27 marzo, 2024

27 marzo 1905 - Hal Kemp dal pianoforte alle ance

Il 27 marzo 1905 nasce a Marion, in Alabama, il sassofonista e clarinettista Hal Kemp. Registrato all'anagrafe con il nome James Harold Kemp, inizia gli studi musicali sui tasti bianco e neri di un pianoforte. Solo nel 1917, quando si trasferisce con la famiglia a Charlotte, nel North Carolina, comincia lo studio del clarinetto. Ha talento e in breve si ritrova a dirigere una delle orchestra studentesche dell'Università del suo stato. Completati gli studi universitari nel 1926, si dedica a tempoo pieno all'attività musicale con una propria formazione da ballo nella quale suonano spesso strumentisti jazz di grande valore come accade con Bunny Berigan nel 1930. Incide un gran numero di dischi, alcuni a suo nome e altri sotto la sigla Carolina Club Orchestra. All'apice del successo muore in un incidente automobilistico il 21 dicembre 1940.

26 marzo, 2024

26 marzo 1932 - Joe Venuti aggredisce il chirurgo che ha operato Eddie Lang

Il 26 marzo 1932 muore il chitarrista Eddie Lang. Sembra che la morte sia stata provocata da complicazioni sopravvenute a una tonsillectomia. La causa della morte è una forte emorragia e la versione ufficiale attribuisce a fatalità l'evento. Il violinista Joe Venuti, suo inseparabile amico, non crede a una parola di quello che gli viene raccontato. Siccome Lang soffriva di emofilia accusa il chirurgo di non aver sottoposto il chitarrista alle necessarie analisi. Alterato e sconvolto, insoddisfatto delle risposte formali che gli vengono date, passa alle maniere forti malmenando pesantemente il chirurgo. Arrestato è costretto a subire un processo e una condanna. Per Joe Venuti sembra l'inizio di un rapido declino. Quello che era considerato "il miglior violinista jazz del mondo appare in difficoltà a trovare ingaggi. Non sono soltanto i contraccolpi dei guai giudiziari a minarlo, ma anche la sua situazione personale. Con la morte di Lang, infatti, entra in una fase depressiva fortissima. I due oltre che affiatati un'affiatata coppia di musicisti erano anche molto uniti nella vita tanto che avevano sposato due ex ballerine delle Ziegfeld Follies, conosciute in uno dei tanti spettacoli di Broadway. Quando Lang muore Venuti decide di continuare a versare alla vedova del suo grande amico una quota-parte dei suoi guadagni. Negli anni Cinquanta la sua stella ricomincerà a splendere.

25 marzo, 2024

25 marzo 1940 - Mina, la più grande voce femminile del pop italiano

Il 25 marzo 1940, a Busto Arsizio, in provincia di Varese nasce Mina Anna Mazzini (e non Anna Maria come spesso viene chiamata), una cantante la cui storia attraversa più di mezzo secolo di storia della musica italiana. La sua evoluzione artistica si muove su strade imprevedibili, spesso prescindendo dalle regole e dalle consuetudini che da sempre muovono la scena musicale italiana. Alla fine degli anni Cinquanta la sua voce potente, aspra e aggressiva irrompe sulla scena musicale del nostro paese, capovolge le regole auree della melodia tradizionale, ne spezza il delicato fraseggio e ne rivoluziona i canoni interpretativi portando in primo piano le parti fino a quel momento considerate marginali nella stesura. Nei suoi acuti c’è la lezione del rock and roll, dei juke box, della ventata innovatrice che arriva d’oltreoceano. La scelta dei colori del rock and roll non è, però, definitiva perché Mina non vuole rischiare di diventare prigioniera di un genere. Negli anni Sessanta inizia a misurarsi con interpretazioni sempre più impegnative. Più il gioco è difficile e più Mina prova gusto a giocare. Sperimenta i limiti della propria vocalità operando scelte di repertorio tra loro contrastanti. L'urlatrice degli inizi diventa così un’interprete sofisticata capace di misurarsi con generi e stili diversi, dalla canzone italiana più tradizionale alla musica brasiliana, alla ballata, al soul e al blues. Utilizza la sua voce come uno strumento, scavalcando, se necessario, anche i limiti imposti dal testo, dalla dizione o dalla pronuncia. E se nei primi tempi la voce è solo un elemento, pur se fondamentale, delle sue scelte artistiche, con il passare degli anni è destinata a diventare l’unico mezzo di comunicazione con il pubblico. La decisione di ridurre ai minimi termini la propria presenza pubblica e di non apparire più né in concerto, né in televisione è perfettamente in linea con il personaggio che ha scelto di essere: se stessa, sulla scena come nella vita. Poco dopo la nascita la sua famiglia si trasferisce nel cremonese. Dopo aver cantato per la prima volta in pubblico nell'estate del 1958 quasi per scherzo la ragazza forma la sua prima band, gli Happy Boys e pubblica i primi singoli con il nome d'arte di Baby Gate. Alla fine dell'anno partecipa alla Sei giorni della Canzone e nel 1959 debutta in televisione con una personalissima versione di Nessuno, la canzone presentata da Wilma De Angelis al Festival di Sanremo. Nel 1960 partecipa per la prima volta alla manifestazione sanremese senza troppa fortuna. L'anno dopo fa la sua seconda e ultima apparizione al Festival di Sanremo con Io amo tu ami e Le mille bolle blu. Sempre nel 1961 è tra i protagonisti fissi dello show televisivo "Studio Uno", esperienza che ripete nel 1965 e nel 1966. Nel 1967 fonda la PDU, una sua etichetta discografica e l'anno dopo presenta "Canzonissima" con Paolo Panelli e Walter Chiari. Nel 1972 scrive, insieme ad Augusto Martelli, il brano Il conformista per il film "La strategia del ragno" di Bernardo Bertolucci. Nel 1978 appare per l'ultima volta in televisione nel programma "Milleluci" e fa la sua ultima esibizione dal vivo a Bussoladomani. Da quel momento si ritira nella sua casa di Lugano regalando al suo pubblico una lunga serie di album di grande successo. Oggi Mina è soprattutto una grande voce che sembra uscire dal nulla. Nessuna altra interprete ha avuto il coraggio, come lei, di entrare nel mito annullando del tutto la sua fisicità proprio nel momento in cui l’immagine si stava affermando come elemento centrale in ogni settore dello spettacolo e della comunicazione.

