
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
09 aprile, 2024
9 aprile 1920 – Gianni Ravera, già Lenin, il padrone dei festival

08 aprile, 2024
8 aprile 1975 - L'ultimo spettacolo di Josephine Baker
L’8 aprile 1975 Joséphine Baker celebra i cinquant’anni dal suo debutto in Francia al Bobino. Non sta molto bene. Negli anni Cinquanta ha cominciato ad avere vari problemi di salute. Costretta a ridurre un po’ la sua attività artistica nel tempo libero si è dedicata agli altri impegnandosi anche nella lotta contro la segregazione razziale e per la pace in un modo singolare e unico. Nel suo castello di Milandes, in Dordogna, infatti ospita dodici bambini adottati, ciascuno appartenente a una razza e una religione diversa per dare un esempio di fraternità universale. Gli spettacoli, però, non bastano a mantenere economicamente tutte queste attività e, all’inizio degli anni Sessanta, Josephine, quasi sul lastrico, decide di vendere Milandes. Nel febbraio 1964 alla vigilia del giorno fissato per la vendita Brigitte Bardot, in quel periodo al culmine della sua popolarità, lancia un appello per aiutare la Venere Nera. La vendita viene sospesa, ma i debiti e i problemi non scompaiono per magia. Passato l’effetto Bardot Josephine si ritrova sola nella sua battaglia quotidiana e comincia ad avere problemi di cuore sempre più frequenti. Non manca chi l’aiuta a far fronte ai debiti. Nel 1968 il suo amico Bruno Coquatrix le organizza un concerto all’Olympia mentre la Pathé Marconi si impegna a pubblicare un album speciale per l’occasione. Nonostante i generosi tentativi la battaglia contro i debiti finisce male. Nel 1969, mentre i suoi ragazzi sono rifugiati a Parigi da amici, tenta di resistere alla sfratto ma nella notte viene presa e buttata fuori da Milandes. La sua vita riprende a muoversi tra tournée e ricoveri in ospedale. L’8 aprile 1975 al Bobino per la celebrazione dei cinquant’anni dal suo debutto in Francia mette in scena uno straordinario spettacolo di fronte a un parterre colmo di personalità. Nessuno lo sa ma quello è il suo ultimo saluto alla città. Due giorni dopo si addormenta per un sonnellino pomeridiano e non si sveglia più.
07 aprile, 2024
7 aprile 1994 – Addio a Cobain, fragile e timido profeta del Grunge

06 aprile, 2024
6 aprile 1983 – Reagan contro i Beach Boys

05 aprile, 2024
5 aprile 1968 – James Brown: «È morto Martin Luther King ma nessuno ci potrà fermare»

04 aprile, 2024
4 aprile 1943 - Tiny Parham, il medico mancato
Il 4 aprile 1943 muore a Milwaukee, nel Wisconsin il pianista Tiny Parham. Nato a Kansas City, in Kansas il 25 febbraio 1900 all'anagrafe si chiama Hartzell Strathdene Parham. Da giovane pensa alla musica solo come hobby, ma dopo aver frequentato per qualche anno la facoltà di Medicina decide di farne un mestiere. Talentuoso e geniale nei primi anni Venti si conquista rapidamente una buona popolarità nel South Side di Chicago. Nel 1926 assieme al violinista Leroy Pickett forma il primo gruppo della sua carriera. Il grande successo arriva con i Musicians la band di cui fa parte anche il cornettista Punch Miller. Con questa formazione Parham si esibisce al Dreamland e poi al Sunset Café, i due più prestigiosi cabaret di Chicago, e registra una lunga serie di dischi per la Victor annoverabili tra i migliori prodotti del jazz nero di Chicago. Negli anni Trenta Parham, pur senza rinunciare a esibirsi in pubblico, lavora prevalentemente come arrangiatore per vari leader tra cui King Oliver ed Earl Hines nonché come compositore. Quasi tutte le musiche dei floor-show del Royal Frolic Club sono opera sua. Nel 1940 suona e registra a Chicago, con un suo quartetto comprendente il clarinettista Darnell Howard. Parte poi per una lunga serie di tour. Proprio durante un'esibizione a Milwaukee muore per un collasso cardiaco.
03 aprile, 2024
3 aprile 1975 – Emmylou Harris continua da sola

