L’8 ottobre 1969 muore Kokomo Arnold uno dei personaggi leggendari del blues. Nato a Lovejoys Station, in Georgia, il 15 febbraio 1901 James Arnold, questo è il suo vero nome, è considerato il maestro del knife style. Che cos’è? È una specie di suono molto vibrato, come una lama di coltello, che si adegua alle caratteristiche della voce del cantante, spesso utilizzato come un mormorio che si unisce allo strumento. Kokomo impara a suonare la chitarra da suo cugino James Wiggs e nel 1919, quando ha diciotto anni, fa il manovale in un'acciaieria di Buffalo, nello stato di New York, poiché il lavoro di bluesman non gli consente di sopravvivere. Nel 1924 lascia la fabbrica e comincia a girare per gli Stati Uniti da Pittsburgh a Gary poi più giù verso il delta del Mississippi, una regione che respira blues nella quale si trova da Dio. Segnalato da Joe McCoy, Kokomo nel 1934 viene scritturato dalla Decca e ottiene un notevole successo con un brano, Milk cow blues, in cui ha la possibilità di evidenziare il suo stile molto personale alla chitarra. Nel suo vagabondaggio raggiunge più di una volta Chicago, punto di riferimento d’obbligo dei bluesmen e si esibisce al anche al famoso 33rd Street Club. Di punto in bianco si stanca di questa vita, molla tutta e torna a lavorare nelle acciaierie. Rintracciato nel 1959 dai ricercatori Jacques Demetre e Marcel Chauvard viene sollecitato a riprendere la sua attività di cantante ma lui non se la sente più. L’ostinato rifiuto a tornare sulla strada del blues ha contribuito a ingigantirne la leggenda.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
08 ottobre, 2023
07 ottobre, 2023
7 ottobre 1951 – John Mellencamp, il giaguaro del rock proletario
Il 7 ottobre 1951 nasce a Seymour nell’Indiana John “Cougar” Mellencamp considerato, insieme a Bruce Springsteen, una delle bandiere di quel rock proletario che nasce nella provincia degli States lontano dalle grandi città. Ancora adolescente suona con varie band e colleziona anche un clamoroso "esonero" da parte dei Banana Barn, che l'accusano di non saper cantare. Per tirare avanti si accontenta dei lavori che riesce a trovare, dal tecnico telefonico, all'impiegato in una stazione radio, per citare soltanto quelli meno faticosi. Nel 1973 con l'amico Larry Crane forma i Trash e scrive le prime canzoni. Decide, quindi, di tentare la fortuna andando a New York accompagnato da un nastrino con i suoi brani. Qui incontra Tony DeFries, in quel periodo manager di David Bowie. È lui che colpito da quel tipetto tosto gli inventa il nome d’arte di “Cougar” (giaguaro) e vuole farne un nuovo idolo per le adolescenti tutta immagine e niente sostanza. L’idea si rivela fiacca come l’album Chesnut street incident, pubblicato nel 1976 e subito dimenticato. Chiusa la parentesi newyorchese il ragazzo pensa di tornare a suonare nei club della sua provincia. Il suo personaggio però non è passato inosservato. Trova un aiuto inaspettato in Billy Gaff, allora manager di Rod Stewart che, senza fretta, lo guida nella scalata al successo. Dopo un disco interlocutorio centra il primo importante risultato nel 1979 con John Cougar un album che contiene il brano I need a lover, che diventa un successo mondiale nella versione di Pat Benatar. La consacrazione definitiva arriverà un paio d’anni dopo con American fool che oltre a diventare il disco più venduto dell'anno gli varrà anche la conquista del suo primo Grammy Award. A partire dal 1983 butterà alle ortiche quel nome d’arte che non gli è mai piaciuto e si firmerà semplicemente John Mellencamp. Nonostante il successo non dimenticherà mai le sue origini proletarie, né riuscirà mai a integrarsi perfettamente nelle convulsa vita delle grandi città. Nel 1985 sarà tra gli organizzatori, con Neil Young e Willie Nelson, del “Farm Aid” un megaconcerto per aiutare le popolazioni rurali degli Stati Uniti, colpite da una grave crisi e alla fine del 1988 parteciperà con altri personaggi del rock, al Concerto in memoria di Woody Guthrie e Leadbelly.
