteristiche. L'esperienza dura soltanto qualche settimana perché Cobb si ammala seriamente. Per due anni il suo orizzonte diventano le pareti che circondano il letto dove sta combattendo contro una malattia che i medici ritengono incurabile. Alla fine la ce la fa a vincere la battaglia, ma non potrà più abbandonare le stampelle. Nonostante tutto riprende il sax tenore e ricomincia da capo. Nel 1951, a quattro anni dalla scomparsa dalle scene, torna a esibirsi in pubblico con una piccolo gruppo di cui è l'indiscusso leader. Le difficoltà fisiche e la lunga malattia non ne hanno compromesso in alcun modo l'irruenza. La sua ostinata caparbietà ha fatto il miracolo. L'ambiente lo accoglie con immutata simpatia e spesso il suo vecchio leader Lionel Hampton lo vuole accanto a sé nel ruolo che l'ha reso famoso. Indimenticabile resta la sua apparizione alla Grande Parade di Nizza, in Francia, del 1978 con la band di Hampton, dove riconferma sul campo anche di fronte a un pubblico difficile come quello europeo la sua fama di sax tenore "più selvaggio" della storia del jazz.
09 agosto, 2023
9 agosto 1974 – Bill Chase, profeta del jazz rock
Il 9 agosto 1974 un piccolo Piper che sta sorvolando Jackson nel Minnesota si ritrova sulla strada di una violentissima tromba d'aria. Travolto dal vento precipita e si fracassa al suolo. Il velivolo è il mezzo di trasporto dei Chase, la band capitanata dal trombettista Bill Chase, che perde la vita nell'incidente. Con lui, oltre al pilota, muoiono altri tre strumentisti della sua band: l'organista Wallace Wohn, il bassista Walter Clark e il chitarrista John Emma. A trentanove anni si chiude così la carriera di William "Bill" Chase, uno dei grandi sperimentatori del jazz rock. Nato a Boston, nel Massachusetts, negli anni Sessanta, poco più che ventenne, è già popolarissimo per la sua tecnica superlativa messa in mostra nelle orchestre di Stan Kenton, Maynard Ferguson e, soprattutto, di Woody Herman. All'inizio degli anni Settanta, attratto dalle contaminazioni tra jazz e rock sviluppate da gruppi come i Chicago e i Blood, Sweat & Tears, si lancia con entusiasmo nelle sperimentazioni di frontiera tra i due generi. Nella primavera del 1971 ottiene uno straordinario successo con l'album Chase, considerato uno dei primo grandi capolavori del jazz rock. Il disco vende quasi mezzo milione di copie (una sorta di record per un disco di jazz) e viene scelto dai lettori della rivista specializzata Down Beat come migliore album dell'anno. Per dare continuità al suo lavoro crea i Chase, una band con la quale si esibisce anche al festival di Newport. Il primo album con il gruppo non ripete il successo del precedente. Il fiasco lo mette in crisi. Per molto tempo accarezza l'idea di mollare tutto, ma poi si scuote e decide di ricominciare. Riformati i Chase inizia una lunga tournée attraverso gli Stati Uniti entusiasmando il pubblico con i suoi pirotecnici show. La critica che l'aveva stroncato torna pian piano a occuparsi di lui mentre si parla di un nuovo album. Una tromba d'aria decide per tutti. La sua carriera e la sua vita finiscono a Jackson.
