Il 28 maggio 1738 nasce a Saintes Joseph il medico francese Ignace Guillotin, artefice della ghigliottina. Negli anni dell’adolescenza sembrava destinato a seguire la vocazione sacerdotale, ma ben presto, dopo essere entrato come novizio nei gesuiti, si accorse che non era quella la strada per lui. Divenuto professore a Bordeaux, lasciò la Compagnia intenzionato a dedicarsi alla medicina. Nel 1789, allo scoppio della Rivoluzione Francese subì il fascino delle nuove idee di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, e visse da protagonista il turbine della Rivoluzione tanto da essere eletto deputato del Terzo Stato per Parigi all’Assemblea degli Stati Generali. Fin dal primo momento la sua attività legislativa e i suoi interessi si indirizzarono quasi esclusivamente verso la riforma del sistema penale, che riteneva dovesse essere basata sull’uguaglianza e sull’umanità delle pene, con la contestuale abolizione di quelle più infamanti e offensive. Proprio nel quadro di questo impegno iniziò a formarsi in lui l’idea che anche la pena capitale fosse da rivedere. Non pensava alla sua abolizione, ma a metodi più ‘umani. Fino a quel momento, infatti, le condanne a morte in Francia venivano eseguite o con l’impiccagione o con la decapitazione manuale. Guillotin riteneva che entrambi i metodi fossero particolarmente crudeli per il rischio di provocare inutili sofferenze al condannato. Si interessò così a una sorta di macchina per esecuzioni citata in un libro anonimo dal titolo Voyage historique et politique de Suisse, d’Italie et d’Allemagne, in cui si parlava di un’esecuzione capitale avvenuta a Milano nel 1730 e si descriveva un marchingegno in grado di decapitare il condannato in modo rapido e senza rischio d’errore. Non era il primo esempio di un sistema per la decapitazione automatica. Macchine di diversa foggia e di alterna efficacia erano state usate in varie parti d’Europa anche nei secoli precedenti. Una di queste è descritta in una cronaca di Jean d’Auton che parla della decapitazione dell’agitatore Demetrio Giustiniani, avvenuta a Genova nel 1507. Nei secoli XVI e XVII macchine di questo tipo erano utilizzate in Scozia, dove il marchingegno veniva chiamato The maiden e in Germania dove erano diffusi sistemi meccanici per la decapitazione che andavano sotto il nome di Diole o di Hobel. Attingendo a queste fonti Guillotin propose per la prima volta all’Assemblea Costituente il 10 ottobre 1789 l’unificazione su tutto il territorio nazionale dei sistemi per eseguire le condanne capitali e la contemporanea introduzione dell’uso di una macchina per rendere istantanea e meno dolorosa la morte. Superati i primi ostacoli procedurali la proposta venne definitivamente precisata e accolta il 1° dicembre 1789. In essa era contenuta la definizione dettagliata di una macchina per decapitare consistente in due travi scanalate, unite in cima da una terza trasversale alla quale fosse assicurato un pesante coltello triangolare, in grado di scorrere rapidamente nelle scanalature e di troncare con rapidità e “senza ulteriori offese” il collo del condannato “preso tra due assi”. Prima della sua introduzione definitiva dovevano, però, passare altri tre anni. La prima delibera in merito venne adottata il 3 giugno 1791, la seconda il 20 marzo 1792, corredata da un parere dell’illustre chirurgo Antonine Louis, di Metz, segretario principale dell’Académie de Chirurgie. Proprio dal suo nome lo strumento verrà inizialmente chiamato “Louison” e poi femminilizzato in “Louisette”. Per costruire la macchina seguendo le indicazioni progettuali di Guillotin venne interessato il falegname Guédon, fornitore ufficiale delle forche utilizzate sino a quel momento. Il suo preventivo di 5660 livres per ciascun modello apparve eccessivo e si preferì bandire un asta pubblica. Dopo lunghe trattative l’offerta più conveniente fu quella del tedesco Tobias Schmidt, conosciuto per la sua rinomata fabbrica di clavicembali, che si disse disposto a fabbricare le macchine al prezzo di 329 franchi l’una. Il frutto di questa commistione tra progettazione francese e tecnologia tedesca debuttò in pubblico, dopo alcune prove su animali e cadaveri, per la prima volta il 25 aprile 1792. Le cronache narrano che il primo condannato a morte decapitato meccanicamente fu un grassatore di nome Nicolas-Jacques Pelletier. L’esperimento ebbe successo e la macchina iniziò a funzionare con regolarità. I primi condannati politici ghigliottinati furono L.D. Collonet d’Aigremont, decapitato il 21 agosto 1792, seguito il 24 agosto dall’intendente della lista civile La Porte e, il 25 agosto, dal redattore della Gazette de Paris Farmain de Rosoi. Il nome dello strumento divenne definitivamente “Ghigliottina” dopo la pubblicazione, da parte del foglio realista Les Actes des Apôtres di una canzonetta satirica che ironizzava sui meriti del “cittadino” Guillotin. Proprio quest’ultimo, divenuto segretario della Costituente, rischiò essere sottoposto a una personale esperienza della macchina da lui inventata. Arrestato come sospetto durante il periodo Terrore, venne poi salvato dallo scoppio della reazione termidoriana e morì di morte naturale a Parigi il 26 marzo 1814. In molti si sperimentarono nel miglioramento della funzionalità della ghigliottina, compresa la sua più illustre vittima, il re Luigi XVI, che si era occupato personalmente di perfezionarla e i cui disegni si conservano ancora all’Archivio Nazionale di Parigi.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
28 maggio, 2024
27 maggio, 2024
27 maggio 1936 – Rufus Speedy Jones, batterista raffinato
Il 27 maggio 1936 nasce a Charleston, nel South Carolina, il batterista Rufus Jones, conosciuto dagli appassionati di jazz come Speedy Jones. Il suo incontro con la musica avviene durante gli anni della scuola elementare dove impara a suonare la tromba ed entra a far parte della banda scolastica. Alla batteria arriva intorno ai tredici anni e si fa subito notare. La sua prima scrittura arriva da un’orchestra diretta da Brant Bassell. Dopo aver suonato per diverso tempo nella area della Florida, nel 1958 si trasferisce a New York per entrare a far parte del gruppo di Lionel Hampton. L'anno dopo suona in una formazione diretta da Red Allen e successivamente in quella del clarinettista Solomon Yaged. Dal 1959 al 1963 è con Maynard Ferguson e, dopo una breve esperienza in proprio entra a far parte della grande orchestra di Count Basie con il quale rimane fino al 1966. Successivamente viene ingaggiato da Duke Ellington. Dopo il periodo trascorso con il Duca, Speedy suona con vari gruppi, compresa l'orchestra di fossa dell'Apollo Theatre, diretta da Reuben Phillips. Nel 1968 torna con Ellington e ci resta per un lungo periodo. Dotato di tecnica molto raffinata pur non potendo essere considerato un caposcuola, si è dimostrato un eccellente batterista di frontiera tra tradizione e jazz moderno, particolarmente efficace nell'accompagnamento delle grandi formazioni.
