Il 17 settembre 1925 nasce a Napoli Pina Lamara o, come è registrata all’anagrafe, Giuseppina Lamara. Maestra elementare viene notata per caso mentre canta con un posteggiatore in una trattoria durante una gita fuori porta con la sua scolaresca. La ragazza, convinta di avere delle potenzialità, prende lezioni di canto e nel 1947 partecipa al concorso radiofonico "L'ora del dilettante” classificandosi al primo posto. Qualche tempo dopo debutta ai microfoni della radio con l’orchestra di Gino Campese, passando poi a quelle di Giuseppe Anepeta, Nello Segurini e Mario Vinci. Nel 1956, al culmine della popolarità, partecipa al Festival di Napoli e parte per una lunga tournée in giro per il mondo ottenendo notevoli consensi soprattutto negli Stati Uniti. Sorprendendo tutti l'anno seguente, colta da una crisi mistica, lascia le scene e si ritira in convento. Non ci resterà a lungo. Otto anni dopo, nel 1965, convinta dai suoi estimatori a riprendere l’attività, torna al Festival di Napoli con Notte senza fine in coppia con l'Equipe 84. Pur senza ripetersi ai livelli dei primi anni della sua carriera continuerà a cantare fino ai primi anni Settanta.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
17 settembre, 2023
16 settembre, 2023
16 settembre 1974 – Quando Bob Dylan tornò all’ovile
Il 16 settembre 1974 Bob Dylan entra negli studi della CBS per registrare un nuovo album. L’avvenimento attira l’attenzione dei media non solo per l’attesa che si crea ogni volta che il cantautore inizia a registrare un nuovo disco, ma perché segna, contro ogni previsione, il ritorno di Dylan alla casa discografica che l’ha lanciato. È passato poco più di un anno da quando se n’era andato sbattendo la porta e aveva giurato di non voler avere più niente a che fare con «quei disonesti». La causa scatenante del conflitto era stata la pubblicazione, da parte della CBS, di Dylan un modesto album antologico realizzato assemblando materiale scartato in occasione di precedenti registrazioni. «Me ne vado per sempre. D’ora in poi pubblicherò da solo i miei dischi». L’episodio riesce anche a strapparlo dall’apatia creativa in cui sembrava piombato all’inizio degli anni Settanta. È un Dylan di nuovo “in palla” quello che nell’autunno del 1973 annuncia la sua intenzione di tornare a esibirsi il suo primo tour statunitense dopo otto anni. All’inizio del 1974 sono oltre sei milioni le richieste di biglietti per i trentanove concerti annunciati. L’impossibilità di soddisfarle tutte rende necessario un sorteggio che si tramuta in un’altra grande occasione pubblicitaria. Si calcola in oltre novanta milioni di dollari la cifra che finisce nelle sue tasche ancor prima di iniziare a suonare una sola nota. Partito da Chicago il 3 gennaio 1974 il tour ottiene un successo senza precedenti e stabilisce il record assoluto d’incassi in occasione del doppio concerto al Madison Square Garden di New York. In contemporanea con il suo ritorno alle esibizioni dal vivo pubblica il mediocre album Planet waves che vola alto nelle classifiche di vendita più per la ritrovata popolarità del cantautore che per meriti propri. La tournée viene registrata e il materiale migliore finisce nel doppio album Before the flood, grintoso e nostalgico al punto giusto, ma poco curato per quel che riguarda la fase della post-produzione. Dylan ritrova la sua freschezza creativa e la voglia di lavorare, ma si rende conto che quello del discografico non è il suo mestiere. Riannoda i vecchi legami, mette da parte il suo onore ferito e ritorna all’ovile della CBS. Non più obbligato a fare i conti con il proprio bilancio ritroverà anche l’antica mania perfezionistica e chiederà di poter rimettere mano al materiale registrato prima della sua pubblicazione nell’album Blood on the tracks.
15 settembre, 2023
15 settembre 1965 - Steve Brown, il campione dello slap
Il 15 settembre 1965 muore all'età di settantacinque anni il contrabbassista Steve Brown, all'anagrafe Theodore Brown, fratello minore del trombonista Tom Brown. Protagonista di primo piano del revival dixieland degli anni del dopoguerra, si fa notare per la prima volta nel 1923 quando sostituisce il contrabbassista Arnold Loyacano nell'orchestra dei New Orleans Rhythm Kings. Nello stesso periodo suona anche con il gruppo del cornettista Murphy Steinberg al "Midway Gardens" di New Orleans. All'inizio degli anni Trenta se ne va a Detroit dove ha modo di allargare la sua popolarità con vari gruppi, alcuni dei quali lo vedono nel ruolo del leader. Verso la metà degli anni Cinquanta si unisce alla band del fratello Tom senza però rinunciare a qualche esperienza autonoma. Legato agli schemi del jazz più morbido e tradizionale è uno dei campioni della tecnica contrabbassistica dello "slap" tanto che c'è chi lo definisce, a torto, «l'inventore dello slap». Che cos'è lo slap? La parola, che significa "schiaffo", indica una tecnica particolare per suonare il contrabbasso nata all'inizio del secolo e che consiste nello "schiaffeggiare" corde e cordiera dello strumento sui tempi pari della battuta in 4/4 dopo aver pizzicato la nota sui tempi dispari. Quando lo slap viene dato "in levare" fra tutti e quattro i tempi della battuta si crea una sorta di raddoppio del tempo iniziale. Brown, dunque, non l'ha inventata, visto che esiste già quando lui inizia a suonare, ma ne ha sviluppate le possibilità. Non si limita, infatti, a utilizzare lo slap in modo rigido, ma ne fa una componente sonora dell'esecuzione. Invece di pizzicare le corde trasversalmente, lo fa tirandole verso l'esterno in modo che la corda ribatta contro la cordiera producendo, oltre alla nota voluta, un rumore secco come una frustata. È ancora oggi possibile verificarne l'efficacia in brani divenuti leggendari come Dinah o My pretty girl da lui registrati con l'orchestra di Goldkette.
