27 agosto, 2024

27 Agosto 1950 - La fatica di vivere uccide Cesare Pavese

Il 27 Agosto 1950 lo scrittore Cesare Pavese, uno degli autori più amati del dopoguerra, muore suicida ingoiando una forte dose di barbiturici in una camera al secondo piano dell'Hotel Roma a Torino, a due passi dalla stazione di Porta Nuova. Non lascia scritti, a parte un'annotazione, sulla prima pagina di una copia dei “Dialoghi con Leucò”, sul comodino al fianco del letto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.» La morte di Pavese arriva proprio all’apice del successo, nell’anno in cui ha ottenuto il Premio Strega uno dei più ambiti riconoscimenti letterari italiani, per il romanzo “La bella estate”. I giornali popolari guardano con stupore alla scomparsa, per molti versi inspiegabile di questo fragile e introverso autore, tra i più amati del dopoguerra, che diviene rapidamente un simbolo dell’eterna contraddizione tra impegno politico e disagio esistenziale. Al mondo della cultura, invece, il suicidio di Pavese, pur improvviso e doloroso, non appare così inaspettato. L’autore da tempo aveva manifestato il tormento esistenziale di chi sente sempre più come l’esistenza come una fatica. Un anno dopo la sua scomparsa l’editore Einaudi pubblicherà la raccolta di liriche “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.


26 agosto, 2024

26 agosto 1981 - Quel folk singer è un pericoloso comunista!

Il 26 agosto 1981 un arresto cardiaco pone fine alla vita di Lee Hays nella sua casa di New York. Ammalato da anni di diabete è stato uno dei personaggi più significativi del folk politico statunitense. La sua vicenda artistica è strettamente legata con le battaglie politiche, antifasciste e sindacali degli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta. Nel 1941 con Woody Guthrie, Pete Seeger e Millard Campbell fonda gli Almanac Singers, un gruppo di folk urbano che si esibisce nelle fabbriche occupate, nei picchettaggi e nei raduni sindacali. Il gruppo è anche l’inventore degli “Hootenannies”, concerti inframmezzati da storielle divertenti, discussioni politiche e slogan destinati a raccogliere fondi per le battaglie sindacali. Sotto l’incalzare della seconda guerra mondiale la band si scioglie e Hays fa dell’impegno antifascista lo scopo principale della sua attività. Nel primo dopoguerra il clima degli Stati Uniti è cambiato. I partiti della sinistra e i comunisti in particolare vengono guardati con crescente sospetto in una società che prepara la Guerra Fredda. Lee Hays non cambia bandiera e nel 1948 con Pete Seeger, Ronnie Gilbert e Fred Hellerman dà vita agli Weavers. La band ottiene un clamoroso successo commerciale con il brano Goodnight Irene che resta al primo posto della classifica dei dischi più venduti per ben tredici settimane vendendo oltre due milioni di copie. La storia degli Weavers viene, però, drammaticamente interrotta nel 1952 dalla caccia alle streghe scatenata dal senatore McCarthy contro i comunisti e gli oppositori di sinistra. Hays, dopo essere stato sottoposto a umilianti interrogatori dal Comitato contro le Attività Antiamericane e a vessazioni di ogni genere si vede messo al bando dalla vita civile. Inizia così a vivere ai margini del mondo musicale esibendosi in qualche campus universitario o nei circoli sindacali e riuscendo a vivere solo grazie alla silenziosa quanto efficace catena di solidarietà messa in piedi dalla sinistra statunitense. Quando muore i tempi duri sono ormai alle spalle, ma hanno lasciato un segno indelebile sulla sua salute, già minata dal diabete.