26 maggio, 2024
26 maggio 2006 - Desmond Dekker, il profeta del reggae
Il 26 maggio 2006 muore Desmond Dekker, l'uomo che per primo ha fatto conoscere il reggae al mondo. Dekker, che si chiama in realtà Desmond Adolphus Dacres nasce a Kingston, in Giamaica, dove è popolarissimo più per essere stato tra i protagonisti della serie televisiva "Action" che per le sue qualità canore anche se i suoi primi passi come cantante risalgono ai primi anni di vita quando canta nel coro della chiesa del suo quartiere. Il destino lo fa incontrare con Bob Marley nel 1962, quando entrambi lavorano come saldatori con tanti sogni musicali in testa. Secondo la leggenda sarebbe stato proprio lui a incoraggiare Marley a scrivere le sue prime canzoni. A partire dal 1963 pubblica vari singoli di buon successo e soprattutto King of ska che ne fa un po’ un idolo dei Rude Boys, gli equivalenti giamaicani dei Teddy Boys statunitensi. Quando la sua isola comincia a stargli un po’ stretta se ne va in Gran Bretagna per cercare fortuna. Qui sbarca il lunario con gli Aces, il suo gruppo, suonando alle feste degli immigrati giamaicani e pubblicando qualche disco destinato ai suoi conterranei. Il successo di Israelites gli cambierà la vita. Poco tempo dopo essere arrivato al vertice delle classifiche britanniche il singolo farà lo stesso negli Stati Uniti facendo di Desmond Dekker il primo artista giamaicano al vertice della classifica dei dischi più venduti negli States. Il successo di questo brano finirà per diventare la sua maledizione. La carriera di Desmond Dekker, infatti, continuerà tra pochi alti e molti bassi. Pubblicherà vari brani, tra i quali lo splendido You can get it if you really want it, ma il suo nome resterà per sempre legato a Israelites che tornerà di nuovo a scalare le classifiche dei dischi più venduti nel 1975 e ancora nel 1980, quando il cantante dopo aver firmato un nuovo contratto per la Stiff ne realizzerà una nuova versione per l’album Black and Dekker. L'etichetta di "inventore del reggae" lo perseguiterà finendo per trasformarsi più in un peso che in un valore aggiunto. Desmond Dekker farà buon viso a cattivo gioco e alla fine si abituerà a questa sorta di condanna. Dopo l'esplosione del fenomeno Bob Marley, continuerà a spremere fino all’ultima goccia proprio il boom del reggae per galleggiare ancora un po’ nel cielo più alto della musica pop internazionale. Abbastanza impermeabile alle innovazioni e restìo a dare troppo spazio alle contaminazioni con nuove chiavi ritmiche resterà sulla breccia fino all’ultimo. Se ne va per sempre il 26 maggio 2006, ucciso da un infarto che lo coglie a casa sua, nel sobborgo di Surrey dove viveva. Ha sessantaquattro anni e soltanto un mese prima ha tenuto un concerto a Roma.
25 maggio, 2024
25 maggio 1968 – Orrore! Al Brancaccio c'è un tale che si chiama Jimi Hendrix
Il 25 maggio 1968 il Teatro Brancaccio di Roma ha in cartellone un concerto di Jimi Hendrix. È il secondo e ultimo della breve permanenza romana del chitarrista la cui popolarità si sta diffondendo anche in Italia dopo il successo ottenuto al Festival di Monterey. Nonostante la buona campagna promozionale i giovani della capitale non fanno la fila per essere presenti all’appuntamento ed Hendrix si esibisce in un teatro che presenta numerosi posti vuoti. Non si tratta di disinteresse. I prezzi dei biglietti sono troppo alti per le tasche del pubblico giovanile, l'unico consumatore di questo tipo di musica e un destino analogo tocca anche ai Soft Machine, ai Pink Floyd, a Donovan e Julie Driscoll. Nemmeno il tour degli Who raccoglie i risultati sperati in termini d'incasso, nonostante l'affollamento di ragazzi fuori dai luoghi dove si svolgono i concerti. Qualche tempo dopo il problema del costo dei biglietti ai concerti, legato a quello della reale fruibilità della musica da parte dei giovani, diventerà esplosivo e provocherà grandi mobilitazioni di massa. Nonostante la non entusiasmante partecipazione di pubblico l'esibizione di Hendrix al Brancaccio è all'altezza della fama del chitarrista. Sugli spettatori si riversano le note acide della sua chitarra, ricche di distorsioni armoniche e di suoni elettronici puri, su un tessuto ritmico solido e aggressivo. Un'ovazione accoglie le note di Hey Joe, il brano del suo repertorio più conosciuto dal pubblico italiano, mentre il chitarrista canta con un accento americano molto marcato mangiandosi le parole del testo. Il risultato è una cadenza suggestiva e allucinata che contribuisce all'espressività dell'esibizione. Nei giorni successivi una parte dei critici italiani ignorerà l'evento, ma non mancheranno i commenti entusiastici. Tra tutti, però, quello che passerà alla storia sarà il giudizio dell'inviato del "Messaggero” di Roma, presentatosi all'appuntamento senza conoscere niente dell'artista. Alcune righe del suo articolo gli regaleranno l'immortalità tanto da essere ancora oggi citate come uno dei più clamorosi infortuni del giornalismo musicale italiano. Sono quelle in cui, volendo forse sintetizzare le sensazioni provate, così descrive l'esibizione del chitarrista: «Orrore al Brancaccio... la bruttezza di Jimi Hendrix è tale da superare i comuni concetti estetici».