02 aprile, 2024
2 aprile 1937 - Mario Rusca, un pianoforte senza tempo
Il 2 aprile 1937 nasce a Torino il pianista Mario Rusca. A dodici anni inizia a pigiare i tasti bianche neri del pianoforte sotto la guida di un insegnante. La sua passione per la musica lo porta a suonare ovunque possa e senza troppo guardare per il sottile i generi anche se nel futuro sarà il jazz che gli regalerà la maggior popolarità e grandi soddisfazioni. Nel 1957 tiene una serie di concerti in trio con Nando Amedeo al contrabbasso e Giancarlo Coriasso alla batteria poi si dedica quasi esclusivamente alla cosiddetta "musica leggera" fino al 1969 quando si trasferisce a Milano. Qui approfondisce gli studi di armonia e riprende l'attività jazzistica nell'appena inaugurato Capolinea. È un periodo ricco di stimoli e di lavoro visto che il suo tocco viene particolarmente apprezzato anche negli studi di registrazione. Fino al 1977 è una presenza fissa al Capolinea. Nel 1971 collabora con Joe Venuti sia in sala che nei concerti e nel 1972 è uno dei componenti della band di Gil Cuppini. Nel 1974 incide il primo album a proprio nome, Reaction, con Stefano Cerri al basso elettrico e Gianni Cazzola alla batteria. Da quel momento non contano più le incisioni nè le collaborazioni sia in studio che in concerto con i più grandi jazzisti italiani e internazionali. Tra i personaggi con i quali ha suonato spiccano i nomi di Bruno Tommaso, Tullio De Piscopo, Gerry Mulligan, Larry Nocella, Paolo Tomelleri, Mauricio Chiappeta e Paolo Pellegatti, Roberto Haliffi, Julius Farmer, Giancarlo Pillot, Gianni Basso, Gianni Bedori , Chet Baker, Lee Konitz, Don Byas, Kenny Clarke, Tony Scott, Dizzy Reece, Billy Higgins, Marty Morell, Eddie Gomez, Thad Jones, Mel Lewis, Art Farmer e molti altri.
01 aprile, 2024
1° aprile 1936 – Frank Duson, il trombonista che non leggeva la musica

Il 1° aprile 1936 a New Orleans muore dimenticato e quasi in miseria Frank Duson, gran suonatore di trombone a pistoni nato ad Algiers in Louisiana cinquantacinque anni prima. Come per altri vecchi musicisti di New Orleans anche sul suo cognome sussistono tuttora dei dubbi dal momento che nelle fonti di riferimento consultate il mitico trombonista viene indicato alternativamente con il nome di Duson o di Dusen. In ogni caso tutti gli storici del jazz concordano nel definirlo un fuoriclasse tra i trombonisti della prima generazione, restìo a leggere la musica ma dotato di un notevole orecchio e una grande musicalità. Il primo importante ingaggio lo ottiene nel 1905 quando viene chiamato a sostituire Willie Cornish nel gruppo del leggendario Buddy Bolden. Due anni dopo, quando Bolden viene ricoverato in manicomio, Duson assume la direzione della band che oltre a lui schiera il clarinettista Frank Lewis, il chitarrista Brock Munford, il bassista Bob Lyons e il batterista Cato. A sostituire Buddy chiama Tig Chambers e con questa formazione spopola in tutti i locali più famosi di New Orleans, dal Franklin & Gravin al Lincoln Park, mantenendo sostanzialmente invariato sia lo stile sia il repertorio di Bolden, la cui fama era stata tale da assicurargli l'immortalità, almeno tra i suoi concittadini. Nel 1911 l'orchestra fa un ulteriore salto di qualità con l'ingresso del cornettista Bunk Johnson, del clarinettista Sidney Bechet e del batterista Henry Zeno. Negli anni della prima guerra mondiale Duson dirige un suo gruppo al Jim Tom's, un cabaret del West End, e, successivamente, trova un buon ingaggio nella S.S. Capitol Orchestra del pianista Fate Marable. Nel corso degli anni Venti suona più volte con l'orchestra di Louis Dumaine, ma non prende parte alle celebri sedute di incisione realizzate dal bravo trombettista nel corso del 1927. Negli anni della depressione economica cerca di lavorare ancora con Dumaine nella W.P.A. Brass Band per la misera cifra di 25 dollari al mese. Con il passare degli anni, però, fatica sempre più a trovare ingaggi. In più la non conoscenza della musica gli impedisce di trovare un lavoro stabile e finisce per trascorrere i suoi ultimi anni di vita in povertà.
31 marzo, 2024
31 marzo 1967 – Brucia la chitarra di Hendrix