14 settembre, 2023
14 settembre 1968 – Un giocatore di flipper sordo, muto e cieco
«So che non mi crederà nessuno, ma io sto davvero pensando di scrivere un’opera rock che abbia per protagonista un giocatore di flipper sordo, muto e cieco. Non sto scherzando, anche se per ora è solo un’idea che ho in testa. Non c’è niente di definito». In questa dichiarazione, rilasciata il 14 settembre 1968 alla rivista Rolling Stone, Pete Townshend, chitarrista e leader degli Who annuncia in anteprima la sua intenzione di comporre “Tommy”, un affresco musicale destinato a entrare nella storia del rock. Come spesso accade la notizia passa inosservata perché nessuno se la sente di prenderla sul serio. Dopo la pubblicazione, da parte dei Beatles, di Sgt. Pepper’s lonely hearts club band molti gruppi hanno iniziato a considerare gli album non più come un contenitore per tante canzoni slegate tra loro, ma come uno spazio per brani diversi legati da un filo conduttore. Gli stessi Who con Sell out sembrano aver voluto raccogliere la sfida lanciata dai quattro baronetti di Liverpool. Proprio mentre sta parlando con i giornalisti dell’ultimo lavoro del gruppo Pete Townshend accenna alla sua intenzione di sfruttare meglio e in modo originale la dimensione del concept-album, ritenendo l’esperienza dell’album Sell out un punto di passaggio, non un approdo definitivo. I giornalisti che lo ascoltano si appuntano le considerazioni generali ma ritengono che la storia del giocatore di flipper muto, cieco e sordo sia una delle tante stramberie provocatorie tipiche degli Who e non gli danno peso. Hanno torto. Profondamente influenzato dalle filosofie orientali e dalla dottrina del guru indiano Meher Baba, il musicista sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti e di ricerca artistica. L’indifferenza dei giornalisti lo ferisce. A parte qualche accenno generico evita di parlare ancora del progetto e lavora in silenzio a Tommy che vede la luce nel 1969. Proprio come anticipato l’opera rock narra la storia di un ragazzo divenuto sordo, cieco e muto in seguito a un trauma infantile che, inaspettatamente diventa un asso del flipper. La vicenda affascinerà anche il regista Ken Russell che cinque anni dopo la trasformerà in un geniale e visionario film.
13 settembre, 2023
13 settembre 1955 - Due giorni per costruire il mito di Little Richard
Il 13 settembre 1955 Little Richard entra negli studi di registrazione J&M di New Orleans, accompagnato dal produttore Robert A. "Bumps" Blackwell. Da tempo alla ricerca di una precisa collocazione nel panorama musicale statunitense il cantante sembra destinato a un ruolo di secondo piano. L'unico a credere nelle possibilità di questo ragazzo nero nato a Macon in Georgia è proprio Blackwell, convinto che fino a quel momento non sia mai stato messo nella condizione di esprimersi al meglio. «Richard è un artista spontaneo ed emotivo. Non può essere ingabbiato. Devi saperlo se vuoi lavorare con lui». Per questa ragione ha scelto gli studi di New Orleans, famosi nell'ambiente musicale perché il tecnico del suono, l'italoamericano Cosimo Matassa, odia qualunque aggeggio elettronico che non sia l'effetto eco. Ha poi voluto in studio gran parte dei musicisti che già hanno lavorato con Fats Domino, tra cui il batterista Earl Palmer e il sassofonista Lee Allen. Prima di iniziare le raccomandazioni di Blackwell al giovane Richard sono improntate a un unico concetto: «Lasciati andare. La musica nei dischi non può essere artificiale. Tutto ciò che farai verrà registrato direttamente, come se fossi in concerto. Il rock and roll è energia, non può essere ingabbiato, altrimenti è plastica, immondizia che l'artista non vive». Negli studi J & M in due giorni di sedute Little Richard registrerà nove brani. Otto scompariranno nel nulla. Uno, però, entrerà nella leggenda. È Tutti frutti una sorta di esplosivo nonsense con un testo costruito da Dorothy La Bostrie con un occhio al be-bop e l'altro alla lezione del movimento dadaista. Ci sarà anche chi, con molta fantasia e qualche problema psicologico irrisolto, citerà per oscenità questa canzone che resta fondamentalmente una lunga filastrocca senza alcun senso compiuto. Una cosa è certa: rispetto alla generalità dei brani di quel periodo appare decisamente innovativo e non solo per il testo. Anche dal punto di vista musicale non si può dire che rispetti i codici canonici di un brano di rock and roll dell'epoca. Non c'è la chitarra, relegata in un ruolo di accompagnamento ritmico, e tutto il peso della struttura strumentale ricade sul pianoforte. Il riff martellante, sottolineato dalla tastiera percossa da Richard in maniera distruttiva, e l'impeto vocale travolgente del cantante sulla oscura frase «awopbopaloobop alop bam boom» faranno entrare questo brano nella storia del rock e consegneranno la figura di Little Richard al mito.