24 marzo, 2024

24 marzo 1952 – Big Sid Catlett e la tecnica del rullante

Il 24 marzo 1951, colpito da una sincope, muore improvvisamente a Chicago, nell’Illinois, il quarantunenne Big Sid Catlett, all'anagrafe Sidney Catlett, uno dei più grandi batteristi della storia del jazz. Nato a Evansville, nell'Indiana, si avvicina alla musica studiando pianoforte. È ancora adolescente quando scopre la batteria. Se ne innamora e non la lascerà più. Nel 1930, a vent'anni, va a New York per suonare con l'orchestra di Sammy Stewart, e nei cinque anni successivi, fa parte di alcuni fra i gruppi degli strumentisti più importanti dello swing: Elmer Snowden, Benny Carter, i Mc Kinney's Cotton Pickers e, soprattutto, Fletcher Henderson e Don Redman che gli consentono si affinare e rinnovare il suo stile. Sia Henderson che Redman sono, infatti, artefici di arrangiamenti carichi di swing, ma, nello stesso tempo, moderni per le novità di linguaggio e per i grandi solisti presenti nei loro gruppi. Quando, nel 1938, Big Sid entra nell'organico dell'orchestra di Louis Armstrong è già considerato una delle stelle più brillanti del firmamento jazzistico dell'epoca. Ci resta fino al 1943, poi, dopo una breve parentesi con Benny Goodman tenta di mettersi in proprio costituendo un gruppo a suo nome. In quel periodo le grandi orchestre sono ormai arrivate al capolinea. Tra i primi ad accorgersene c'è Louis Armstrong, che inventa la formula degli All Stars, una sorta di band ad assetto variabile nella quale si incontrano grandi personaggi della storia del jazz. Big Sid Catlett, con Barney Bigard, Jack Teagarden ed Earl Hines ne rappresenta uno dei quattro punti di forza. La sua morte lascerà un vuoto difficilmente colmabile, testimoniato dalla lunga serie di concerti al fianco di Armstrong. Pochi batteristi sapevano "lanciare" i solisti come lui, con una pausa impercettibile nel suo straordinario gioco di piatti e di tamburi nella quale personaggi come Teagarden e Hines trovavano l'appoggio per far volare alta la loro improvvisazione. Nei suoi relativamente pochi anni d'attività ha contribuito in modo fondamentale al passaggio dal jazz classico al jazz moderno. Pur prendendo a modello il pulsare severo e cronometrico di due grandi batteristi di New Orleans come Zutty Singleton e Baby Dodds, Big Sid ha sviluppato fin dagli esordi una tecnica personalissima che non si limitava ad "uscire" negli spazi a lui riservati, ma svolgeva un lavorio preparatorio di estrema efficacia, fondato sull'uso del rullante.


23 marzo, 2024

23 marzo 1969 – Ehi Gregg, vuoi fare l’organista del mio gruppo?

Il 23 marzo 1969 Gregg Allman è a Los Angeles mentre suo fratello Duane è, teoricamente, impegnato nella registrazione del suo primo disco da solista. In realtà Duan Allman non è soddisfatto del gruppo che l’accompagna in sala di registrazione, il lavoro non procede e lui pensa che ci sia bisogno di qualcosa in più. Intenzionato a risolvere rapidamente la questione prende il telefono e chiama Gregg. «Ehi, fratello, ti va di entrare nella mia band come organista?» Gregg rimane sconcertato perché oltre a essere un ottimo cantante suona la chitarra da ben quattordici anni ma non si sente troppo a suo agio con le tastiere. Nonostante tutto decide di accettare la proposta del fratello. Nasce così la Allman Brothers Band. Il primo disco, The Allman Brothers Band, esce nel novembre del 1969 ricevendo immediatamente larghi consensi. Le due chitarre di Duane Allman e Dickey Betts costituiscono il punto focale di una formazione che, nel suo insieme, appare molto influenzata dalla musica nera e in particolare dal blues, una band con enormi potenzialità, già molto affiatata come dimostra il secondo Lp, Idlewild South, contenente la strumentale Revival e la splendida In memory of Elizabeth Reed, entrambe scritte da Dickey Betts e ancora Leave my blues at home e Midnight rider.

