Il 26 novembre 1936 muore a Viareggio, Leopoldo Fregoli, un personaggio leggendario del varietà italiano nato a Roma il 2 luglio 1867. Attore, cantante e soprattutto trasformista, dopo aver debuttato nel varietà come macchiettista e illusionista, nel 1893 forma la Compagnia di Varietà Internazionale e, successivamente, la Compagnia Fin di Secolo nelle quali canta, recita, interpreta personaggi maschili e femminili con un susseguirsi frenetico di trasformazioni, tanto che la parola "fregolismo" diventa un termine proverbiale. Il suo successo travalica i confini nazionali per arrivare a New York, Londra, Pietroburgo, Berlino, Vienna e, soprattutto, a Parigi dove nel 1910 manda in visibilio il pubblico esibendosi peraltro un francese perfetto. Nel 1922 travolto dai debiti dovuti a investimenti sbagliati vende tutto quello che gli rimane e nel 1924 parte per l'ultima tournée in Sudamerica. Nel 1925, ancora all'apice della popolarità da' l'addio alle scene e si ritira a Viareggio la città in cui morirà una decina d’anni dopo.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
26 novembre, 2023
25 novembre, 2023
25 novembre 1974 – Quando Nick Drake volò via
Alle 6 del mattino del 25 novembre 1974 nel suo appartamento di Parigi muore il cantautore Nick Drake. Ha ventisei anni e la sera prima ha ingerito una dose eccessiva di Tryptizol, lo psicofarmaco che da tempo è divenuto un fedele compagno nella lotta contro la depressione. Suicidio o fatalità? Nessuno potrà mai dare una risposta certa a questa domanda. Accanto al letto, posato sul suo comodino, c'è il libro che l'artista stava leggendo prima di prendere sonno. È "Il mito di Sisifo", un saggio di Albert Camus sull'assurdità della vita. Finisce così la breve avventura musicale di uno dei più delicati e poetici cantautori degli anni Settanta. Timido e poco incline a lasciarsi catturare dagli eccessi del music business, Nick Drake nasce a Rangoon, in Birmania, dove il padre si è trasferito per lavoro. Rampollo di una famiglia della buona borghesia britannica negli anni della scuola si fa notare per la sua abilità nelle materie letterarie e nell'atletica leggera (batte più volte il record juniores dei cento metri piani). La passione della musica gli arriva dalla madre, compositrice di canzoni folk. Studia clarinetto ma poi sceglie la chitarra. Elegante e un po' scostante si fa influenzare dal nascente progressive britannico, ma non rinuncia alle sonorità delicate della scuola folk. Fin dal suo primo apparire sulla scena colpisce la critica per le sue canzoni e per il suo aspetto, inusuale per un artista di quel periodo, tanto da essere definito "Una timida nuvola bionda". Scoperto da Ashley Hutchings dei Fairport Convention, nel 1969 pubblica il suo primo album, Five leaves left, ricco di suggestive sonorità acustiche jazz e folk. Il disco entusiasma la critica ma non il pubblico. Uguale destino tocca un anno dopo a Bryter later, un album cui collaborano anche John Cale e Chris McGregor. Nonostante il buon giudizio della critica, la mancanza di successo commerciale pesa sulla condizione psicologica del cantautore che inizia a essere preda di gravi depressioni. Iniziano le cure, i lunghi periodi di vacanza e, soprattutto, la passione per gli psicofarmaci. Dopo la pubblicazione del terzo album Pink Moon, si trasferisce a Parigi. All'inizio del 1974 inizia a registrare le canzoni per un nuovo album che non vedrà mai la luce. Dopo la morte il pubblico lo riscoprirà e ne apprezzerà l'ispirazione. Album postumi come Fruit tree, Best of Nick Drake o Time of no reply conosceranno quel successo commerciale che è mancato a Nick quando era in vita.
24 novembre, 2023
24 novembre 1928 – Giuseppe Sboto, il romano innamorato del jazz
Il 24 novembre 1928 nasce a Roma il vibrafonista e pianista Giuseppe "Puccio" Sboto, una delle più singolari figure del jazz italiano, irregolare nell'impegno, ma fondamentale nella formazione di una lunga serie di giovani musicisti come, tra gli altri, Bruno Biriaco, Riccardo Del Fra, Nicola Stilo, Danilo Rea e Francesco Puglisi. Nel 1934, quando non ha ancora compiuto sei anni, inizia studiare pianoforte classico incoraggiato dai genitori. Che la carriera del concertista non faccia per lui appare evidente quando, a quattordici anni, dopo aver ascoltato Gorni Kramer decide di passare provvisoriamente a un'altra tastiera, quella della fisarmonica. Nell'immediato dopoguerra è uno dei protagonisti del grande fermento jazzistico della capitale. Memorabili restano le sue jam session con Carletto Loffredo, Enzo Grillini, Umberto Cesari, Franco Mingrino e i fratelli Letteri. Volubile e poco incline a lasciarsi coinvolgere da "impegni fissi" soltanto nel 1956 accetta di entrare in pianta stabile nella Roman New Orleans Jazz Band con la quale partecipa anche a due edizioni del Festival Mondiale della Gioventù (Mosca e Vienna). Dal 1960 al 1963 è uno dei componenti della Modern Jazz Gang. Successivamente il suo nome ricompare qua e là accanto a personaggi come Gato Barbieri, Don Byas e tanti altri, pur senza cercare riferimenti fissi. Per tutta la sua vita si comporta come un musicista innamorato più del jazz che della carriera. Le apparizioni discografiche, tutte di altissima qualità, sono discontinue e irregolari. Tracce del suo lavoro appaiono, oltre che nei dischi delle orchestre già citate, anche in varie incisioni del quartetto di Mario Cantini o di musicisti come Gianni Sanjust, Marcello Riccio, Carletto Loffredo, Mario Schiano e molti altri. In più sembra divertirsi a spaziare tra i generi, dal mainstream moderno all'hard bop, senza curarsi troppo di seguire un percorso logico. Negli anni Settanta, quando tutti lo danno per scomparso, riemerge improvvisamente a capo di varie formazioni di giovanissimi musicisti. Lo fa per scelta perché crede nelle possibilità di liberare il jazz italiano dalle ruggini del periodo semiclandestino degli anni del fascismo e da un dopoguerra un po' troppo condizionato dagli influssi d'oltreoceano. Esemplare in questo senso resta il suo apporto, non solo musicale, a un gruppo di svolta come quello formato da Mauro Zazzerini, Danilo Rea, Piero Cardarelli e Lucio Turco. Muore nel 2017.