06 ottobre, 2023
6 ottobre 1913 – C'è Carmen alla chitarra
Il 6 ottobre 1913 nasce a Cohoes, New York, il chitarrista Carmen Nicholas Mastren. I suoi fratelli Al, John, Frank ed Eddie sono musicisti e anche per lui si prospetta la strada degli studi musicali. Spinto più dalle esigenze dell'orchestra famigliare che da una vera e propria inclinazione per lo strumento inizia a studiare il violino, ma ben presto passa ad altri strumenti a corde che gli piacciono di più: il banjo e la chitarra. Nel 1935 quando ha ventidue anni decide che non può restare per sempre prigioniero delle scelte musicali dei fratelli. Affrontando l'inevitabile indignazione famigliare se ne va ed entra a far parte come chitarrista acustico del quartetto di Wingy Manone con cui resta fino al mese di gennaio del 1936. Di quel periodo resta testimonianza nelle famose registrazioni in studio effettuate dal gruppo per la casa discografica Vocalion. Passa poi con la big band di Tommy Dorsey, che sta attraversando un momento di grande popolarità. Con l'ensemble di Dorsey gira in lungo e in largo gli Stati Uniti suonando nei più importanti locali dell'epoca e divenendo famosissimo. Non estranee alla sua popolarità sono anche le numerose registrazioni effettuate con la big band per la Victor. All'apice del successo nell’estate del 1940 lascia Dorsey ed entra a far parte dei Delta Four di Joe Marsala. La sua perenne voglia di cambiare non gli dà tregua. Dopo poco meno di un anno se ne va e nell’autunno del 1941 suona per un breve periodo con l’orchestra di Ernie Holst, che lascia per entrare in quella dell'NBC. Qui sembra finalmente aver trovato terra ferma, ma il destino ha in serbo nuove sorprese. C'è la guerra. Nel 1943 viene richiamato sotto le armi e utilizzato da Glenn Miller nella sua Air Force Band. Alla fine del 1945 rientra a New York, ma la sua attenzione sembra essere più orientata alla direzione d'orchestra e alla composizione. Scopre anche che la musica leggera può dargli maggior soddisfazioni economiche e trascura progressivamente il jazz. A partire dal 1953 accetta l'incarico di compositore e arrangiatore al servizio dell’orchestra dell'NBC. Non si muoverà più di lì fino al 1970 quando, a cinquantasette anni, cambierà di nuovo impostazione alla sua vita mettendosi in proprio. Nella storia del jazz il suo apporto resta, soprattutto negli anni Trenta e Quaranta, quello di uno dei maggiori e più significativi chitarristi acustici, ideale continuatore della strada tracciata da Eddie Lang e Dick McDonough. Muore il 31 marzo 1981.
05 ottobre, 2023
5 ottobre 1973 – La sorprendente vitalità di Alvin Stardust
Il 5 ottobre 1973 viene pubblicato in Gran Bretagna il singolo My coo ca choo, un brano scatenato e divertente in linea con il glam rock che in quel periodo fa impazzire i giovanissimi consumatori di musica di quel paese. I teen-ager britannici lo accolgono entusiasticamente e in breve tempo lo portano ai vertici della classifica dei dischi più venduti. C’è, però, un giallo legato all’identità dell’interprete. La copertina del disco attribuisce l’esecuzione a un certo Alvin Stardust, un nome che nessuno ha mai sentito e di cui nessuno sa nulla. Per un po’ i giornali si divertono a ipotizzarne l’identità immaginando che si tratti dell’avventura solistica del cantante di uno dei tanti gruppi glam del periodo, finché la verità viene a galla. In realtà dietro allo pseudonimo si cela il ritorno sulle scene di un adolescente di… trentun anni. È Bernard Jewry, che, con il nome di Shane Fenton era stato, insieme al suo gruppo, i Fentones, uno dei principali esponenti del rock and roll britannico prima del ciclone Beatles. La rivelazione preoccupa non poco i dirigenti della sua casa discografica, perché temono che l’età di Alvin Stardust possa comprometterne l’immagine e la popolarità presso il pubblico dei più giovani. I timori non sono infondati. La moda del glam, fatta di brani dalla grande cantabilità e dai testi disimpegnati, è soprattutto una scelta generazionale che contrappone i gusti degli adolescenti al rock più impegnato e concettuale dei loro fratelli maggiori. Il meno preoccupato è lui. «Perché dovrei? A parte l’età, cosa mi divide da gruppi come gli Slade o gli Sweet? Il glam segna il ritorno del rock al divertimento puro, senza ideologie e senza tante complicazioni. Io sono così». Non ha torto. Per un paio d’anni quell’adolescente un po’ stagionato dominerà le classifiche di vendita, ma poi i suoi giovani fans cresceranno e con la crisi del glam dovrà rassegnarsi a tornare nell'ombra. La sua storia, però, non finirà lì. Nel 1981 l’etichetta alternativa Stiff, incuriosita dalla storia di questo strano dinosauro del rock britannico, lo richiamerà in servizio. Per la terza volta in vent'anni Bernard Jewry, ancora con il nome di Alvin Stardust, tornerà al successo con una serie di brani come Pretend, I feel like Buddy Holly e I wan't run away ispirati al rock and roll delle origini.
04 ottobre, 2023
4 ottobre 1987 – Ian Anderson, professione musicista
Il 4 ottobre 1987 inizia a Edimburgo, in Scozia, un nuovo tour mondiale dei Jethro Tull. A dispetto di chi periodicamente la relega nel museo dei dinosauri del rock progressivo, la band sta vivendo l'ennesima nuova primavera della sua carriera. Il nuovo punto di svolta è segnato dalla pubblicazione dell’album Crest of a knave, accolto con entusiasmo dal pubblico e con una certa stupita meraviglia da parte della critica. L'unico a mantenere un ironico distacco è il flautista Ian Anderson, leader storico, l'anima e il simbolo dei Jethro Tull. L'occasione della partenza del tour fa convergere su Edimburgo un gran numero di giornalisti musicali interessati ad approfondire l'analisi di una band che pare avere sette vite come i gatti. Proprio Ian Anderson si accolla il compito di fare gli onori di casa. La conferenza stampa dopo i preliminari di rito assume ben presto i toni della chiacchierata tra amici. Il flautista non pare eccessivamente stupito dal "miracolo" del rinnovato successo del suo gruppo, anzi spiega di averlo ampiamente previsto: «Le mode sono una delle cose più precarie che conosco, vanno e vengono in un ciclo continuo, si alternano e quelle passate prima o poi finiscono per tornare. Così se tu sei un musicista e hai la costanza di non smettere di suonare e di continuare a comporre, vedrai che è solo questione di pazienza e di tempo. Non hai bisogno né di cambiare il tuo modo di vestire, né di tagliare la barba, e nemmeno di modificare la tua musica perché arriverà un giorno in cui tu sarai di nuovo di moda». Il vecchio leone si sente un po' a disagio nell'affrontare le solite domande banali che si fanno in occasioni simili. Alterna risposte serie a battute ironiche con l'aria di chi ne ha già viste di tutti i colori. Sa per esperienza che l'ambiente è quello, con le sue regole un po' rituali e un po' sciocche. Al termine si alza e si avvia verso l'uscita della sala dove si è svolta l'improvvisata conferenza stampa. Proprio sulla porta viene raggiunto da una giornalista giovanissima. La ragazza gli confessa di non sapere niente di lui, ma di essere stata affascinata dalla sua storia. Gli domanda poi come abbia potuto resistere per tanti anni all'indifferenza dell'ambiente e alla fine del progressive. Ian Anderson risponde: «Ho deciso che era il caso di continuare un po’ per passione e un po’ perché avevo il dovere di giustificare i miei documenti d'identità che, sotto la voce "Professione" riportano la scritta "Musicista"».