08 agosto, 2023
8 agosto 1975 – Nashville, specchio degli USA
L'8 agosto 1975 Robert Altman presenta il film “Nashville”. Annunciato come un un grande affresco sul mondo della musica country, ma anche una lucida analisi, tutt'altro che metaforica, sulla provincia statunitense con i suoi vizi e con le sue tentazioni razziste, autoritarie e di destra. La narrazione descrive lo svolgersi parallelo di due avvenimenti che si intersecano tra di loro: un festival di musica country per il bicentenario della nascita degli Stati Uniti e la campagna elettorale di un candidato alla presidenza. Utilizzando una tecnica di registrazione sonora a otto piste capace di fondere suoni, musica, voci e slogan, il regista racconta attraverso le vicende di ventiquattro personaggi cinque giorni di baldoria paesana che si concludono con l'uccisione di una cantante da parte di un reduce dal Vietnam, mentre il pubblico continua a cantare It don't worry (Non importa). Il tema caro ad Altman dell'esistenza alienata, spesso brutalizzata dalla casualità degli eventi, spicca sullo sfondo di una città, Nashville, che non è vista soltanto come la capitale della country music, ma come l'emblema stesso della schizofrenica e caciarona identità culturale statunitense. Il cast mescola personaggi inventati ad altri veri che interpretano se stessi come Jonnie Barnett, Vassar Clements, i Misty Mountain Boys, Sue Barton, Elliott Gould e Julie Christie. "Nashville" divide l'opinione pubblica statunitense. C'è chi lo considera un capolavoro e chi, indignato, parla di «oltraggio ai valori fondanti della nazione». Oggetto di polemiche accese finirà per essere bistrattato, nonostante i lusinghieri giudizi della critica di tutto il mondo, dall'Academy Awards, la giuria che assegna gli Oscar. Il film riceverà, infatti, soltanto un unico striminzito Oscar per la canzone I'm easy, scritta da Keith Carradine e cantata dallo stesso in una esilarante scena in cui quattro donne pensano contemporaneamente di essere le destinatarie dell'esecuzione.
07 agosto, 2023
7 agosto 1941 – Una tuba jazz prestata al pop
Il 7 agosto 1941 nasce a Montgomery, nell'Alabama, Howard Lewis Johnson, polistrumentista tra i più versatili del jazz e del rock statunitense degli anni Settanta. Dalla tuba al sassofono, al trombone, al flicorno, non c'è strumento a fiato con il quale non si sia sperimentato con successo. Ancora piccolo resta affascinato dalle orchestrine jazz che gironzolano nell'Ohio, stato nel quale si è trasferito poco tempo dopo la nascita. Non potendo contare su maestri affidabile rubacchia il mestiere qua e là e a tredici anni sa già cavarsela egregiamente con il sassofono baritono. In breve diventa un po' la mascotte dei musicisti che operano nella sua zona e nel 1955 inizia a frequentare un corso (quasi) regolare di tuba. Non fa in tempo a terminare gli studi che deve indossare la divisa marina statunitense. Ci resta quattro anni, passati in gran parte a Chicago, ma mantiene i contatti con l'ambiente del jazz. Proprio a Chicago conosce Eric Dolphy, che lo consiglia di trasferirsi a New York. Ci va nel 1963 e un anno dopo entra a far parte del gruppo di Charlie Mingus con cui resta fino al 1966, senza rinunciare ad altre collaborazioni come quelle con Gil Evans, Hank Crawford, Archie Shepp e Buddy Rich, soltanto per citarne alcuni. In questo periodo inizia anche il suo rapporto con il Composer's Workshop Ensemble, destinato a durare a lungo. Quando molla la band di Mingus, dopo un breve periodo a Los Angeles, nel settembre del 1967 forma a New York i Substructure, un gruppo di solisti di tuba che cambia poi nome in Gravity. Oltre a lui e alla indispensabile sezione ritmica ne fanno parte Joe Daley, Morris Edwards, Carleton Greene, Jack Jeffers e Bob Stewart. Negli anni Settanta collabora a vari progetti di Carla Bley e, come molti altri strumentisti, allarga il suo interesse anche al di fuori del jazz. Particolarmente interessante risulta la sua collaborazione con Taj Mahal. Compare anche insieme alla Band nel film di Scorsese "The Last Waltz".
06 agosto, 2023
6 agosto 1970 - Mai più Hiroshima, basta con la guerra!