23 novembre, 2023
23 novembre 1985 – Big Joe Turner, grande non soltanto per la mole
Il 23 novembre 1985 un infarto chiude per sempre la carriera di Big Joe Turner una delle grandi voci del blues, considerato un “padre nobile” del rock and roll e del rhythm and blues. Ha settantaquattro anni e da almeno quaranta si muove a fatica a causa di un’acuta e dolorosa forma d’artrite, oltre che per la mole che gli è valsa il nomignolo di “Big Joe”. Canta quasi sempre da seduto appoggiandosi al suo bastone. Con la sua voce piena e dai toni baritonali è stato un esponente di primo piano del “blues di Kansas City”, quel genere in cui la vena triste e malinconica del blues rurale è stata soppiantata da un’atmosfera maliziosa e divertita che ha posto le basi per l’avvento del rhythm and blues. Negli anni Cinquanta, poi, è maestro e anticipatore del rock and roll. A lui si devono le prime versioni di brani entrati di prepotenza nella storia della musica di quel periodo come Corrine, Corrine, Flip flop and fly e Shake rattle and roll. Nato a Kansas City, nel Missouri, il 18 maggio 1911 come molti ragazzi neri arriva alla musica quasi per caso. Comincia, infatti, a cantare il blues con vari gruppi della sua città nei momenti liberi che gli lascia il lavoro. Verso la fine degli anni Venti coltiva qualche ambizione in più e inizia a collaborare con il pianista boogie Pete Johnson. La sua carriera prende decisamente il volo soltanto a partire dal 1938, quando si occupa di lui un grande talent scout come John Hammond che lo porta a New York e gli procura varie scritture. Ha molti amici tra i jazzisti con i quali coltiva saltuari rapporti di collaborazione che a volte sfociano in splendidi album come The bosses: Joe Turner – Count Basie, con l'orchestra di Count Basie, o The trumpet kings meet Joe Turner, con Dizzy Gillespie, Roy Eldridge, Harry Sweet Edison e Clark Terry. Alla fine degli anni Settanta, con l’avanzare dell’età e la sempre più ridotta capacità di movimento, riduce i suoi impegni, senza però rinunciare a coltivare nuovi progetti. Nell’estate del 1985 si torna a parlare di un suo possibile ritorno in sala di registrazione per una sorta di antologica carrellata sulla sua carriera insieme a molte star del rock. La morte improvvisa cancella il progetto.
22 novembre, 2023
22 novembre 1891 – Tenete d’occhio quel Pietro Gori
Il 22 novembre 1891 una nota riservata inviata dal Ministero degli Interni a tutti i Prefetti del Regno d'Italia prevede che l’avvocato Pietro Gori venga sottoposto a «speciale sorveglianza» per il suo carattere «audace» e per il suo «ingegno svegliato». Tre anni dopo, nel 1894, dopo l’attentato compiuto da Sante Caserio contro il presidente della repubblica francese Marie François Sadi Carnot, l'Italia è attraversata da un'ondata di persecuzioni e attacchi contro gli anarchici. Uno dei principali bersagli della stampa conservatrice è proprio lui, accusato di essere uno degli ispiratori dell'attentato. Ben presto si capisce che l'ondata reazionaria non può che finire con il suo arresto e la condanna per «istigazione a delinquere». Cedendo alle insistenze dei compagni che gli sono più vicini, Gori accetta di espatriare clandestinamente e si rifugia nella vicina Confederazione Elvetica che da tempo ospita una nutrita colonia anarchica composta da esuli provenienti da vari paesi del mondo. La mitica Svizzera Repubblicana sta però iniziando a ripensare sul suo ruolo di ospitale paradiso per gli esuli. Nel mese di gennaio del 1895 assume la decisione di espellere gran parte dei militanti anarchici che si trovano all'interno dei suoi confini. Anche Pietro Gori è tra gli arrestati che, dopo una quindicina di giorni di permanenza in carcere, vengono fatti salire a forza su un treno speciale che li porta oltre confine. Alla stazione, in occasione della loro partenza, viene cantata per la prima volta Addio Lugano bella, conosciuta anche come Addio a Lugano, una delle più popolari canzoni anarchiche italiane. La musica è presa a prestito da un valzer in voga in quel periodo (secondo alcuni pare si intitolasse Addio Sanremo bella) e le parole sono da attribuire allo stesso Pietro Gori che l'avrebbe scritta durante la permanenza in carcere. Non sono mancate ricostruzioni diverse, tendenti a ricondurre il testo del brano a una sorta di elaborazione collettiva, ma anche in questo caso, sul fatto che la trascrizione finale sia opera dell'anarchico toscano non sussiste praticamente alcun dubbio. La melodia malinconica e le parole in cui si fondono insieme rabbia, nostalgia e speranza di ritorno sono gli elementi che hanno regalato ad Addio Lugano bella una larga popolarità anche tra i canti degli emigranti, nelle quali è diventata un po' il simbolo dell'esilio forzato. Il merito è della musica, ma anche della grande ispirazione poetica di Pietro Gori, non a caso ribattezzato, in un'opera teatrale di Sergio Liberovici, Emilio Jona e Massimo Castri: “Anarchico pericoloso e gentile”. La popolarità di questa canzone non conosce stanchezza e anche il pop e il rock se ne impossessano ma senza particolari stravolgimenti, se si eccettua la curiosa citazione in Lugano addio un brano inciso nel 1977 dallo scomparso Ivan Graziani.