25 agosto, 2024

25 agosto 1979 - Stan Kenton l'uomo che trattava l'orchestra come se fosse uno strumento

Il 25 agosto 1979 muore al Midway Hospital di Hollywood all’età di sessantasette anni Stan Kenton o, come risulta dai dati anagrafici, Stanley Newcombe Kenton, uno dei protagonisti di primo piano della storia del jazz orchestrale. Nato a Wichita, nel Kansas, si trasferisce poi con i genitori in un sobborgo di Los Angeles. Non sa ancora scrivere compiutamente il suo nome quando la madre inizia ad avviarlo ai segreti della tastiera di un pianoforte. La musica diventa ben presto il suo mondo. Non si accontenta del piano. Studia armonia e composizione e nel 1928 ha da poco compiuto i sedici anni quando scrive le partiture del suo primo arrangiamento. Una lunga gavetta in gruppi dell'hinterland losangelino precede il primo regolare contratto. Glielo propone Everett Hoagland che, nel 1934, lo scrittura come pianista e arrangiatore. Suona poi per un anno circa con Gus Arnheim e, in seguito, con Vido Musso e Johnny Davis, ma la sua idea fissa, il sogno della sua vita, è la costituzione di una grande orchestra. È talmente sicuro di farcela che dedica gran parte del suo tempo a preparare arrangiamenti destinati alla sua big band. Nel 1940 il sogno inizia ad avverarsi. La sua formazione non va oltre nove musicisti, ma è un primo passo. Ci riesce l'anno dopo quando chiama accanto a sé un nutrito gruppo di musicisti che, pur non potendo contare su grandi nomi, riesce a conquistare larghe schiere di appassionati. È l'inizio di una straordinaria carriera scandita dalle collaborazioni con quasi tutti i grandi jazzisti del dopoguerra e di cui resta una traccia consistente in oltre cinquanta album. Abilissimo negli arrangiamenti e nella direzione Stan Kenton tratta l'orchestra come fosse uno strumento, quasi annullando le individualità dei singoli strumentisti in una sorta di sintesi superiore. Sono pochi, nel jazz, i casi di un leader capace di sostituire qualsiasi musicista senza cambiare il volto della formazione. Proprio questa sua pretesa di sottomettere a un progetto corale le individualità, che qualcuno battezza "jazz sinfonico", gli vale anche le maggiori critiche. Se da un lato gli si riconosce il merito di aver saputo superare la crisi delle big band, dall'altra lo si ritiene marginale nell'evoluzione del movimento jazzistico, basata innanzitutto sulla grande creatività dei singoli. Mentre la critica si accapiglia lui tira dritto per la sua strada fatta di arrangiamenti calibrati, di esecuzioni perfette e di particolarissime e riconoscibili sonorità orchestrali. Non si fermerà più fino alla morte.

24 agosto, 2024

24 agosto 1963 – Ciro Formisano il primo interprete di "Varca napulitana"

Il 24 agosto 1963 in una modesta casa di Fuorigrotta a Napoli muore il cantante e attore Ciro Formisano. Ha settantacinque anni e, se si eccettua un breve commento nella cronaca locale, i giornali non danno neppure la notizia della sua morte. In quel periodo, infatti, sono pochi quelli che ancora si ricordano di lui, ma il suo nome è entrato di diritto nella storia della canzone per essere stato il primo interprete del famoso brano "Varca napulitana", un classico della canzone napoletana scritto da Frustaci e Sala. Nato nel capoluogo campano nel luglio del 1888 studia canto con il tenore Fernando De Lucia. Il suo sogno è quello di diventare una stella della lirica e proprio nell'opera all'inizio degli anni Venti fa il suo debutto in palcoscenico. Il destino, però, ha in serbo altre sorprese per lui. Nel 1924, mentre sta preparando un recital di romanze e canzoni da eseguire al Trianon di Napoli, gli viene proposto un brano mai eseguito. È Varca napulitana, una canzone che fino a quel momento è rimasta nel cassetto degli autori perché nessun cantante se l'è sentita di inserirla in repertorio. Formisano all'inizio è scettico, ma poi, cedendo alle insistenze dei due autori accetta di farla sua nel concerto del Trianon. Il brano diventerà un classico e lui resterà nella storia della canzone italiana per esserne stato il primo interprete. Sull'onda del successo decide di lasciare la lirica per dedicarsi alla canzone. A partire dal 1926 passa a tempo pieno al varietà, dove ottiene uno straordinario successo con un repertorio di classici napoletani. Negli anni Trenta e Quaranta è popolarissimo. La sua fama non si ferma a Napoli e neppure nei confini italiani. Numerosissime tournée in Europa e in Nordamerica costellano la sua intensa attività. Come molti protagonisti di quel periodo, però, all’inizio degli anni Cinquanta quando la fatica degli anni comincia a farsi sentire, lascia il palcoscenico e si ritira a vita privata nella sua Napoli.