24 maggio, 2024
24 maggio 1969 - Tommy Page, una meteora più che una stella
Il 24 maggio 1969 a Glen Ridge, nel New Jersey, nasce Tommy Page, per quelche tempo considerato una delle stelle del pop degli anni Novanta. Fin da bambino impara a suonare il piano e a quattordici anni forma, con il fratello maggiore Bill alla batteria i Broken Promises, un gruppo destinato a sciogliersi poi per insanabili divergenze sull'impostazione musicale. Bill è più orientato al rock mentre Tommy si trova più a suo agio con le strutture canterecce del pop. Chiusa l'esperienza in gruppo Tommy si trasferisce a New York per frequentare l'Università e proprio nella città dei grattacieli trova l'ambiente favorevole per iniziare la carriera di cantante. Il suo primo singolo Turning me on passato quasi inosservato negli Stati Uniti, ottiene a sorpresa un buon successo in Asia. Questa situazione favorisce la realizzazione del suo primo album Tommy Page nel 1989, dal quale viene estratto il singolo Shoulder to cry on che riesce a piazzarsi nei primi trenta posti della classifica statunitense confermando le potenzialità del ragazzo. Tommy partecipa come supporter al tour di Tiffany e dei New Kids on the Block. Proprio due Kids, Danny Wood e Jordan Knight, lo affiancano nella composizione di I'll be your everything il brano con il quale nel 1990 centra il primo posto nelle classifiche dei dischi più venduti negli Stati Uniti e in gran parte del mondo. È il punto più alto del suo successo e anche l'inizio di un declino rapidissimo. A soli ventun anni si dice sia la stella più brillante del pop degli anni Novanta ma non è così. Dopo l'album Paintings in my mind nel 1991 la tiepida accoglienza riservata dal pubblico al successivo From the heart convince il music business a non investire più su di lui.
23 maggio, 2024
23 maggio 1947 – Richie Beirach, tecnica classica e senso del ritmo
Il 23 maggio 1947 nasce a New York il pianista e compositore Richie Beirach, all’anagrafe Richard Beirach. Il suo incontro con la tastiera avviene all’età di sei anni quando inizia a prendere lezioni di pianoforte. Nei dieci anni successivi compie regolari studi perfezionandosi nella la tecnica classica. Sembra avviato a una normale carriera da concertista quando scopre il jazz e se ne innamora. Lo affascinano le possibilità offerte dai grandi innovatori degli anni Cinquanta e Sessanta. Per qualche anno suona con alcuni protagonisti di quel periodo come Freddie Hubbard e Lee Konitz e partecipa a varie esperienza con strumentisti della sua generazione come Jack DeJohnette, Dave Holland e David Liebman. All'inizio degli anni Settanta decide di dare un maggior sostegno teorico e tecnico alla sua passione. Si iscrive alla famosa scuola jazz di Berklee e, successivamente, alla Manhattan School of Music dove si diploma nel 1972. Poco tempo dopo essersi diplomato entra a far parte della formazione di Stan Getz, con la quale compie una lunga tournée in Europa e in Giappone. L'anno dopo è il pianista dei Lookout Farm, il prestigioso gruppo del sassofonista Dave Liebman, la cui formazione comprende il chitarrista John Abercrombie, il batterista Jeff Williams, il bassista Frank Tusa e il percussionista Badal Roy. Ci rimane tre anni pur non rinunciando a saltuarie esperienze al fianco di personaggi di primo piano come Jeremy Steig, Chet Baker e John Scofield. Nel 1976, dopo lo scioglimento dei Lookout Farm, decide finalmente di dare vita a un proprio gruppo, il trio Eon. Negli anni successivi continuerà ad alternare la carriera in proprio con varie collaborazioni, soprattutto con il suo vecchio amico Dave Liebman e con il chitarrista John Abercrombie. Apprezzato da critica e pubblico perfezionerà il suo stile unico, estremamente compiuto sul piano formale e tecnico, nel quale si può cogliere la sintesi delle esperienze di alcuni tra i maggiori pianisti jazz del dopoguerra. C'è chi ritiene che Beirach rappresenti il punto di sintesi tra le tecniche di Paul Vley, il melodismo di Keith Jarrett e le straordinarie evoluzioni di Bill Evans, Chick Corea ed Herbie Hancock. In realtà in lui si ritrova la passione per l’armonizzazione raffinata, non disgiunta da un robusto senso del ritmo.