21 novembre, 2023
21 novembre 1956 – Piero Fidelfatti, un mago del remix
Il 21 novembre 1956 nasce a Padova il disk jockey Piero Fidelfatti. Nel 1981, dopo aver lavorato in varie discoteche del Veneto, inizia a produrre mix di dance riscuotendo un notevole successo soprattutto in Germania, Spagna e Grecia. Nel 1983, Somebody, un suo disco pubblicato con il nome di Video e remissato da David Morales, ottiene un lusinghiero riscontro sul mercato statunitense e arriva al quinto posto della classifica olandese. Nel 1984 vince, con il nome di Time, "Un disco per l'estate", con Don't stop e quattro anni dopo pubblica Baila Chico, uno dei primi brani italiani di house. Nel 1989 inizia a firmare con il proprio nome i suoi dischi e con Just wanna touch entra nella classifica britannica dei singoli più venduti.
20 novembre, 2023
20 novembre 1997 - Tito Puente in paradiso
Il 20 novembre 1997 Tito Puente, detto anche "l'imperatore del mambo", ha la soddisfazione di vedere il suo nome inserito nella Hall of Fame del Jazz, una sorta di paradiso delle celebrità accanto a personaggi come Nat King Cole, Miles Davis, Ray Charles e tanti altri. Il vecchio leone è commosso, ma non lo dà a vedere, anzi finge una maschera da duro che non gli è propria: «La mia è una generazione che ne ha viste tante da non stupirsi più di nulla». Figlio di emigrati portoricani, non ha mai nascosto le sue umili origini: «Rivendico il fatto di essere nato nel Barrio di New York, un posto dove si passava indifferentemente dal jazz alla musica latina. Per questo amo entrambi i generi senza distinzioni. Il mambo è la somma dei due e io, quando me lo posso permettere, tengo i piedi in… due orchestre». L'inserimento nella Hall of Fame del Jazz è un riconoscimento ufficiale per il musicista che ha il merito di aver arricchito dei ritmi latino-americani il jazz orchestrale e uno schiaffo per chi periodicamente lo descrive come un artista in declino. Come accade nei primi anni Sessanta quando il mambo sembra diventare un cimelio da museo, roba buona solo per le nostalgie dei poveri latino-americani. Lui non si arrende. Continua a comporre brani e a suonare con piccole orchestre nelle feste di battesimo e nei matrimoni della comunità latina di New York. Torna alla ribalta quando Carlos Santana porta al successo due suoi brani, Oye como va e Para los rumberos, realizzando una nuova sintesi tra il rock e le musiche del Caribe. È l'inizio della rinascita che, questa volta, sarà definitiva. Muore a New York, il 31 maggio 2000.
19 novembre, 2023
19 novembre 1977 – Se ne va Sonny Criss
Il 19 novembre 1977 muore il sassofonista Sonny Criss. Nato a Memphis, nel Tennessee il 23 ottobre 1927 viene registrato all’anagrafe con il nome di William Criss. Nel 1942 si trasferisce a Los Angeles dove comincia a suonare nelle ore libere con Shifty Henry. Terminati gli studi nell'inverno del 1946, Criss lavora con Sammy Yates, Johnny Otis, Howard McGhee, Al Killian, con un piccolo gruppo formato da Billy Eckstine al Billy Berg's e con Gerald Wilson. Nel 1948 viene chiamato da Norman Granz e compie diverse tournée con il Jazz at the Philharmonic, compresa anche agli inizi del 1950 quella con Billy Eckstine. Suona come indipendente a Los Angeles fino a quando viene scritturato da Stan Kenton per il Jazz Showcase '55, dopo di che dirige per un paio di anni gruppi sotto suo nome. L'anno successiva è a New York e in altre città della costa orientale con Buddy Rich e, nel 1959, torna a formare un proprio complesso. Partecipa a qualche trasmissione televisiva, chiamato da Bobby Troup, e appare in Europa tra il 1962 e il 1965. Tornato a Los Angeles seguita il suo lavoro come free-lance dedicandosi, a partire dagli anni Settanta, all'insegnamento, anche a mezzo conferenze, rivolte ai giovani: il che gli ha fruttato numerosi riconoscimenti. Nel 1973 torna in Europa per esibirsi in numerosi concerti e registrazioni radiotelevisive. Di nuovo negli Stati Uniti continua la sua opera di insegnamento tornando poi in Europa e stabilendosi a Parigi nel 1974. Nella sua carriera ha inciso con Charlie Parker, Flip Phillips, Wardell Gray, Tommy Turk, Ralph Burns, Hollywood Jazz Concert e, sotto suo nome, per Mercury, Prestige, Impulse, Clef, Muse. Sonny Criss è considerato uno dei più fedeli seguaci dello stile di Charlie Parker, insieme a Sonny Stitt.