12 settembre, 2023
12 settembre 2004 – In 25.000 a Londra per la “La corazzata Potemkin” dei Pet Shop Boys
In una serata da lupi, con una pioggia e un vento da far rabbrividire solo a guardare, il 12 settembre del 2004, venticinquemila spettatori si ritrovano a Londra in Trafalgar Square per assistere alla proiezione su grande schermo del film “La corazzata Potemkin” con la nuova colonna sonora scritta e per l’occasione eseguita dal vivo dai Pet Shop Boys accompagnati dai ventisei elementi della Dresden Sinfoniker Orchestra. Sembrava un’accoppiata davvero improbabile quella tra lo storico duo elettronico britannico e il film realizzato da Sergej Ejzenstejn nel 1925 che seimila cineasti europei una decina d’anni fa hanno consacrato “miglior film di tutti i tempi” e che Paolo Villaggio nel primo Fantozzi ha santificato a icona del cineforum noioso. Eppure funziona, confermando l’intuizione geniale dall’Istituto di Arte Contemporanea di Londra. È stato proprio il prestigioso istituto britannico a scegliere i Pet Shop Boys, il duo di elettro-pop sfavillante che aveva ricamato gli anni Ottanta con brani destinati a restare nell’immaginario collettivo, per l’impresa di accompagnare le gesta degli ammutinati della “Potemkin” a Odessa. La decisione era stata presa in ossequio al desiderio di Ejzenstejn che ogni nuova generazione creasse una colonna sonora per il suo capolavoro. L’opera di Neil Tennant e Chris Lowe si affianca così alle due precedenti colonne sonore che portano le prestigiose firme di Edmund Meisel e Dimitri Shostakovich. La nuova versione mescola pop e musica classica e, più che rappresentare una rottura rispetto alle due precedenti, utilizza nuove sonorità e strumentazioni per sottolineare le emozioni raccontate dallo schermo in un modo più rispondente alla sensibilità musicale del pubblico del nuovo millennio. L’entusiasmo e la lunghissima ovazione che salutano i Pet Shop Boys quando il proiettore che illumina le immagini sullo schermo gigante si spegne insieme all’eco dell’ultima nota sono la riprova più evidente del successo. Un po’ spaventato dagli eccessi di complimenti Neil Tennant assume un atteggiamento piuttosto defilato ricordando che è impossibile ragionare del valore musicale di una colonna sonora senza considerare il valore del film. In questo senso lui e il suo socio non avrebbero poi inventato granché visto che «In fondo ci siamo solo ingegnati a mettere in evidenza il lato più moderno del film». Invece la colonna sonora rappresenta l’ennesima conferma dell’intelligenza e della genialità di un duo che lungi dal restare prigioniero del proprio effimero e datato mito, ha scelto di misurarsi con sempre nuove sfide. Dèi del rutilante firmamento degli anni Ottanta, amatissimi in ugual modo dalle comunità gay e dagli yuppies della City, hanno rotto le catene di chi voleva agganciarli per sempre a un genere e hanno iniziato a percorrere nuove strade senza l’assillo di vedere prima dove portassero. Con il passare del tempo l’elettro-pop sfavillante si è mutato in una produzione artistica ricca di richiami interdisciplinari e prende sottobraccio Ejzenstejn. Forse è anche per questo che il Guardian li definisce "l'ultimo baluardo del pop intelligente".
11 settembre, 2023
11 settembre 1968 - La marijuana al posto giusto per incastrare Sly
L'11 settembre 1968 gli Sly & the Family Stone, arrivati a Londra dagli Stati Uniti per un breve tour, trovano un insolito comitato d'accoglienza. Non ci sono fans accaldati che si spingono e li applaudono, ma alcuni compassati agenti di polizia debitamente forniti di cane antidroga. Con ferma gentilezza tutti e sette i componenti del band multirazziale vengono accuratamente perquisiti. Il trattamento più meticoloso viene applicato a Sly Stone che, però, risulta pulito. Tanta solerzia da parte delle forze dell'ordine non può finire in niente. Chi cerca trova. Addosso al bassista Larry Graham gli agenti trovano finalmente alcuni grammi di marijuana. Il ragazzo sostiene di non essere così stupido da portare addosso qualcosa di cui avrebbe potuto facilmente liberarsi ma non 'c'è nulla da fare. La legge di Sua Maestà non ammette deroghe e per lui scattano le manette. Alla BBC tirano un sospiro di sollievo. La già programmata partecipazione della band ai suoi programmi può essere cancellata e anche l'albergo che avrebbe dovuto ospitare i sette musicisti e il loro seguito annulla la prenotazione. Soltanto la solidarietà di vari musicisti inglesi evita a Sly & the Family Stone il fastidio di dover dormire sotto i ponti del Tamigi. La marijuana ha fatto il miracolo di togliere le castagne dal fuoco agli organizzatori della tournée del gruppo. Nei giorni precedenti all'arrivo di Sly e dei suoi compagni, infatti, vari tabloid avevano criticato la decisione di aprire le porte della Gran Bretagna a una band multirazziale troppo amica delle comunità hippie, apertamente schierata su posizioni antiproibizioniste e il cui leader è sospettato di essere un fiancheggiatore dei gruppi dell'estrema sinistra nera, in particolare del Black Panther Party. Il "fortunato" ritrovamento di marijuana chiude lì il tour. Una settimana dopo, ottenuta la scarcerazione di Graham, i sette ripartiranno per gli States senza aver suonato neppure una volta sul suolo britannico.