«Mai più stragi inutili, mai più guerra!». Il variegato mondo del pacifismo statunitense si mobilita, nell’estate del 1970, per ricordare il venticinquesimo anniversario dell’esplosione della bomba atomica di Hiroshima. Lo fa sapendo che non sarà una passeggiata perché “peace and love” è un bello slogan se serve a decorare le magliette o le copertine dei dischi, ma diventa pericoloso e sovversivo se trasferito nella realtà. E la realtà è che gli Stati Uniti sono impegnati a “difendere la civiltà occidentale” nelle paludi della penisola indocinese e che, come contro i giapponesi, il fine giustifica qualunque mezzo. Ieri era giusto lanciare un paio di bombe atomiche contro un paese già prossimo alla resa come oggi il napalm è l’unico modo per “stanare i musi gialli” da quelle giungle così intricate dove i marines si perdono. Il movimento pacifista sa che il ricordo di Hiroshima rischia di essere un ingombrante fantasma per l’establishment americano e che la celebrazione del venticinquennale non avrà vita facile. Decide così di costringere il “nemico” a dividere le forze. Per il 6 agosto 1970 programma due concerti in contemporanea, entrambi dedicati all’anniversario della bomba atomica di Hiroshima, entrambi contro la guerra. Il primo si dovrebbe svolgere a New York e l’altro a Filadelfia. Gli organizzatori sono sicuri che nessuno dirà loro un chiaro e tondo “no”, ma con altrettanta sicurezza si rendono conto che si tenterà in ogni modo di impedire le due manifestazioni. Parte così una corsa a ostacoli contro il tempo e le complicazioni burocratiche. Il 6 agosto allo Shea Stadium di New York più di ventimila persone gridano il loro impegno per la pace mentre sul palco si esibiscono John Sebastian, Janis Joplin, Paul Simon, Paul Butterfield, Johnny Winter e tutto il cast del musical “Hair”. La stessa sera tutto tace, invece, al JFK Stadium di Filadelfia. Guarda caso, la mancanza di banalissimo certificato ha impedito la concessione dello stadio: all’ultimo momento, naturalmente.
05 agosto, 2023
5 agosto 1967 – Il primo album dei Pink Floyd
Il 5 agosto 1967 viene pubblicato The piper at the gates of dawn, il primo album dei Pink Floyd. La realizzazione del disco è stata preceduta dal licenziamento di Joe Boyd, il produttore della band, e dalla sua sostituzione con Norman Smith, più gradito alla Columbia, l'etichetta del gruppo EMI alla quale sono legati contrattualmente. È proprio Smith il primo a intuire che le potenzialità dei Pink Floyd non possono essere compresse nel ristretto spazio di un singolo. Per questa ragione lascia mano libera alla band nella scelta dei brani da inserire nel loro primo album. Il risultato è un disco splendido, completamente ispirato dal genio visionario del chitarrista Syd Barrett. A lui si deve, oltre che la composizione di ben dieci degli undici brani dell'album, anche la scelta del titolo The piper at the gates of dawn, ispirato a uno racconto dello scrittore underground Kenneth Graham. L'impronta di Barrett non finisce qui, visto che s'è anche occupato delle grafica della copertina. Il disco segna una forte discontinuità con i due singoli che l'hanno preceduto. Due brani in particolare, Astronomy domine e Interstellar overdrive sono destinati a vivere a lungo entrando nei classici senza tempo della band. L'album, accolto con stupore e qualche perplessità dalla critica, vola alto nelle classifiche di vendita aprendo ai nuovi leader della psichedelia britannica le porte del mercato internazionale. Di lì a qualche mese, infatti, i Pink Floyd partiranno per la loro prima tournée negli Stati Uniti. Soprattutto nei concerti dal vivo emerge con forza la completa dipendenza della band da Syd Barrett, la cui carismatica presenza scenica è però resa ogni giorno più imprevedibile dalla costante assunzione di forti dosi di LSD. I rapporti interni al gruppo vengono messi a dura prova nonostante o, forse, a causa del crescente successo. I Pink Floyd da band "di nicchia", con un seguito ristretto a pochi ma fedeli appassionati, si ritrovano, quasi da un giorno all'altro, a dover gestire il ruolo di profeti della psichedelia con un crescente ed entusiastico seguito di pubblico. Con il passar del tempo cresce l'insofferenza dei compagni nei confronti di Barrett, spesso alle prese con disturbi mentali provocati dall'azione dell'acido lisergico. Proprio in questo periodo inizia l'evoluzione che li porterà prima ad affiancare, poi a sostituire il loro fragile leader con David Gilmour. I fans della prima ora lo rimpiangeranno per sempre, ma per i Pink Floyd inizierà l'era dei grandi successi mondiali.