18 novembre, 2023
18 novembre 1965 – Lou Black, il banjoista che non amava i viaggi
Il 18 novembre 1965 muore a Rock Island, nell’Illinois, il banjoista Lou Black. Ha sessantaquattro anni e da qualche giorno è ricoverato in ospedale dopo aver riportato gravi ferite in un incidente stradale. La causa della morte è da ricercare in una serie di complicazioni cardiache. Finisce così la carriera musicale di Lou o, per essere precisi, di Louis Thomas Black, come risulta dal registro anagrafico della stessa Rock Island, dove è nato. La sua storia musicale inizia nel 1919 quando, dopo aver imparato praticamente da solo a suonare il banjo, accompagna il pianista Carlisle Evans sull'S.S. Capitol, un vaporetto che ospita pochi turisti e tante sale gioco. Lascia l'instabile palcoscenico nel 1921 per entrare a far parte dei New Orleans Rhythm Kings che, in quel periodo, sono impegnati stabilmente con un lungo contratto al Friars’ Inn di Chicago. L'anno dopo, sempre insieme alla stessa band registra vari brani destinati a essere pubblicati in dischi che recano sull'etichetta la dicitura: Friars Society Orchestra. Il suo apporto si fa sentire in particolare nel corso della seduta di registrazione che si svolge il 20 agosto 1922 durante la quale la band esegue due brani leggendari come Tiger Rag e Panama esaltando gli assoli del clarinettista Leon Rappolo, vera e propria star di giornata. Anni dopo più di un critico rileverà come la geniale e ispirata esecuzione di Rappolo sia ampiamente debitrice all'apporto ritmico-armonico del banjo di Lou Black. La sua avventura con i New Orleans Rhythm Kings finisce nel 1923 quando entra a far parte degli Original Memphis Melody Boys di Elmer Schoebel. Il suo stile, fatto di leggerezza e senso del ritmo, piace a Schoebel che lo vuole anche nelle formazioni della Chicago Blues Dance Orchestra e della Midway Garden Orchestra. Nel 1924, colto da improvvisa nostalgia, ritorna al fianco di Carlisle Evans. Lou, però, è stanco di vagabondare e cerca un impiego fisso o qualcosa che gli assomigli. Lo trova nel 1925 quando viene scritturato dall’orchestra della stazione radio WHO di Des Moines nell'Iowa. Ci resta fino al 1931 quando decide di lasciare la musica. Non è un addio definitivo. Periodicamente accetta qualche rimpatriata con i suoi vecchi compagni. Memorabili restano le sue esibizioni a nel 1961 e nel 1963 a Moline, in Illinois. Pochi giorni prima di morire smentisce le voci che lo vogliono alla vigilia di un rientro sulle scene a tempo pieno.
17 novembre, 2023
17 novembre 1978 – Il primo album della Polizia
Il 17 novembre 1978 i Police pubblicano il primo album della loro non lunghissima storia. È Outlandos d'amour, un disco accolto con meraviglia dalla critica. Le recensioni sono entusiastiche al limite dell’apologia e descrivono il lavoro di Sting e compagni come «una raccolta di canzoni prepotenti e sfacciate che racchiudono l’intero messaggio di una generazione in piena formazione». Niente male per un gruppo che solo qualche mese prima aveva subito la censura della BBC nei confronti del brano Roxanne, tolto dalla programmazione radiofonica e televisiva per il testo, ritenuto offensivo… Al di là delle esagerazioni dell’epoca, cui non sono estranei i responsabili dell’ufficio promozionale di una casa discografica potente come la A&M, il disco rappresenta davvero una ventata d’aria nuova nella statica situazione del rock britannico di quel periodo, compresso tra lo strappo del punk e la noiosa ripetitività di un pop leggero e danzereccio. A questo va aggiunto che il gruppo, pur essendo di recente costituzione, non è formato da giovani musicisti di primo pelo. Sting, il cui vero nome è Gordon Matthew Sumner, ha alle spalle qualche anno con la Newcastle Big Band e i Last Exit, il batterista Stewart Copeland proviene da un gruppo di culto come i Curved Air e il chitarrista Andy Summers (all’anagrafe Andrew James Somers) ha all'attivo esperienze in gruppi come la Zoot Money's Big Roll Band, Eric Burdon & The Animals, i Soft Machine, le band di Kevin Ayers e Kevin Coyne, oltre ad una lunga collaborazione con il musicista tedesco Eberhard Schoerner. I tre, quindi, nonostante la giovane età, sanno quel che fanno. Outlandos d’amour è un album ricco di tensione, velocità e ritmo. Con la tipica struttura a tre, chitarra – basso – batteria, i Police frullano generi diversi, dal pop al reggae, e ottengono un prodotto gradevolmente provocatorio che non rinuncia alla secca immediatezza del punk. Non è che l’inizio di un lungo lavoro di sperimentazione destinato a proseguire anche dopo lo scioglimento della band, soprattutto per opera di Sting, ma questo è sicuramente uno di quei casi in cui… il buongiorno si vede dal mattino.