22 marzo, 2024

22 marzo 1943 – George Benson, tra jazz, rock e pop

Il 22 marzo 1943 nasce a Pittsburgh George Benson. Inizia a studiare chitarra all'età di otto anni e, dopo cinque anni, già si esibisce regolarmente con gruppi di rhythm and blues della sua città. I suoi idoli non sono comunque i grandi maestri del blues: Benson si forma alla scuola jazz di chitarristi come Charlie Christian e Wes Montgomery. Nel 1963 Benson arriva a New York ed entra nel gruppo dell'organista Brother Jack McDuff. Questa esperienza, durata due anni, affina lo stile del chitarrista e gli consente di prendere confidenza con il pubblico dei concerti: un'abitudine al palcoscenico che, in seguito, lo aiuterà a conquistare un enorme successo. Nel 1966 incide il primo album solista per la Columbia Records, It's uptown, ma è una specie di fiasco commerciale: il contratto viene stracciato e Benson approda alla neonata etichetta di Creed Taylor, la CTI. L'intento di questo nuovo marchio è quello di proporre la "fusion-music" nella sua accezione più leggera e disimpegnata, la chitarra di Benson si adatta perfettamente a queste esigenze, tanto che diventa ospite fissa di tutti i prodotti CTI, oltre che protagonista negli album solisti di Benson. Tra questi ultimi il meglio riuscito è White rabbit del 1973. Ma il vero successo di Benson arriva a metà degli anni settanta quando, lasciata la CTI per la Warner Bros., il chitarrista inizia la sua collaborazione con il produttore Tommy LiPuma. Il primo grande risultato è l'album del 1976 Breezin' dove, per la prima volta, Benson si cimenta anche nelle vesti di cantante. La musica è morbida, con toni decisamente popolari, da classifica: il singolo This masquerade entra, infatti, nella Top ten americana, fatto inusitato per un artista ancora etichettato come jazzista. Il successo non è comunque casuale e viene ripetuto l'anno seguente con l'album In flight. La vera esplosione del fenomeno Benson arriva però nel 1978 con il doppio album dal vivo Weekend in L.A. dove il chitarrista si cimenta in una poderosa versione del "classico" di Leiber e Stoller, On Broadway. Ad accompagnare Benson in questa straordinaria tournée c'è un gruppo di splendidi musicisti: Phil Upchurch (già chitarrista di Ramsey Lewis), Ralph McDonald alle percussioni, Stanley Banks al basso, Ronnie Foster alle tastiere e Jorge Dalto al pianoforte. È questo il segreto del successo di Benson: ottimi musicisti nel gruppo, un impasto sonoro a cavallo tra jazz. rock e soul, una voce suadente e sporadiche incursioni in un solismo chitarristico da virtuoso dello strumento. Con le sue chitarre Ibanez G310 e Gibson Super 400CES, Benson torna nuovamente al grande successo nel 1980, aiutato dal produttore Quincy Jones. L’album è Give me the night e l'omonimo singolo raggiunge la posizione più alta in classifica mai conquistata da Benson: il quarto posto. Da quel momento il successo di Benson viene ampiamente ridimensionato a livello internazionale, anche se in patria i suoi concerti registrano sempre il tutto esaurito. Il merito, ancora una volta, è nella formula senza tempo inventata dal chitarrista: una musica ben costruita che abbina la raffinatezza del jazz alla concretezza della musica pop senza pretendere dì lanciare messaggi.

21 marzo, 2024

21 marzo 1978 – Roxanne, una canzone offensiva per la BBC

Il 21 marzo 1978 i Police, una band composta da Sting, Stewart Copeland e Andy Summers, che da poco ha sostituito il chitarrista Henry Padovani, fanno ascoltare per la prima volta Roxanne, un brano in cui credono molto, a quello che considerano un po' il loro grande protettore: Miles Copeland, proprietario dell'etichetta Illegal Records, che ha pubblicato, senza grande fortuna, il loro primo singolo Fall out. Copeland ascolta in silenzio quella strana mescola di reggae, punk e funky e alla fine s'accende d'entusiasmo: «Ragazzi, questa non è musica, è dinamite pura! Un distillato di nitroglicerina! Fatemi fare un paio di telefonate, ci risentiamo domani». Il giorno dopo i Police si ritrovano tra le mani un'allettante proposta contrattuale pronta da sottoscrivere con la A&M Records, una delle major più disponibili a lanciare nuovi artisti. Miles si è reso conto di non poter sostenere con la sua piccola etichetta un gruppo dalle grandi potenzialità e si è dato da fare, autonominandosi "manager" del trio. In una sola notte ha convinto i dirigenti della A&M e ora alla band non resta che accettare. Il contratto è vantaggioso e prevede un forte impegno promozionale, oltre al lancio della band anche sul mercato statunitense. I Police firmano e il singolo viene registrato a tempo di record. Il 7 aprile è pronto per essere distribuito. Tutto a posto? No. A spegnere gli entusiasmi arriva un'improvvisa doccia fredda: la BBC decide di non dare il nulla osta alla diffusione radiofonica e televisiva di Roxanne perché il testo «rischia di offendere la sensibilità degli ascoltatori». Di fronte a questo atto di censura i Police cercano di difendersi e Sting arriva addirittura a scrivere una lettera all'emittente britannica cercando di spiegare il testo ai cocciuti censori e chiedendo di poter difendersi in contraddittorio. Gli sforzi risultano tutti vani: la BBC non cambia decisione. Roxanne diventa così un fenomeno "underground" e non riesce ad andare oltre la ristretta cerchia degli appassionati cercatori di novità. Il timore della band è che l'incidente provochi la rescissione del contratto con la A&M, come tutte le major non troppo disposta a coinvolgere il proprio marchio in situazioni del genere. Nonostante le preoccupazioni, però, non succede niente. L'etichetta non molla un gruppo che considera una "gallina dalle uova d'oro" e sei mesi dopo, passata la bufera, immetterà sul mercato l'album Outlandos d'amour, il primo grande successo internazionale dei Police.