30 marzo, 2024
30 marzo 1962 – Jack Purvis, il trombettista rapinatore

29 marzo, 2024
29 marzo 1952 – Franco Raffaelli in trionfo a Parigi

Il 29 marzo 1952 nell'ambito della seconda edizione del Salon du Jazz di Parigi è in programma l'esibizione di un sestetto nato dall'allargamento della formazione dell'Hot Club di Roma. La band, composta da Nunzio Rotondo, Ettore Crisostomi, Carletto Loffredo, Carlo Pes, Gil Cuppini e Franco Raffaelli è considerata uno dei più promettenti gruppi europei dell'epoca. Da poco è diventata un sestetto sostituendo Rodolfo Bonetto con Cuppini alla batteria e inserendo in formazione il chitarrista Carlo Pes. Il gruppo ha attirato l'attenzione anche dei discografici e soltanto un paio di giorni prima dell'esibizione parigina ha terminato di registrare ben otto brani per la Columbia. Il concerto del gruppo è molto atteso anche per il momento straordinario che sta attraversando il sassofonista Franco Raffaelli, piazzatosi sorprendentemente al secondo posto dietro Marcello Boschi nel referendum indetto dalla rivista Musica Jazz. Nonostante tutto, però, la loro musica, che si inserisce in quell'area sperimentale che verrà chiamata "cool jazz" fatica a farsi largo in un ambiente difficile e piuttosto conservatore come quello italiano. In una sala affollata e attenta il concerto parigino del 29 marzo inizia quasi in sordina, crescendo poi progressivamente fino a liberare la grinta e la solidità stilistica e tecnica dei suoi strumentisti. Il pubblico francese è affascinato in particolare dal sassofono di Franco Raffaelli che, come se fosse in preda a una sorta di possessione magica, vola ad altezze impossibili, ma tutta la formazione è straordinariamente efficace. Alla fine del concerto in sala esplode l'entusiasmo. I sei musicisti vengono chiamati ripetutamente in scena dalle urla e dagli applausi degli spettatori intenzionati a prolungare all'infinito la magia di quel momento. Il giorno dopo anche la critica francese, solitamente scettica e parca di lodi quando si tratta di gruppi italiani, parla senza mezzi termini di "trionfo". L'esibizione segna anche l'affermazione personale di Franco Raffaelli, la cui abilità al sassofono è paragonata a quella dei grandi protagonisti americani del cool e c'è chi arriva a chiamarlo "le petit Konitz", con un evidente richiamo a Lee Konitz, uno dei giganti di quel periodo. Gli echi di quella serata parigina accompagneranno per lungo tempo il sassofonista che, a dispetto, delle previsioni, dopo qualche anno preferirà abbandonare l'attività concertistica limitandosi a qualche ritorno saltuario per puro diletto.
28 marzo, 2024
28 marzo 1964 – Mods contro Rockers