04 agosto, 2023
4 agosto 1972 – 10CC, la faccia scanzonata del rock progressivo
Il 4 agosto 1972 l’etichetta UK di Jonathan King pubblica Donna, il primo singolo dei 10CC, una band che nel proprio nome ha aggiunto un centimetro al volume massimo dell’eiaculazione umana. Il gruppo si forma a Manchester con i chitarristi Eric Stewart e Lol Creme, il batterista Kevin Godley e il bassista Graham Gouldman. Nessuno di loro è alla prima esperienza. Stewart e Gouldman fino al 1968 hanno fatto parte dei Mindbenders di Wayne Fontana. Il secondo, poi, è l'autore di una lunga serie di brani di successo per gli Hollies, gli Herman's Hermits e gli Yardbirds, oltre a un album in proprio prodotto da John Paul Jones dei Led Zeppelin. Dopo lo scioglimento dei Mindbenders Stewart ha formato con gli ex Sabres Godley e Creme gli Hotlegs. Proprio dalla struttura di questa band, con l’innesto di Gouldman, nascono i 10CC. Donna, il loro primo singolo, non è un fulmine di guerra. Piace, ma non convince del tutto. I primi risultati positivi arrivano con il terzo singolo Rubber bullets, fiondatosi immediatamente al vertice della classifica britannica dei dischi più venduti, e con l’album 10CC. A partire dal 1973 diventano uno dei più importanti fenomeni musicali di quel periodo. Dotati di una sorprendente capacità di condensare in brevi brani orecchiabili suoni e ritmi di provenienza eterogenea i 10CC scoprono il lato più divertente del rock progressivo e scalano le classifiche di mezzo mondo con i loro album. Il successo non basta, però, a tenere insieme i quattro musicisti. Nel 1976, infatti, Godley e Creme lasciano la band per formare un duo con il proprio nome, mentre Stewart e Gouldman, inserito il organico il batterista Paul Burgess tentano continuare. L’anno dopo risistemano la formazione aggiungendo un altro batterista, Stuart Tosh, un tastierista, Tony O'Malley e un bassista, Ric Fenn. Alla fine del 1977, con alle spalle un tour mondiale di grande successo e un paio di dischi milionari, l’organico della band cambia ancora. Tony O’Malley se ne va e al suo posto arriva Duncan McKay, ex componente dei Cockney Rebel. Nel 1979 inizia il declino. Bloccato a lungo dai postumi di un grave incidente, Eric Stewart cura la produzione dell'album Facades dei Sad Cafe e scrive la colonna sonora del film "Girls". Anche Gouldman scrive musica per il cinema e si dedica a varie produzioni. I nuovi interessi dei due leader segnano il destino dei 10CC che nel 1983, dopo la pubblicazione di Windows in the jungle, si separeranno definitivamente.
03 agosto, 2023
3 agosto 1969 - Carl Wilson, un imbarazzante disertore
Il 3 agosto 1969 Carl Wilson, il chitarrista dei Beach Boys, compare davanti alla Corte Federale di Los Angeles per rispondere dell’accusa di diserzione. Non è un reato da poco negli Stati Uniti dell’epoca, dove vige la coscrizione obbligatoria e il paese è impegnato in una guerra mai dichiarata nel Vietnam. Obiettore di coscienza il musicista, dopo una lunga trattativa caratterizzata da blandizie e proposte nel tentativo di farlo recedere dai suoi propositi, aveva ottenuto di sostituire la divisa con il servizio civile. Poteva evitarselo. In fondo, gli avevano detto tutti, poteva anche accettare di farsi il periodo di leva sotto le armi. Non avrebbe certo rischiato, lui così biondo, bianco e famoso, di andare a combattere nelle giungle indocinesi. Tutt’al più gli sarebbe toccato di visitare in elicottero qualche base militare USA ben lontana dal fronte, ripulito e con la divisa in perfetto ordine, a uso e consumo dei fotografi e dei telegiornali. Nonostante tutto ha detto no. I militari non hanno gradito e, alla prima occasione si sono vendicati. Quando non si è presentato nel luogo e nel giorno stabiliti per l'inizio del servizio civile hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per diserzione, salvo scoprire quasi subito di non aver avuto una bella idea in un periodo in cui sta crescendo nell’opinione pubblica l’opposizione alla guerra in Vietnam. Tutta l’America infatti viene così a sapere che persino uno dei componenti del gruppo-simbolo dello scanzonato disimpegno californiano tutto casa, surf e ragazze si rifiuta di vestire la divisa. L’udienza del 3 agosto si risolve in pochi minuti perché Carl presenta ai giudizi un certificato da cui risulta che nel giorno in cui avrebbe dovuto iniziare a lavorare nel servizio civile era ricoverato in ospedale. Il processo finisce lì. Uscendo dall’aula il chitarrista dice ai giornalisti che, a parziale risarcimento del disturbo arrecato alla collettività dalla sua ritardata presentazione, i Beach Boys suoneranno gratuitamente in ospedali, carceri e in altri luoghi “dove c’è gente che soffre”.
