15 agosto, 2024

15 agosto 1962 – L'ultima volta di Pete Best con i Beatles

Il 15 agosto 1962 Pete Best suona per l’ultima volta con i Beatles al Cavern di Liverpool. Il giorno dopo l'addio viene reso ufficiale. Le ragioni della separazione non sono mai state completamente chiarite anche perché gli stessi protagonisti con le loro contrastanti e spesso contraddittorie versioni non hanno certo contribuito a dissipare i dubbi. L'ipotesi più divertente è quella che racconta di un intervento deciso della madre di Pete Best sul figlio per costringerlo a tornare a lavorare con lei abbandonando quei tre «squinternati che non combineranno mai niente di buono». Pur suggestiva e divertente, quest'ipotesi appare poco credibile. La ragione più probabile e più accreditata è che l'artefice del killeraggio del batterista sia stato Brian Epstein, da poco manager del gruppo. È risaputo, infatti, che fin dall'inizio del suo rapporto con i Beatles, Epstein abbia sempre considerato Pete inadatto alla band. Se non provvede a liquidarlo fin dall'inizio è perchè inizialmente trova una decisa opposizione in Paul, John e George, gli altri tre componenti della band, amici e affezionati al loro picchiatore di tamburi. L'assidua opera di demolizione da parte del manager finisce però per incrinare i rapporti interni alla band. Chi assiste all'esibizione del 15 agosto non può non accorgersi di come ormai il batterista si senta un corpo estraneo in un gruppo che non è più il suo. Fuori lui Brian Epstein tenta di imporre ai suoi tre recalcitranti protetti un suo pupillo. È Johnny Hutchinson dei Big Three, che, però, dopo aver suonato in concerto al Riverpark Ballroom di Chester, rifiuta. A due giorni dall'addio di Pete, John, Paul e George decidono allora di prendere in mano la situazione e chiamare un loro amico: Richard Starkey, il batterista di Rory Storm & The Hurricanes, conosciuto negli ambienti musicali con il nome di Ringo Starr. Quando lo contattano lui non si lascia scappare l'occasione. Il 18 agosto Ringo Starr suona per la prima volta con i Beatles. La formazione è completa e pronta a lasciare il suo segno nella storia.

14 agosto, 2024

14 agosto 1974 - Quella canzone è un’offesa per le donne

«Già nel titolo, quella canzone è una schifezza maschilista, gli interpreti dovrebbero vergognarsi e il pubblico starle alla larga». Il 14 agosto 1974 una buona parte dei gruppi che compongono il variegato arcipelago femminista statunitense attacca ferocemente il brano You’re having my baby (Stai aspettando il mio bambino), interpretato da Paul Anka in coppia con la cantante Odia Coates. Viene rimproverato alla canzone di essere il sottoprodotto di una cultura che non dovrebbe più avere spazio nell’America degli anni Settanta. Le accusatrici sostengono, infatti, che in essa c’è un esplicita esaltazione del ruolo subalterno della donna nella riproduzione. La figura femminile cui è dedicata la canzone verrebbe, infatti, vista come «un contenitore senza cervello di qualcosa che è proprietà dell’uomo». La denuncia dà il via a una serie di iniziative che invitano il pubblico americano a boicottare il disco e le emittenti radio-televisive a non mandarlo in onda. La National Organization Of Women mette in piedi un’improvvisata cerimonia nella quale conferisce al brano il premio di “Schifezza dell’anno”. I due interpreti si difendono come possono, soprattutto Odia Coates, bersagliata in modo particolare per aver prestato la sua voce a “una donna stupida e soggiogata”. Paul Anka, invece, tende a minimizzare le reazioni dicendo che a suo avviso sono eccessive e che è stata fraintesa la carica poetica del brano. Le frasi sono di circostanza, ma il cantante non appare scosso per l’improvvisa e inaspettata pubblicità Dopo anni di assenza, infatti, l’ex idolo delle ragazzine degli anni Cinquanta, interprete di Diana e autore di My way si ritrova al centro di rinnovate attenzioni da parte dei media. Tutto il clamore suscitato attorno alla canzone finisce per premiarla oltre misura, tanto che dieci giorni dopo arriverà al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti.

13 agosto, 2024

13 agosto 1953 – Rosalino Cellamare, anzi Ron

Il 13 agosto 1953 a Dorno, in provincia di Pavia, nasce Rosalino Cellamare, destinato a diventare uno dei protagonisti della scena musicale italiana degli anni Ottanta e Novanta. Fin da piccolo vince vari festival per voci nuove e nel 1970 con il nome di Rosalino, partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Nada con Pà diglielo a mà, e nel 1971 porta a "Un disco per l'estate" il brano Il gigante e la bambina scritto da Lucio Dalla su un testo della poetessa Paola Pallottino. Nello stesso anno debutta anche come autore, scrivendo, con lo stesso Dalla, la canzone Piazza grande. Nel 1972 pubblica Il bosco degli amanti, il primo album della sua carriera. Nonostante la sua giovane età, anche per difetti di una promozione legata al personaggio di “adolescente prodigio”, i suoi dischi non riescono a ottenere riscontri significativi. Nel 1973 porta in scena “Dal nostro livello”, uno spettacolo musicale e teatrale basato sui temi degli alunni delle scuole elementari di Cinisello Balsamo. Dopo alcuni lavori teatrali e cinematografici, cambia nome in Ron, pubblica un paio di singoli come I ragazzi italiani e, nel 1979 partecipa al tour di Lucio Dalla e Francesco De Gregori. L'anno dopo, con l'album Una città per cantare, conquista definitivamente pubblico e critica. Da quel momento l'appuntamento con il successo è diventato una costante della sua carriera tanto da farlo diventare, negli anni Novanta, un punto di riferimento per molti giovani autori.