22 maggio, 2024
22 maggio 1959 – Don Cherry e Ornette Coleman, una tromba e un sassofono per l'Atlantic
Il 22 maggio 1959 due jazzisti ricchi di speranze e di idee ma non di successo entrano per la prima volta negli studi di Los Angeles dell'Atlantic. Uno si chiama Don Cherry e suona la tromba, il suo amico risponde al nome di Ornette Coleman ed è un fenomeno con il sassofono. Entrambi hanno alle spalle la solita trafila di concerti in vari club frequentati da appassionati di jazz. Da poco sono tornati a Los Angeles dopo un anno passato a New York a cercare fortuna senza trovarla. L'ambiente jazzistico li accusa di essere velleitari e presuntuosi. Fino a quel momento gli unici incoraggiamenti sono arrivati da un paio di abili improvvisatori come Cecil Taylor e Sunny Murray. È la seconda volta che varcano insieme le porte di una sala di registrazione per incidere un disco. La prima esperienza risale all'anno precedente quando, con la Contemporary, hanno inciso Something Else rivelatasi un fiasco. Nonostante le premesse l'Atlantic ha deciso di puntare su quei due squinternati strumentisti. Don Cherry e Ornette Coleman nella lunga seduta del 22 maggio registrano The shape of jazz to come e, al termine della registrazione vengono trattenuti da un funzionario della casa discografica per una "comunicazione ufficiale". In sostanza, l'Atlantic ha deciso che entrambi debbano andare alla scuola musicale di Lennox, nel Massachusetts, dove insegnano alcuni tra i migliori jazzisti di quel periodo come Max Roach, Milt Jackson, John Lewis e Bill Russo tra gli altri. Per le spese non devono preoccuparsi: pagherà tutto la casa discografica. La scelta rappresenterà l'inizio della scalata al successo e alla popolarità di entrambi. Proprio alla scuola di Lennox troveranno in John Lewis un entusiasta estimatore delle loro qualità, che li aiuterà a definire meglio uno stile destinato a rivoluzionare il jazz. La portata innovatrice delle loro concezioni musicali troverà, nel mese di ottobre dello stesso anno, la prima conferma nell'album Change the century.
21 maggio, 2024
21 maggio 1934 - Beppe Recchia, l'innovatore del varietà televisivo
Il 21 maggio 1934 nasce a Piacenza il regista Beppe Recchia, considerato uno dei grandi innovatori della televisione italiana. Dopo essersi diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma viene assunto in RAI nel 1960. Curioso sperimentatore e amante della moderna comicità televisiva nel 1976 tiene a battesimo Roberto Benigni nel discusso programma "Onda libera". Successivamente sceglie di prestare il suo contributo alla nascita dell'emittenza televisiva privata e commerciale debuttando su Telebiella e passando successivamente a TeleradioCity e poi a Telealtomilanese e Antenna 3. Nel 1984 viene assunto dalle reti Fininvest dove firma una lunga serie di successi a partire dalla leggendaria "Drive In" che inaugura un sodalizio con Antonio Ricci destinato a consolidarsi successivamente in varie edizioni di "Striscia la notizia". Nel 2006 cura la regia di "Colorado Café live". L'8 giugno 2007 muore a Milano dopo una lunga malattia e il giorno dopo la sua morte viene diffusa una puntata in replica di "Colorado Café live" a lui espressamente dedicata.
20 maggio, 2024
20 maggio 1927 - Lindbergh, il lungo volo dell’aquila solitaria
La mattina del 20 maggio 1927 inizia la più popolare avventura di quello che la stampa popolare statunitense chiama Lone Eagle, l’aquila solitaria. Per l'anagrafe è Charles Lindbergh. Nato il 4 febbraio 1902 a Detroit nel Michigan in una famiglia benestante di origine svedese il ragazzone abbandona gli studi di ingegneria per dedicarsi al volo. Si iscrive a un corso accelerato che gli garantisce di poter volare dopo soltanto otto ore di lezione per la tutt’altro che modica cifra di cinquecento dollari. Partecipa al corso ma non può volare perché quando arriva il momento del primo decollo non ha i soldi per pagarsi l’assicurazione. Allora spende gli ultimi dollari rimasti per comperarsi un paracadute e va nel Midwest a lanciarsi nel vuoto da aeroplani pilotati da altri nelle feste di paese. Il suo nome d’arte è Daredevil. Mette da parte un piccolo gruzzolo e, con l’aggiunta del denaro ricavato dalla vendita della motocicletta e qualche soldo recuperato dal padre compera un vecchio biplano Curtiss con il quale termina da autodidatta il corso di pilotaggio. Nel 1924 si arruola nell’aviazione statunitense per beneficiare, gratuitamente, di un addestramento professionale e termina il periodo di ferma nella Guardia Nazionale. Nel mese di marzo del 1925 inizia a pilotare gli aerei postali di medio raggio che operano su una distanza massima di cinquecento chilometri. Proprio in questo periodo legge l’annuncio di un premio di 25.000 dollari messo in palio dall’uomo d’affari Raymond Orteig per chi attraverserà l’Atlantico da solo tra New York e Parigi o viceversa. Non si tratta di un’impresa nuova, altri hanno attraversato l’Atlantico, ma nessuno con le regole stabilite da Orteig: da solo, senza scalo, con un aereo non idrovolante e sull’Atlantico del Nord. Lindbergh comincia a pensarci seriamente nel settembre del 1926 dopo il fallimento del tentativo del francese Réné Fonck. Pur avendo alle spalle meno di 2.000 ore di volo inizia a cercare i soldi necessari alla realizzazione di un aereo adatto. Investe i suoi risparmi (2.000 dollari) e ne ottiene altri 13.000 da amici e sostenitori. La cifra raccolta è insufficiente per un trimotore. Non gli resta pertanto che lavorare su un monorotore. Due aziende, la Bellanca e la Travel Air gli rispondono picche. L’unica disponibile a lavorare sulle sue idee è la Ryan che affida all’ing. Donald Hall il compito di trasformare il suo M-2 in quello lui ha già ribattezzato Spirit Of Saint Louis. Lindbergh ha fretta perché sa che, passata la primavera, concorrenti più facoltosi e attrezzati di lui, si stanno preparando a stabilire il record. Alla fine l’aereo è pronto. Non è proprio un gioiello. La visibilità è insufficiente e la strumentazione di bordo inesistente, ma ha un serbatoio capace di 1.700 litri di carburante, una quantità teoricamente eccessiva. Non c’è neppure la radio e gli unici strumenti di cui dispone sono un orologio, due bussole e quattro carte tematiche. Così combinato Lindbergh e il suo Spirit Of Saint Louis decollano da New York alle 7.25 del 20 maggio 1927. La rotta prevede il sorvolo della Nuova Scozia, dell’Irlanda e poi un lungo salto verso Sud in direzione Parigi. Alle 22.22 del 21 maggio lo Spirit of St. Louis atterra a Parigi-Le Bourget. Salutato come un eroe e osannato come un campione sportivo realizza così il suo sogno di lasciare un segno nella storia dell’aviazione mondiale. Lone Eagle, l’aquila solitaria, non smetterà più di volare, nonostante le alterne vicende della sua vita, compreso il drammatico rapimento del figlio.