31 luglio, 2023
31 luglio 1968 – Chiude la boutique dei Beatles
Il 31 luglio 1968 la boutique Apple di Londra chiude i battenti regalando le rimanenze ai clienti. È il fallimento sostanziale di una delle sezioni più importanti della società creata dai Beatles dopo la morte del loro scopritore, manager e amico Brian Epstein. La chiusura della boutique è solo l'ultima tappa di un cammino segnato dall'incertezza e da crescenti difficoltà nei rapporti interni alla band. Negli anni successivi John Lennon confesserà: «La morte di Brian ci aveva sconvolto. In quel momento fu Paul (McCartney) ad assumere il controllo della situazione. Prese per mano il gruppo e iniziò a condurci, ma non tutti eravamo d’accordo di andare nella direzione che aveva scelto. Fu allora che cominciò la nostra disintegrazione, non dopo». Eppure in quel momento i Beatles sembrano nocchieri di una nave inaffondabile. Su proposta di Paul viene fondata la Apple, un’organizzazione di proprietà di tutti e quattro i componenti della band destinata a occuparsi della produzioni in campo artistico e della gestione di vari settori merceologici collegati all’immagine del gruppo. Il nome e il marchio sono ispirati a un quadro del pittore belga René Magritte, mentre per la sede della società viene scelto un imponente palazzo del XVIII secolo situato in un angolo di Baker Street a Londra. La prima operazione, il film "Magical mistery tour", si rivela un clamoroso fiasco commerciale e artistico. Le perdite vengono in parte compensate dal successo delle canzoni contenute nella colonna sonora. Più grave è la chiusura della boutique perché evidenzia anche il fallimento del tentativo di gestire in modo commercialmente interessante l'immagine del gruppo. Nel disastro generale fa eccezione il settore musicale e della produzione discografica, che continua a essere trainato dal costante successo del marchio Beatles e dal lancio di alcuni giovani talenti, ma la solidità interna del quartetto mostra le prime evidenti crepe. Con la boutique si chiude un sogno.
30 luglio, 2023
30 luglio 1960 - Arv Garrison, chitarrista di transizione
Il 30 luglio 1960 muore il chitarrista Arv Garrison. Registrato all’anagrafe con il nome di Arvin Charles Garrison, nasce a Toledo, in Ohio, il 17 agosto 1922 in una famiglia di musicisti. Il suo approccio agli strumenti a corda avviene senza alcun maestro. Il precoce Arv, infatti, impara da solo a nove anni a trarre suoni intonati dalle corde tese, dapprima utilizzando l’ukulele e in seguito passando alla chitarra. Dai dodici ai diciotto anni si fa le ossa suonando nelle feste da ballo con vari gruppo e successivamente dà vita a una propria formazione con la quale nel 1941 si esibisce al Kenmore Hotel di Albany. Dopo una permanenza nell’orchestra di Don Seat a Pittsburgh, costituisce un trio che prende il nome di Vivien Garry Trio, dal nome della contrabbassista Vivien Garry, moglie dello stesso Garrison. Chitarrista di transizione, inizialmente influenzato da Django Reinhardt, Garrison, partecipa anche a varie sedute d'incisione con i boppers, compresa quella diretta da Charlie Parker nel marzo 1946 nella quale vengono incisi Yardbird Suite, Ornithology e A Night In Tunisia. Negli anni Cinquanta torna nella sua città natale limitando le sue esibizioni ai locali della zona.