03 ottobre, 2023
3 ottobre 1976 - Victoria Spivey, la Regina del blues
Il 3 ottobre 1976 muore a settant’anni in un ospedale di Brooklyn la cantante blues Victoria Spivey, da tutti soprannominata "Queen" (regina). Nata a Houston, nel Texas per più di cinquant'anni ha attraversato da protagonista la scena blues statunitense. È ancora bambina quando comincia a girare cantando e a recitando negli spettacoli ambulanti che percorrono il classico circuito dei teatri neri del Sud degli Stati Uniti in città come St. Louis, Memphis e la natìa Houston. Nel 1926, a soli sedici anni, compone un brano che le dà la popolarità. È Black Snake Moan, oggi divenuto un classico del blues di tutti i tempi. Quando la crisi del 1929 e la conseguente depressione colpiscono pesantemente la popolazione nera del suo paese lei, che in quel periodo ha diciannove anni, cerca di interpretarne i sentimenti, la rabbia e la voglia di riscatto. Il suo stile fa più aggressivo e si libera delle influenze gioiose del vaudeville, che fino a quel momento l'avevano caratterizzato. Il risultato è sorprendente e al suo fianco si schierano alcuni dei migliori jazzisti di quel periodo, da Louis Armstrong, a Henry Allen, a Lonnie Johnson, a Tampa Red. Scrive e interpreta canzoni che parlano al cuore della sua gente. I suoi testi sono crudi e immediati. La voce acida, tagliente, sarcastica, amara e disincantata narra storie di suicidi, di malattie, d'emarginazione, di sesso disperato, di violenze razziali, di stanze umide e sottoscala in cui vive un'umanità consolata soltanto dall'alcol e dalla droga. A partire dagli anni Cinquanta riduce la sua attività musicale per dedicarsi quasi a tempo pieno a una delle tante strutture di assistenza per i poveri e gli emarginati messe in piedi da una comunità ecclesiale. Saltuariamente torna in concerto o in sala d'incisione per regalare gli ultimi gioielli di una carriera intensa e ricca di tensione. Negli ultimi anni di vita le sue capacità vocali si riducono con l'affievolirsi della limpidezza sui toni alti.
02 ottobre, 2023
2 ottobre 1982 - I Musical Youth anticipano l'era delle boyband
01 ottobre, 2023
1° ottobre 1950 – In Italia la radio si fa in tre
Il 1° ottobre 1950 nasce il terzo programma radiofonico della Rai. Da tempo una lunga serie di intellettuali e uomini di cultura premevano perché il servizio pubblico radiofonico qualificasse maggiormente i contenuti della sua programmazione. L’obiezione degli esperti delle comunicazioni di massa è però stata a lungo quella di far presente che la radio si rivolge a un pubblico estremamente eterogeneo e costituisce spesso l’unica fonte di informazioni e il principale elemento di svago per gran parte della popolazione italiana. Per questa ragione sia nel linguaggio che nelle scelte di programmazione in teoria si dovrebbero fare scelte che si rivolgano a tutta la popolazione. Il succo delle obiezioni era: «Non si può fare una radio per pochi eletti». In parte era vero ma i sostenitori di una decisa riqualificazione della programmazione radiofonica ritenevano che non si potesse nemmeno pensare di relegare cultura e musica “colta” in orari impossibili e in spazi angusti per sempre. La “querelle” trova, infine, una soluzione con un nuovo canale. Il 1° ottobre 1950, quindi, iniziano le trasmissioni del Terzo programma radiofonico della RAI, caratterizzato da un deciso indirizzo culturale e dalla programmazione di musiche diverse da quella cosiddetta “leggera”. Gli unici scontenti restano gli appassionati di jazz che lamentano come il loro genere preferito, che già trovava poco spazio nei due programmi tradizionali, finisca per essere trascurato anche dal Terzo a favore della musica classica e di quella da camera.