19 maggio, 2024
19 maggio 1977 - Lafayette Thomas, blues e sentimento
Il 19 maggio 1977 muore a Brisbane, in California, il bluesman Lafayette Thomas. Nato a Shreveport, in Louisiana, il 13 giugno 1932 è nipote del celebre bluesman Jesse Thomas. Stabilitosi con la famiglia in California nel 1933 ottiene la prima istruzione musicale all'ombra del coro di una chiesa e, ancora adolescente, è già in grado di suonare piano e chitarra. Nel 1947 debutta nell'orchestra di Bobby Young e un anno più tardi entra in quella di Al Simmons. Fino alla fine degli anni Cinquanta si esibisce con Candyman McGuirt e Jimmy McCracklin e lavora in moltissime occasioni come musicista di studio nelle incisioni di Little Brother Montgomery, Juke Boy Bonner, Memphis Slim, Sammy Price, ecc. A suo nome incide qualche disco per la Peacock , la Jumping e la Star. Dopo un breve periodo a New York nal 1962 torna in California a Oakland e a S. Francisco. Negli anni Settanta suona nei localetti di Berkeley e Oakland. Chitarrista dotato di una tecnica impeccabile e di una spumeggiante vena melodica, risente molto dell'influenza dello zio, soprattutto nella tendenza al prolungamento delle frasi, vocali e musicali.
18 maggio, 2024
18 maggio 1980 – Si uccide Ian Curtis, il fragile cuore dei Joy Division
Il 18 maggio 1980, alla vigilia del primo tour statunitense della sua band, Ian Curtis, il cantante dei Joy Division, si impicca nella sua abitazione di Manchester. La crisi del suo matrimonio e, soprattutto, i primi chiari ed evidenti sintomi di un’epilessia progressiva hanno minato la sua voglia di vivere. In casa viene ritrovato un biglietto scritto qualche giorno prima sul quale il cantante ha vergato di suo pugno una frase che assume il valore di un addio: «In questo momento desidero essere morto. Non ce la faccio più». Con la fine del "leader dal cuore fragile", come viene definito Ian Curtis in uno dei tanti articoli postumi scritti su di lui, si chiude la storia dei Joy Division, una delle band simbolo del post punk inglese degli anni Settanta. L'avventura inizia a Manchester nel 1976, quando tre compagni di scuola, il chitarrista Bernard Dickin detto anche Bernard Albrecht o Bernard Sumner, il bassista Peter Hook e il batterista Terry Mason formano gli Stiff Kittens. Dopo il debutto all'Electric Circuit di Manchester ai tre si aggiunge Ian Curtis, un giovane assistente sociale di Macclesfield. Il suo stile vocale e i suoi testi saranno fondamentali per il salto di qualità della band. Dopo aver cambiato nome in Warsaw, sostituiscono Terry Mason con il batterista Steve Morris, concittadino di Ian Curtis e, alla fine, accettano la proposta dello stesso Curtis e assumono il nome definitivo di Joy Division. La scelta non è casuale, visto il loro impegno antifascista. Il nome infatti è lo stesso dato dai nazisti agli spazi dei campi di concentramento destinati alla prostituzione delle detenute. Un paio di dischi prodotti dalle etichette indipendenti precedono il debutto radiofonico della band nella popolarissima "John Peel session" su Radio One il 31 gennaio 1979. Nell'estate dello stesso anno, l'album Unknown pleasures arriva al primo posto delle classifiche indipendenti inglesi. Il 1979 si conclude con la seconda "John Peel session" e con la pubblicazione del singolo Transmission. Il suicidio di Curtis trasforma la band in un mito. Nonostante le offerte i tre membri superstiti non ne prolungheranno la storia per rispetto della memoria del loro leader e, con l'aggiunta del tastierista e cantante Gillian Gilbert, ne continueranno il discorso assumendo la denominazione di New Order.
17 maggio, 2024
17 maggio 1949 - Marc Fosset, la chitarra del Trois Mailletz
Il 17 maggio 1949 nasce a Parigi il chitarrista Marc Fosset. Il suo debutto sulla scena jazz parigina avviene all'inizio degli anni Settanta. Dal 1971 al 1976, infatti, accompagna quasi tutti i grandi musicisti che si esibiscono al Trois Mailletz: da Sonny Grey a Ted Curson, da Chris Woods a Memphis Slim, a Michel Roques e tanti altri. Nel 1973 entra a far parte dei Magma e nel 1977 dà vita a un duo con il contrabbassista Caratini ottenendo ben presto un grande successo. Con l'aggiunta del percussionista Michel Delaporte e del pianista Maurice Vandair il duo diventa prima un trio, poi un quartetto e infine con l'aggiunta di altri musicisti un gruppo di undici elementi. Ha inciso parecchi dischi con altri e sotto proprio nome.