10 settembre, 2023
10 settembre 1968 – Si sciolgono i Giganti, anzi no…
Per il 10 settembre 1968 è annunciato lo scioglimento ufficiale dei Giganti, una delle più originali band del beat italiano. Chi l’ha annunciato? Gli stessi componenti della band che qualche giorno prima hanno inviato al loro impresario Moschini un telegramma che recita «Dal 10 settembre prossimo venturo preghiamoti non prendere più impegni per le nostre esibizioni». Eleganti, musicalmente preparati, con un repertorio intelligente e colto, i Giganti si sono conquistati una solida popolarità in soli quattro anni di vita. La loro nascita, infatti, risale al 1964 quando iniziano a esibirsi facendosi annunciare da un manifesto ironico che recita: «Per fare un Gigante ci voglio dieci Beatles». La prima formazione è composta dal chitarrista Giacomo "Mino" De Martino, dal bassista Sergio De Martino, dal batterista Enrico Maria Papes e da Paolo Vallone, sostituito poco tempo dopo dal tastierista Francesco "Checco" Marsella. Dopo un disco con il nome del solo Sergio Di Martino, fanno il loro debutto discografico nel 1965 con Morirai senza lei, la versione italiana di Crying in the rain degli Everly Brothers e Fuori dal mondo, versione italiana di Keep searching di Del Shannon. Puntando sulla pulizia degli impasti vocali che alternano toni baritonali e coretti alla Mamas & Papas, dopo Una ragazza in due arrivano al grande successo nel 1966 con Tema, un brano concepito come un tema scolastico sull'amore, svolto a turno dai vari elementi del gruppo. Nel 1966 partecipano al Festival di Napoli con Ce vo' tiempo e l’anno dopo sono al Festival di Sanremo con Proposta, una canzone pacifista sull'onda del "flower power" californiano. Il 1968 è l’anno dello “scandalo” provocato dalla canzone Io e il presidente, un brano censurato dalla RAI per il verso «oggi non sono nessuno, domani sono Presidente della Repubblica». Scossi da discussioni interne fissano per il 10 settembre 1968 la fine del sodalizio. In realtà lo scioglimento non ci sarà. La baracca sta in piedi ancora qualche anno. Nel 1971 i Giganti pubblicheranno il concept album Terra in bocca sul problema della mafia, realizzato con la collaborazione del futuro Area Ares Tavolazzi, Marcello Della Casa dei Latte e Miele, Vince Tempera ed Ellade Bandini. Crescono però i dissidi interni e, dopo il singolo Sono nel sogno verde di un vegetale, il gruppo si scioglierà definitivamente nel 1972 anche se non mancheranno riunioni più sull'onda della nostalgia che per una reale necessità artistica.
09 settembre, 2023
9 settembre 1979 - Cat Stevens, Yusuf Islam
Il 9 settembre 1979 nella moschea di Kesington il cantautore inglese Cat Stevens, che da quando ha abbracciato la religione islamica ha cambiato nome in Yusuf Islam, sposa la sua compagna Fouzia Ali nella moschea di Kesington. È l'atto che segna quella che dovrebbe essere la definitiva rottura di Cat Stevens con il music business e con il mondo dello spettacolo, perché il cantautore non si è limitato ad abbandonare le scene musicali, ma ha anche rinunciato legalmente a tutti i diritti sulle sue canzoni e sui suoi dischi per non avere più fonti di lucro. Il rispetto per le scelte personali non cancella il rammarico per l'uscita di scena di quella che, insieme a Donovan, era stata considerata la figura più rappresentativa della canzone d'autore britannica. Nasce a Londra nel quartiere di Soho il 21 luglio 1947 e all'anagrafe è registrato con il nome di Steven Georgiou. Sua madre è svedese e suo padre un restauratore greco. Le sue prime esperienze musicali risalgono al 1965, quando si è da poco iscritto all'Hammersmith College. L'anno dopo pubblica il suo primo disco, la leggera I love my dog, prodotto da Mike Hurst, che fa una timida apparizione nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Mentre le sue canzonette garbate conquistano il pubblico dei ragazzi d'oltremanica, lui comincia a sentirsi stretto nel ruolo di idolo dei teen-ager. Ad accelerare la sua svolta personale e artistica arriva anche la terribile parentesi della tubercolosi, la malattia che lo tiene lontano dalle scene musicali per quasi due anni, dal 1968 al 1970. Quando ricompare è un artista profondamente diverso dal passato. La sua produzione cambia sia nei testi, che diventano più maturi e consapevoli, che nell'impostazione musicale, con il pianoforte che prende il posto della tradizionale chitarra acustica. Appartiene a questo periodo la famosa Lady D’Arbanville, un brano che attinge al folk tradizionale inglese con un approccio moderno ma rispettoso delle atmosfere del passato. A ben guardare sono già presenti tutti gli elementi di quella che diventerà poi la sua scelta di vita definitiva, cioè l'abbandono dell'ambiente musicale e la conversione. La guerra in Iraq e gli sviluppi delle vicende mediorientali lo convinceranno poi a riprendere strumenti e impegno per una nuova battaglia a favore della pace, della comprensione e della tolleranza. Nel 2014 ha pubblicato l'album Tell 'em I'm gone.
08 settembre, 2023
8 settembre 1978 - PIL, Public Image Ltd, più del punk, oltre il punk
L'8 settembre 1978 i PIL (Public Image Limited) pubblicano il loro singolo d'esordio Public Image. È il primo vagito della nuova creatura inventata dall'ex cantante dei Sex Pistols Johnny Rotten dopo lo scioglimento della band e dopo una breve esperienza con l'ex Sham 69 Jimmy Pursey. Quello che era stato uno dei più appariscenti simboli del punk si presenta ora con il suo vero nome, cioè Johnny Lydon, e con un nuovo progetto. La formazione dei PIL è completata dal batterista Jim Walker, dal bassista Jah Wobble e da una vecchia (si fa per dire) conoscenza degli appassionati del punk: il chitarrista Keith Levine già con i Flowers of Romance, la prima band del più stralunato dei Pistols, Sid Vicious. Il disco rompe il mistero che circonda il progetto e anticipa, almeno sul piano dell'impostazione musicale, i contenuti dell'album Public Image Ltd. Da tempo Rotten, o Lydon che dir si voglia, sostiene che il punk è morto e che occorre andare oltre, superare un limite espressivo che, a suo dire, si è fatto noioso e mortifero. I primi brani della sua nuova band confermano la svolta. Caratterizzati da una musica ipnotica, lucida e tagliente come una lama, ma priva delle sbavature e delle ruvidezze del punk, segnano una netta rottura con il sound dei Sex Pistols, ma ne raccolgono l'eredità nell'aggressività dei testi di brani come Religion attack. Nonostante la buona accoglienza del pubblico i PIL faranno fatica ad assumere i contorni di una vera band, anche perché schiacciati dalla personalità del loro leader. Fin dai primi mesi di vita daranno l'impressione di non essere destinati a durare nel tempo. Dopo il tour statunitense del 1980 decideranno di non suonare più dal vivo, mentre Jah Wobble se ne andrà. Il gruppo perderà via via tutti i pezzi lungo la strada e nel 1983, a cinque anni dalla sua prima uscita ufficiale sarà ormai ridotto al solo Johnny Lydon accompagnato, di volta in volta, da musicisti diversi. Per trovare un nuovo tentativo di ridare alla band una formazione stabile bisogna arrivare fino al 1988 quando lo stesso Lydon chiamerà a farne parte il chitarrista John Mc Geogh, il bassista Alan Dias, il batterista Bruce Smith e l'altro chitarrista Lu Edmonds che dovrà lasciare poco tempo dopo il suo posto a Ted Cha perché colpito da sordità improvvisa. In realtà il tentativo durerà solo lo spazio di un album. A partire dalla fine del 1989 i PIL torneranno a essere una sigla al servizio della creatività di Johnny Lydon.