12 agosto, 2024

12 agosto 1995 – Achille Togliani, la voce di velluto

Il 12 agosto 1995 muore a Roma il cantante Achille Togliani, uno dei personaggi della canzone italiana più amati dal pubblico del dopoguerra Negli anni Cinquanta le ragazze sono pronte a far follie per lui. Bello, elegante, con un fisico da divo del cinema, Achille Togliani non è soltanto un cantante di successo dalla voce vellutata ma uno dei personaggi più carismatici dello spettacolo italiano di quel periodo. Protagonista delle cronache rosa appassiona il pubblico interpretando fotoromanzi di successo che in quel periodo vendono centinaia di migliaia di copie. Proprio durante l’interpretazione di uno di questi racconti fotografici gli viene attribuita una relazione sentimentale con la protagonista femminile. Il suo nome d’arte è Sofia Lazzaro e di lì a qualche tempo lo cambierà in Sofia Loren. Interpellato sull’argomento anche a distanza di anni lui, da gentiluomo, non commenterà mai quelle voci. Dal punto di vista musicale il suo successo non è frutto del caso. Achille Togliani, infatti, può essere senza alcun dubbio inserito nel ristretto gruppo degli innovatori della canzone italiana. Con lui la figura del cantante melodico evolve sia dal punto di vista della gestualità sul palco che della tecnica interpretativa dal punto di vista squisitamente vocale. Uomo del suo tempo in un periodo in cui l’amplificazione della voce non è più una stranezza sperimentale, ma un pratica ormai diffusa, inizia a utilizzare il microfono come un vero e proprio strumento. A differenza degli interpreti più tradizionali che tentano di stupire il pubblico con la potenza dell’emissione la sua voce accentua le sfumature, cura i dettagli e dimostra come anche un sussurro possa essere fondamentale. Lo fa senza troppi timori reverenziali, con l’incoscienza e la voglia di avventura tipiche degli innovatori tanto che le sue riproposizioni in chiave moderna del “classici” degli anni Trenta e Quaranta restano una pietra miliare nella storia della canzone italiana. Nato il 16 gennaio 1924 a Pomponesco, in provincia di Mantova è figlio di un meccanico e appena può se ne va a Roma per cercar fortuna nel mondo del cinema. Superato brillantemente l’esame d’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia partecipa ai corsi di recitazione. Nonostante l’applicazione e i buoni risultati l’incontro con Cinecittà lo delude. Nel 1944, quando sta per mollare tutto, viene scritturato da Erminio Macario per sostituire nella sua compagnia Alberto Rabagliati. I successi nel teatro di rivista gli riaprono anche le porte del cinema. Nel 1948 incontra per la prima volta il maestro Cinico Angelini che, dopo averlo ascoltato cantare, lo scrittura per una breve tournée. È l’inizio di un rapporto destinato a durare nel tempo. Nel 1951 partecipa alla prima edizione del Festival di Sanremo conquistando il secondo e il terzo posto in coppia con Nilla Pizzi con le canzoni La luna si veste d’argento e Serenata a nessuno. Da quel momento diventa un idolo delle ragazze italiane e consolida la sua popolarità con una lunga serie di fotoromanzi di successo. Partecipa a tutte le prime quattro “pioneristiche” edizioni del Festival di Sanremo conquistando il terzo posto nel 1953 con Lasciami cantare una canzone in coppia con Teddy Reno e il secondo nel 1954 con Canzone da due soldi insieme a Katyna Ranieri. Torna più volte sul palcoscenico sanremese conquistando ancora una terzo posto in coppia con Teddy Reno nel 1959 con Conoscerti. Al suo “albo d’oro” non manca neppure il Festival di Napoli vinto nel 1954 con Suonno d’ammore in coppia con Tullio Pane. Nella seconda metà degli anni Sessanta sotto l’incalzare di nuove mode riduce la sua attività ma senza ritirarsi mai completamente dalle scene.

11 agosto, 2024

11 agosto 1989 - L.L. Cool J. un macho sessista?

L'11 agosto 1989 tre componenti del team del rapper L.L. Cool J., il vocalist David Parker, il tecnico Gary Saunder e uno degli addetti al servizio d’ordine, Christopher Tsipouras, vengono accusati di atti di libidine violenta per aver abusato di una ragazza di quindici anni sorpresa nel backstage dopo un concerto. L'episodio suscita sdegno e conferma le critiche da tempo rivolte al rapper di snaturare la carica eversiva della musica rap, facendone strumento di pulsioni "machiste" e sessuali più che di ribellione sociale. Tracce evidenti di questa impostazione si ritrovano anche nella stessa scelta del nome d'arte di L.L. Cool J. (Ladies Love Cool James), da parte del newyorkese James Todd Smith (questo è il suo vero nome). Iniziato alla musica da un nonno di professione disk jockey, nel 1984 pubblica il suo primo singolo I need a beat. L'anno successivo gli si aprono le porte del cinema. Dopo aver cantato I can't live without my radio nel film "Krush groove" pubblica il suo primo album Radio che lo trasforma in un personaggio da copertina e fa di lui uno dei primi rapper commerciali delle nuova generazione. Parte del movimento rap lo accusa di essere un gran furbone e il movimento delle donne lo addita come un cinico e disinvolto profeta della violenza sessista. Nel 1987 ottiene uno straordinario successo con l'album Bigger and deffer e con il singolo omonimo che resta per undici settimane al vertice della classifica statunitense di rhythm and blues. L'episodio di violenza nei confronti della ragazza, pur se non lo coinvolge direttamente, sembra metterlo in difficoltà, ma l'imbarazzo sarà soltanto momentaneo. Coccolato dallo showbusinnes per la sua aria da duro cinematografico tornerà a occupare le copertine patinate dei giornali alla moda. Naturalmente più nessuno si occuperà della ragazza violentata.