30 settembre, 2023
30 settembre 1978 – Per Beryl Booker il cuore vale di più del rigo musicale
Il 30 settembre 1978 muore d’infarto a Berkeley, in California, la pianista Beryl Booker. Ha cinquantasei anni ed è nata a Philadelphia, in Pennsylvania. Personaggio di spicco dell'ambiente jazzistico statunitense non ha mai imparato né a leggere, né tantomeno a scrivere la musica. Di questa sua "ignoranza" musicale ha fatto quasi una bandiera e a chi gli domandava perché non si fosse mai applicata a studiare rispondeva: «Per suonare ci vuole il cuore, non il rigo musicale. Vale di più e il pubblico se ne accorge». Quando inizia le donne strumentiste che suonino al di fuori dalla musica classica sono una rarità negli Stati Uniti, figurarsi quelle che si dedicano al jazz. Con il suo piglio deciso suona a lungo nelle varie band della sua città fino a quando decide che per poter suonare quello che le piace è necessario liberarsi dei capi-orchestra maschi. Detto e fatto, un bel giorno forma una band tutta sua recuperando vari musicisti rimasti disoccupati. La Beryl Booker Band resiste fino al 1946 quando, lusingata dall'offerta, accetta di trasferirsi a New York per entrare a far parte del trio di Slam Stewart. Nonostante il suo caratteraccio rimane fedele a Stewart, sia pur con qualche parentesi solista, fino al 1951 quando può eliminare del tutto gli uomini dalla sua vita artistica diventando la pianista della grande Dinah Washington che segue fino nella lontana Europa. Nel 1953, consapevole di dover più dimostrare niente a nessuno, lascia anche la sua amica Dinah e realizza il sogno di formare un trio jazz interamente composto da donne con la batterista Elaine Leighton e la contrabbassista Bonnie Wetzel. L'anno dopo le tre jazziste lasciano gli Stati Uniti e si trasferiscono in Europa al seguito del Jazz Club USA, una compagnia d musicisti che si esibisce in quasi tutte le principali piazze del Vecchio Continente. Quando il trio si scioglie Beryl rallenta l'attività senza rinunciare a qualche concerto e a registrare alcuni dischi. Sostiene che l'ambiente non la stimola più e rifiuta interessanti proposte da alcuni tra i migliori jazzisti di quel periodo. Recede da questo suo atteggiamento soltanto quando a chiamarla è il suo vecchio amico Don Byas, con il quale negli anni Sessanta registra molte pagine interessanti, dimostrando che il suo talento non si è appannato con il passare del tempo. La morte la sorprende in California dove s'è trasferita all'inizio degli anni Settanta quando proprio il cuore ha cominciato a darle i primi problemi.
29 settembre, 2023
29 settembre 1947 - Chano Pozo incanta Dizzy
Il 29 settembre 1947 l'orchestra di Dizzy Gillespie suona alla Carnegie Hall di New York. Per l'occasione schiera in formazione un nuovo percussionista. È il cubano Chano Pozo, un tipo di cui si dice un gran bene, da poco arrivato a New York. Il grande Gillespie ha scelto proprio la serata alla Carnegie Hall per provarlo e Pozo non delude le attese: quando l'orchestra lancia l'assolo di percussioni la sua conga diventa una magica macchina da ritmo capace di incollare gli spettatori alle sedie per ben trenta minuti. Un applauso scrosciante festeggia la nascita di un nuovo idolo del difficile pubblico newyorkese. Al termine del concerto lo stesso Dizzy, uno che se ne intende e non si lascia facilmente entusiasmare non può trattenersi dal dichiarare che Chano Pozo «È il più grande batterista che abbia mai ascoltato». Chi è in realtà questo strano personaggio e da dove arriva? Chano Pozo, all'anagrafe Luciano Pozo y Gonzales, nasce all'Avana, Cuba, nel 1915. Di lui non si sa molto, a parte la sua passione per la ritmica di derivazione africana. Animatore sulla sua isola dei lunghi e fantastici festeggiamenti del "mardi gras", non nasconde la sua appartenenza alla corrente religiosa Abakwa in cui l'animismo africano si mescola alle suggestioni magiche di un cristianesimo nero. In più studia a fondo la musica africana e i suoi ritmi trasferendo le esperienze nel jazz e nella musica orchestrale in genere. Sregolato protagonista delle notti cubane diventa ricco componendo due brani di successo, El pin pin e Nague, ma non cambia stile di vita. Quando, proprio nel 1947, lascia l'Avana per New York, è reduce da una lunga degenza in ospedale dopo una misteriosa aggressione a colpi di pistola. Se ne va per paura, ma anche perché lo attraggono le influenze afro-cubane che stanno dando nuovi colori al bop. New York non gli salverà la vita. Cinque mesi dopo il concerto alla Carnegie Hall verrà ferito mortalmente a revolverate nel Rio Cafè di Harlem.