23 agosto, 2024

23 agosto 1927 - Sta tutt’o munno sano arrevutato pe’ Sacco e Vanzetti cundannate

Nella prigione di Charleston nel Massachusetts sono le ore 0,19 del 23 agosto 1927 quando il boia abbassa la leva che immette la corrente nella sedia elettrica sulla quale è stato immobilizzato Nicola Sacco. Sette minuti dopo, alle 0,26, tocca a Bartolomeo Vanzetti. Finisce così la vita e la vicenda processuale dei due anarchici italiani. Il loro calvario inizia il 5 maggio 1920 quando mentre sono sul tram che da Bridgewater porta a Brockston, finiscono nella rete repressiva stesa dalla polizia per reprimere l’attivismo anarchico. Fermati per accertamenti vengono trovati in possesso di volantini d’agitazione politica, di un revolver a testa e delle relative munizioni. Trattenuti e sottoposti a tre giorni di incalzanti quanto ripetitivi interrogatori Sacco e Vanzetti si ritrovano sul capo un’accusa di assassinio. Per il procuratore Gunn Katzman sono loro gli autori di una rapina avvenuta il 15 aprile 1920 ai danni del calzaturificio “Slater and Morrill” di South Baintree nella quale sono stati uccisi a colpi di pistola il cassiere dell’azienda e una guardia giurata. I due italiani vengono condannati a morte nel 1921 dopo una lunga vicenda processuale che non ha messo in evidenza alcuna prova concreta a loro carico. C’è chi scrive che il verdetto appare fortemente condizionato dal clima repressivo esistente negli Stati Uniti contro gli anarchici, ma anche da un tutt’altro che nascosto sentimento razzista nei confronti degli immigrati italiani. In sostanza la loro unica colpa è quella di essere immigrati italiani e anarchici. L’ingiustizia della loro condanna provoca una reazione delle coscienze negli Stati Uniti e nel mondo. Contro la loro esecuzione si mobilitano gli organi di stampa e una lunga serie di intellettuali come Bertrand Russell, George Bernard Shaw e John Dos Passos. In moltissimi paesi nascono comitati per la loro liberazione. Tutto è inutile. Neppure la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla rapina scagionando Sacco e Vanzetti riesce a fermare la “macchina della giustizia”. «Mai vivendo l'intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». In questa frase, rivolta da Bartolomeo Vanzetti alla giuria che lo condanna alla pena capitale c’è il senso di una vicenda che non finisce con la morte dei protagonisti. I due anarchici italiani sono destinati a diventare in tutto il mondo un simbolo della lotta alle ingiustizie, oltre che all’idea stessa di pena capitale. Gran parte degli esponenti più conosciuti della canzone napoletana degli anni Venti si mobilitano per Sacco e Vanzetti trasformando gli spettacoli delle loro tournée nordamericane in vere e proprie iniziative di solidarietà. Come in una sorta di passaparola solidale le vedette del café chantant made in Napoli cantano brani come Mamma sfurtunata (‘A seggia elettrica) («...ma chella mamma s’accurgette subito/ca n’copp’a seggia elettrica ‘o figlio jeva a murì...) che porta la firma illustre di Ermete Giovanni Gaeta, meglio conosciuto con lo pseudonimo di E.A. Mario. Più ricca di implicazioni politiche è Lettera a Sacco p’o figlio suoio, («...e mo chistu volo se spezzate/dimostra chi è nucente, tu me muore...») scritto dal duo Ambro's-Ferraro il 27 maggio 1927, inciso anche su disco da Alfredo Bascetta. Dedicata a Sacco e Vanzetti è anche Lacreme ‘e cundannate, («...sta tutt’o munno sano arrevutato/pe’ Sacco e Vanzetti cundannate...») un brano che all’epoca del processo e della condanna a morte viene eseguito addirittura dalla bellissima “sciantosa e canzonettista” Gilda Mignonette nei suoi spettacoli. Nei giorni che precedono l’esecuzione Sica e Ferraro compongono E figlie 'e nisciune mentre quando tutto è finito Imella e Bascetta firmano Core nun chiagnere, una melodia malinconica che chiede di non smettere di sperare nella ricerca della verità.