29 luglio, 2023
29 luglio 1987 - Bill Clinton al sax per i Four Tops
Mercoledì 29 luglio 1987 il governatore dello Stato del Michigan James Blanchard dichiara il Four Tops Day, la “Giornata dei Four Tops”, in tutto il territorio dello stato per sottolineare il contributo dato alla crescita civile e culturale di Detroit e della nazione intera dal gruppo vocale nero dei Four Tops. Sulla breccia da più di trent’anni (sono nati nel 1956) senza mai cambiare formazione i quattro, Levi Stubbs, Lawrence Payton, Abdul “Duke” Fakir e Renaldo “Obie” Benson, sono il gruppo più longevo della Motown, la casa discografica fondata da Berry Gordy jr che ha il merito di aver imposto il “Detroit sound”, la musica nera di derivazione soul, in tutto il mondo. I Four Tops sono degli operai della canzone. Abili esecutori senza velleità compositive credono nella forza del gruppo e non sono mai stati tentati dall’idea di esibirsi come solisti. Nel 1987 sono passati ventitré anni dal loro primo grande successo Baby I need your loving, ma la loro popolarità non ha subito flessioni, anche se i dischi non arrivano più al vertice della classifica. In quell’anno Levi Stubbs ha anche prestato la sua voce alla pianta carnivora del film “Little shop of horrors” (La piccola bottega degli orrori). In occasione del Four Tops Day viene organizzata una grande festa nella cittadina di Traverse City cui partecipano artisti e personalità provenienti da tutti gli Stati Uniti. Il programma prevede che il gruppo esegua i brani più famosi accompagnato da molti strumentisti neri degli studi Motown. Quando partono le prime note il pubblico s’accorge che sul palco c’è una mosca bianca, non in senso figurato. Tra i sassofonisti, infatti, c’è un giovanottone di pelle bianca che suona il sax. È un ex obiettore alla leva negli anni della guerra in Vietnam che è riuscito a diventare Governatore dell’Arkansas. Il suo nome è Bill Clinton e nel suo futuro c’è la presidenza degli Stati Uniti.
28 luglio, 2023
28 luglio 1979 – Il sogno della 2-Tone
Il 28 luglio 1979 con il singolo Gangsters degli Specials per la prima volta le classifiche britanniche ospitano un disco della 2-Tone, la casa discografica autogestita dalla band, il cui logo, un omino bianco e nero, è diventato da tempo il simbolo del movimento ska. Più che un'etichetta la 2-Tone è un laboratorio dello ska, la musica nata dalla mistura tra la secca essenzialità del punk e la ritmica armonia delle musiche giamaicane. Per i giovani ribelli e antirazzisti delle metropoli britanniche la 2-Tone è l'emblema di un rinnovamento musicale capace di mescolare culture diverse. Nata dalla geniale e fertile inventiva di Jerry Dammers, il leader degli Specials, ha una struttura del tutto improbabile. Non c'è una vera e propria sala di registrazione. I primi nastri vengono praticamente registrati tutti, o quasi, nel suo appartamento a Coventry. Non c'è una programmazione né uno staff che si occupi del marketing. La principale e, per molto tempo, unica forma di promozione sono i concerti e il nutrito sottobosco di fanzine del movimento ska, fogli autoprodotti che passano di mano in mano. Soltanto l'anno prima gli Specials, pur di salvaguardare l'integrità artistica dell'etichetta, hanno rifiutato di firmare un ricco contratto proposto loro da Bernie Rhodes, il manager dei Clash. La 2-Tone non è soltanto Specials. Si può dire che tutti i principali gruppi del movimento ska partano dall'etichetta dell'omino bianco e nero «di sinistra e contro ogni razzismo». La lista è lunghissima e comprende dai Selecter ai Madness, dai Beat agli Swingin' Cats, alle Bodysnatchers, a Rico, un trombonista giamaicano onnipresente considerato una sorta di portafortuna. E quando la destra si scatena, da questo gruppo nasce l'idea della resistenza militante contro le violenze del National Front. Non tutti resisteranno per sempre alle lusinghe del mercato e anche la 2-Tone finirà. L'esperienza resterà però una delle pagine più belle della musica britannica.