28 settembre, 2023
28 settembre 1953 - L'eclettico Jim Diamond
Il 28 settembre 1953 nasce a Glasgow, in Scozia, Jim Diamond, uno dei più eclettici e sorprendenti personaggi del rock degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Scopre la musica grazie al fratello maggiore, Lawrence, batterista e a sedici anni è già musicista a tempo pieno. Nel 1975 entra per la prima volta in uno studio di registrazione con i Bradley e due anni dopo pubblica l'album Bandit con la band omonima, in quel periodo composta, oltre che da lui, dal chitarrista James Litherland, dal bassista Cliff Williams e dal batterista Graham Bond. Successivamente canta nella band di Alexis Korner, con cui realizza nel 1978 l'album Just easy poi cambia paese e stile. Se ne va a Los Angeles, dall'altra parte dell'oceano, per formare un gruppo heavy con Carmine Appice, ex batterista dei Vanilla Fudge e di Rod Stewart, e con Earl Slick, ex chitarrista di David Bowie. All'inizio degli anni Ottanta torna in Gran Bretagna deciso a impegnarsi solo nella composizione e nella produzione. Se ne sta tranquillo per poco. Nel 1982, infatti, forma il duo dei PhD con il tastierista Tony Hymas, pubblicando un album e un paio di singoli di successo. La sua proverbiale irrequietezza non gli consente di godere a lungo dei risultati raggiunti. Colpito da un'epatite che lo costringe a cancellare il tour promozionale dell'album Is it safe? scioglie i PhD e decide di continuare da solo. In due anni raggiunge i migliori risultati di tutta la sua carriera. Nel 1984 pubblica l'album Double crossed e arriva al vertice della classifica britannica con il singolo I should have know better, confermandosi l'anno dopo con Hi-ho silver. Sempre nel 1986 partecipa al progetto dei Crowd, un gruppo di cinquanta popolari musicisti riunitisi per incidere il brano You'll never walk alone il cui ricavato va alle famiglie degli spettatori morti nel 1985 nello stadio di Bradford. È l'ultimo vero sussulto. Da quel momento preferisce continuare come autore e produttore con qualche ritorno senza troppe ambizioni. Muore a Londra l'8 ottobre 2015.
27 settembre, 2023
27 settembre 1965 - Harry Reser, protagonista del Novelty
Il 27 settembre 1965 muore a sessantacinque anni Harry Reser. Da tempo il suo nome non compare più neppure nelle note minori delle riviste dedicate al jazz. Dagli anni Quaranta si è ritirato abbandonando una scena musicale che l'aveva visto spesso protagonista. Per lui i generi musicali non hanno mai avuto senso. Gli interessa soltanto poter suonare, sempre e comunque. Virtuoso di banjo e chitarra finisce per diventare popolarissimo in quello stile della musica popolare e da ballo affermatosi negli anni Venti e passato alla storia con il nome di "novelty ragtime". Sono brani allegri, spesso caotici e volutamente comici la cui struttura deriva dal ragtime classico. I loro accordi bizzarri e dissonanti sono scanditi su tempi che spesso diventano rapidissimi nel corso dell'esecuzione. Hanno un solo scopo dichiarato: quello di divertire il pubblico e farlo ballare senza pensieri. Scritti per band piccolissime prevedono a volte l'utilizzo di suoni "spuri" come clacson, spari, ecc. È facile immaginarsi perché Reser con le sue mani che corrono velocissime sulle corde degli strumenti finisca per diventarne un esponente-simbolo. La leggerezza resta una caratteristica delle sue esecuzioni anche quando si trova a dirigere il Clicquot Club Eskimos, una band di stile semi-hot che ottiene uno strepitoso successo con i suoi concerti radiofonici. Negli anni Trenta proprio come direttore d'orchestra alleva amorosamente il talento di un gran numero di musicisti destinati a lasciare un segno nella storia del jazz come Joe Venuti, Earl Oliver, Red Nichols e Joe Tarto. Nel 1935 ha anche il privilegio di poter disporre di uno show radiofonico che porta il suo nome. Nel dopoguerra i primi acciacchi e i mutamenti veloci nella scena musicale lo convincono a gettare la spugna e ritirarsi. Di lui resta un'imponente discografia composta, oltre che dai dischi a suo nome, anche da un numero impressionante di lavori pubblicati sotto pseudonimi come The Bostonians, The Jazz Pilots, Okeh Syncopators, Seven Little Polar Bears, ecc.
26 settembre, 2023
26 settembre 1938 - Gianni Siviero, un cantautore senza schemi
Il 26 settembre 1938 nasce a Torino il cantautore Gianni Siviero, registrato all'anagrafe con il nome di Mario. All'inizio degli anni Sessanta si esibisce in pubblico cantando le sue canzoni dai testi fortemente politicizzati. Non è l'unico cantautore politico di quel periodo, ma certamente è uno dei più singolari. Insofferente, poco disposto alla mediazione, percorre l'intero decennio senza trovare nessuno disposto a pubblicare su disco le sue canzoni. L'assenza di produzione discografica non ne pregiudica la popolarità in anni in cui le feste politiche fioriscono come i "cento fiori" di tsedonghiana memoria. Di lui approfittano a piene mani tutti gli organizzatori di manifestazioni musicali "alternative". Non c'è festa, festival o raduno di lotta improvvisato cui non venga invitato a esibirsi "a prezzo politico". Lui accetta per una scelta di militanza e perché deve anche sopravvivere. Quando le logiche organizzative migliorano e i criteri si fanno più razionali, cioè quando finalmente si possono pagare un po' di più gli artisti, lui viene scartato. È una trappola implacabile che, per la verità, non colpisce solo Siviero ma moltissimi artisti militanti: se ci sono soldi si pagano gli altri non i compagni. Lui abbozza e tira avanti. Diventa uno dei primi soci del Club Tenco e nel 1970 pubblica un singolo che anticipa di due anni il suo primo, vero, album Gianni Siviero volume primo, insignito del Premio dalla critica discografica. Le sue storie di vita aspre e dure sono arrivate finalmente su disco. Nel 1974 anche il suo secondo lavoro Son sempre io la donna riceverà il Premio della critica discografica. Altri due album segneranno negli anni Settanta la sua presenza, tutt'altro che marginale, nella canzone politica italiana. All'alba del decennio seguente la situazione tornerà al punto di partenza: basta dischi perché la canzone politica non interessa più. Questa volta Siviero pur abituato alle ripartenze preferirà lasciar perdere. Pubblica vari libri e sceglie come unico punto di riferimento il suo sito ufficiale.