10 agosto, 2024

10 agosto 1985 - Le canzoni non hanno autori, solo padroni

Il 10 agosto 1985 una società di cui è proprietario Michael Jackson acquista per la bella cifra di quarantasette milioni e cinquecento mila dollari l’intero catalogo delle canzoni dei Beatles scritte dalla coppia Lennon-McCartney. Per una serie di complicate vicende economico-finanziarie conseguenti allo scioglimento del quartetto di Liverpool, tutti brani, oltre duecentocinquanta, nati dalla geniale vena creativa dei due musicisti erano finiti all’asta e il cantante li ha acquistati. Non è stata però un’operazione tranquilla e indolore. Gli esperti incaricati da Michael Jackson di portare a termine l’affare hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie perché contro di loro si era scatenata l’opposizione di Paul McCartney e di Yoko Ono, vedova di John Lennon e, come tale, titolare dei suoi diritti d’autore. Alla fine, però, il denaro ha avuto la meglio sul desiderio di uno degli autori e dell’erede dell’altro di rientrare in possesso del frutto di anni di lavoro. Di fronte al peso della potenza economica di Jackson nulla hanno potuto gli appelli sentimentali e i tentativi di contestare la legittimità degli atti. La vicenda è certamente emblematica del clima culturale degli anni Ottanta, nei quali garrisce al vento sul pennone più alto la bandiera dell’individualismo e della competizione selvaggia. La lezione che se ne trae è che i soldi diventano un Valore superiore alla creatività e ai diritti degli autori. Anzi, si può dire che le canzoni non hanno più autori, ma solo padroni, che possono disporne come e quanto meglio credono. 

09 agosto, 2024

9 agosto 1957 - Nina, la cantante della Sala Imperio

Il 9 agosto 1957 muore la sessantunenne Anna Benedetti. L'avvenimento non fa notizia e nel mondo dello spettacolo a nessuno quel nome dice niente. In realtà la signora Benedetti è stata Nina Imperio, dal 1915 al 1920 una delle cantanti napoletane del varietà più popolari in Italia e in Europa. Figlia del maestro Michele Benedetti, direttore d'orchestra "dei balli" presso il San Carlo di Napoli, canta per la prima volta in uno spettacolo di varietà nel capoluogo partenopeo nel 1911, a soli quindici anni. Il luogo del debutto, la Sala Imperio, resta nel suo nome d'arte. Nina Imperio si fa presto apprezzare per la sua sobrietà altera sul palco e l'eleganza della presenza scenica. La sua voce fa il resto. Irrobustita dagli studi di canto iniziati nella più tenera età, ricca di sfumature e capace di far vibrare le corde dei sentimenti negli ascoltatori, si adatta perfettamente al repertorio classico napoletano. In breve tempo diventa una delle beniamine del pubblico napoletano. La sua popolarità, però, non si ferma alle falde del Vesuvio. Insieme ad alcune tra le migliori compagnie di varietà dell'epoca inizia a girare l'Italia. A diciott'anni, nel 1913, entusiasma il pubblico romano che saluta la sua prima esibizione in assoluto all'Eden tributandole una lunghissima ovazione. Il suo peregrinare in Italia e in vari paesi europei non le fa dimenticare Napoli cui resta legata da un affetto profondo. Nelle sue tournée, infatti, è prevista sempre la possibilità di un suo ritorno a Napoli in occasione dell'annuale rassegna canora di Piedigrotta. Innumerevoli sono le edizioni della manifestazione che la vedono protagonista e molte delle canzoni lanciate per l'occasione entrano stabilmente nel suo repertorio. La parabola ascendente di Nina Imperio sembra destinata a non fermarsi mai quando, improvvisamente, nel 1920 annuncia la sua intenzione di ritirarsi dalle scene. La donna che ha davanti al suo camerino lunghe file di ammiratori e spasimanti, per la quale gli impresari sono ormai disposti a fare follie è intenzionata a lasciare tutto per… amore. S'è, infatti, innamorata di un uomo che non fa parte del mondo dello spettacolo e intende stare con lui. Dal momento dell'annuncio si esibisce soltanto negli spettacoli previsti dai contratti già firmati, poi se ne va per sempre. Nina Imperio muore con la sua scelta. Non calcherà più il palcoscenico e quando, nel 1957, anche Anna Benedetti scompare più nessuno ricorda la cantante che fece impazzire con il suo talento il pubblico di mezza Europa.