27 luglio, 2023
27 luglio 1979 - In fiamme l’emporio di Alice Cooper
Il 27 luglio 1979 un attentato distrugge a Scottsdale, in Arizona, un negozio di prodotti d’artigianato dei nativi americani, quelli che nei film western vengono chiamati “indiani”. Le fiamme riducono in cenere l’intero emporio. In assenza di rivendicazioni gli investigatori brancolano nel buio. L’unica certezza è l’origine dolosa dell’incendio, preceduto da un’esplosione assordante. La curiosità dei giornalisti aumenta quando si scopre che il proprietario del negozio è Alice Cooper, una delle rockstar più popolari dei primi anni Settanta, le cui violente e raccapriccianti invenzioni sceniche hanno entusiasmato anche Salvador Dalì. Proprio il celebre pittore lo ha definito “re della confusione totale”. Nel 1972 la sua School’s out era divenuta l’inno di ribellione degli studenti inglesi («Noi non abbiamo classi/e non abbiamo princìpi/e non abbiamo neanche l’innocenza/e non riusciamo a pensare neppure una parola che faccia rima»). Simbolo di un rock decadente ricco d’effetti e affascinato dall’horror, Vincent Damon Furnier, questo è il suo vero nome, ha sempre diviso l’immagine pubblica dalla vita privata. Incendiario e provocatorio sul palcoscenico, quando sveste i panni della rockstar si trasforma in un uomo cortese, intelligente e colto. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta riduce l’attività artistica, allargando il campo dei suoi interessi anche a settori diversi dalla musica. Per questa ragione appare improbabile che l’incendio sia opera di qualche ammiratore in cerca di popolarità. Ai giornalisti confessa che nell’attentato sono andati distrutti tutti i riconoscimenti ottenuti nel corso della sua carriera, compresi i dischi d’oro. «Non so chi volessero colpire con questa azione, se la mia modesta attività commerciale o l’opera di sensibilizzazione sui diritti dei nativi americani, ma chiunque sia stato sappia che non otterrà risultati. Sgomberate le macerie ricominceremo come prima».
26 luglio, 2023
26 luglio 1959 – La Rosa di Napoli
Il 26 luglio 1959 muore a Napoli, la città che le ha dato i natali e alla quale è stata sempre profondamente legata, la cantante e attrice Rosa Moretti. Da un mese ha compiuto cinquantacinque anni. Il suo nome vero, per la verità, è Maria Santoro ma da anni in tutto il mondo è conosciuta come "la Rosa di Napoli". Proprio nella città partenopea nasce, infatti, nel 1904. La bambina si fa notare per la sua voce squillante e naturalmente intonata. Ben presto scopre che, con un po' di studio e tanta applicazione, può migliorare la sue qualità. È difficile dire quanto pesino le lezioni dei vari maestri che, via via, l'assistono nei suoi progressi e nell'apprendimento delle tecniche vocali, e quanto, invece, sia determinante la sua caparbia voglia di migliorare. Comunque sia, non ha ancora diciotto anni ed è già una della cantanti più contese dalle varie "sale da musica" napoletane. La sua voce da soprano leggero dotata di ampia estensione conquista un pubblico sempre più vasto. Nel 1928 viene scritturata dall'appena nata EIAR e fa il suo debutto ai microfoni di Radio Napoli accompagnata dall’orchestra di un grande maestro come Tito Petralia. In quei tempi un contratto radiofonico richiede un impegno costante, con orari quasi impiegatizi. Tutto viene trasmesso in diretta e richiede prove quotidiane. La ragazza appena può cambia aria e se ne va all'estero dove diventa una vera e propria star delle comunità italiane sparse per il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada e nel Sudamerica. Nonostante le sue tournée si tramutino regolarmente in grandi bagni di folla, Rosa non ce la fa a stare lontana dalla sua Napoli. Nel dopoguerra, superato il traguardo dei quarant'anni sceglie di cambiare genere per dedicarsi quasi esclusivamente alla sceneggiata. Abituata a essere padrona del proprio destino, verso la metà degli anni Cinquanta, quando capisce che il suo fisico non regge più le fatiche e lo stress del palcoscenico, saluta tutti e lascia le scene.
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