20 marzo, 2024

20 marzo 1993 – Snow, un disco d'oro in carcere

Il 20 marzo 1993 arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti Informer, un brano esplosivo interpretato dal rapper bianco Snow. L'evento viene accolto con sorpresa perché, dopo l'exploit di Vanilla Ice, Snow è il secondo rapper bianco che negli anni Novanta si dimostra capace di conquistare ampi consensi anche tra il pubblico nero. Di lui non si sa molto, se non che sarebbe nato in Canada e avrebbe avuto un'adolescenza burrascosa con una scheda personale ricca di aggressioni, risse e carcere. È tutto troppo perfetto per essere vero. Scottati dalla vicenda di Vanilla Ice, tranquillo figlio di una famiglia della middle class texana trasformato dagli uffici stampa, per esigenze di ruolo, in una sorta di teppistello con un passato turbolento in bande assolutamente inventate, i giornalisti non ci cascano più. C'è anzi chi accoglie con ironia la nascita di un nuovo "pericoloso" rapper dalla faccia pallida. Nel caso di Snow ci sono poi elementi ancora più sospetti. Nonostante la conquista del vertice delle classifiche di vendita l'ufficio stampa della sua casa discografica ne dichiara l'indisponibilità a incontri, interviste e dichiarazioni dirette. L'unica prova della sua esistenza sembra affidata a qualche foto e un mazzetto di fogli contenenti varie banalità. È inevitabile che cominci a circolare il sospetto di un personaggio inesistente, una sorta di clone creato a tavolino con voce e immagine appartenenti a due persone diverse. Non è la prima volta che accade. Quando l'idea che sia una sorta di "fantasma mediatico" sta prendendo consistenza, emerge la verità. Snow esiste davvero, si chiama Darrin O' Brien, è nato in Canada ed è rinchiuso in un carcere dove sta scontando una condanna per aggressione. Essendo recidivo, dopo una prima esperienza carceraria parzialmente condonata per rissa, non può godere di alcuna agevolazione nel regime carcerario e, quindi, non può rilasciare interviste. Scoperto a New York nel 1991 da D J Prince, ha iniziato a lavorare in sala di registrazione con il produttore M.C. Shan. Il suo nome d'arte è un acronimo di "Super Notorious Outrageous Whiteboy", datogli proprio da Prince.Quando Informer è ormai pronto per la distribuzione arriva la condanna per aggressione e la fine della libertà. Mentre il disco scala le classifiche di tutto il mondo Snow passa così le giornate in cella. Quando tornerà libero, si ritroverà ricco e confermerà il suo momento d'oro con l'album 1 2 inches of Snow e il singolo Lonely monday morning.



19 marzo, 2024

19 marzo 1937 - Jože Privšek, un gigante del jazz sloveno

Il 19 marzo 1937 nasce a Lubiana il pianista e compositore Jože Privšek. Terminati gli studi superiori di musica a Lubiana, studia privatamente composizione con il professor L. M. Skerjanec e completa la sua formazione musicale alla Berklee School of Music di Boston. Nella città statunitense suona anche nell'orchestra di Herb Pomeroy e scrive arrangiamenti. A partire dai sedici anni si dedica al jazz formando propri gruppi: un quartetto, con il quale inciderà il suo primo disco suonando sia il vibrafono che il piano e si esibirà in occasione del primo festival jazz di Bled nel 1960, e i Seven Dixies. Non ha ancora vent'anni  anni quando entra come pianista nella big band di Radio Lubiana di cui diventerà poi direttore sostituendo Bojan Adamovic. Con questa big band si esibiscono anche famosi solisti come Leo Wright, Jim Whigham, Johnny Griffin. Nei suoi dischi usa spesso i nomi d'arte di Jeff Conway e Simon Gale. Muore l'11 giugno 1998.

18 marzo, 2024

18 marzo 1977 – Inizia l’avventura dei Clash

Il 18 marzo 1977 la CBS pubblica il primo singolo di una band sconosciuta. Il gruppo si chiama Clash (Scontro) e il disco è White riot (rivolta bianca). Ispirato ai disordini scoppiati in occasione del carnevale giamaicano di Notthing Hill quando i giovani di colore avevano reagito alle provocazioni della polizia, il brano si rivolge esplicitamente ai giovani londinesi bianchi invitandoli a dare un senso alla loro rabbia: «Il nero ha un casino di problemi/ma non si fa menate se deve tirare un mattone… Tutto il potere è nelle mani/di chi è abbastanza ricco da comprarlo/mentre noi camminiamo per le strade/troppo stupidi per sfidarlo/… nessuno vuol finire in galera». La musica, tirata e travolgente, è in linea con la semplicità dei due-accordi-due di quel periodo. In piena era punk i Clash lanciano così una sfida al ribellismo più esistenziale che sociale di gruppi come i Sex Pistols e i Damned. «Non siamo ribelli, siamo rivoluzionari!» è il loro grido di rivolta e il disegno è chiaro: trasformare un movimento musicale anarchico e spontaneo in qualcosa di organizzato e politicamente più incisivo. Il loro lavoro si muove su piani diversi. Uno è quello musicale. Saldano l'esperienza del punk ad altre culture generando nuovi suoni e ponendo le basi a quella contaminazione che diventerà quasi una regola negli anni successivi. L'altro è quello politico. I Clash fanno politica non soltanto con le canzoni, ma partecipando attivamente alla costruzione di movimenti contro il razzismo e di solidarietà nei confronti delle grandi lotte sociali. Utilizzano poi la loro popolarità per far filtrare messaggi orientati alla costruzione di un'opposizione radicale e di massa (un esempio su tutti sono le migliaia di magliette con la scritta "sicurezza sociale" in un'epoca in cui altri gruppi privilegiavano slogan come "distruzione" o "suicidio"). Negli anni successivi vanno oltre. Sfruttando il grande potere contrattuale che deriva dalla loro popolarità impongono limiti ai costi dei biglietti e accettano di rinunciare a parte delle royalties pur di pubblicare il triplo album Sandinista a prezzo ridotto. Lo slang operaio di Joe Strummer, volgare e provocante, dà parole e musica alla voglia di cambiare il mondo di un'intera generazione. Chi ha avuto la fortuna di assistere al loro concerto milanese del 1981 ha ancora negli occhi lo striscione appeso dai ragazzi arrivati da tutta Italia: "Milano calling - Clash is coming". Con White riot iniziava l’avventura di una band il cui rock operaio resta una lezione, per molti versi insuperata, di come sia possibile coniugare politica e impegno musicale.