07 settembre, 2023
7 settembre 1985 - "St. Elmo's fire" porta in alto John Parr
Il 7 settembre 1985 al vertice della classifica discografica statunitense c'è St Elmo's fire (Man in motion), un brano estratto dalla colonna sonora del film "St. Elmo's fire" di Joel Schumacher che sta facendo impazzire il pubblico nordamericano. Il lungometraggio non avrà la stessa fortuna nel resto del mondo, ma servirà da trampolino di lancio per gran parte dei suoi interpreti, da Demi Moore a Emilio Estevez, ad Andie MacDowell. La canzone che spopola sul mercato discografico è interpretata da un cantante e chitarrista pressoché sconosciuto al grande pubblico. Si chiama John Parr e ha alle spalle una lunga trafila in gruppi come i Silence, i Three For All e i Ponders End. Visto lo scarso successo riscosso, nel 1983 accetta un contratto fisso come compositore e chitarrista di studio. Il ragazzo ci sa fare e lavora sodo. Tra i dischi cui presta la sua opera c'è, per esempio, Bad attitude di Meat Loaf. Non rinuncia però all'idea di tentare la fortuna in proprio. I discografici lo lasciano fare a patto che non rinunci al prezioso lavoro di compositore e strumentista a contratto. Nel 1984 pubblica il suo primo album John Parr da cui viene estratto in singolo il brano Naughty naughty. L'accoglienza è tiepida. Inaspettatamente, però, arriva il successo di St. Elmo's fire (man in motion). Da quel momento la sua gallina dalle uova d'oro diventano le musiche per il cinema, che compone in gran numero e di cui canta spesso i brani più significativi, come The minute I saw you in "Tre uomini e una culla" o Restless heart in "The running man". Fortune interpretative a parte il suo talento di compositore è indiscutibile e molti artisti devono a lui il loro successo. Sono opera sua, infatti, canzoni come Under a raging moon di Roger Daltrey, Night moves di Marilyn Martin, Do it again dei Monkees e Killer moon the sheets di Tom Jones. All'inizio degli anni Novanta scoprirà il teatro e si farà un buon nome come interprete di vari musical.
06 settembre, 2023
6 settembre 1975 - Rod "The Mod" lascia i Faces
Il 6 settembre 1975 Rod Stewart, il cantante dei Faces da tempo impegnato come solista in una carriera parallela a quella del gruppo di cui fa parte, arriva al primo posto della classifica dei singoli più venduti in Gran Bretagna con Sailing. Il brano, lontanissimo dallo stile che ha fatto del cantante uno degli emblemi del movimento Mod, è il suo primo grande successo internazionale da solista, ma segna la fine dell'esperienza dei Faces. Qualche tempo prima Rod "The Mod" ha chiesto ai compagni di inserire nei concerti dal vivo, accanto alla tradizionale formazione della band, anche una sezione di fiati, per proporsi al pubblico in una versione più vicina a quella dei suoi dischi da solista. I Faces, forse dimenticando di essere gli eredi degli Small Faces, secondi solo agli Who tra le band mod, dopo un primo rifiuto accettano. Snaturati in un ruolo non loro vengono ridotti a far da supporto al loro ex cantante lanciato in una avventura solistica dai contorni decisamente commerciali. In più Stewart sveste i panni proletari del ruvido rocker scozzese in cerca di fortuna e si trasforma in una sorta di dandy patinato più gradito al pubblico americano. Si trasferisce poi negli Stati Uniti per sfuggire al fisco britannico. Il seme della dissoluzione è già nell'aria quando Ron Wood lascia la band per sostituire Mick Taylor nel tour mondiale dei Rolling Stones. I suoi compagni l'accusano di tradimento e fanno valere gli impegni contrattuali. Le minacce di sanzioni legali convincono Ron Wood a tornare sui suoi passi, costringendo gli Stones a rinunciare ai già previsti concerti in Messico, Brasile e Venezuela, ma il clima nei Faces è diventato invivibile. Legato più dai contratti che dalla voglia di continuare, il gruppo parte per un lungo tour in trentacinque città statunitensi che, nei fatti, serve a Rod Stewart per rodare il suo nuovo album da solista Atlantic crossing, registrato a Memphis con gli MGs. Insomma, i Faces ribelli di un tempo sono ormai divenuti dei pavidi accompagnatori del leader nella sua metamorfosi commerciale. Nel mese di dicembre, in un sussulto di dignità decideranno di separarsi dal loro ex leader per continuare da soli, ma di fronte al disinteresse della loro casa discografica per qualunque progetto senza Stewart, si scioglieranno. Il chitarrista Ron Wood tornerà con gli Stones mentre il tastierista Ian McLagan e il batterista Kenny Jones tenteranno di dar vita al progetto della ricostituzione dei leggendari Small Faces.