16 maggio, 2024
16 maggio 1966 – Isaiah, il fratellino di Sam Morgan
Il 16 maggio 1966 muore a New Orleans, in Louisiana, la città dove è nato sessantanove anni prima, il trombettista Isaiah Morgan. Un po' schiacciato dalla popolarità dei fratelli Andrew e, soprattutto, di Sam, il maggiore, destinato a essere inserito nel ristretto novero dei migliori strumentisti di New Orleans. È proprio grazie alle insistenze di quest'ultimo che a ventidue anni decide di fare della musica la sua vita suonando in vari gruppi della sua città, tra i quali, ovviamente, anche quello del fratello. Nel 1922 trova il coraggio di mettersi in proprio e forma la Young Morgan Band. Lo affiancano nell'avventura Jim Robinson, Johnny Dave e Sidney Brown. Il gruppo assume progressivamente una fisionomia più definita con l'ingresso degli altri due fratelli Morgan, Andrew e Sam, oltre al sassofonista Earl Fouché, al pianista Tink Baptiste e al batterista Nolah Williams. È quasi inevitabile che la maggior popolarità di Sam finisca per "scippare" a Isaiah la leadership della band, ma lui non se la prende. Il ruolo di "talentuoso fratellino del capo", decisamente riduttivo rispetto al suo apporto vero, non lo infastidisce per niente. Nel 1927 il gruppo, ormai divenuto la jazz band di Sam Morgan, effettua una lunga serie di registrazioni per la Columbia, destinate a restare nella discografia jazz come alcuni tra i migliori prodotti dello stile di New Orleans di quel periodo. Isaiah funge normalmente da tromba-guida, con il compito di condurre il collettivo (e lo fa con notevole foga), mentre il ruolo di seconda tromba, oltre che di strumento solista, è svolto dal fratello Sam, il leader. Il destino ha però in serbo un'altra sorpresa. Nel 1932 suo fratello comincia ad avere problemi di salute e il buon Isaiah diventa il leader della band. Quando la formazione si scioglie torna a mettersi in proprio. Con l'aiuto dell'altro fratello Andrew forma un'orchestra a suo nome che, con vari cambiamenti d'organico, non si scioglierà più fino alla morte.
15 maggio, 2024
15 maggio 1926 - Bonnie Wetzel, dal violino al contrabbasso
Il 15 maggio 1926 nasce a Vancouver, nella contea di Washington Bonnie Jean Addleman, destinata a lasciare un segno importante nella storia del jazz con il nome di Bonnie Wetzel. Si avvicina alla musica studiando il violino per poi passare al contrabbasso, uno strumento considerato poco femminile che impara da autodidatta. Suona per un paio d'anni con Ada Leonard e poi con il trio di Marion Gange. Nel 1949 sposa Ray Wetzel e nel 1951, con il marito, entra a far parte dell'orchestra di Tommy Dorsey. Dopo la morte di Ray si trasferisce a New York dove suona con diversi gruppi e, tra questi, quelli dr Charlie Shavers e Roy Eldridge. In seguito forma con Lou Carter ed Herb Ellis il Soft Winds Trio. Nel 1953 entra nel trio di Beryl Booker e vi rimane anche l'anno seguente, partecipando ad una lunga tournée europea tra il gennaio ed il febbraio del 1954. Da quel momento lavora nell'area di New York come free-lance in piccole formazioni, diminuendo progressivamente l'attività ed abbandonandola del tutto qualche tempo prima della sua prematura morte per cancro avvenuta il 12 febbraio 1965.
14 maggio, 2024
14 maggio 1959 – Sidney Bechet, il più grande clarinettista del jazz di New Orleans
Il 14 maggio 1959 muore nel giorno del suo sessantaduesimo compleanno il saxoclarinettista Sidney Bechet, considerato da una parte consistente di critici e musicisti il più grande clarinettista che il jazz di New Orleans abbia mai espresso. Chi non è allineato con questa tesi non contesta il genio ma solo il fatto che il grande Sidney abbia abbandonato troppo presto il clarinetto per dedicarsi al sax soprano, uno strumento che giudicava più adatto alla sua personalità e alle sue inclinazioni. Nelle sue esecuzioni clarinettistiche i critici ritrovano una creatività improvvisativa simile a quella di Johnny Dodds, ma con sonorità migliori e più accattivanti, soprattutto nel registro grave. Anche un personaggio difficile come “Big Eye” Louis Nelson che lo ha avuto come allievo, confida al ricercatore Alan Lomax di ritenerlo il più completo clarinettista che New Orleans abbia mai avuto. Diverso è l’atteggiamento di musicisti e critica nei confronti del Bechet sassofonista. In molti l’accusano di essersi commercializzato soprattutto nella sua ultima produzione da Les Oignons a Petite Fleur. Anche i critici più severi, però, gli riconoscono l’originalità dello stile che lo porta a usare il sax soprano a come voce guida dell'orchestra. Il critico Rudy Blesh ha scritto che Bechet è stato “l'unico trombettista senza tromba della storia del jazz”. Anche i critici più severi però concordano sul fatto che Sidney Bechet sia stato il primo grande solista di sax soprano della storia del jazz e uno dei più grandi in assoluto. Nato a New Orleans, in Louisiana, il 14 maggio 1897, comincia a suonare il clarinetto da bambino. Nel 1911, a soli 14 anni, suona con la Eagle Band di Frank Dusen, nel 1913 con Joe Oliver al Fewclothes Cabaret e al Club 25, nel 1915 effettua una tournée nel Texas con Clarence Williams. Nel 1917, dopo aver suonato per qualche mese nei cabaret di Perdido Street con il gruppo del batterista Henry Martin, se ne va a Chicago per unirsi a quello di Lawrence Duhé al Deluxe Café. Passa poi al Dreamland dove si ritrova con Joe Oliver per poi associarsi a Freddie Keppard e successivamente a Tony Jackson. Da Chicago si trasferisce a New York nel 1919 per suonare con l'orchestra di Will Marion Cook con la quale effettua la sua prima lunga tournée europea. Rientrato a New York viene ingaggiato da Clarence Williams per prender parte alle di sedute di registrazione dei Blue Five tra la fine del 1923 e l'inizio del 1924. Fu quella la prima delle pochissime volte in cui Bechet si trovò a suonare assieme ad Armstrong e l’incontro tra i due si rivelò uno scontro tra due giganti. Bechet è superbo in Kansas City Man Blues, che diverrà un suo cavallo di battaglia, ma anche i suoi duetti con Armstrong in Pickin' On Your Baby, Texas Moaner Blues e Coal Cart Blues sono da ricordare. Lasciato Williams suona con Duke Ellington e con James P. Johnson prima di ripartire per l'Europa con l'orchestra di Claude Hopkins che accompagnava in tournée Josephine Baker. Nel 1928 raggiunge a Parigi l'orchestra di Noble Sissle, con la quale suona a lungo negli anni successivi e nel 1932, dopo una altra breve parentesi con l'orchestra di Ellington, forma i New Orleans Feetwarmers, un gruppo che manterrà in vita, seppur discontinua, per parecchi anni e con il quale registrerà tra il 1932 e il 1941 una lunga serie di dischi per la Victor annoverabili tra i suoi migliori in assoluto. Nel 1938 Bechet prende parte alla famosa Panassié Session con Ladnier e di Milton Mezzrow e, l'anno successivo, veniva chiamato da Jelly Roll Morton a partecipare all'ultima seduta di incisione registrata dal pianista per la Victor avendo come valide spalle Sidney De Paris e Albert Nicholas. Tra le tante incisioni realizzate da Bechet negli anni Quaranta meritano di essere segnalate quelle pubblicate con l'etichetta Blue Note e quelle per la King Jazz con Mezzrow. Negli anni Cinquanta continua a suonare fedele al suo stile fino alla morte.