27 marzo, 2024
27 marzo 1905 - Hal Kemp dal pianoforte alle ance
Il 27 marzo 1905 nasce a Marion, in Alabama, il sassofonista e clarinettista Hal Kemp. Registrato all'anagrafe con il nome James Harold Kemp, inizia gli studi musicali sui tasti bianco e neri di un pianoforte. Solo nel 1917, quando si trasferisce con la famiglia a Charlotte, nel North Carolina, comincia lo studio del clarinetto. Ha talento e in breve si ritrova a dirigere una delle orchestra studentesche dell'Università del suo stato. Completati gli studi universitari nel 1926, si dedica a tempoo pieno all'attività musicale con una propria formazione da ballo nella quale suonano spesso strumentisti jazz di grande valore come accade con Bunny Berigan nel 1930. Incide un gran numero di dischi, alcuni a suo nome e altri sotto la sigla Carolina Club Orchestra. All'apice del successo muore in un incidente automobilistico il 21 dicembre 1940.
26 marzo, 2024
26 marzo 1932 - Joe Venuti aggredisce il chirurgo che ha operato Eddie Lang
Il 26 marzo 1932 muore il chitarrista Eddie Lang. Sembra che la morte sia stata provocata da complicazioni sopravvenute a una tonsillectomia. La causa della morte è una forte emorragia e la versione ufficiale attribuisce a fatalità l'evento. Il violinista Joe Venuti, suo inseparabile amico, non crede a una parola di quello che gli viene raccontato. Siccome Lang soffriva di emofilia accusa il chirurgo di non aver sottoposto il chitarrista alle necessarie analisi. Alterato e sconvolto, insoddisfatto delle risposte formali che gli vengono date, passa alle maniere forti malmenando pesantemente il chirurgo. Arrestato è costretto a subire un processo e una condanna. Per Joe Venuti sembra l'inizio di un rapido declino. Quello che era considerato "il miglior violinista jazz del mondo appare in difficoltà a trovare ingaggi. Non sono soltanto i contraccolpi dei guai giudiziari a minarlo, ma anche la sua situazione personale. Con la morte di Lang, infatti, entra in una fase depressiva fortissima. I due oltre che affiatati un'affiatata coppia di musicisti erano anche molto uniti nella vita tanto che avevano sposato due ex ballerine delle Ziegfeld Follies, conosciute in uno dei tanti spettacoli di Broadway. Quando Lang muore Venuti decide di continuare a versare alla vedova del suo grande amico una quota-parte dei suoi guadagni. Negli anni Cinquanta la sua stella ricomincerà a splendere.
25 marzo, 2024
25 marzo 1940 - Mina, la più grande voce femminile del pop italiano
Il 25 marzo 1940, a Busto Arsizio, in provincia di Varese nasce Mina Anna Mazzini (e non Anna Maria come spesso viene chiamata), una cantante la cui storia attraversa più di mezzo secolo di storia della musica italiana. La sua evoluzione artistica si muove su strade imprevedibili, spesso prescindendo dalle regole e dalle consuetudini che da sempre muovono la scena musicale italiana. Alla fine degli anni Cinquanta la sua voce potente, aspra e aggressiva irrompe sulla scena musicale del nostro paese, capovolge le regole auree della melodia tradizionale, ne spezza il delicato fraseggio e ne rivoluziona i canoni interpretativi portando in primo piano le parti fino a quel momento considerate marginali nella stesura. Nei suoi acuti c’è la lezione del rock and roll, dei juke box, della ventata innovatrice che arriva d’oltreoceano. La scelta dei colori del rock and roll non è, però, definitiva perché Mina non vuole rischiare di diventare prigioniera di un genere. Negli anni Sessanta inizia a misurarsi con interpretazioni sempre più impegnative. Più il gioco è difficile e più Mina prova gusto a giocare. Sperimenta i limiti della propria vocalità operando scelte di repertorio tra loro contrastanti. L'urlatrice degli inizi diventa così un’interprete sofisticata capace di misurarsi con generi e stili diversi, dalla canzone italiana più tradizionale alla musica brasiliana, alla ballata, al soul e al blues. Utilizza la sua voce come uno strumento, scavalcando, se necessario, anche i limiti imposti dal testo, dalla dizione o dalla pronuncia. E se nei primi tempi la voce è solo un elemento, pur se fondamentale, delle sue scelte artistiche, con il passare degli anni è destinata a diventare l’unico mezzo di comunicazione con il pubblico. La decisione di ridurre ai minimi termini la propria presenza pubblica e di non apparire più né in concerto, né in televisione è perfettamente in linea con il personaggio che ha scelto di essere: se stessa, sulla scena come nella vita. Poco dopo la nascita la sua famiglia si trasferisce nel cremonese. Dopo aver cantato per la prima volta in pubblico nell'estate del 1958 quasi per scherzo la ragazza forma la sua prima band, gli Happy Boys e pubblica i primi singoli con il nome d'arte di Baby Gate. Alla fine dell'anno partecipa alla Sei giorni della Canzone e nel 1959 debutta in televisione con una personalissima versione di Nessuno, la canzone presentata da Wilma De Angelis al Festival di Sanremo. Nel 1960 partecipa per la prima volta alla manifestazione sanremese senza troppa fortuna. L'anno dopo fa la sua seconda e ultima apparizione al Festival di Sanremo con Io amo tu ami e Le mille bolle blu. Sempre nel 1961 è tra i protagonisti fissi dello show televisivo "Studio Uno", esperienza che ripete nel 1965 e nel 1966. Nel 1967 fonda la PDU , una sua etichetta discografica e l'anno dopo presenta "Canzonissima" con Paolo Panelli e Walter Chiari. Nel 1972 scrive, insieme ad Augusto Martelli, il brano Il conformista per il film "La strategia del ragno" di Bernardo Bertolucci. Nel 1978 appare per l'ultima volta in televisione nel programma "Milleluci" e fa la sua ultima esibizione dal vivo a Bussoladomani. Da quel momento si ritira nella sua casa di Lugano regalando al suo pubblico una lunga serie di album di grande successo. Oggi Mina è soprattutto una grande voce che sembra uscire dal nulla. Nessuna altra interprete ha avuto il coraggio, come lei, di entrare nel mito annullando del tutto la sua fisicità proprio nel momento in cui l’immagine si stava affermando come elemento centrale in ogni settore dello spettacolo e della comunicazione.
24 marzo, 2024
24 marzo 1952 – Big Sid Catlett e la tecnica del rullante