05 settembre, 2023
5 settembre 1924 – Gli Wolverines nella Grande Mela
La sera del 5 settembre 1924 la Wolverine Orchestra, conosciuta anche con il nome di Wolverines, suona al “Cinderella Ballroom” di New York, un locale situato nei pressi di Times Square. Il concerto, il primo del gruppo nella Grande Mela, è destinato a restare nella storia, non solo per ragioni specificamente riferite alla musica. La critica musicale newyorkese, infatti, colleziona una delle più clamorose “magre” di tutti i tempi, snobbando e liquidando con sufficienza uno dei concerti maggiormente ispirati di quella che è considerata la più leggendaria white band del jazz pionieristico. Ancora oggi alcuni ritagli dei giornali dell’epoca rappresentano una efficace dimostrazione del significato concreto del termine “infortunio giornalistico” nel campo della critica musicale. Gli articoli che raccontano l’esibizione si assomigliano un po’ tutti e lasciano pensare che i pochi presenti abbiano poi cortesemente passato ai colleghi assenti le proprie superficiali opinioni sulla serata. I giudizi provocano la reazione dei musicisti presenti al concerto, primo fra tutti Red Nichols, che subissano di lettere di protesta le redazioni dei giornali. Le reazioni sono sacrosante e fondate, visto che la Wolverine Orchestra ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del dixieland, anticipando quello che più tardi verrà definito “Chicago style”. Fin dal suo primo apparire introduce un cambiamento rivoluzionario nella struttura classica della scuola dixieland di New Orleans perché sostituisce al trombone il sassofono tenore. La band nasce nel 1923 per iniziativa del clarinettista Jimmy Hartwell, che chiama a farne parte il batterista Bob Conselman, il cornettista Bix Beiderbecke, il banjoista Bob Gillette e il pianista Dick Voynow. La formazione si completa con il sassofono tenore di George Johnson e la tuba di Ole Vangsness. Successivamente Conselman e Vangsness se ne vanno e vengono sostituiti da Bill Moore e Wilford “Min” Leibrook. Formata da giovani musicisti bianchi innamorati della musica nera, in gran parte studenti nati e cresciuti nel Middle West, la Wolverine Orchestra nasce senza particolari ambizioni e inizia a svolgere la sua attività prevalentemente nei campus. Ben presto l’ambiente musicale, più attento dei critici di New York, si accorge che il lavoro del gruppo è qualcosa di più che un semplice modo per divertirsi con la musica. Il primo ad accorgersene è il compositore Hoagy Carmichael, futuro autore di musical e di brani come Stardust o Georgia on my mind che, particolarmente impressionato da una loro esibizione, così descrive l’apporto della cornetta di Beiderbecke all’insieme: «Le note non erano soffiate, erano colpite, come un martello colpisce un gruppo di campane. Il tono aveva una ricchezza che sembrava sgorgare direttamente dal cuore… Avevo ascoltato la musica di Wagner e di altri compositori che amavo, ma le quattro note suonate da Bix mi aprirono la mente più di quanto avessi imparato sui testi». Decide anche di scrivere in collaborazione con Beiderbecke un brano per i Wolverines, Free wheeling, che in seguito viene ribattezzato Riverboat shuffle. La band ottiene la sua prima scrittura discografica dalla Gennett Records, una piccola etichetta di Richmond, nell’Indiana. Nel febbraio 1924 entra così per la prima volta in una sala di registrazione dove esegue Jazz me blues. Nell’ottobre del 1924, a poco più di un mese dalla discussa esibizione newyorkese Bix Beiderbecke lascia i compagni e se ne va per continuare con altri gruppi la sua straordinaria carriera. La formazione entra in un periodo turbolento, caratterizzato da molti cambiamenti e da qualche litigio che si conclude con la decisione di sciogliersi definitivamente nel 1925. Negli anni successivi alcuni dei numerosi musicisti che, soprattutto nell’ultimo periodo, hanno fatto parte della band tenteranno più volte di rilanciarla, costituendo band chiamate Original Wolverines, ma saranno sempre operazioni di breve durata e di scarso interesse musicale.
04 settembre, 2023
4 settembre 1972 - Francesco Caruso, un problema per gli Wishbone Ash
Il 4 settembre 1972 durante un concerto dei britannici Wishbone Ash in Texas scoppia una rissa tra il pubblico per motivi banali che si allarga e finisce per coinvolgere qualche centinaio di spettatori. Quando l'intervento del servizio d'ordine con molta fatica riesce a riportare la calma sul terreno resta il corpo di un giovane. È italoamericano e si chiama Francesco Caruso. I ragazzi della band, che hanno seguito con sgomento l'esplosione di violenza, restano sconvolti dalla notizia. Il giorno dopo i giornali conservatori partono all'attacco: la responsabilità è della violenza della musica degli Wishbone Ash e della loro carica aggressiva sul palco. L'occasione della morte del ragazzo offre l'inaspettata occasione agli ambienti reazionari statunitensi per regolare i conti con un gruppo di cui fa parte il chitarrista Ted Turner, sospettato di simpatie estremistiche per la sua amicizia con John Lennon che l'ha voluto al suo fianco nella registrazione di Imagine. Poco amati dallo show-businnes americano e un po' snobbati in patria, nonostante i discreti, ma non eccezionali, risultati commerciali, gli Wishbone Ash registrano sempre una grande partecipazione di pubblico ai loro concerti. In quel periodo la band formata dal batterista Steve Upton, dal bassista Martin Turner e dai chitarristi Andy Powell e Ted Turner sta vivendo un momento magico con la pubblicazione di Argus, che vincerà il premio della critica per il miglior album dell'anno. La morte di Caruso e le accuse di «istigazione alla violenza» finiranno per lasciare il segno sul gruppo. Il buon successo di Wishbone four, l'album successivo non basterà a normalizzare i rapporti tra i componenti, non sufficientemente strutturati per vivere sotto la pressione continua dei media. Il primo a gettare la spugna sarà proprio "l'estremista" Ted Turner che nel giugno del 1974 lascerà i compagni. La storia della band non finirà con la sua defezione, ma niente più sarà uguale a prima.