08 agosto, 2024

8 agosto 1970 - Grazie, piccola Bessie. Firmato Janis

L’aveva promesso a se stessa e lei è una che mantiene le promesse. Janis Joplin nell’estate del 1970 è ormai una cantante di successo, sia pur tormentata da una serie lunghissima di angosciosi problemi esistenziali. Da poco ha debuttato con la Full Tilt Boogie Band e tra pochi giorni deve iniziare le sedute di registrazione del suo nuovo album. Da tempo, però, continua a dire agli amici di voler saldare un misterioso debito. Approfittando di un momento di pausa nei suoi impegni, l’8 agosto 1970 fa collocare a sue spese una lapide di ringraziamento e di saluto sulla tomba della grande cantante Bessie Smith, l’Imperatrice del blues che riposa dal 1937 nel cimitero di Mount Lawn presso Derby, in Pennsylvania. Lo fa senza grande clamore, ma la notizia trapela ugualmente. A chi gliene chiede la ragione Janis spiega “L’ho sentita molte volte vicino a me. Devo tutto a lei: il mio modo di cantare, la mia passione per la musica, i suoni e i colori della mie interpretazioni. È stata Bessie Smith l’esempio che ho scelto quando ho cominciato a cantare e lei mi ha insegnato la strada.” Stimolata sull’argomento si lascia poi andare a una serie di considerazioni violente contro la vergogna della discriminazione razziale. Sono parole di fuoco che bollano l’intera società americana. Il razzismo, a suo dire, è una vergogna che dovrebbe pesare come un macigno su tutti i bianchi che vivono negli Stati Uniti. Le parole di Janis non sono generiche manifestazioni di solidarietà a favore dell’integrazione razziale, ma si riferiscono direttamente alle scandalose circostanze che hanno provocato la morte di Bessie Smith, sulle quali, peraltro, nessuno ha mai aperto un’inchiesta degna di questo nome. La morte della cantante viene solitamente attribuita a un generico “ritardo nei soccorsi”, quando non a “circostanze oscure”. Eppure non c’è niente di più vergognosamente chiaro delle circostanze che hanno determinato la morte di Bessie Smith. Siamo nel 1937. Mentre è impegnata in una lunga tournée nel Sud degli Stati Uniti, la cantante viene coinvolta, nella notte tra il 25 e il 26 settembre, in un terribile incidente stradale nelle vicinanze di Clarksdale, nello stato del Mississippi. Come si può immaginare non sono ancora molte, negli anni Trenta, le auto che viaggiano di notte, per cui passa molto tempo prima che qualcuno si accorga dell’incidente. Ali occhi dei primi soccorritori le condizioni della cantante appaiono molto gravi tanto che si decide di non attendere l’ambulanza per trasportarla al pronto soccorso del più vicino ospedale. La lunga corsa contro il tempo di Bessie Smith è, però, solo all’inizio. Pur essendo stato avvertito per tempo e avendo preparato il necessario per prendersi cura della ferita, il personale di turno dell’ospedale si rifiuta di accettare il corpo martoriato della cantante quando si accorge che è nera. In quegli anni in molti stati del Sud vige ancora un rigido regime di separazione razziale e viene considerato un fatto del tutto normale per una clinica riservata ai bianchi rifiutare di prendersi cura a un corpo sofferente dalla pelle nera. A nulla valgono le violente proteste dei più decisi tra i soccorritori, accusati dai loro interlocutori di aver perso del tempo prezioso per non aver voluto portare subito la ferita nel più lontano ospedale per neri. In ogni caso è “evidente” che i medici e gli infermieri della clinica “bianca” non c’entrano perché Bessie Smith non è un problema loro. Gli stupefatti soccorritori risalgono sulle auto e tentano una nuova disperata corsa verso l’ospedale afro-americano di Clarksdale. Dopo una notte intera senza soccorsi, le cure dei medici non possono far altro che alleviare i dolori dell’agonia. Alle prime ore dell’alba la donna che era stata insignita del titolo di “Imperatrice del blues” e applaudita in tutti gli States cessa di vivere. Questa è la storia che con le sue parole Janis Joplin tenta di far rivivere nella coscienza dell’America degli anni Settanta. Ci riesce, ma solo per il breve spazio di un respiro, perché poi, si sa, la vita continua.




07 agosto, 2024

7 agosto 1964 - Il film dei Beatles? Pura immondizia!

Il 7 agosto 1964 la prestigiosa rivista statunitense “Time” stronca “A hard day’s night”, il primo film dei Beatles, arrivato anche nelle sale italiane con il curioso titolo di “Tutti per uno”. Il critico del giornale, lasciandosi un po’ scappare la mano, arriva e definirlo “Immondizia”. Si ritrovano nelle parole e nello spirito dell’articolo gli umori scandalizzati di chi non sopporta il divertente gioco di citazioni e l’atteggiamento irridente verso l’ordine costituito che costituiscono l’ossatura fondamentale della pellicola. Fortunatamente, pochi giorni dopo, il magazine “Life” pubblicherà una recensione molto meno umorale e astiosa. invitando i propri lettori a non perdere “questo divertente viaggio surreale nello stile dei fratelli Marx”. Pur non essendo un capolavoro il film, diretto con mano leggera da un giovane Richard Lester deciso a non lasciarsi prendere la mano dai Beatles, è ricco di inventiva affabulatoria e costellato da gag fulminanti. Costruito come un finto documentario musicale in sintonia con il “free movie” inglese di quel periodo, racconta le strampalate e improbabili peripezie del quartetto di Liverpool cui vengono affiancati due personaggi-guida: il nevrastenico manager Norm, interpretato da Norman Rossington e John Mixing, il folle nonno di Paul McCartney, affidato all’esilarante interpretazione di Wilfrid “Steptoe” Brambell. Girato in poche settimane tra marzo e aprile del 1964 con un budget di appena duecentomila sterline il film vola sulle ali della popolarità dei Beatles e incassa solo nella prima settimana di programmazione più di un milione di sterline. Il lungometraggio, nato per rompere lo schema delle esperienze cinematografiche delle star del rock and roll, caratterizzate da trame inesistenti inframmezzate da canzoni, suscita l’attenzione del mondo intellettuale londinese che ne apprezza la struttura d’avanguardia. Porterà bene anche al regista Richard Lester, destinato a diventare uno dei più apprezzati e geniali campioni del divertimento intelligente.