22 agosto, 2024

22 agosto 1964 – Where did our love go, un successo in extremis per le Supremes

Il 22 agosto 1964 le Supremes arrivano al primo posto della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con il brano Where did our love go. Il trio femminile formato da Diana Ross, Mary Wilson e Florence Ballard tocca i vertici del successo commerciale proprio nel momento in cui sta per essere messa in discussione la sua stessa esistenza. Il risultato arriva dopo tre anni passati alla corte della Motown, ricchi di lavoro e di promesse. Quando nel 1961 fanno il loro debutto discografico con il singolo I want a guy, le Supremes non godono di attenzioni particolari da parte dell'etichetta nera di Detroit. Il padre-padrone Berry Gordy jr le mette nei fatti sullo stesso piano degli altri due gruppi femminili della Motown: le Marvelettes e Martha & The Vandellas. La vita è dura ma il lavoro non manca. Le tre ragazze alternano infatti i dischi e gli spettacoli in proprio con il duro lavoro di studio come coriste per gli artisti di punta della loro etichetta, primi fra tutti Mary Wells e Marvin Gaye. Tra il 1961 e il 1963 pubblicano ben sei dischi nei quali fanno sfoggio della loro capacità di confrontarsi con i più diversi stili. In campo musicale l'eclettismo, però, non è sempre considerato un pregio. Nel loro caso c'è chi comincia a parlare di mancanza di personalità. A favore hanno una tenacia non comune e, soprattutto, l'amicizia e la stima dell'équipe che lavora alla costruzione dei successi della Motown. Alla fine del 1963 inizia a occuparsi di loro un trio "magico" di autori e produttori composto dai fratelli Eddie e Brian Holland e da Lamont Dozier. Proprio loro regalano alle tre ragazze il primo disco capace di piazzarsi in classifica. È When the lovelight starts shining through his eyes, pubblicato nel gennaio 1964. Si tratta di un assaggio. Pochi mesi dopo l'accattivante ritmo e gli intrecci vocali spericolati di Where did our love go consacreranno definitivamente le tre Supremes tra le stelle della musica di Detroit.