16 novembre, 2023
16 novembre 1956 - Arriva "Love me tender", in italiano "Fratelli rivali"
Il 16 novembre 1956 viene distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il primo film di Elvis Presley, "Love me tender", che verrà esportato anche in Italia con il sorprendente titolo di "Fratelli rivali". Il lungometraggio segna il debutto sul grande schermo del ragazzone bianco amato dalle teen-ager che ha saputo addomesticare il rock and roll. Artefice dell'incontro di Elvis con il cinema è stato Hal Wallis, il magnate che l'anno prima l'ha convinto a firmare un sostanzioso contratto con la 20th Century Fox. Con la tipica programmazione hollywoodiana nulla è stato lasciato al caso. Anticipazioni e scandaletti inventati dagli abili uffici stampa hanno costellato le cronache per tutta la lavorazione dei film. Molto tempo prima della sua uscita nelle sale nella centralissima Times Square di New York è stata collocata una sagoma bianca alta più di quindici metri con un enorme punto interrogativo al centro. Giorno dopo giorno sono stati aggiunti i contorni, poi lo sfondo e, infine, l'immagine di Elvis. Le cronache riportano che nel giorno in cui l'immagine del cantante è stata collocata al centro della sagoma il traffico è rimasto bloccato a lungo da un numero crescente di giovani fans entusiasti. Anche l'improbabile diventa vero nel lancio di quello che viene presentato come l'evento cinematografico dell'anno. Una volta preparato il terreno la Fox provvede a stampare un numero record di copie della pellicola in modo da poter invadere tutti i principali cinema degli Stati Uniti. Il risultato è all'altezza delle aspettative: in tre giorni di programmazione il fílm copre le spese d'incasso. La storia, d'ambientazione western, racconta le vicende di due fratelli innamorati della stessa ragazza alla fine della Guerra di Secessione. Probabilmente, senza la presenza di Elvis Presley, il film non avrebbe retto neppure un giorno di programmazione. Ma Elvis c'è e questo ai suoi fans basta. Quel 16 novembre 1956 segna l'inizio del cosiddetto "Presley business", una vera e propria organizzazione commerciale che nasce per sfruttare al meglio il fenomeno di massa. Magliette, jeans, pupazzi, giubbotti, stivali, cuscini e altri getti trovano spazio sul mercato grazie all'immagine del cantante. Sul piano musicale il film rappresenta un passo in più verso la definitiva normalizzazione del (ribelle?) Elvis Presley che, nonostante la forza della canzone che dà il titolo al film, appare sdolcinato e sempre più uguale ai tradizionali interpreti bianchi di country.
15 novembre, 2023
15 novembre 2002 – Il fischio del vapore
Il 15 novembre 2002 esce Il fischio del vapore, un disco realizzato a quattro mani da Francesco De Gregori e Giovanna Marini. L'apporto della Marini è più consistente di quello che potrebbe apparire e di quello che lei stessa tende ad accreditare quando dice che «In fondo io sono un ospite». L'impronta del lavoro di una più intelligenti ed eclettiche autrici e interpreti della musica italiana (il termine "cantautrice" è riduttivo) è ben presente in tutto l'album e lo si nota subito dall'impostazione della voce di De Gregori che è nuova e diversa dal solito. C'è poi, sul piano strumentale e degli arrangiamenti, una reciproca contaminazione che sembra nascere dal divertimento della mescola, più che dallo studio a tavolino. È uno dei tanti segni che denunciano come la collaborazione non sia un fatto episodico e isolato né una semplice conseguenza del concerto comune tenuto il 28 aprile a Roma in occasione dell’inaugurazione dell’Auditorium. Anche se le loro strade artistiche hanno avuto poche occasioni per intrecciarsi, i due si conoscono e si stimano da anni («Conosco Francesco da almeno trent’anni, quando lo ascoltavo o, meglio, ci ascoltavamo, al Folkstudio») e si sente. Pur essendo un disco realizzato in studio Il fischio del vapore ha però il calore, la spontaneità e la freschezza di una lunga jam session. Le sue tracce rimandano un'allegria interiore che fa bene al cuore. I brani sono quasi tutti "rubati" al fornitissimo canzoniere della tradizione popolare salvo due: L’abbigliamento di un fuochista, scritto dallo stesso De Gregori e già interpretato in duo con la Marini nell’album Titanic, e Lamento per la morte di Pasolini, composto di getto da Giovanna nei giorni successivi all'assassinio del regista-scrittore. Per la verità nella scaletta compare anche I treni per Reggio Calabria, una canzone della Marini che, però, preferiamo considerare ormai definitivamente acquisita dal largo e capiente fiume della tradizione. Quello proposto dal disco è un lungo viaggio nella storia d'Italia vista dalla parte degli "umili", scandita dai racconti, dagli umori, dai sentimenti e dalle passioni della cultura popolare. La narrazione recupera