06 agosto, 2024

6 agosto 1994 - Ciao Mimmo

Il 6 agosto 1994 muore a Lampedusa Domenico Modugno, conosciuto nel mondo come "Mister Volare", il cantante italiano più popolare nel mondo dopo Enrico Caruso. La sua è una fine più volte annunciata e altrettante miracolosamente smentita dai fatti. Da anni, infatti, gli fanno compagnia i fastidiosi postumi di una trombosi che lo aveva colpito durante le prove di un programma televisivo. Solo dopo un lunga e faticosa terapia di recupero, è tornato in attività e nel 1987 è stato anche eletto al Parlamento nelle liste del Partito Radicale. Con l’uomo scompare anche l’artista che alla fine degli anni Cinquanta ha cambiato la canzone italiana. Nato a Polignano a Mare, in provincia di Bari aveva iniziato a muoversi nel mondo dello spettacolo come attore e come compositore di canzoni spesso destinate a esaltare il talento di altri quali Musetto interpretata da Gianni Marzocchi, Lazzarella, portata al successo nel 1957 da Aurelio Fierro, Resta cu 'mme per Roberto Murolo e, soprattutto, La donna riccia, uno dei cavalli di battaglia di Renato Carosone. Per gran parte degli anni Cinquanta, però, neppure qualche disco inciso in proprio riesce a farlo affermare come cantante. La svolta avviene nel 1958, al Festival di Sanremo che si svolge dal 30 gennaio al 1° febbraio. Domenico Modugno presenta Nel blu, dipinto di blu un brano che nei giorni delle prove suscita più d'una perplessità in critici ed esperti. Anche a un musicista di scuola jazz aperto alle innovazioni come il maestro Gorni Kramer sembra sfuggire la portata della composizione, tanto da sbottare in un commento indelicato: «Ma che pazzia è questa canzone? Non ha stile, non esiste». Non diversa è l'opinione dei critici presenti, con qualche eccezione come quella di Mario Casalbore che difende Modugno. La canzone è davvero insolita perché, oltre ad avere un testo con evidenti riferimenti surrealisti, introduce per la prima volta sul palcoscenico di Sanremo una mescola di generi diversi, compresi gli echi delle novità ritmiche che arrivano d'oltreoceano. Il pubblico saluta con una vera e propria ovazione l'esibizione di Modugno che sul ritornello allarga le braccia come se volesse levarsi in volo. Tutti si alzano in piedi sventolando i fazzoletti e lo accompagnano in coro. Nei giorni successivi il ritornello «Volare, oh, oh....» diventa il nuovo inno nazionale. Il successo di Nel blu, dipinto di blu è clamoroso ed è destinato a non restare rinchiuso nei confini italiani. La canzone, in varie versioni, fa il giro del mondo e vende venticinque milioni di dischi. Solo Bianco Natale di Bing Crosby è riuscito a fare meglio. Tra i primi a capire il "fenomeno" Modugno c’è Massimo Mila che scrive «Nella sua invenzione melodica confluiscono tumultuosamente ogni sorta di detriti popolari del bacino mediterraneo, agli affioramenti di schietti strati di musicalità popolare si mescolano movenze canzonettistiche di ballabili moderni, echi di banda municipale, come quella che dirigeva Mascagni a Cerignola, e spunti operistici nazionali: Rossini dà il braccio a Duke Ellington, e tutta questa baraonda è fusa come una lava nel fuoco di un contatto schietto con la realtà». Insomma, il 6 agosto 1994 se ne va un genio capace di spezzare la coltre di ghiaccio che teneva inchiodata al suolo la canzone italiana per farla… volare in alto.





05 agosto, 2024

5 agosto 1945 - Nat Jaffe, pianista di charme

Il 5 agosto 1945 muore a soli ventisette anni il pianista Nat Jaffe. Il decesso avviene a New York, la città dove è nato nel 1918. Gran parte dell'infanzia la trascorre in Germania dove la sua famiglia si trasferisce pochi mesi dopo la sua nascita. Tornato a New York nel 1932, inizia la carriera musicale suonando in vari gruppi studenteschi e dilettantistici prima di debuttare professionalmente nella band di Jan Savitt. Successivamente continua da solo come free-lance nei locali e negli studi di registrazione di New York fino alla primavera del 1938 quando ottiene un breve ingaggio con la formazione diretta da Joe Marsala prima di entrare a far parte dell'orchestra di Charlie Barnet. Per buona parte del 1940 suona con il trombonista Jack Teagarden mettendo in mostra qualità di improvvisatore originale e ricco di inventiva. Dopo la collaborazione con Teagarden decide di continuare in proprio alla guida di vari gruppi che si esibiscono soprattutto nei locali della Cinquantaduesima Strada. Tra i musicisti che fanno parte dei suoi combo si sono anche Charlie Shavers e Don Byas. Colpito da una grave malattia abbandona la musica e si ritira dalle scene. Accanto a lui resta solo sua moglie, la cantante Shirley Lloyd.




04 agosto, 2024

4 agosto 1947 - L'elettrocosmico Schulze

Il 4 agosto 1947 nasce a Berlino Klaus Schulze, considerato uno dei maestri negli anni Settanta di quella corrente musicale un po' banalmente definita "elettro-cosmica". Allievo di John Cage, appassionato cultore di Wagner e di Stockhausen, polistrumentista e abile tastierista, resta affascinato dalle nuove sonorità ottenibili attraverso l'uso di sintetizzatori, generatori e oscillatori di frequenza. Nasce così una musica molto ricca ed elaborata a partire dalle strutture ritmiche complesse. Le sue origini musicali non sono diverse da quelle di tanti altri suoi coetanei. Sensibile al fascino dei Beatles nel 1962 è il quindicenne chitarrista degli Psy, un gruppo beat molto popolare tra i ragazzi berlinesi. Negli anni successivi passa alla batteria e proprio con questo strumento partecipa alla registrazione del primo album dei Tangerine Dream, entrando poi a far parte degli Ash Ra Tempel, il gruppo berlinese da molti considerato precursore della musica elettro-cosmica. All'inizio degli anni Settanta decide di realizzare da solo i suoi progetti. Il debutto come solista avviene nel 1972 con l'album Irrlicht. Due anni dopo arriva anche il grande successo commerciale con Black dance un disco di compromesso tra musica sperimentale e dance. Parallelamente all'attività solistica non rinuncia a coltivare progetti originali e più complessi come quello dei Go, una collaborazione tra lui e una serie di strumentisti molto diversi uno dall'altro come Stomu Yamashta, Steve Winwood, Michael Shrieve e Al Di Meola. Alla fine degli anni Settanta fonda la Innovation Communication, un'etichetta nata per promuovere la New Age Music, e continua a pubblicare album inseguendo atmosfere sempre più rarefatte, in ossequio al progressivo affermarsi della New Age come un business più ampio del solo settore musicale. Molti album prodotti dalla sua casa discografica sono suoi anche se portano nomi di fantasia come quelli di Richard Wahnfried, Rainer Bloss e Jyl.