13 maggio, 2024
13 maggio 1892 - Gina De Chamery, la milanese innamorata di Napoli
Il 13 maggio 1892 nasce a Milano Luigia Pizzoni Negri, destinata a restare nella storia dello spettacolo italiano con il nome d'arte di Gina De Chamery. Cantante e fantasista innamorata di Napoli e delle sue musiche debutta come solista al teatro Apollo di Firenze il 9 dicembre 1909 con un repertorio che già comprende numerose canzoni napoletane. Nella città dei suoi sogni arriva solo due anni più tardi, nell'aprile del 1911, cantando al teatro La Fenice ‘A surrentina e Sora mia con uno strepitoso successo. In breve la sua popolarità si allarga a macchia d'olio. Si esibisce in tutti i principali teatri d'Italia ma torna regolarmente in quella Napoli che è diventata la sua città d'elezione. Nel 1918 porta al successo La leggenda del Piave, una canzone di E.A. Mario destinata a diventare uno degli inni semi-ufficiali del nostro paese. Tra le sue grandi interpretazioni si ricordano anche 'O surdato 'nnammurato, Mandulinata a mare, Santa Lucia luntana e Napule canta. Muore a Napoli il 26 settembre 1957.
12 maggio, 2024
12 maggio 1948 – Steve Winwood, il ragazzo prodigio del pop britannico
Il 12 maggio 1948 nasce a Birmingham, in Gran Bretagna, Steve Winwood, il ragazzo prodigio del pop britannico degli anni Sessanta. Eredita la passione per la musica dai suoi genitori che lo avviano allo studio del pianoforte quando non ha ancora imparato a scrivere il suo nome. A soli quattordici anni fa parte della prestigiosa Muff Woody Jazz Band, dopo aver suonato con musicisti affermati come Rico, Owen Grey, Tony Washington e Wilfred "Jackie" Edwards. Un paio d'anni dopo è l'elemento più in vista dello Spencer Davis Group e, nel 1967, dà vita ai Traffic, una delle più interessanti formazioni britanniche di tutti i tempi. I suoi interessi non si fermano, però, al pop e al rock. Artista poliedrico e preparato, registra nel 1973 Third world, un album reggae con gli Aiye-Keta, una band composta dal polistrumentista Remi Kabaka e dal sassofonista Abdul Lasisi Amaos. Dopo lo scioglimento dei Traffic, avvenuto nel 1974, partecipa alle registrazioni di vari artisti come Sandy Denny, i Fania All Stars, Jim Capaldi, i Toots & The Maytals, George Harrison e il giapponese Stomu Yamashta. Nel 1977 per il suo debutto come solista chiede e ottiene la collaborazione di personaggi di primo piano dell'ambiente musicale britannico come Reebop Kwaku Baah, Andy Newmark e Willie Weeks. Maniaco della perfezione realizza da solo in due anni di lavoro, suonando gran parte degli strumenti, il suo secondo album Arc of a diver, pubblicato nel 1981 e destinato a diventare uno dei cinque dischi più venduti negli Stati Uniti in quell'anno. L'anno dopo registra nello stesso modo Talking back to the night i cui testi sono frutto del genio creativo di Will Jennings, il paroliere dei Crusaders. La morte del suo manager trentaseienne Andy Cavaliere e quella del vecchio compagno Chris Wood lo gettano in una grave forme depressiva e in molti lo danno per finito. Tornerà prepotentemente alla ribalta nel 1986 quando, con la produzione di Russ Titelman e la collaborazione di artisti come Chaka Khan, James Ingram, Nile Rodgers, James Taylor e Joe Walsh, pubblicherà Back in the high il disco che segna la sua rinascita artistica ed esistenziale, premiato con i Grammy Awards per il miglior album e per la miglior interpretazione maschile
11 maggio, 2024
11 maggio 1981 – La morte di Berhane Selassiè
L'11 maggio 1981 al Cedars Of Lebanon Hospital di Miami, in Florida, chiude per sempre gli occhi Bob Marley o, meglio, Berhane Selassiè, come si è ribattezzato sei mesi prima al momento della sua ammissione ufficiale tra i fedeli della Chiesa Ortodossa d’Etiopia. Si conclude così un lungo calvario di cure, preghiere, delusioni e speranze iniziato il 21 settembre dell'anno prima a New York dopo un concerto al Madison Square Garden. Quel giorno, come ogni mattina, la moglie Rita chiede a Bob di accompagnarla alla funzione nella Chiesa Ortodossa d’Etiopia della città, ma il cantante risponde di non sentirsi troppo bene. Deciso a scuotersi dallo strano torpore se ne va con alcuni amici nei viali del Central Park per fare un po’ di jogging. Dopo qualche minuto di corsa, però, cade a terra privo di sensi. Soccorso, si riprende velocemente ma resta turbato e si lamenta di aver il collo irrigidito in una posizione innaturale. L’équipe medica che lo visita gli diagnostica quello che probabilmente Bob intuiva già da tempo: il suo cervello è stato aggredito da una massa tumorale, la speranza massima di vita è di tre settimane. Il cantante decide di partire ugualmente per Pittsburg dove ha in programma un concerto. Invano Rita e gli amici cercano di impedire l’esibizione. Nonostante il dolore Bob resta sul palco per novanta minuti. Quando si ritira nel suo camerino è in un bagno di sudore e fatica a deglutire l’acqua che gli viene offerta. Pochi minuti dopo viene diffuso un comunicato stampa che annuncia la sospensione del tour per un non ben definito “stato d’esaurimento” di Bob Marley. Da quel momento inizia la sua solitaria battaglia contro la morte, ma la sua volontà e le sue risorse interiori non basteranno a combattere la malattia che lo divora. Smentisce le previsioni dei medici che gli avevano dato solo tre settimane di vita, ma non può fermare il suo destino. L’11 maggio 1981 muore al Cedars Of Lebanon Hospital di Miami senza riuscire a ritornare, come aveva sperato, nella natìa Giamaica. L'isola gli riserverà onori degni di un Capo di Stato con una camera ardente allestita nella National Arena di Kingston, uno degli spazi più grandi della città che si rivela, però, inadeguato a contenere l'impressionante afflusso di gente venuta a rendere l'ultimo saluto al profeta del reggae.