Il 24 marzo 1951, colpito da una sincope, muore improvvisamente a Chicago, nell’Illinois, il quarantunenne Big Sid Catlett, all'anagrafe Sidney Catlett, uno dei più grandi batteristi della storia del jazz. Nato a Evansville, nell'Indiana, si avvicina alla musica studiando pianoforte. È ancora adolescente quando scopre la batteria. Se ne innamora e non la lascerà più. Nel 1930, a vent'anni, va a New York per suonare con l'orchestra di Sammy Stewart, e nei cinque anni successivi, fa parte di alcuni fra i gruppi degli strumentisti più importanti dello swing: Elmer Snowden, Benny Carter, i Mc Kinney's Cotton Pickers e, soprattutto, Fletcher Henderson e Don Redman che gli consentono si affinare e rinnovare il suo stile. Sia Henderson che Redman sono, infatti, artefici di arrangiamenti carichi di swing, ma, nello stesso tempo, moderni per le novità di linguaggio e per i grandi solisti presenti nei loro gruppi. Quando, nel 1938, Big Sid entra nell'organico dell'orchestra di Louis Armstrong è già considerato una delle stelle più brillanti del firmamento jazzistico dell'epoca. Ci resta fino al 1943, poi, dopo una breve parentesi con Benny Goodman tenta di mettersi in proprio costituendo un gruppo a suo nome. In quel periodo le grandi orchestre sono ormai arrivate al capolinea. Tra i primi ad accorgersene c'è Louis Armstrong, che inventa la formula degli All Stars, una sorta di band ad assetto variabile nella quale si incontrano grandi personaggi della storia del jazz. Big Sid Catlett, con Barney Bigard, Jack Teagarden ed Earl Hines ne rappresenta uno dei quattro punti di forza. La sua morte lascerà un vuoto difficilmente colmabile, testimoniato dalla lunga serie di concerti al fianco di Armstrong. Pochi batteristi sapevano "lanciare" i solisti come lui, con una pausa impercettibile nel suo straordinario gioco di piatti e di tamburi nella quale personaggi come Teagarden e Hines trovavano l'appoggio per far volare alta la loro improvvisazione. Nei suoi relativamente pochi anni d'attività ha contribuito in modo fondamentale al passaggio dal jazz classico al jazz moderno. Pur prendendo a modello il pulsare severo e cronometrico di due grandi batteristi di New Orleans come Zutty Singleton e Baby Dodds, Big Sid ha sviluppato fin dagli esordi una tecnica personalissima che non si limitava ad "uscire" negli spazi a lui riservati, ma svolgeva un lavorio preparatorio di estrema efficacia, fondato sull'uso del rullante.
23 marzo, 2024
23 marzo 1969 – Ehi Gregg, vuoi fare l’organista del mio gruppo?
Il 23 marzo 1969 Gregg Allman è a Los Angeles mentre suo fratello Duane è, teoricamente, impegnato nella registrazione del suo primo disco da solista. In realtà Duan Allman non è soddisfatto del gruppo che l’accompagna in sala di registrazione, il lavoro non procede e lui pensa che ci sia bisogno di qualcosa in più. Intenzionato a risolvere rapidamente la questione prende il telefono e chiama Gregg. «Ehi, fratello, ti va di entrare nella mia band come organista?» Gregg rimane sconcertato perché oltre a essere un ottimo cantante suona la chitarra da ben quattordici anni ma non si sente troppo a suo agio con le tastiere. Nonostante tutto decide di accettare la proposta del fratello. Nasce così la Allman Brothers Band. Il primo disco, The Allman Brothers Band, esce nel novembre del 1969 ricevendo immediatamente larghi consensi. Le due chitarre di Duane Allman e Dickey Betts costituiscono il punto focale di una formazione che, nel suo insieme, appare molto influenzata dalla musica nera e in particolare dal blues, una band con enormi potenzialità, già molto affiatata come dimostra il secondo Lp, Idlewild South, contenente la strumentale Revival e la splendida In memory of Elizabeth Reed, entrambe scritte da Dickey Betts e ancora Leave my blues at home e Midnight rider.