25 settembre, 2023
25 settembre 1955 – Buon compleanno Zucchero!
Il 25 settembre 1955 a Roncocesi, in provincia di Reggio Emilia, nasce Adelmo Fornaciari, destinato a grandi fortune artistiche con il nome di Zucchero. Quando, nel 1981, vince il Concorso per voci nuove di Castrocaro, Zucchero ha già alle spalle anni di oscuro lavoro in vari gruppi di musica da ballo. Partecipa poi alle edizioni del 1982 e del 1983 del Festival di Sanremo con due brani di stucchevole pop melodico come Una notte che vola via e Nuvola, non particolarmente brillanti né originali. L’inizio della sua metamorfosi artistica avviene nel 1985 con la presentazione proprio sul palcoscenico sanremese del brano Donne, accompagnato dalla Randy Jackson Band. Pur non particolarmente fortunata con le giurie, la canzone attira l’interesse di pubblico e critica sul lavoro del cantautore e sul suo album Zucchero & the Randy Jackson Band. L’anno dopo arriva anche il successo commerciale con Rispetto che prelude alla definitiva esplosione nel 1987 dell’album Blue's, che vende oltre un milione di copie e lo fa conoscere in tutto il mondo. Si apre così un periodo ricco di collaborazioni di prestigio con artisti di valore internazionale come Joe Cocker, Eric Clapton, Al Di Meola, Miles Davis, Rufus Thomas, Solomon Burke, Paul Young, Sting, i Queen e Luciano Pavarotti. Vari album milionari lo consacrano come uno dei più importanti interpreti della scena musicale internazionale, tanto da essere invitato nel 1992 al mega show in memoria di Freddy Mercury a Londra e, nel 1994, al remake del Festival di Woodstock.
24 settembre, 2023
24 settembre 1989 – Il battesimo del vento per i Groovers
La sera di mercoledì 24 settembre 1989 a Samarate, in provincia di Varese, sull’area dove si sta svolgendo l’annuale festa di Democrazia Proletaria tira un vento teso e freddo che spazza via l’odore dei cibi e non incoraggia l’afflusso della gente. L’aria crea problemi anche al gruppo che dovrebbe suonare, provocando strane vibrazioni nei microfoni e un fastidioso rumore di fondo. Sono quattro ragazzi al primo concerto, non hanno tecnici al loro servizio e devono arrangiarsi da soli. Il vento non li aiuta a trovare le giuste sonorità e ne ritarda il debutto. Poco importa, tanto non ci sono code di auto, né prevendite e nemmeno venditori di gadget per la giovane band formata dall’ex Stolen Cars Michele Anelli alla chitarra e alla voce dal chitarrista Leandro Spennacchi, dal bassista Francesco Bordin e dal batterista Marino Piombi. Sono stati invitati un po’ perché hanno insistito un po’ perché sono compagni ma soprattutto perché non costano quasi niente. Quando finalmente iniziano a suonare, in ritardo sull’orario previsto, davanti al palco ci sono un centinaio di spettatori infreddoliti, in gran parte amici, che applaudono con calore le note ispirate al classico blue-collar rock americano. «Sono bravini», è il commento dei più esperti. Nessuno dei presenti, né i ragazzi del gruppo, né gli spettatori ha l’impressione di vivere un evento particolare. Eppure proprio in quella fredda serata di Samarate inizia la storia dei Groovers, la band che otto anni dopo, nel 1997, verrà indicata da vari giornalisti come il miglior gruppo italiano in assoluto. Ai quattro strumentisti del debutto si aggiunge di lì a poco il tastierista Paolo “Dom” Montanari, che insieme a Michele Anelli sopravviverà ai numerosi cambiamenti di formazione del gruppo salvo far finta di andarsene (almeno negli spettacoli dal vivo) con il nuovo millennio. I testi dei loro brani, in inglese, contribuiscono ad allargarne la popolarità anche al di fuori dell’Italia, in Spagna, in Belgio e, soprattutto, negli Stati Uniti, dove nel 1995 mixano Soul street, il loro secondo album. Realizzato in gran parte ad Austin, in Texas, il disco contiene anche la cruda Another song for America, una poesia di Lance Henderson musicata da Anelli che compare in copertina indossando una t-shirt con i colori della bandiera del Vietnam. La band continua con numerosi cambi di formazione fino al 2009, anno in cui chiude (per sempre?) la sua storia.