03 settembre, 2023
3 settembre 1887 – Frank Christian, una delle grandi trombe di New Orleans
Il 3 settembre 1887 nasce a New Orleans, in Louisiana il trombettista Frank Christian, uno dei trombettisti più interessanti del jazz delle origini. Fratello degli altri due Christian, Charles ed Emile, comincia a suonare professionalmente nel 1908 con la celebre Reliance Brass Band diretta da Jack "Papa" Laine, la più prestigiosa tra le prime brass bands "bianche", che tiene a battesimo quasi tutti i più noti dixielanders di New Orleans da Nick La Rocca a Johnny De Droit, da Tom Brown a George Brunis, da Larry Shields a Leon Roppolo, da Yellow Nuñez a Tony Sbarbaro. Entra poi a far parte della Fischer's Brass Band di Johnny Fischer. In entrambi i gruppi Frank Christian ha come partner i due fratelli. Nel 1910 forma la Ragtime Band, un'orchestra che rimarrà in attività sino al 1918 e della quale faranno parte musicisti come Nuñez, Achille Baquet, Tony Giardina, Manuel Gomez, oltre a i soliti Emile e Charles Christian. Nel 1918, su invito di Johnny Stein, il batterista-manager della Original Dixieland Jazz Band, si trasferisce a Chicago per entrare a far parte della New Orleans Jazz Band con il pianista Jimmy Durante, il trombonista Frank Lhotag, il clarinettista Achille Baquet e lo stesso Stein alla batteria. Nello stesso anno la New Orleans Jazz Band si trasferisce a New York dove registra alcuni dischi. Christian resta con questa orchestra fino al 1922 poi se ne va per vagabondare nel giro del vaudeville lavorando con vari gruppi e soprattutto con quello di Gilda Gray. Rientrato a New Orleans nel corso degli anni Trenta suona con la Durfee’s Band. Della sua attività posteriore non ci sono molte notizie, a parte la registrazione delle quote versate al sindacato dei musicisti.
02 settembre, 2023
2 settembre 1973 - Jack Marshall lavora per il futuro
Il 2 settembre 1973 a Huntington Beach in California, un infarto stronca la vita e la carriera del chitarrista jazz cinquantunenne Jack Marshall, un musicista che da tempo dedica gran parte delle sue risorse ad aiutare i giovani talenti della chitarra. La sua morte inaspettata coglie di sorpresa l'ambiente musicale californiano che vorrebbe onorarne in qualche modo la memoria. Alla fine un'idea mette tutti d'accordo: istituire una fondazione a lui dedicata che abbia lo scopo di fornire aiuto e assistenza finanziaria agli studi dei giovani chitarristi. In questo modo gli amici perpetuano il ricordo di Marshall regalandogli un pezzetto d'immortalità. È un riconoscimento singolare per un artista poco conosciuto dal grande pubblico ma molto apprezzato dai colleghi. Inizia a suonare l’ukulele a dieci anni e a tredici scopre la chitarra attraverso le abili geometrie sonore di Django Reinhardt. Nel 1938, diciassettenne, lascia il natìo Kansas per spostarsi in California con la famiglia. Qui acquista la prima chitarra elettrica e inizia a suonare con l’orchestra della sua scuola. La sua abilità tecnica non sfugge agli addetti ai lavori che lo mettono spesso alla prova. Sostituisce occasionalmente Oscar Moore nel trio di Nat King Cole e suona al fianco di Art Tatum. Dal 1940 al 1942 viene scritturato dagli studi MGM, ma la seconda guerra mondiale rivendica la sua partecipazione. Alla passione musicale affianca gli studi in Ingegneria e nel 1946, chiusa la parentesi bellica, riprende gli studi di ingegneria presso l’università del sud California. Fino alla laurea la musica è solo un divertimento. La sua posizione è destinata ben presto a cambiare. Terminati gli studi ingegneristici passa a quelli musicali. Studia orchestrazione e armonia con Albert Harris e riprende il suo vecchio posto negli studi della MGM. Lavora anche per la televisione e il cinema firmando oltre trecento tra colonne sonore e commenti musicali. Nonostante la giovane età ricopre il ruolo di direttore musicale nella sala di registrazione della Capitol e produce dischi di un gran numero di artisti. La sua attività concertistica diventa quasi un hobby, anche se si esibisce con regolarità a San Francisco ogni fine settimana. Il suo amore per la chitarra diventa una ragione di vita. Si dedica alla valorizzazione dei giovani e nel 1967 riesce a convincere i proprietari di un club di Burbank, il Dontes, a organizzare una settimana di jazz interamente dedicata al suo strumento cui partecipano i più famosi chitarristi d’America.
01 settembre, 2023
1° settembre 1962 - Tommy Roe, il clone di Buddy Holly
Il 1° settembre 1962 arriva al vertice della classifica statunitense Sheila, un brano che molti giurano sia una pubblicazione postuma di Buddy Holly, lo sfortunato rocker scomparso nel mese di febbraio di tre anni prima. La somiglianza della voce è davvero sorprendente, ma non è lui. L'interprete di Sheila è Tommy Roe, un ventenne sconosciuto al grande pubblico. Il brano non è nuovo. Il ragazzo infatti l'ha già pubblicato nel 1960 con la sua band, Tommy Roe & The Satins, per una piccola etichetta di provincia. Nessuno si è accorto allora del disco tranne un talent scout della ABC Paramount, una casa discografica sempre alla ricerca di giovani cantanti da far consumare rapidamente al pubblico degli adolescenti. Gli esperti dell'etichetta ascoltano il disco e si accorgono che quel ragazzo ha qualcosa in più rispetto ai soliti cantanti adolescenti di rock and roll: «La voce! Ha la stessa voce di Buddy Holly». Lo scritturano e gli fanno registrare di nuovo il brano. La sua voce, già naturalmente simile a quella di Holly, viene ulteriormente elaborata dai tecnici e l'arrangiamento fa il resto. Il risultato è quello voluto. La faccia pulita da adolescente un po' cresciuto cattura il pubblico giovanile e la somiglianza della sua voce con quella di Buddy Holly suscita nostalgie mai sopite. In breve tempo il disco vola alto nelle classiche. Il successo ottenuto viene poi consolidato da una serie di canzoncine come Susie darlin', The folk singer ed Everybody. Quando, nel mese di marzo del 1963, partecipa a un tour con i Beatles capisce che i tempi stanno cambiando. A differenza di molti artisti di quel periodo, torna nell'anonimato in attesa che l'ondata del beat esaurisca la sua spinta propulsiva e si dedica prevalentemente alla composizione. Nel 1969, passata la bufera, decide che è tempo di riemergere e torna al successo con Dizzy mantenendosi a galla anche negli anni Settanta con brani pop di buona fattura ma senza particolari pretese.