03 agosto, 2024

3 agosto 1996 - Luciano Tajoli, un mito ucciso dalla televisione

Alle ore 19.30 di sabato 3 agosto 1996, nella sua casa di Merate, in Vicolo Carbonini muore a settantasei anni Luciano Tajoli uno dei protagonisti della canzone italiana del dopoguerra. Affetto da un grave handicap fisico conseguente a una poliomielite infantile ha pagato un prezzo altissimo alla discriminazione operata dalla televisione nei suoi confronti perché "zoppo e non telegenico". Eppure nell’Italia del dopoguerra è, più di altri, il simbolo della riscossa della tradizione contro le mode culturali d’importazione arrivate insieme alle truppe alleate. Sotto l’incalzare del jazz e delle musiche di Glenn Miller le fortune del genere melodico all’italiana sembrano finite per sempre. Non è così. «Americano non voglio cantar/ o miei signori mi dovete scusar/ questa sera canto in italian…», queste semplici frasi cantate dalla voce appassionata di Tajoli diventano il segnale di riscossa della tradizione italiana. In lui, però, la tradizione è qualcosa di dinamico, non un punto d’arrivo. Non sarà mai un rivoluzionario innovatore, ma non sceglierà nemmeno di rinchiudersi nel recinto tranquillo della conservazione. La purezza del suo timbro unita a una notevole capacità di virtuosismi vocali, gli consentono di adattarsi via via alle nuove sonorità senza tradire l’ispirazione di fondo. Non ha problemi ad accettare l’utilizzo del microfono nelle esibizioni dal vivo negli anni Quaranta e non si oppone quando, negli anni Settanta, le nuove orchestrazioni rovesciano l’impostazione tradizionale portando in primo piano la sezione ritmica. Leggendaria rimane la sua capacità di passare dalla mezza voce al falsetto creando quegli "svolazzi" vocali che saranno un po' il suo "marchio di fabbrica". Stupefacente è, infine, la sua longevità artistica che gli consente di arrivare, ancora sulla breccia, fino agli anni Novanta, a dispetto delle rare apparizioni televisive che gli vengono concesse a causa della scarsa "telegenicità" della menomazione fisica.



02 agosto, 2024

2 agosto 1969 – La breve stagione dei Thunderclap Newman

Il 2 agosto 1969 balza a sorpresa al vertice della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna il brano Something in the air. Lo interpreta una band sconosciuta che sulla copertina del disco risponde al nome di Thunderclap Newman. Il mistero che la circonda alimenta le voci più disparate. C'è chi dice che sia un gruppo artificiale, inventato in studio per la registrazione di un solo brano, e chi sostiene trattarsi di un gruppo di giovanissimi musicisti alla prima esperienza discografica. In entrambe le ipotesi c'è un fondo di verità. La band non è frutto della interessata fantasia dei discografici, ma una geniale e casuale trovata del tastierista jazz Andy Newman. I componenti non sono tutti giovanissimi ma il chitarrista che risponde al nome di Jimmy McCulloch non ha ancora compiuto diciassette anni. Oltre a Newman e McCulloch la formazione è completata dal cantante e batterista John "Speedy" Keen, un emerito sconosciuto con all'attivo qualche tournée come tecnico al seguito di John Mayall. C'è poi un bassista di cui nessuno sa niente, salvo il nome che sembra inventato da un appassionato di fumetti: Bijou Drains. Il successo della canzone, imprevisto al punto che la casa discografica è costretta a ristamparne il disco, accende i riflettori dei media sulla band. Si scopre così che il fantomatico Bijou Drains non è altri che Pete Townshend, il chitarrista degli Who inventatosi bassista sotto falso nome. L'inaspettata popolarità costringe il gruppo a darsi una struttura più definita e meno legata all'improvvisazione del momento. Speedy Keen cede la sua postazione dietro ai tamburi a Jack McCulloch, fratello di Jimmy, mentre Jim Avery si incarica di suonare il basso. Con questa formazione rinnovata la band affronta il difficile compito di confermare il successo estivo di Something in the air. Il clima, però, non è più quello scanzonato dell'esordio. Tutto si fa tremendamente serio e il loro primo album Hollywood dream, pubblicato nel 1970, è un fiasco sia sul piano commerciale che qualitativo. Il disco segna la fine dell'allegra avventura dei Thunderclap Newman, i cui componenti avranno destini diversi. Il primo batterista Speedy Keen formerà, senza grandi risultati un proprio gruppo pubblicando un paio d'album, mentre Andy Newman non tornerà più al jazz e inizierà una discreta carriera di solista. Il "piccolo" McCulloch, invece, dopo aver suonato con John Mayall, gli Stone The Crows e i Blue, si unirà poi ai Wings di Paul McCartney.

01 agosto, 2024

1° agosto 1950 – Alvin Mouse Burroughs, l'inquieto

Il 1° agosto 1950 a Chicago, nell'Illinois, muore per un'improvvisa crisi cardiaca il batterista Mouse Burroughs, all'anagrafe Alvin Burroughs. Non ha ancora compiuto trentanove anni. Nato a Mobile, in Alabama, cresce nei sobborghi di Pittsburgh e fin da piccolo passa gran parte del suo tempo a percuotere barattoli, pentole, scatole di cartone e tutto ciò che può produrre un suono. Quando qualcuno gli mette tra le mani una batteria capisce che quella sarà la sua vita. A sedici anni suona a Sharon in Pennsylvania insieme a un altro giovane e promettente strumentista che risponde al nome di Roy Eldridge. Nel 1929, quando non ha ancora diciannove anni, ottiene la sua prima importante scrittura. Viene, infatti, chiamato a Kansas City per essere inserito nella formazione dei Blue Devils del contrabbassista Walter Page, considerata una delle migliori formazioni di quel periodo e destinata a diventare la culla della futura orchestra di Count Basie. È sua la batteria che si ascolta in Blue Devil blues e Squabblin’, due delle incisioni più conosciute della band di Page. La sua avventura musicale è, però solo all'inizio. Ben presto se ne va anche da Kansas City e dopo un breve periodo alla corte di Alphonso Trent, si trasferisce a Chicago dove suona con Walter Fuller, Omer Simeon, Budd Johnson e molti altri protagonisti del circuito jazz di quella città. Nel 1938 prende parte a una seduta di incisione organizzata e diretta dal vibrafonista Lionel Hampton, che, non disponendo ancora in quel periodo di una formazione stabile, si affida di volta in volta a gruppi di musicisti reperiti sulla piazza chicagoana. L’anno dopo se ne va a New York per suonare con l'importante orchestra di Earl Hines in sostituzione di Wallace Bishop. Il suo nome è stato suggerito al grande Hines da tre suoi strumentisti, Fuller, Simeon e Johnson, vecchi compagni di Burroughs a Chicago. Con questa orchestra il batterista registra per la Bluebird tra il mese di luglio del 1939 e l’inizio del 1941 una lunga serie di dischi che lo fanno conoscere a livello internazionale. Nonostante i successi la sua inquietudine artistica lo porta a nuove migrazioni. Nel 1941 suona con l’orchestra di Milton Larkin al “Rhumboogie” di Chicago e nel 1942 passa alla formazione di Benny Carter. Dopo un periodo in proprio, nel 1945 entra a far parte del gruppo di Red Allen dove rimane fino al 1946. Nel 1949 diventa il batterista del quartetto di George Dixon con il quale resta fino alla crisi cardiaca che lo uccide.