23 settembre, 2023
23 settembre 1977 – I Clash e lo stregone
Il 23 settembre 1977 la CBS pubblica il singolo Complete control dei Clash. Il disco consolida il rapporto tra la major discografica e il gruppo di punta del punk più politicizzato, non senza qualche contraddizione che lo stesso testo del brano evidenzia. Emerge, infatti, la paura della band di essere fagocitata dal music business e di non riuscire a salvaguardare la propria autonomia artistica. Il brano, registrato a Kingston, in Giamaica, è destinato a restare nella storia del gruppo non tanto per il testo quanto perché segna l’incontro dei Clash con un singolare personaggio dal grande fiuto musicale, un po’ stregone e un po’ bandito. Si tratta di Lee “Scratch” Perry, un personaggio chiave del mondo musicale giamaicano. Nato a Kingston nel 1939, ha iniziato a lavorare nell’ambiente musicale selezionando brani per un Sound System e facendo il fattorino in uno dei tanti studi di registrazione della sua città natale. Nei primi anni Sessanta fonda la Upsetter Records: più che una casa discografica è uno studio di registrazione con annesso un negozio in cui vende solo i dischi di sua produzione. Sembra destinato a divenire uno dei tanti personaggi pittoreschi del sottobosco musicale dei Sound System giamaicani quando decide di inventarsi manager del gruppo dei fratelli Barrett (futuri compagni d’avventura di Bob Marley), gli Hippy Boys, da lui ribattezzati Upsetters. Grazie al suo lavoro in breve tempo la band scala le classifiche di vendita in Gran Bretagna con il brano Return of Django. Considerato dai giamaicani “l’inventore del reggae” Perry ama atteggiarsi a personaggio carismatico e non si sottrae al ruolo neppure quando deve lavorare con i Clash, uno dei più indisciplinati ed esplosivi gruppi di quel periodo. Non cerca di domarli. Li lascia liberi di lavorare come meglio credono, ma li invita a prestare maggior attenzione al fluire del ritmo. «Hey ragazzi, non mi interessa che sappiate suonare o no, chi se ne frega della musica! Quello che importa è il ritmo: lasciatevi attraversare dal ritmo e la musica verrà da sola…» Sono le solite frasi che dice a tutti, ma funzionano, anche con un gruppo difficile come i Clash. La dura Complete control diventa una geniale mescola di energia e ritmo confermando le tesi di chi vede in Lee “Scratch” Perry un genio ma non smentendo quelle di chi lo considera solo un abile mestierante capace di vendere nel migliore dei modi la sua merce.
22 settembre, 2023
22 settembre 1984 - Chi si rivede! John Waite
Dopo lo scioglimento dei Babies non erano molti quelli che giuravano sul successo della carriera solistica di John Waite. A smentire tutti i corvacci il 22 settembre 1984 il singolo Missing you, estratto dall'album No brakes arriva al primo posto della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti e pochi mesi dopo fa lo stesso in mezzo mondo. Ragazzo tosto Waite, con un passato da bassista e armonicista in gruppi jazz, dopo lo scioglimento della band che gli ha dato la notorietà, ha giurato a se stesso di chiudere con le formazioni fisse. Il successo di Missing you arriva, inaspettato, due anni dopo la pubblicazione del modesto Ignition, che molti pensavano fosse la sua prima e ultima esperienza solistica. Il brano e l'album in cui è inserito sembrano smentire gli scettici e non manca chi sostiene di aver sempre scommesso sulle qualità solistiche di Waite. I più saggi prendono tempo aspettando qualche conferma prima di azzardare giudizi definitivi. Fanno bene perché gli album successivi, Mask of smiles e Rover's return, lungi dal rappresentare la conferma del suo buon momento solistico finiranno per convincere lo stesso Waite a lasciar perdere. Non sarà una disgrazia visto che proprio i deludenti risultati lo indurranno rimangiarsi la decisione di non far mai più parte di una band a struttura fissa. Alla fine degli anni Novanta sarà proprio lui insieme a due dei suoi vecchi compagni dei Babies, il tastierista Jonathan Cain e il bassista Rick Phillips a dar vita ai Bad English con il chitarrista Neal Shon, già dei Santana e dei Journey e il batterista Dean Castronovo. Nonostante tutto però non abbandonerà i progetti solistici. Nel 1990, in parallelo con l'attività nella band, canterà da solo Deal for life nella colonna sonora del film "Giorni di tuono". Quando anche l'avventura dei Bad English finirà per esaurirsi riprenderà la carriera da solista prestando la sua voce alla canzone In dreams nella colonna sonora del film "Una vita al massimo". È uno degli artisti scelti da Ringo Starr nel 2003 per il tour con la sua All-Starr Band.
21 settembre, 2023
21 settembre 1980 - Un brutto segnale per Bob Marley
La mattina del 21 settembre 1980 Bob Marley è a New York, dove la sera prima si è esibito al Madison Square Garden. Sua moglie Rita gli chiede di accompagnarla, come ogni giorno, a una funzione nella Chiesa Ortodossa d’Etiopia della città, ma Bob risponde che non se la sente. Non sta bene. Si sente strano e molto confuso. Deciso a scuotersi dallo strano torpore che lo opprime chiede a un gruppo di tecnici e compagni di tournée di accompagnarlo a fare un po’ di jogging nel Central Park. Sta correndo da qualche minuto quando, improvvisamente, cade a terra privo di sensi. Soccorso dagli amici che lo stanno accompagnando si riprende ma è profondamente turbato e sente il collo irrigidirsi in una posizione innaturale. Viene visitato da un’équipe medica che gli diagnostica quello che probabilmente Bob intuiva già da tempo: il suo cervello è stato aggredito da una massa tumorale. I medici sono ugualmente spietati per quel che riguarda la probabile evoluzione della malattia: la sua speranza massima di vita è di tre settimane. Marley accoglie in silenzio la sentenza. Non fa commenti e decide di continuare il tour statunitense e di partire ugualmente per Pittsburg dove è programma il concerto successivo a quello di New York. Quando Rita viene a conoscenza della sua condizione cerca in tutti i modi di impedire l’esibizione, ma invano. Nonostante il dolore Bob resterà sul palco per un'ora e mezza. Le sue condizioni di salute peggioreranno rapidamente tanto da vincerne anche la cocciuta determinazione ad andare avanti. Il tour verrà sospeso con un comunicato stampa che attribuirà la cancellazione delle date restanti a un non meglio precisato “stato d’esaurimento” di Bob Marley. Da quel momento inizierà una solitaria battaglia contro la morte affidandosi quasi esclusivamente sulla sua volontà e sulle risorse interiori di cui dispone. Smentirà le previsioni dei medici che gli avevano dato solo tre settimane di vita, ma non ce la farà a sconfiggere la malattia.