21 agosto, 2024

21 agosto 1976 - Runaways, le cattive ragazze del punk rock

Il 21 agosto 1976 le Runaways entrano per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con l’album The Runaways. È la prima volta che una band di punk rock interamente femminile ottiene un simile successo commerciale. La formazione delle Runaways comprende la cantante Cherrie Currie, la chitarrista Lita Ford, la chitarrista ritmica Joan Jett, la bassista Jackie Fox e la batterista Sandy West. Prodotto da Kim Fowley l’album le impone all’attenzione del pubblico e della critica che le considera un po’ riduttivamente una “versione femminile dei Ramones”. L’aspetto più sorprendente e la rapidità con la quale si sono imposte in un mondo, quello dal punk rock, fino a quel momento esclusivamente maschile. Pochi mesi dopo essere state scoperte e scritturate a Los Angeles dalla Mercury, le cinque ragazzacce hanno centrato l’obiettivo al primo colpo. Qualcuno sospetta che dietro l’improvviso successo ci sia l’abile zampino di Fowley e che le Runaways siano solo una furba operazione commerciale. Non è così. Chiamate a far da spalla a due gruppi importanti come i Television e i Talking Heads a settembre faranno esplodere con la loro fulminante esibizione il CBGB’s, tempio del punk rock newyorkese. Un successo così rapido non può però non ripercuotersi sull’equilibrio interno del gruppo, che non reggerà alla pressione e si frantumerà con altrettanta rapidità. Alla vigilia del primo tour giapponese della band se ne andrà Cherrie Currie. Non verrà sostituita e le Runaways resteranno in quattro con Joan Jett a fare anche da cantante solista. La soluzione interna non basterà, però, a sopperire alla defezione di Jackie Fox che all’inizio dell’estate del 1977 lascerà il gruppo con i nervi a pezzi dopo aver tentato il suicidio, incapace di reggere lo stress della popolarità. Verrà sostituita dalla bassista Vickie Blue, ma ormai il gruppo è entrato nella fase autodistruttiva. Dopo lo scioglimento delle Runaways Cherrie Currie, Joan Jett e Lita Ford continueranno con alterna fortuna, ciascuna per la propria strada, la carriera musicale.

20 agosto, 2024

20 agosto 1977 – La prima volta dei Fischer-Z di John Watts

Il 20 agosto 1977 dopo vari tentativi debuttano finalmente i Fischer-Z, la band britannica nata da un progetto John Watts, un tipo sveglio che, oltre ad aver studiato sax, clarinetto e batteria ha anche fatto parte del coro della Reale Accademia Militare di Sandhurst. Da tempo lui e il suo inseparabile amico Steve Skolnik lavorano all’idea di questo gruppo. Conosciutisi all’università alcuni anni prima hanno dato vita a un duo chiamato The Onknow Band. Perennemente insoddisfatti e desiderosi di trovare nuove sollecitazioni si trasferiscono prima ad Amsterdam e poi in California, salvo decidere alla fine di ritornare in Gran Bretagna. Nel gennaio 1977 danno vita agli Sheep, una formazione che ancora non riesce a soddisfare appieno le loro aspettative. Con l'aiuto di alcuni annunci pubblicati su "Melody Maker", riescono finalmente a completare l'organico a dar vita ai Fischer-Z. La formazione che il 20 agosto si esibisce per la prima volta in pubblico oltre alla chitarra di John Watts e alle tastiere di Steve Skolnik, schiera il batterista Steve Liddle e il bassista David Graham. L’anno seguente pubblicano i primi due singoli Wax dolls e Remember Russia, anche se il successo tarda fino al 1979 quando il singolo The worker e l'album Word salad conquistano pubblico e critica. Nel 1980, dopo il buon successo di So long e del secondo album Going deal for a living, Skolnik lascia la band e viene sostituito da Bernard Newman. La sua sostituzione riguarda soltanto le esibizioni dal vivo, perchè nella registrazione del terzo album Red skies over paradise del 1981 è lo stesso Watts a occuparsi delle tastiere. La storia della band è però arrivata al capolinea. Nell'estate del 1981, infatti, John Watts, scioglie i Fischer-Z e decide di continuare pubblicando l'album One more twist e il singolo Speaking a different language. La breve avventura dei Fischer-Z non finisce qui. Sull’onda della nostalgia rivedranno, infatti, la luce una decina d’anni dopo, nel 1992, quando, riformatisi, pubblicheranno Destination paradise.