l'idea, inusuale per questi anni smemorati, che la storia non si nutre di intuizioni geniali, di capi azzeccati, di battaglie e di "colpi d'immagine", ma con il suo incedere imperfetto si dipana tra passato, presente e futuro mettendo in collegamento ciò che è stato fatto ieri con quello che si farà domani. Niente di quello che accade è senza conseguenze. In questo senso Il fischio del vapore parla alla politica e, come ammette lo stesso De Gregori, diventa un disco politico proprio «perché è fatto con canzoni del popolo e le storie del popolo non sono tutte vicende felici». Sbaglia invece chi, con una certa superficialità, ha etichettato questa operazione come una sorta di "ritorno agli anni Settanta". O non ha ascoltato il disco o è in malafede. Uno dei valori aggiunti di questo lavoro è, infatti, proprio il suo non essere un'operazione di recupero calligrafico della tradizione. A partire dall'apporto della band elettrica che accompagna il cantautore in concerto, l'intero album tiene ben salde le radici nella musica d'oggi e la leggerezza che rimanda nasce proprio dalla consapevolezza di entrambi gli interpreti che «quando uno fa un disco non deve mettere un puntello nella storia». In più sembra di cogliere una reciproca fascinazione tra due personaggi così diversi che finisce per aggiungere suggestione. Racconta Francesco che Giovanna Marini ha partecipato con grande curiosità alla stessa definizione degli arrangiamenti fino «...a dire la sua sui suoni della batteria piuttosto che sugli arrangiamenti o sul sound delle chitarre». Per noi non è una sorpresa, visto che proprio su queste pagine, sei mesi fa, aveva detto «Non capisco niente di country, rock e generi simili. Non appartengono alla mia cultura musicale e quindi non me li sento addosso. Trovo, però, che quello sia un mondo sonoro che ci sta vicino, che è prossimo alla nostra esperienza di cantanti della tradizione popolare. Canzoni come le mie, quelle di Gualtiero Bertelli o Ivan Della Mea, pur viaggiando su onde differenti da quelle di De Gregori, finiranno per incontrarsi».
14 novembre, 2023
14 novembre 1902 - Carlo Buti, l’ispiratore del “canto melodico all’italiana”
Il 14 novembre 1902 nasce a Firenze Carlo Buti, il cantante considerato uno degli artefici di quel genere che verrà più tardi definito come “canto melodico all’italiana”. Il suo stile innova profondamente le tecniche canore del tempo, contaminando l’impostazione lirico-tenorile dei cantanti da romanza con gli abbellimenti vocali e i gorgheggi degli stornellatori. Comincia a cantare fin da ragazzo nei locali della campagna fiorentina e nel 1931 si dedica a tempo pieno alla canzone napoletana cogliendo l’occasione offertagli dall’editore Francesco Feola, l’artefice delle edizioni “La canzonetta”, che lo presenta alla Piedigrotta di quell’anno. L’incontro con la melodia napoletana determina una svolta nella sua carriera: pubblica vari dischi di canzoni napoletane e comincia a farsi conoscere da un pubblico più vasto. Sul finire degli anni Trenta è protagonista del primo boom discografico della storia italiana con canzoni come Portami tante rose e Violino tzigano, grazie anche alla grande popolarità che gli deriva dal fatto di essere il primo cantante lanciato dalla radio. La sua voce diventa popolarissima e il suo successo attraversa anche i confini d’Italia. I suoi dischi ottengono, infatti, qualche anno dopo, un buon successo di vendite anche negli Stati Uniti. Eclettico e dinamico personaggio di spettacolo, interpreta anche film musicali di successo, come “Per uomini soli” del 1939 diretto da Guido Brignone. Tra i suoi successi, oltre alle già citate Portami tante rose e Violino tzigano, sono da ricordare Bombolo, Firenze, Stornelli toscani, Quel motivetto che mi piace tanto, Parlami d’amore Mariù, Reginella campagnola, Firenze sogna, Chitarra romana e Signorinella. Muore a Montelupo Fiorentino il 16 novembre 1963.
13 novembre, 2023
13 novembre 1921 – Eddie Calhoun, l'autodidatta
Il 13 novembre 1921 nasce a Clarksdale, in Mississippi, il contrabbassista Eddie Calhoun. Completamente autodidatta, dice di aver imparato la musica nelle strade di Chicago. Fa le sue prime esperienze professionali con Prince Cooper dopo aver prestato servizio militare nell'esercito. Tra il 1947 e il 1954 fa parte dei gruppi di Dick Davis, Ahmad Jamal, Horace Henderson, Johnny Griffin e ha suonato saltuariamente anche con Roy Eldridge, Billie Holiday, Miles Davis. Ma la sua collaborazione più duratura, dal 1955 in avanti, è stata quella con Erroll Garner; con il trio del famoso pianista scomparso ha partecipato a numerosi concerti negli Stati Uniti e In Europa e ha inciso molti dischi tra i quali i 33 giri Concert by the Sea e Campus Concert. Contrabbassista di grande esperienza, ha i suoi punti di riferimento in Red Callender e Wilbur Ware.