31 luglio, 2024

31 luglio 1967 - Fuori gli Stones dalle galere!

Dopo una mobilitazione senza precedenti dei più popolari personaggi del beat britannico, il 31 luglio 1967 la Corte d'Appello di Londra libera dal carcere Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones. Cosa ci fanno in prigione due protagonisti di primo piano della musica pop di quel periodo? Facciamo un passo indietro fino al 29 giugno, quando il giudice Lesley Block condanna Jagger a tre mesi di reclusione e cinquecento sterline di multa e Richards a un anno di carcere più cento sterline di multa. L’imputazione è di detenzione e uso di marijuana. La sentenza è immediatamente operativa. Mick Jagger viene rinchiuso nel carcere di Brixton e Keith Richards in quello di Warmwood Scrubs. La notizia fa rapidamente il giro di Londra e immediata scatta la solidarietà. Alla faccia delle finte rivalità e nonostante gli inviti alla prudenza dei loro discografici, i primi a prendere pubblicamente posizione sono gli Who, che, convocata in fretta e furia una conferenza stampa, annunciano l’intenzione di pubblicare un disco con due brani degli Stones, Under my thumb e The last time per “mantenere desta l'attenzione del pubblico” sul lavoro del gruppo. Tre giorni dopo la sentenza il prestigioso Times in un editoriale firmato da William Rees-Moog parte dalla carcerazione dei due artisti per attaccare duramente il sistema giudiziario britannico. La mobilitazione raggiunge il culmine quando, cinque giorni prima del processo d’appello, lo stesso Times ospita in un’intera pagina a pagamento un appello per la legalizzazione della marijuana firmato da tutti e quattro i Beatles, dal loro manager Brian Epstein e da altri personaggi della scena musicale britannica. Questo è il clima nel quale il 31 luglio si svolge l’udienza conclusiva dell’appello. Tra il tripudio dei presenti, dopo la lettura della sentenza il giudice, Lord Parker, con motivazioni tecniche diverse, revoca la condanna al carcere e ordina l’immediata liberazione dei due musicisti.

30 luglio, 2024

30 luglio 1942 – La tubercolosi uccide Jimmy Blanton

Consumato dalla febbre e dal dolore giovedì 30 luglio 1942 nel letto di una triste camerata comune del sanatorio di Monrovia, in California, muore di tubercolosi il contrabbassista Jimmy Blanton. Per i frettolosi inservienti non è altro che un nero come tanti in un epoca in cui in molti Stati si discute ancora se questi strani esseri dalla pelle scura debbano godere o no dei diritti civili. Un modesto e anonimo funerale chiude la breve vita di un musicista destinato a lasciare un segno importante nella storia del jazz e del rock. Quando la tubercolosi se lo porta via ha ventun anni, ma ne dimostra di meno. Le foto dell’epoca mostrano la sua faccia da ragazzo quasi nascosta dietro a uno strumento imponente come il contrabbasso. Nato a St. Louis, nel Missouri, in una famiglia poverissima per passare il tempo si diverte a suonare strumenti a corda inventati da lui. Quando qualcuno gli fa conoscere il contrabbasso decide che quello strano strumento, così simile a quelli con cui gioca, sarà la sua vita. Istintivo e geniale, non ha ancora l’età per portare i pantaloni lunghi quando viene ingaggiato dall’orchestra Jeter-Pillar, una delle più famose della sua città. Nel 1939 il grande Duke Ellington lo ascolta per caso, ne resta affascinato e gli propone, nonostante abbia solo diciott’anni, di entrare nella sua orchestra. L’avventura con il Duke dura fino all’inverno del 1941 quando Jimmy scopre di doversi occupare di una compagna più esigente e più totalizzante del suo strumento: la tubercolosi. Nonostante la brevità della sua carriera Blanton ha un'influenza rilevante nell’evoluzione dell’utilizzo del contrabbasso che lui trasforma da strumento defilato d’accompagnamento in una “voce” importante dell’insieme strumentale. Leggendari restano la sicurezza del suo attacco, la potenza della sonorità e i suoi dialoghi strumentali con il solista o le varie sezioni. La sua lezione, raccolta e sviluppata dai maggiori contrabbassisti del jazz moderno influenzerà anche l’evoluzione del basso elettrico nel rock-jazz degli anni Settanta.

29 luglio, 2024

29 luglio 1974 – Non chiamatemi Mama!