17 marzo, 2024

17 marzo 1979 – Caro Costello, ai razzisti spacchiamo la faccia!

La scena si svolge nella hall dell'Holiday Inn di Columbus, nell’Ohio. È il 17 marzo 1979. Elvis Costello, impegnato in un lungo tour statunitense insieme a Stephen Stills sta intrattenendo un nutrito stuolo di ammiratori. Un po' alticcio e sopra le righe inizia una scombinata arringa contro la musica statunitense colpevole, a suo dire, di essere noiosa e ripetitiva, senza la fantasia e l'originalità del rock britannico. I suoi interlocutori gli fanno notare che il suo è un discorso senza senso e che su entrambe le sponde dell'oceano ci sono episodi noiosi e ripetitivi. Nella concitata discussione si alza una voce di forte dissenso: «Tutto il rock è debitore alla musica nera, al soul e al blues in particolare. Le tue sono storie! Come puoi ignorare la genialità interpretativa di un Ray Charles o una forza della natura come James Brown?»: Elvis Costello reagisce con violenza alla dichiarazione: «Ray Charles? Tu mi parli di Ray Charles? Quello è un negro cieco e ignorante! E James Brown è un altro stupido negro!» Le frasi urlate rimbombano nella hall e attirano l'attenzione degli strumentisti della band di Stephen Stills che si alzano e con aria minacciosa si dirigono verso il capannello che circonda il cantante inglese. «Tu sei un razzista, un verme bianco e razzista. Con gli animali come te è inutile perdere tempo a parlare. L'unica soluzione è quella di spaccarti la faccia!» Detto questo si lanciano verso il cantante e ingaggiano una rissa furibonda con le sue guardie del corpo prontamente accorse. Costello, spaventato e protetto dagli agenti in servizio nella hall dell'Holiday Inn riesce a guadagnare il più vicino ascensore e a dileguarsi. La fuga non seda la rissa tra le guardie del corpo del cantante e i componenti della band di Stills, cui si sono aggiunti fonici e addetti al palco. Solo l'arrivo di rinforzi, chiamati tempestivamente dagli agenti in servizio presso l'albergo, riesce a placare gli animi e a chiudere, almeno per il momento l'incidente. Il tour è, però, a rischio, perché i musicisti non intendono dividere più il palcoscenico con Elvis Costello. «Se quel signorino ci ricapita tra le mani finiremo il lavoro lasciato a metà questa notte!» La tensione è destinata a stemperarsi definitivamente il giorno dopo quando, in un'improvvisata conferenza stampa, il cantante inglese chiederà scusa a tutti e minimizzerà l'incidente sostenendo di non essere razzista, ma di aver pronunciato, senza pensare, alcune frasi provocatorie così per il gusto di esagerare. La sua carriera confermerà che si è trattato soltanto di una stupida fanfaronata.

16 marzo, 2024

16 marzo 1978 - Il rapimento di Aldo Moro

La mattina del 16 marzo 1978 Aldo Moro, uno dei leader della Democrazia Cristiana, viene catturato da un commando e i cinque uomini della sua scorta restano uccisi nello scontro a fuoco. Nato a Maglie, in Provincia di Lecce, il 23 settembre 1916 Aldo Moro è uno dei protagonisti della politica italiana del Novecento. Cinque volte Presidente del Consiglio dei Ministri nei primi mesi del 1978 da presidente della Democrazia Cristiana, cioè il partito che detiene la maggioranza relativa in entrambi i rami del Parlamento italiano, è uno dei principali artefici di un accordo di governo tra il suo partito e il Partito Comunista Italiano uscito molto rafforzato dalle elezioni. In un’epoca in cui il mondo è caratterizzato dalla cosiddetta “guerra fredda” tra URSS e USA non tutti vedono di buon occhio l’arrivo del più grande partito comunista dell’occidente al governo di un paese alleato degli Stati Uniti. Il 16 marzo 1978 il lungo lavoro di Moro sembra chiudersi con successo con la presentazione alle Camere di un esecutivo guidato da Giulio Andreotti che, per la prima volta nella storia italiana, conta su un appoggio esterno e diretto del PCI. Alle 9,15 di quello stesso giorno l'auto che lo sta trasportando alla Camera dei Deputati cade in un’imboscata delle Brigate Rosse all’altezza di via Fani. In pochi istanti vengono assassinati i carabinieri Domenico Ricci e Oreste Leonardi che sono a bordo dell'auto di Moro e i tre poliziotti Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi sull'auto di scorta. Aldo Moro viene sequestrato. Si apre un drammatico confronto tra chi vorrebbe trattare con i brigatisti per il suo rilascio e chi invece sostiene la “linea della fermezza”: nessuna trattativa tra lo Stato e i gruppi eversivi. Dopo un alternarsi di polemiche, speranze e misteri, il 9 maggio 1978 il corpo senza vita di Aldo Moro viene ritrovato all’interno di una Renault rossa collocata in via Caetani, esattamente a metà strada tra le sede del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana. Poche ore dopo il ministro degli Interni Francesco Cossiga rassegna le sue dimissioni dalla carica.