20 settembre, 2023
20 settembre 1913 - John Collins, il figlio chitarrista di Georgia Corham
Il 20 settembre 1913 nasce a Montgomery, in Alabama, il chitarrista John Collins. Sua madre è la pianista Georgia Corham, una delle pochissime direttrici d'orchestra dell'epoca. La sua infanzia trascorre al seguito del gruppo diretto dalla madre che nelle ore libere lo inizia al mistero delle note. Nelle intenzioni di Georgia il piccolo John Elbert dovrebbe divenire un apprezzato clarinettista, capace di entusiasmare il pubblico con i suoi trascinanti assoli. Le speranze della donna sono destinate a essere frustrate. Il ragazzo abbandona ben presto il clarinetto per la chitarra e di fronte alle perplessità della madre decide di rompere anche con lei. Se ne va a Chicago dove perfeziona gli studi sul nuovo strumento con Frank Langham. Ha appena diciannove anni quando, nella stessa città, ottiene il suo primo ingaggio professionale nell'orchestra del trombettista Elbert B. Topp. I buoni giudizi dell'ambiente sul suo conto arrivano alle orecchie della madre che gli propone di unirsi al suo gruppo. Il giovane chitarrista accetta e la band di Georgia Corham lo schiera in formazione fino al 1935, anno in cui decide di tentare nuove strade. Per un po' suona al Three Deuces di Chicago a fianco di personaggi di primo piano come Art Tatum e Zutty Singleton, poi accetta l'offerta di Roy Eldridge con la cui orchestra lavora per diversi anni. Con questa band incide anche i suoi primi dischi che gli valgono l'apprezzamento della critica. Eldridge, infatti, che ne apprezza la genialità istintiva, non si limita a utilizzarlo come chitarrista ritmico ma lo lascia libero di spaziare come solista. In questo periodo si afferma come uno dei migliori chitarristi swing. Negli anni Quaranta suona tra gli altri con Art Tatum (un tipo che in fatto di ritmo è piuttosto esigente), Lester Young, Fletcher Henderson, Benny Carter, Coleman Hawkins ed Errol Garner. Nel decennio successivo, dopo una fugace apparizione nell’orchestra di Artie Shaw e nel gruppo del solito Art Tatum, entra a far parte del trio di Nat "King" Cole. Qui trova finalmente il suo punto d'arrivo. La sua chitarra partecipa così da protagonista alla costruzione del grandissimo successo mondiale di Nat. In molti ritengono che questa scelta gli abbia precluso la possibilità di ritagliarsi uno spazio importante come solista, ma, a lui va bene così. Non è fatto per seguire le orme della madre e l'idea di diventare un leader non l'ha mai sfiorato. Fino alla morte di Nat King Cole gli resterà accanto come un'ombra. Muore il 4 ottobre 2001.
19 settembre, 2023
19 settembre 1960 - Arriva il twist
Il 19 settembre 1960 Chubby Checker, uno dei tanti sconosciuti cantanti dell'etichetta Cameo-Parkway, entra per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con la canzone The twist, destinata a cambiare per sempre la sua vita. Il ragazzone nero non doveva neppure interpretare quel brano, originariamente registrato da Hank Ballard. La fortuna ci mette, però, lo zampino. Tutto inizia quando Chubby, che in quel periodo si chiama ancora Ernest Evans, sta bighellonando negli studi di registrazione del programma televisivo "American bandstand". Proprio mentre è lì Hank Ballard comunica che non può arrivare in tempo per cantare The twist. Il presentatore Dick Clark chiede se sul posto ci sia qualcuno in grado di sostituirlo. Le alternative possibili risultano due: Danny & the Juniors e Chubby Cheker. La scelta cade su Chubby. Sulla base registrata dai musicisti dello show il ragazzone fa del suo meglio per non sfigurare. Da quel momento diventa il profeta del twist, un ballo che fa impazzire il mondo e che lui descrive così: «Il twist è talmente facile che non lo puoi insegnare. All'inizio ti devi mettere nella stessa posizione di un pugile all'inizio dell'incontro, poi devi muovere le anche come se ti stessi strofinando il corpo con un asciugamano e mentre il corpo si muove avanti e indietro, le braccia fanno lo stesso nella direzione opposta. Il twist è tutto qui». Già, è tutto lì. Forse proprio per la sua semplicità il ballo, nato da una variazione del preesistente Jive, diventa in una mania sconvolgente, una moda che non conosce confini. Sulle sue ali Chubby Cheker gira il mondo intero mentre anche il cinema sfrutta la sua popolarità chiamandolo a interpretare film come "Twist around the clock" e "Don't knock the twist". Nonostante tutto, però, il ballo che lo porta al successo finirà per trasformarsi in una condanna. Nella sua carriera tenterà varie strade ma non riuscirà mai a scrollarsi di dosso l'etichetta di "re del twist".
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