31 agosto, 2023
31 agosto 1963 - La breve gloria delle Ronettes
Il 31 agosto 1963 le Ronettes entrano per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con il brano Be my baby. Dopo lunghi anni di gavetta l'apporto di un mago della produzione come Phil Spector sembra lanciare definitivamente il trio composto dalle sorelle Veronica ed Estelle Bennett con la loro cugina Nedra Talley. Inseparabili fin da bambine coltivano da sempre il sogno di lasciare una traccia nel mondo dello spettacolo. La loro è una storia di tentativi andati a male o interrotti sul più bello. Quando le loro coetanee giocano ancora con le bambole Veronica, Estelle e Nedra sgambettano sui palcoscenici dei teatrini di New York con il nome di Dolly Sister. Il precoce talento di cui danno prova attira impresari veri e più d'un marpione deciso a sfruttarne l'ingenuità. La loro prima vera scrittura le vede nel ruolo di ballerine del Peppermint Lounge, cui segue la partecipazione come coriste e danzatrici alle esibizioni del Clay Cole Twist Package. Nel 1961, quando Veronica ha diciotto anni, Estelle diciassette e la piccola Nedra soltanto quindici, pubblicano il loro primo disco con il nome di Ronettes. Il risultato è deludente e solo la convinzione di potercela fare le trattiene dal mollare tutto. Analogo destino hanno i quattro dischi successivi. Quando stanno per rassegnarsi a un ruolo di secondo piano nel sottobosco dello spettacolo newyorkese incontrano il produttore Phil Spector. Innamoratosi di Veronica il produttore inizia a occuparsi delle tre ragazze e in pochi mesi le porta al successo. Be my baby è solo il primo di una serie di dischi fortunati come Baby, I love you e soprattutto Walking in the rain. All'apice della popolarità e frastornate dal successo improvviso le Ronettes all'inizio del 1964 partecipano al tour inglese dei Rolling Stones, ma la loro avventura è già arrivata alla fine. L'artefice del disastro è lo stesso che le ha portate al successo: Phil Spector. Il produttore, infatti, sposa Veronica e la convince a lasciare il gruppo che, nonostante l'inserimento della cugina Elaine, si scioglie. Qualche anno dopo Veronica tenterà di riformarlo senza grande convinzione e con risultati deludenti. Ci proverà più seriamente nel 1973 quando, con Denise Edwards e Chip Field, darà vita alle Ronnie & The Ronettes, che più tardi diventeranno Ronnie Spector & The Ronettes. Pur continuando fino alla metà degli anni Settanta non riusciranno mai a ripetere il successo delle prime, ineguagliabili, Ronettes.
30 agosto, 2023
30 agosto 1921 – Carlo Alberto Rossi, un sanguigno creatore di successi
Il 30 agosto 1921 nasce a Rimini Carlo Alberto Rossi, uno dei compositori più importanti della storia della canzone italiana. Nel 1939 scrive la sua prima canzone Tango di Manuelita. Tra i primi a capire l’importanza del music-businnes affianca all’attività di compositore quella di editore e discografico. Nel 1950 fonda con l’ungherese Ladislao Sugar le Edizioni Musicali Ariston, che lascia nel 1955 per dare vita alle Edizioni Musicali C.A. Rossi. Tre anni dopo crea l’etichetta discografica Juke box e contemporaneamente costruisce un modernissimo studio di registrazione, la Fonorama. La sua attività imprenditoriale dura fino al 1974 quando capisce che è giunto il momento di smettere, liquida tutte le società e si dedica a lunghi viaggi per il mondo. Alla sua fertile vena compositiva si devono innumerevoli successi come, tra i tanti, Mister jazz, Al chiar di luna porto fortuna, Le mille blu, E se domani, Se tu non fossi qui, Notorius, Vecchia Europa, Ritroviamoci e Nun è peccato. Muore a Milano il 12 aprile 2010.
29 agosto, 2023
29 agosto 1914 – Clely Fiamma, la più giovane stella dell’Olympia
Il 29 agosto 1914 nasce a Milano Clelia, la figlia dell'attore e cantante Bruno Cantalamessa destinata a diventare famosa con il nome d’arte di Clely Fiamma. Attrice, soubrette e cantante diventerà uno dei personaggi più eclettici del teatro di rivista italiano. Cresciuta nell’ambiente artistico a sette anni debutta col suo vero nome per la prima volta in palcoscenico a La Spezia al fianco del famoso chansonnier Gino Franzi. Nel 1923, quando ha soltanto nove anni, entra nella storia del teatro parigino dell’Olympia per essere la più giovane vedette mai proposta dal cartellone di quello che in Francia è considerato un vero e proprio tempio dello spettacolo. Nel 1932 debutta come soubrette accanto al celebre Totò, con il quale resta ben sette anni e poi lavora con Riccardo Billi e Tino Scotti. Nel dopoguerra entra a far parte della Compagnia del Teatro Comico Musicale di Radio Roma e non disdegna di cimentarsi anche con la prosa con Gino Cervi e Lilla Brignone. Non mancano esperienze interessanti e con buon successo nella canzone. Tra le sue interpretazioni più famose ci sono Qui fu Napoli, E tu chi si? e Quando ammore vo' filà. Muore a Roma il 19 febbraio 1977.
Iscriviti a:
Post (Atom)