15 marzo, 2024

15 marzo 1940 - Concerto for Cootie, un capolavoro

Il 15 marzo 1940 Duke Ellington registra il suo famoso Concerto for Cootie dedicato al trombettista Cootie William, uno dei pilastri di quel periodo considerato uno dei migliori dell'opera ellingtoniana. A questa registrazione il  musicologo e musicista francese André Hodeir ha dedicato un lungo saggio nel quale, tra l'altro, si dice che  «Concerto For Cootie è un capolavoro perché lo strumentatore e il solista hanno rinunciato ad ogni seduzione di effetto facile, e perché la sostanza musicale è così ricca, che mai, neanche per un istante, suscita nell'ascoltatore monotonia. Concerto For Cootie è un capolavoro perché in esso i giochi sono scoperti, senza trucchi, e tutti vincenti: ci troviamo di fronte a un vero concerto nel quale l'orchestra non fa da semplice sfondo e nel quale il solista non perde tempo in acrobazie tecniche di effetto gratuito. L'uno e l'altra hanno qualcosa da dire, lo dicono bene, e ciò che dicono è bello. Infine Concerto For Cootie è un capolavoro perché ciò che dice l'orchestra è il complemento indispensabile di ciò che dice il solista, niente vi è di troppo o di fuori posto, e l'opera raggiunge una perfetta unità...». Il sodalizio tra Ellington e Williams sembra essere indistruttibile e invece proprio il Concerto For Cootie verrà considerato una sorta di canto del cigno della collaborazione e anche dell'amicizia.

14 marzo, 2024

14 marzo 1944 – Sergio Bruni dalle barricate al palcoscenico

Il 14 marzo 1944 il Cinema Teatro Reale di Napoli ospita la prima esibizione di un giovane cantante. I manifesti lo indicano come Sergio Bruni, ma il suo vero nome è Guglielmo Chianese. Non ha neppure ventitrè anni e alle spalle ha una storia da raccontare. Nato a Valricca, un borgo agricolo dell'Hinterland napoletano, porta ancora i calzoni corti quando incontra per la prima volta il lavoro. Sono lavori umili, pagati male, ma servono a mantenere la famiglia. L'unica fuga da quella realtà dura è la musica. A dodici anni suona il clarinetto nella banda musicale e arrotonda le entrate con le mance che gli arrivano quando si esibisce nelle feste per i battesimi e i matrimoni. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale viene chiamato alle armi. Proprio mentre veste la divisa grigioverde a Torino nel 1942 canta per divertimento in uno spettacolino organizzato dai suoi commilitoni. I complimenti dei compagni non lasciano segni anche perché il periodo non è fecondo per chi vuole coltivare sogni. L'8 settembre 1943 butta alle ortiche la divisa e torna a Napoli, dove l'intera città è insorta contro i tedeschi. Si combatte nei vicoli e nelle strade con tutti i mezzi, dai sassi alle tegole, a qualche moschetto recuperato chissà dove e con le armi strappate ai tedeschi. L'insurrezione, che passerà alla storia come "le quattro giornate di Napoli", vede in prima fila vari gruppi di ragazzi che, avendo prestato il servizio militare, se la cavano meglio degli altri con le armi. Tra questi c'è anche Chianese che viene ferito alla gamba e ricoverato in ospedale. È autunno inoltrato quando il cantante Vittorio Parisi e il maestro Anepeta si esibiscono per i feriti ancora ricoverati in uno spazio improvvisato all'interno delle mura ospedaliere. Il futuro Sergio Bruni, reggendosi al bastone, approfitta dell'occasione e canta una canzone. Parisi l'ascolta e intuisce che il ragazzo ha talento. Quando viene dimesso gli dà lezioni di canto e suggerimenti utili per la carriera. Il 14 marzo 1944 inizia così al Cinema Teatro Reale di Napoli la straordinaria carriera di Sergio Bruni, il cantante amato anche dagli intellettuali che lo definiranno "la voce di Napoli". Con uno stile che richiama quello dei cantori popolari e con modulazioni vibrate direttamente mutuate dagli influssi della tradizione araba e spagnola, insieme a Roberto Murolo, verrà considerato uno dei principali artefici della rivitalizzazione della canzone napoletana nella seconda metà del Novecento.




13 marzo, 2024

13 marzo 1916 - Ina Ray Hutton, la bomba bionda del ritmo

Il 13 marzo 1916 nasce a Chicago, in Illinois, la pianista, cantante e ballerina Ina Ray Hutton, registrata all'anagrafe con il nome di Odessa Cowan. Bellissima e affascinante è soprannominata The Blonde Bombshell of Rhythm (la bomba bionda del ritmo). Nel 1934 viene scritturata dall'impresario Irving Mills che la propone in un modo decisamente singolare. Di fronte a un'orchestra di sole donne dirige balla e canta mandando in vibilio gli spettatori. Il direttore musicale e l'arrangiatore della formazione che si chiama Ina Ray Hutton and Her Melodears, è Alex Hill. L'orchestra ottiene un grande successo, partecipa a vari film e nel 1935 conquista con una leggendaria tourné anche l'Europa. Dal 1937 al 1939 Ina Ray Hutton dirige un'altra orchestra con sua sorella June Hutton nel ruolo di cantante solista. Nel 1939 dà vita a una terza formazione, questa volta maschile. Nel 1945 sposa il trombettista Randy Brooks e per qualche tempo si ritira dalle scene. Alla fine degli anni Quaranta torna a esibirsi e per tutti gli anni Cinquanta la sua orchestra composta da sole donne è richiestissima ovunque. Negli anni Sessanta inizia il declino. Muore il 19 febbraio 1984.