12 novembre, 2023
12 novembre 1970 – Gene Gifford
Il 12 novembre 1970 muore a Memphis, nel Tennessee il chitarrista Harold Eugene Gifford, conosciuto dagli appassionati di jazz come Gene Gifford. Nato ad Americus, in Georgia, il 31 maggio 1908 cresce musicalmente a Memphis, nel Tennessee. Dopo aver fatto le prime esperienze in complessi studenteschi, per qualche tempo suona come banjoista con l'orchestra di Bob Foster a El Dorado e successivamente con la formazione di Lloyd Williams e con i Watson's Bell Hops. Nel 1927 dà vita a un suo gruppo con cui si esibisce in vari locali e teatri del Texas. L’anno dopo è con Blue Steele e in questo periodo passa dal banjo alla chitarra. All’inizio degli anni Trenta è a Detroit dove il noto impresario Jean Goldkette lo scrittura come chitarrista nella Orange Blossom Band, primo nucleo della famosa Casaloma. È l'arrangiatore principale di quell’orchestra di cui determina lo stile e le caratteristiche. Alla fine degli anni Trenta se ne va per dedicarsi all’attività di orchestratore prima di diventare, nel 1943, il chitarrista-arrangiatore della formazione di Bob Strong. Nel 1948 torna per un paio d’anni con Glen Gray in una nuova formazione della celebre Casaloma. Negli anni Cinquanta lascia l’attività di strumnentista per lavorare come fonico e arrangiatore. Alla fine degli anni Sessanta si stabilisce a Memphis dove insegna musica. Brillante arrangiatore di orientamento jazzistico deve la sua fama a brani come Casaloma Stomp, White Jazz o Stompin' Around, considerati anticipatori dello swing.
11 novembre, 2023
11 novembre 1999 - Da metà febbraio tutti con il casco!
L’11 novembre 1999 il Parlamento italiano armonizza definitivamente le normative italiane con quelle europee prevedendo l’introduzione del casco obbligatorio per tutti gli utenti di motocicli e scooter a partire dalla metà del successivo mese di febbraio. I giornali annunciano che non sono previste eccezioni né dovrebbero essere possibili ripensamenti. Il ritardo di tre mesi tra approvazione ed esecutività della norma è dovuto soltanto a una norma del nostro ordinamento nella quale si prevede che tutte le variazioni legislative riguardanti la circolazione stradale diventino operative non prima di tre mesi dopo la loro approvazione, in modo da consentire gli adeguamenti tecnici della viabilità e le opportune campagne informative. Le nuove disposizioni, peraltro, interessano una fascia limitata di motociclisti, quelli, cioè, che avendo superato i diciotto anni d’età si trovino alla guida di ciclomotori fino a 50 cc. In tutti gli altri casi l’obbligo esisteva già. Cade quindi la distinzione finora in atto tra minorenni e maggiorenni relativa a un segmento limitato della produzione, quella fino a 50 cc. C’è ancora un’esenzione, per la verità, ma riguarda soltanto “i conducenti di ciclomotori e motocicli, anche a tre ruote, purché dotati di cellula di sicurezza a prova di crash, nonché di sistemi di ritenuta e dispositivi atti a garantire l’utilizzo del veicolo in condizioni di sicurezza”.
10 novembre, 2023
10 novembre 1964 - Siamo i Beefeaters! Ci manda Miles Davis
Il 10 novembre 1964 la Columbia scrittura i Beefeaters, un gruppo formato da tre cantanti e chitarristi: David Crosby, un tipo con alle spalle cinque anni di lavoro nei locali folk, Gene Clark già componente dei New Christy Minstrels e Jim McGuinn, la cui fila di collaborazioni è lunghissima e comprende i Limeliters e il Chad Mitchell Trio, oltre alle band di Bobby Darin e Judy Collins. I tre si sono incontrati nei primi mesi dell'anno al Trobadour di Los Angeles e proprio in quel locale, uno dei più frequentati templi del folk di quel periodo nasce l'idea di mettersi insieme. Il primo nome scelto per il gruppo è quello di Jet Set, poi cambiato in Beefeaters. Sono, dunque, insieme da poco più di sei mesi e tuttavia la Columbia accetta di metterli sotto contratto. Per quale ragione? In realtà i ragazzi hanno un santo in paradiso e non lo sanno. Si chiama Miles Davis. Il trombettista li ha ascoltati per caso ed è rimasto favorevolmente impressionato. Ha intuito che, dietro l'acustica un po' monotona dei loro brani forse troppo uguali c'è stoffa. Per questo li ha "raccomandati" alla Columbia che si è fidata e li ha scritturati. Qui incontreranno Jim Dickson, un discografico convinto che dall'incontro tra i nuovi suoni del beat britannico e le vecchie melodie del folk statunitense possa nascere qualcosa di nuovo. I tre ragazzi gli daranno ragione. Poco tempo dopo, con l'aggiunta di Chris Hillman e Michael Clarke, cambieranno nome e diventeranno i Byrds. Non sarà l'unico cambiamento di nome. Qualche tempo dopo Jim McGuinn si convertirà all'induismo cambiando nome in Roger.