10 maggio, 2024
10 maggio 1969 – I Turtles hanno "sniffato" sul tavolo di Lincoln?
Il 10 maggio 1969 due gruppi particolarmente significativi vengono invitati a esibirsi alla White House, la Casa Bianca, di Washington in occasione di una delle tante feste che si svolgono nella residenza del Presidente degli Stati Uniti d'America. L'occasione è offerta da una sorta di "gala" in onore dei giornalisti accreditati. Gli "intrattenitori" d'eccezione sono il gruppo vocale dei Temptations e i Turtles. Proprio la presenza di questi ultimi, alfieri dell'ala più ironica e dissacrante del movimento hippie, sono un po' la novità della serata. Quando si era diffusa la notizia dell'invito in molti avevano scommesso sul loro forfait, ma nonostante le pessimistiche previsioni la band si presenta regolarmente sulla pedana allestita per l'occasione presentando una rassegna dei suoi brani più conosciuti, compresi quelli contenuti nell'album Turtle soup, fresco di sala di registrazione. L'austerità del luogo non li impressiona e gli intervenuti vengono trascinati nella consueta sarabanda di suoni, ritmi, battute e paradossi che caratterizza i loro concerti, compreso un appello a «lasciar perdere» la guerra del Vietnam. L'anima della band è rappresentata, come sempre, dai due imprevedibili istrioni Howard Kaylan e Mark Volman. Quando i Turtles chiudono, con un goffo ed esagerato inchino, la loro esibizione gli addetti al protocollo possono finalmente rilassarsi: non è successo niente. Non è così. Nei giorni successivi, infatti, i giornali riferiscono che proprio Kaylan e Volman, prima dell'esibizione avrebbero “sniffato” coca appoggiandosi all'antico e storico tavolo di Abramo Lincoln. Lo scandaloso comportamento, perfettamente in sintonia con lo spirito dissacrante della band, non verrà mai né confermato né smentito dai diretti interessati. L'esibizione alla Casa Bianca non porta troppa fortuna. Di lì a poco infatti inizierà della dissoluzione della band. Il primo ad andarsene è il chitarrista Jim Tucker e poi il batterista John Barbata, sostituito da John Seiter, già con gli Spanky & Our Gang. Il gruppo sembra ritrovare equilibrio ma la fine è solo rinviata di un anno. Nel 1970, dopo l'album Woodenhead, i Turtles si separeranno. Le due "pietre dello scandalo" Kaylan e Volman si uniranno ai Mothers of Inventions di Frank Zappa partecipando alla registrazione degli album Chunga's Revenge, 200 motels, At the Fillmore East e Just another band from L.A. Non sarà l'ultima tappa della carriera perché qualche anno dopo daranno vita all'eccentrico duo Flo & Eddie o, per citare la denominazione intera, The Phlorescent Leech & Eddie.
09 maggio, 2024
9 maggio 1979 - Pallottole su Eddie Jefferson, l'inventore del vocalese
Il 9 maggio 1979 il cantante jazz Eddie Jefferson sta uscendo da un locale di Detroit, nel Michigan. Da un'auto in corsa partono alcuni colpi d'arma da fuoco che lo colpiscono a morte. La polizia parlerà di un regolamento di conti: Eddie avrebbe fatto uno sgarro a una gang della città. Muore così a sessant'anni l'inventore del "vocalese", una tecnica che consiste nel corredare di versi stravaganti e spiritosi famose improvvisazioni musicali che vengono poi cantate alla lettera, nota per nota. Figlio di un famoso entertainer, inizia giovanissimo la carriera artistica esibendosi come ballerino e cantante in vari show musicali. Nel 1939 è a Chicago con l'orchestra di Coleman Hawkins e negli anni successivi passa di gruppo in gruppo. Nel 1946 è uno dei protagonisti dello show di Lanny Ross e qualche anno dopo forma il gruppo Billie & Eddie per accompagnare Sarah Vaughan. Parallelamente sviluppa la tecnica del vocalese che avrebbe messo a punto pochi anni dopo. Nel 1953 entra nell'orchestra di James Moody dove rimane per alcuni anni nella duplice veste di manager e cantante. Proprio i questo periodo perfeziona definitivamente il vocalese. Il primo brano strutturato in tal senso è un'esecuzione vocale da un assolo dello stesso Moody in I'm in the mood for love. La tecnica del vocalese verrà poi ripresa da King Pleasure e, anni dopo, diffusa in tutto il mondo dal gruppo vocale Lambert, Hendricks & Ross e dai Double Six. Sull'onda della popolarità acquisita e dell'allargarsi del pubblico interessato al jazz, all'inizio degli anni Sessanta pubblica un buon album a suo nome. Il risultato incoraggia i discografici a puntare su di lui e a pubblicare vari dischi nei quali può contare sull'accompagnamento di moltissimi musicisti di valore come il suo amico James Moody, Richie Cole, George Duvivier e molti altri. Nel 1975 tocca il vertice della popolarità vincendo il referendum indetto dai critici della rivista Down Beat, quale miglior cantante.
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