12 marzo, 2024

12 marzo 1977 – Stigwood chiede ai Bee Gees le musiche per Travolta

Il 12 marzo 1977 i fratelli Gibb, meglio conosciuti come i Bee Gees sono in Francia per i fatti loro. Non è un bel momento per la carriera del gruppo che cerca di sopravvivere come può alla crisi del pop melodico. La giornata riserva, però, una sorpresa inaspettata e decisiva per il seguito della loro storia. Proprio in quel 12 marzo, infatti, vengono raggiunti dal produttore Robert Stigwood che chiede loro alcuni brani fortemente ritmati per la colonna sonora di un film di cui racconta sommariamente la trama. Si tratta di “Saturday night fever” interpretato dall’emergente John Travolta. Senza neppure leggere la sceneggiatura i tre musicisti si mettono al lavoro nelle sale di registrazione dei francesi Chateau d’Heronville Studios e in breve tempo realizzano i brani richiesti. Nonostante la perfetta aderenza allo spirito del film, quindi, le canzoni che compongono la colonna sonora di “Saturday night fever” non sono state costruite direttamente sulle immagini, ma nel chiuso degli studi di registrazione dopo un sommario racconto della storia cinematografica. La colonna sonora del film, pubblicata nel 1977, diventerà uno dei dischi più venduti di ogni tempo rilanciando i Bee Gees dopo un periodo piuttosto oscuro. In particolare Fever night è destinato a restare, più di altri, il brano simbolo di quegli anni scanditi dal ritmo della dance e dalle prime avvisaglie di un disimpegno che negli anni Ottanta sarebbe diventato una caratteristica generazionale. Nonostante la frettolosa realizzazione tanto il film quanto la colonna sonora sembreranno costruiti l’una sull’immagine dell’altra e viceversa e sono destinati a entrare nella storia del costume degli anni Settanta.




11 marzo, 2024

11 marzo 1955 – Nina Hagen, la punk di Berlino Est

L’11 marzo 1955 nasce a Berlino Est, in quella che all'epoca è la Repubblica Democratica Tedesca, Katherina Hagen, detta Nina. Fin da bambina partecipa alle attività di animazione delle organizzazioni giovanili comuniste del suo paese frequentando regolari corsi di canto e recitazione. Per un po’ resta indecisa sulla strada da prendere, ma poi il destino decide per lei. Nel 1972 non riesce a superare gli esami della Berliner Oberschoneweide, l'accademia di recitazione statale, e si convince a lasciare il teatro per la musica. Forma così il suo primo gruppo rock con il quale compie una lunga tournée nei vari locali della gioventù comunista polacca. Non smette però di frequentare i corsi di canto e nel 1974 entra a far parte dell’orchestra di Alfons Wonnenberg, garantendosi uno stipendio fisso che le consente di dedicarsi senza problemi, in una sorta di carriera parallela, alle vivaci esperienze di gruppi rock come gli Automobil e la Fritzens Dampferband. Quando, nel 1976, il suo patrigno Wolf Biermann, un cantautore comunista critico nei confronti del gruppo dirigente della RDT, se ne va all’Ovest, Nina parte con lui e, in piena esplosione punk, comincia a farsi conoscere esibendosi nel Club SO36 e in altri locali d'avanguardia di Berlino Ovest. Ribelle e critica nei confronti del sistema capitalista, viene più volte sospettata di essere una spia al soldo dell’RDT. Nonostante le sue qualità non ha vita facile nel music business occidentale. Nel 1977 forma la Nina Hagen Band, con il chitarrista Bernhard Potschka, il bassista Manfred Praeker, il batterista Herwig Mitteregger e il tastierista Reinhold Heil. L’anno dopo pubblica il suo primo album Nina Hagen Band. Collabora con la band britannica delle Slits e sviluppa un intenso rapporto con Herman Brood, elemento di spicco della new wave olandese. Alla fine del 1979 pubblica l’album Unbehagen che rivela al mondo la sua aggressività e una non comune capacità scenica. È il successo. Gli anni Ottanta la consacreranno definitivamente tra le grandi protagoniste della scena rock internazionale. Non si lascerà, però, rinchiudere nel ristretto recinto della musica, ma darà buone prove anche nel cinema, nel teatro e nella pittura. Memorabili restano le sue partecipazioni al film “Cha-Cha" e al documentario su Berlino "Bildnis eine trinkerin". Pubblicherà anche una problematica e divertente autobiografia intitolata "I'm a berliner" (Sono una berlinese).



10 marzo, 2024

10 marzo 1973 - Siodmak dalla nomination all’Oscar alle persecuzioni maccartiste

Il 10 marzo 1973 muore a Locarno, in Svizzera, il regista Robert Siodmak. Nato l’8 agosto 1900 a Dresda in Germania, insieme al fratello Curt si appassiona alla nascente arte cinematografica. Nel 1925 inizia a lavorare nell’ambiente adattandosi a svolgere vari ruoli, dal compilatore di didascalie all’aiuto-regista, dal montaggista all’attore. Nel 1929 debutta alla regia con il film sperimentale Uomini di domenica, cui segue due anni dopo L’uomo che cerca il suo assassino, un nero ricco di spunti umoristici. Il buon successo di critica dei film successivi non gli evita le persecuzioni naziste per le sue origini ebree. Nel 1932 se ne va in Francia dove gira film come Viva la gioia!, Mister Flow e il drammatico L'imboscata. L’occupazione tedesca della Francia lo spinge a emigrare negli Stati Uniti. Qui ottiene grandi successi di pubblico e critica con film come La donna fantasma, La scala a chiocciola e soprattutto I gangsters del 1946, ispirato a un racconto di Hemingway che gli vale la nomination all’Oscar. Negli anni Cinquanta dopo il successo de Il Corsaro dell'Isola Verde, cade nella rete della campagna maccartista e, accusato di simpatie comuniste, viene messo al bando. Trasferitosi in Europa continua a girare film di buon successo commerciale fino alla morte.