19 agosto, 2024

19 agosto 1991 - Joe Cocker piuttosto di cambiare vita cambia manager

Dato molte volte per finito Joe Cocker sta vivendo nel 1991 l’ennesimo momento magico della sua carriera. L’anno è iniziato con un grandissimo concerto al Maracanà di Rio davanti a oltre sessantamila spettatori ed è proseguito con un’intensa attività dal vivo. Sembra tutto andare per il meglio quando, il 19 agosto, il cantante in una conferenza stampa annuncia di aver licenziato il suo manager Michael Lang e di aver chiesto a Roger Davies di prenderne il posto. La notizia fa sensazione perché sono in molti a credere che il rilancio delle azioni del cantante sia in gran parte dovuto alla capacità promozionale del suo manager. Cocker aggiunge che la sua decisione è definitiva, che non ci saranno ripensamenti. Il motivo? Lang sarebbe colpevole di averlo invitato a rallentare l’attività per non inflazionare la sua immagine. I giornalisti lo subissano di domande. Il vecchio Joe ascolta in silenzio e poi sbotta: «Che razza di mondo è questo dove anche uno come me deve pensare all’immagine? Finora ho dimostrato troppa arrendevolezza verso chi voleva manovrarmi come uomo e come cantante. Penso di essere abbastanza intelligente per potermi permettere di gestire il mio personaggio come pare a me assumendomene tutti i rischi. Se uno nasce con un carattere se lo porta dietro finché campa e non saranno certo un produttore o un manager a cambiare il mio modo d’agire. So perfettamente che nell’ambiente circolano su di me una quantità enorme di stupidaggini e che nessuno mi ha mai preso sul serio, ma non me ne frega niente, tanto ho perso già da tempo il vizio di pianificarmi la vita. Alla mia età rivendico il diritto di andare avanti alla giornata e di fare qualunque cosa come se mi si presentasse per la prima volta. Non mi piacciono questi anni Novanta, falsi e retorici. Pazzo? No non sono pazzo. Potrei diventarlo, certo. Sappiate però che se ciò avverrà non sarà certo a causa di quegli sciocchi che mi girano intorno».



18 agosto, 2024

18 agosto 1966 - Paul Jones saluta i Manfred Mann

Il 18 agosto 1966 la notizia che da qualche giorno circola negli ambienti musicali britannici diventa ufficiale: il cantante Paul Jones lascia i Manfred Mann per continuare come solista e, pare, dedicarsi alla carriera cinematografica. Per sostituirlo verranno contattati prima Rod Stewart e Wayne Fontana, ma poi il posto verrà affidato a Mike D’Abo. A detta dei media la fuga del cantante rischia di essere però un duro colpo d'immagine per la band fondata dal sudafricano Mike Lubowitz, in arte Manfred Mann. Paul Jones appartiene, infatti, al nucleo storico del gruppo e la sua figura carismatica ha avuto un ruolo determinante nel suo successo. I tentativi di trattenerlo non ottengono risultati anche perché, stando alle dichiarazioni, non c'è nulla di personale nella scelta di abbandonare il suo vecchio amico Lubowitz. Paul Jones se ne va perché è stanco delle continue mediazioni imposte dalla vita di un gruppo. Ha in mente un progetto solistico che si concretizza nella pubblicazione di dischi di scarso rilievo con brani come High time e I've been a bad bad boy. Dal punto di vista musicale la sua scelta solistica non lascerà tracce consistenti almeno fino agli anni Ottanta, quando darà vita alla Blues Band con Tom McGuinness. Paul Jones trova, comunque un modo per caratterizzare con la sua personalità quegli anni anche al di fuori dell'esperienza dei Manfred Mann. Viene infatti scelto da regista Peter Watkins per interpretare la parte del protagonista in "Privilege", uno dei film simbolo degli anni Sessanta. Nell'interpretazione del personaggio di Steve Shorter, il cantante pop strumentalizzato dal music business e poi abbandonato a se stesso quando prende coscienza della sua condizione perde un po' del carisma scenico, ma si guadagna quel pezzetto d'immortalità che le sue esperienze solistiche probabilmente non gli avrebbero dato. Nonostante le previsioni fosche sul loro destino i Manfred Mann, sopravviveranno anche senza il loro storico cantante. Prima di inserire in organico una nuova voce solista tentano, per la verità, di lasciare le cose come stanno pubblicando due EP strumentali Instrumental asylum e Instrumental assassination che, però, lasciano indifferente il pubblico. Abbandonata rapidamente ogni velleità di rinnovamento e inserito in organico il già citato Mike D'Abo, ritroveranno la strada del successo con brani di facile consumo, pur se non privi di originalità come Ha! Said the clown, My name is Jack, Fox on the run e Ragamuffin man, oltre alle dylaniane Just like a woman e The Mighty Quinn.