22 marzo, 2024
22 marzo 1943 – George Benson, tra jazz, rock e pop
Il 22 marzo 1943 nasce a Pittsburgh George Benson. Inizia a studiare chitarra all'età di otto anni e, dopo cinque anni, già si esibisce regolarmente con gruppi di rhythm and blues della sua città. I suoi idoli non sono comunque i grandi maestri del blues: Benson si forma alla scuola jazz di chitarristi come Charlie Christian e Wes Montgomery. Nel 1963 Benson arriva a New York ed entra nel gruppo dell'organista Brother Jack McDuff. Questa esperienza, durata due anni, affina lo stile del chitarrista e gli consente di prendere confidenza con il pubblico dei concerti: un'abitudine al palcoscenico che, in seguito, lo aiuterà a conquistare un enorme successo. Nel 1966 incide il primo album solista per la Columbia Records , It's uptown, ma è una specie di fiasco commerciale: il contratto viene stracciato e Benson approda alla neonata etichetta di Creed Taylor, la CTI. L'intento di questo nuovo marchio è quello di proporre la "fusion-music" nella sua accezione più leggera e disimpegnata, la chitarra di Benson si adatta perfettamente a queste esigenze, tanto che diventa ospite fissa di tutti i prodotti CTI, oltre che protagonista negli album solisti di Benson. Tra questi ultimi il meglio riuscito è White rabbit del 1973. Ma il vero successo di Benson arriva a metà degli anni settanta quando, lasciata la CTI per la Warner Bros., il chitarrista inizia la sua collaborazione con il produttore Tommy LiPuma. Il primo grande risultato è l'album del 1976 Breezin' dove, per la prima volta, Benson si cimenta anche nelle vesti di cantante. La musica è morbida, con toni decisamente popolari, da classifica: il singolo This masquerade entra, infatti, nella Top ten americana, fatto inusitato per un artista ancora etichettato come jazzista. Il successo non è comunque casuale e viene ripetuto l'anno seguente con l'album In flight. La vera esplosione del fenomeno Benson arriva però nel 1978 con il doppio album dal vivo Weekend in L.A. dove il chitarrista si cimenta in una poderosa versione del "classico" di Leiber e Stoller, On Broadway. Ad accompagnare Benson in questa straordinaria tournée c'è un gruppo di splendidi musicisti: Phil Upchurch (già chitarrista di Ramsey Lewis), Ralph McDonald alle percussioni, Stanley Banks al basso, Ronnie Foster alle tastiere e Jorge Dalto al pianoforte. È questo il segreto del successo di Benson: ottimi musicisti nel gruppo, un impasto sonoro a cavallo tra jazz. rock e soul, una voce suadente e sporadiche incursioni in un solismo chitarristico da virtuoso dello strumento. Con le sue chitarre Ibanez G310 e Gibson Super 400CES, Benson torna nuovamente al grande successo nel 1980, aiutato dal produttore Quincy Jones. L’album è Give me the night e l'omonimo singolo raggiunge la posizione più alta in classifica mai conquistata da Benson: il quarto posto. Da quel momento il successo di Benson viene ampiamente ridimensionato a livello internazionale, anche se in patria i suoi concerti registrano sempre il tutto esaurito. Il merito, ancora una volta, è nella formula senza tempo inventata dal chitarrista: una musica ben costruita che abbina la raffinatezza del jazz alla concretezza della musica pop senza pretendere dì lanciare messaggi.
21 marzo, 2024
21 marzo 1978 – Roxanne, una canzone offensiva per la BBC

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