Il 29 luglio 1974 muore improvvisamente nel suo appartamento di Londra, stroncata da un infarto, Cass Elliott, più conosciuta con il nome di Mama Cass, una delle componenti, insieme a John Phillips, Holly Michelle Gillian e Denny Doherty, di uno dei gruppi storici della ventata pacifista hippie degli anni sessanta: i Mamas & Papas. La grossa e simpatica Cass, che non ha ancora compiuto trentun anni, da tempo soffriva di disturbi legati alla sua obesità, ma alla sua morte iniziano a circolare le voci più disparate. Alcuni tabloid parlano di overdose, altri di soffocamento da cibo, ma la realtà è quella che i suoi pochi amici avevano intuito fin dall'inizio: il grande corpo della cantante ha finito per soffocare il suo fragile cuore. Nata a Baltimora, nel Maryland, si trasferisce giovanissima a New York dove studia musica e recitazione. All'inizio degli anni Sessanta canta con i Big Three ed è considerata una delle migliori voci del Greenwich Village. È proprio in questo periodo che la sua obesità, portata quasi con ostentazione, diventa uno degli elementi caratteristici del suo personaggio, quasi quanto la sua voce. Quando prende il via l'esperienza dei Mamas & Papas diventa per tutto il mondo "Mama" Cass. Vive con entusiasmo l'avventura della band e quando si conclude patisce più dei suoi tre compagni l'inevitabile strascico di polemiche e tensioni. Ciononostante arrotola le maniche e riprende la carriera da dove l'aveva lasciata al momento della formazione dei Mamas & Papas. Tra i membri del disciolto gruppo storico è sicuramente quella che raccoglie i migliori risultati come solista. Nel 1968 pubblica con successo il singolo Dream a little dream of me, seguito dall'album omonimo. I vari tentativi di rimettere in piedi i Mamas & Papas la portano a sospendere per un paio d'anni le iniziative solistiche. Torna in sala di registrazione nel 1971 per contribuire con la sua voce alla realizzazione dell'album Dave Mason and friend dell'ex Traffic Dave Mason e due anni dopo pubblica nuovamente come solista, il singolare e ironico The road is no place for a lady (La strada non è un posto per una signora). La sua ironia sembra in linea con il suo personaggio di cicciona simpatica, ma i problemi fisici iniziano a farla entrare in conflitto con se stessa e con quel fisico ingombrante. Pochi mesi prima di morire dà alle stampe il suo nuovo album Don't call me Mama anymore (Non chiamarmi più Mama). È un grido disperato destinato a perdersi nel vuoto.



28 luglio, 2024

28 luglio 1979 - La fine degli Sham 69 e il crepuscolo del punk

Sabato 28 luglio 1979 un imponente servizio d’ordine presidia le strade che circondano il Rainbow di Londra. In quello che è considerato uno dei templi del rock britannico si esibiscono nell’ultimo concerto della loro breve vita gli Sham 69, una band di culto del movimento punk. Le forze dell’ordine sono state allertate fin dalla mattinata. Ogni concerto del gruppo guidato da Jimmy Pursey si trasforma in un campo di battaglia per opera degli skinheads, accesi, quanto imbarazzanti sostenitori degli Sham 69. Del resto non è immotivata la pessima fama, delle “teste rasate”, termine che in quel periodo ha una connotazione di estrema sinistra. Nati come risposta alle provocazioni fasciste del National Front contro i punk, in breve tempo si sono fatti la fama di violenti e attaccabrighe spesso senza motivo. «Se tutti i ragazzi rimarranno uniti, non saranno mai vinti» è il saluto con il quale gli Sham 69 si congedano dal pubblico del Rainbow. Ma non è solo la fine del concerto, né quella della band. La fiammata del punk, anarchica e nichilista, non ha sbocchi e si sta esaurendo. Le urla che salutano l’uscita di scena di Pursey, del batterista Mark “Doidie” Cain, del chitarrista Dave Parsons e del bassista Dave “Kermit” Treganna hanno il sapore dell’addio a una stagione esaltante, ma disperata. Eppure solo un anno prima Jimmy Pursey gettava a terra e calpestava il disco d’argento consegnatogli per le vendite di That’s life in segno di solidarietà con gli Angelic Upstarts, messi alla porta dalla Polydor, la sua casa discografica. Non è più tempo di premi. Le energie del punk si stanno spegnendo. Pursey, dopo un paio d’album da solista, tornerà nell’anonimato, come i ragazzi da lui descritti: «Il punk è un ragazzo che vive in palazzoni desolati della periferia. Non sa cosa fare. Non gli piace la noia e ogni tanto si diverte a sfasciare i vetri di qualche finestra con un mattone, poi torna a casa».




27 luglio, 2024

27 luglio 1992 – Gli Erasure? No che non si sciolgono

Sono tanti i fans che accolgono all’Hammersmith Odeon di Londra il 27 luglio 1992 gli Erasure nel concerto che conclude l’ennesimo tour britannico di uno dei gruppi più importanti della fine degli anni Ottanta. Il successo della tournée ha smentito i corvi che parlavano di loro come di un duo ormai in disarmo, senza più nulla da dire e, nei fatti, alla vigilia dello scioglimento. C’è anche chi ha scritto che la partecipazione al doppio album “Red Hot & Blue” del 1991, una compilation per raccogliere fondi da destinare alle cure dei malati di AIDS, fosse da considerarsi il loro canto del cigno. Il concerto all’Hammersmith Odeon assume così un significato particolare per una coppia nata dall’idea dell'instabile e perennemente insoddisfatto Vince Clarke, famoso per la sua capacità di creare e, con la stessa facilità, abbandonare a se stesse band di grande successo. Nella sua intensa carriera, infatti, dà il suo apporto fondamentale alla nascita e ai primi successi di gruppi come i Depeche Mode e gli Yazoo che lascia prima ancora di poter godere i risultati del suo lavoro. Irrequieto al limite del masochismo, nel 1983 tenta di dar vita con Eric Radcliffe a un progetto chiamato The Assembly: un album con dieci canzoni interpretate da altrettanti cantanti. L'idea, però, si scontra con gli interessi delle case discografiche e con i vincoli contrattuali degli interpreti per cui, nonostante l’ingente mole di materiale registrato, vede la luce soltanto il singolo Never never interpretato da Feargal Sharkey. Dall’ennesimo fallimento nascono gli Erasure, un duo composto da lui e dal cantante Andy Bell, reperito con un’inserzione sulla rivista "Melody Maker". L’esperimento diventa la più longeva esperienza di Clarke, forse stimolato dal clamoroso insuccesso che caratterizza il debutto discografico della coppia con il singolo Who needs love like that alla fine del 1985. Non meglio va ai due dischi successivi. Gli Erasure devono aspettare l’album Wonderland nel 1986 per trovare credito e consensi. Dopo essere stati proclamati “miglior gruppo del 1989” diminuiscono progressivamente la produzione discografica. Per questo quando iniziano il tour britannico del 1992 in pochi credono che manterranno gli impegni. Il concerto dell’Hammersmith Odeon smentisce tutti e diventa un tributo ai fans che hanno creduto in loro.