17 agosto, 2024

17 agosto 1986 - Per i Def Leppard la solidarietà conta più del successo

Il 17 agosto 1986 a Donington nel corso del Monsters of rock, salutati da un’ovazione e accolti dal rispetto di tutto il “popolo metallico” tornano a esibirsi in pubblico dopo quasi due anni i Def Leppard. La band di Sheffield schiera in formazione il batterista Rick Allen che riprende il suo posto dopo aver subito l’amputazione di un braccio. I suoi compagni Joe Elliott, Steve Clark, Rick Savage e Phil Collen entrano così nella storia del rock per uno straordinario atto di solidarietà, inusuale in un ambiente in cui i soldi sembrano contare più dei rapporti umani. Tutto ha inizio il 31 dicembre 1984, quando Rick Allen viene coinvolto in un grave incidente automobilistico. Al suo arrivo in ospedale ha ferite in tutto il corpo, ma, soprattutto, ha il braccio sinistro ridotto in condizioni pietose. I medici tentano il tutto per tutto, vista anche la popolarità del paziente, ma non possono evitare il peggio. Tre giorni dopo il ricovero l’arto viene amputato. In quel periodo i Def Leppard sono all’apice della popolarità, soprattutto negli Stati Uniti dove i loro dischi arrivano regolarmente al vertice delle classifiche. L’incidente a Rick Allen è di quelli che, in genere chiudono una carriera. Si è mai visto un batterista heavy metal senza un braccio? La vita deve continuare e il successo anche. I discografici propongono ai Def Leppard vari sostituti, ma Elliott e i suoi compagni prendono tempo. Vogliono prima parlarne con Rick. «Se tu sei disponibile, noi non continuiamo senza di te. Oggi la tecnica fa miracoli. Se tu ci stai t’aspettiamo. Abbiamo cominciato insieme, continueremo insieme. Ci sono cose che contano più dei soldi. Ci stai?» Il batterista ci pensa un po’ e poi risponde di sì. Quando viene dimesso, per mesi si esercita a suonare una nuova batteria con un solo braccio e con i piedi, chiedendo aiuto all’elettronica per i passaggi più complessi. Dopo un anno di faticoso lavoro è pronto. A Donington è di nuovo in concerto con i Def Leppard, dietro a una sofisticata batteria elettronica Simmons, dotata di un computer SD57. L’energia è la stessa di prima, la voglia di suonare anche.




16 agosto, 2024

16 agosto 1968 – L’inaspettata morte di Cutty Cutshall

Il 16 agosto 1968 a Toronto, in Canada, dove si trova in tournée con gli All Stars di Eddie Condon, muore improvvisamente il trombonista Cutty Cutshall. Ha cinquantasette anni. Nato a Huntington County, in Pennsylvania, 29 dicembre 1911 è registrato all’anagrafe con il nome di Robert Dewee Cutshall. Giovanissimo comincia l'attività professionale a Pittsburg suonando nell'orchestra sinfonica comunale e in vari gruppi da ballo. Nel 1934 viene ingaggiato da Charley Dornberg e dal 1938 al 1940 suona con il gruppo della cantante Jan Savitt Successivamente entra nell’organico dell'orchestra di Benny Goodman e ci resta fino alla fine del 1946 sviluppando un rapporto di amicizia e rivalità professionale con Lou McGarity. Nella band di Goodman Cutshall si fa conoscere e apprezzare sia dai critici sia dal grosso pubblico. Nel 1948 ottiene un importante ingaggio al Nick's, il tempio dei dixielanders di New York, dove suona prima con Billy Butterfield. A partire dal 1949 entra a far parte degli All Stars di Eddie Condon diventandone un componente fedele e quasi inamovibile. Verso la fine degli anni Cinquanta, Cutshall suona anche con le orchestre di Bob Crosby, ancora una volta a fianco di McGarity, e di Wild Bill Davison pur senza abbandonare l’impegno primario con il "clan” di Condon. Nel 1965 entra partecipa a una serie di registrazioni della band di Yank Lawson e Bob Haggart che dal punto di vista stilistico anticipano la nascita della World Greatest Jazz Band nella quale ha ancora una volta al suo fianco McGarity. Non riuscirà però a prender parte alle prime incisioni di quest’orchestra perchè la morte lo sorprende a Toronto dove avrebbe dovuto esibirsi per l’ultima volta con gli All Stars di Condon.