09 novembre, 2023
9 novembre 1968 - Aphrodite's Child, tre greci al vertice delle classifiche
Il 9 novembre 1968 per la prima volta nella breve storia della discografia italiana un brano interpretato da un gruppo greco arriva al vertice della classifica dei singoli. È Rain and tears degli Aphrodite's Child, un trio formato dal tastierista Evanghelos Papathanassiou, dal batterista Lucas Sideras e dal cantante e bassista Demis Roussos. La band nasce in quel di Parigi, città nella quale avrà per molto tempo la sua sede operativa. Nati formalmente nel 1968 trovano rapidamente un contratto discografico e in pochi mesi,passano dall'anonimato alla notorietà mondiale. Dopo un primo disco passato quasi inosservato dal titolo I want to live, infatti, centrano con Rain and tears il grande successo internazionale. La canzone, ricca di echi mediterranei e giocata sulla particolare vocalità di Demis Roussos, deve gran parte della sua efficacia all'arrangiamento di Papathanassiou, che attinge a piene mani al "Canone" dell'organista tedesco Johann Pachelbel. L'avventura della band continuerà per un paio d'anni con grandi successi, ma finirà per interrompersi a causa delle divergenti opinioni musicali dei componenti. Dopo lo scioglimento Demis Roussos continuerà come cantante solista sulla strada del pop raffinato con ottimi risultati, mentre Papathanassiou inizierà a percorrere le vie della ricerca strumentale con il nome di Vangelis e diventerà uno dei principali autori di colonne sonore del Novecento. Meno fortuna avrà il bassista Lucas Sideras. Dopo un primo pubblicizzatissimo album le sue tracce si confonderanno con quelle di migliaia di altri buoni musicisti di quel periodo.
08 novembre, 2023
8 novembre 1987 – Jacques Anquetil, l’uomo-orologio
L’8 novembre 1987 il cancro uccide il francese Jacques Anquetil, una leggenda del ciclismo. Amante dello champagne e dei piaceri della vita, l'atleta che i tifosi francesi hanno ribattezzato “Maître Jacques” è stato il più grande cronoman della storia del ciclismo. Vincitore di due Giri d’Italia, nel 1960 e nel 1964, è stato un attento amministratore della sua forza, preferendo all’impegno assiduo, una scelta oculata delle gare che gli permettesse di potersi godere anche la vita senza doversi sottoporre alle restrizioni tipiche della vita degli atleti della sua epoca. Nato l’8 gennaio 1934 a Mont Saint-Aignan, in Francia, ha spesso assunto posizioni di aperta contestazione dell’establishment ciclistico, da lui considerato in più occasioni autoritario e indifferente alla fatica e ai problemi dei ciclisti. Conclusa la carriera ha lavorato nel campo del giornalismo e svolto l’incarico di Commissario Tecnico della nazionale ciclistica transalpina ai mondiali.
07 novembre, 2023
7 novembre 1987 – L'exploit di Tiffany, cantante bambina
Il 7 novembre 1987 torna al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti I think we're alone now, un brano già portato al successo alla fine degli anni Sessanta da Tommy James & The Shondells, una delle band di punta della bubblegum music. L'interprete del fortunato remake è la sedicenne Tiffany, il cui nome completo all'anagrafe risulta Tiffany Renee Darwish. La critica musicale registra un po' distrattamente quella che sembra l'ennesima operazione di marketing musicale destinata a supportare una delle tante "cantanti bambine", metà bambole e metà Lolite, della storia del pop. In realtà il personaggio è più complesso delle solite protagoniste di fenomeni di questo tipo. Nata in una famiglia originaria dell'Oklahoma ma cresciuta a Norwalk in California, infatti, Tiffany inizia a studiare canto all'età di cinque anni. A nove si esibisce per la prima volta di fronte a un pubblico con il gruppo dei Country Hoedowners. L'attività di cantante sembra però destinata a restare un hobby nella sua vita. Gli studi e i giochi vengono prima di tutto il resto. Quasi per gioco quindi a dodici anni registra alcune canzoni su un nastro che viene ascoltato dal produttore George Tobin il quale, intuendo le capacità della ragazzina, decide di occuparsi di lei spronandola a migliorare le sue notevoli qualità vocali. Nel 1986 quando Tiffany viene scritturata dalla MCA Tobin chiede e ottiene di poter avere l'ultima parola nella scelta del repertorio. Inizia così un lungo braccio di ferro tra i discografici, intenzionati a lanciare rapidamente la "cantante bambina" e il suo produttore preoccupato di valorizzarne le qualità interpretative indipendentemente dall'età che più di una volta fa valere il diritto di veto. Ben quarantotto sono i brani registrati dalla ragazza prima di scegliere quelli destinati a comparire nel suo primo album. Dopo un anno di lavoro viene, quindi, pubblicato l'album Tiffany da cui verranno estratti tre singoli di successo: I think we're alone now, Could've been e I saw him standing there. Tiffany diventa così una delle rivelazioni della seconda metà degli anni Ottanta confermandosi anche l'anno successivo con l'album Hold and old friend's hand. Se la protezione di Tobin le ha evitato errori all'inizio della carriera, il raggiungimento della maggiore età non le porterà fortuna perché sarà costretta a un lunga disputa legale con il padre sull'uso e la disponibilità del denaro guadagnato negli anni precedenti.
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