09 marzo, 2024

9 marzo 1961 - Wilbur C. Sweatman, l'uomo che aveva assunto Ellington

Il 9 marzo 1961 muore a New York il clarinettista e compositore Wilbur C. Sweatman. Nato a Brunswick, nel Missouri, il 7 febbraio 1882 è fondamentalmente un autodidatta anche se le prime lezioni di musica gliele impartisce la sorella pianista. Prende confidenza prima con il violino e poi con il clarinetto. Sul finire dell'Ottocento vagabonda con varie orchestre da circo e successivamente entra nei Mahara's Minstrels prima di formare una propria orchestra a Minneapolis nel 1902. La sua è la prima composta esclusivamente da musicisti neri della città. Dopo un lungo periodo passato a suonare nei vari circuiti teatrali si trasferisce a New York. Nell'inverno del 1922 è a Washington dove è stato scritturato per esibirsi al Lafayette Théâter. Per implementare la sua orchestra assume vari musicisti. Tra questi c'è Duke Ellington che, proprio con la formazione di Sweatman si esibisce per la prima volta a New York nel marzo del 1923. Per tutti gli anni Trenta Sweatman non suona più ma cura l'editoria musicale sia in proprio che per conto degli eredi di Scott Joplin. Solo a partire dagli anni quaranta riprenderà a suonare con discreta regolarità. Muore il 9 marzo 1961.




08 marzo, 2024

8 marzo 1967 - Il sequestro del western "Se sei vivo spara"

Se sei vivo spara è un western particolare che ha avuto problemi con la censura fin dalla sua prima uscita nelle sale. La sua distribuzione inizia nel mese di febbraio del 1967 ma in pochi riescono a vederlo perchè l’8 marzo è fatto oggetto di un provvedimento di sequestro. Accusato di essere violento ed efferato viene depurato delle scene più scioccanti e ridistribuito nelle sale. Smontato e rimontato più volte in funzione anche della distribuzione all’estero dove nella versione inglese prende il titolo di Django kill mentre in quella spagnola si intitola Oro maldito viene infine ripescato definitivamente nel 1975, rimontato nuovamente e distribuito con il titolo di Oro Hondo. La carica dissacratoria e visionaria di Se sei vivo spara forza i codici del western all’italiana oltre il limite estremo della morte. Il film, infatti, racconta il ritorno dall’oltretomba del pistolero senza nome, un mezzosangue fucilato insieme ai suoi compagni, per punire la cupidigia e l’avidità di un villaggio di gente violenta, gretta e meschina come la borghesia raccontata dai film di Luis Buñuel. Il suo destino non è la vendetta, anche se il primo a essere colpito dalle pallottole d’oro della sua pistola è Oax, l’uomo che l’ha tradito e ucciso. Lo colpisce, lo ferisce, ma non l’uccide. Oax muore perché i soccorritori lo fanno a pezzi per recuperare le pallottole d’oro. L’uomo senza nome, il mezzosangue tornato dall’aldilà non odia i suoi carnefici. Ne ha pietà e, a proprio rischio, toglie i loro cadaveri dalla forca e li ricompone. Il suo destino, dunque, è quello di essere insieme, testimone e protagonista attivo della maledizione che colpisce chiunque si avvicini all’oro rubato. Come gli ricordano più volte i suoi compagni, i due indiani che si son presi cura di lui quando è uscito dalla fossa, non può lasciare il villaggio fino a quando non avrà esaurito l’ultima delle pallottole d’oro che loro gli hanno preparato. È l’oro il killer principale della storia, la causa scatenante delle uccisioni e delle efferatezze, una sorta di genio maligno che alla fine scompare, fuso dalle fiamme dell’incendio della casa di Acherman, l’ultimo sopravvissuto della catena maledetta che muore ricoperto dal metallo liquido e ustionante. In questa visione il mezzosangue senza nome, l’antieroe di turno, ha un ruolo di contorno. Sotto i suoi colpi cadono i comprimari, o quelli che pur avendo ucciso per l’oro non sono mai riusciti a entrarne in possesso, come Zorro e i suoi cavalieri neri. È una violenza da incubo quella che attraversa tutta la narrazione del film scritto da Giulio Questi in società con quel Franco Arcalli che nella sua carriera lavorerà alla sceneggiatura di capolavori come Il conformista, Ultimo tango a Parigi e Novecento di Bernardo Bertolucci, Al di là del bene e del male di Liliana Cavani, C'era una volta in America di Sergio Leone e Chi lavora è perduto di Tinto Brass, curando poi il montaggio di un’infinità di pellicole d’autore da Zabriskie Point a Il portiere di notte, da Milarepa a Professione: Reporter. Spesso descritta nella sua crudezza, a volte soltanto narrata per allusioni la violenza accompagna lo spettatore dalla prima inquadratura alla fine. Giulio Questi ha sempre raccontato di aver voluto comporre una parabola antifascista e anticapitalista che insieme finisse per esorcizzare gli orrori della violenza da lui conosciuta nel periodo della seconda guerra mondiale e della resistenza. Il film è anche pervaso da un’ambiguità sessuale che s’incrocia con la violenza in Zorro, un signorotto che cita Sade, e nella sua squadraccia di ragazzotti vestiti di nero che bramano le grazie del giovane Evan fin dal primo istante della sua cattura. Nonostante la crudezza di talune descrizioni filmiche la violenza non è mai fine a se stessa, ma funzionale al clima che il regista intende creare. I colori, le inquadrature e i tagli della camera fanno il resto. L’assistente alla regia è lo scomparso Gianni Amico, sceneggiatore del primo Bertolucci, di Glauber Rocha e uno dei personaggi chiave del cinema d’impegno italiano degli anni Settanta e Ottanta. Come per molti film di culto si è alimentata la leggenda sui tagli subiti dalla versione originale tra i quali ci sarebbe anche la scena in cui viene mostrato lo stupro del giovane Evan interpretato da Ray Lovelock. In realtà, come dimostra la versione definitiva curata dallo stesso Giulio Questi, quella scena non esiste e lo stupro viene raccontato dai gesti, dagli sguardi e, soprattutto, dal tragico risveglio.