15 agosto, 2024

15 agosto 1962 – L'ultima volta di Pete Best con i Beatles

Il 15 agosto 1962 Pete Best suona per l’ultima volta con i Beatles al Cavern di Liverpool. Il giorno dopo l'addio viene reso ufficiale. Le ragioni della separazione non sono mai state completamente chiarite anche perché gli stessi protagonisti con le loro contrastanti e spesso contraddittorie versioni non hanno certo contribuito a dissipare i dubbi. L'ipotesi più divertente è quella che racconta di un intervento deciso della madre di Pete Best sul figlio per costringerlo a tornare a lavorare con lei abbandonando quei tre «squinternati che non combineranno mai niente di buono». Pur suggestiva e divertente, quest'ipotesi appare poco credibile. La ragione più probabile e più accreditata è che l'artefice del killeraggio del batterista sia stato Brian Epstein, da poco manager del gruppo. È risaputo, infatti, che fin dall'inizio del suo rapporto con i Beatles, Epstein abbia sempre considerato Pete inadatto alla band. Se non provvede a liquidarlo fin dall'inizio è perchè inizialmente trova una decisa opposizione in Paul, John e George, gli altri tre componenti della band, amici e affezionati al loro picchiatore di tamburi. L'assidua opera di demolizione da parte del manager finisce però per incrinare i rapporti interni alla band. Chi assiste all'esibizione del 15 agosto non può non accorgersi di come ormai il batterista si senta un corpo estraneo in un gruppo che non è più il suo. Fuori lui Brian Epstein tenta di imporre ai suoi tre recalcitranti protetti un suo pupillo. È Johnny Hutchinson dei Big Three, che, però, dopo aver suonato in concerto al Riverpark Ballroom di Chester, rifiuta. A due giorni dall'addio di Pete, John, Paul e George decidono allora di prendere in mano la situazione e chiamare un loro amico: Richard Starkey, il batterista di Rory Storm & The Hurricanes, conosciuto negli ambienti musicali con il nome di Ringo Starr. Quando lo contattano lui non si lascia scappare l'occasione. Il 18 agosto Ringo Starr suona per la prima volta con i Beatles. La formazione è completa e pronta a lasciare il suo segno nella storia.

14 agosto, 2024

14 agosto 1974 - Quella canzone è un’offesa per le donne

«Già nel titolo, quella canzone è una schifezza maschilista, gli interpreti dovrebbero vergognarsi e il pubblico starle alla larga». Il 14 agosto 1974 una buona parte dei gruppi che compongono il variegato arcipelago femminista statunitense attacca ferocemente il brano You’re having my baby (Stai aspettando il mio bambino), interpretato da Paul Anka in coppia con la cantante Odia Coates. Viene rimproverato alla canzone di essere il sottoprodotto di una cultura che non dovrebbe più avere spazio nell’America degli anni Settanta. Le accusatrici sostengono, infatti, che in essa c’è un esplicita esaltazione del ruolo subalterno della donna nella riproduzione. La figura femminile cui è dedicata la canzone verrebbe, infatti, vista come «un contenitore senza cervello di qualcosa che è proprietà dell’uomo». La denuncia dà il via a una serie di iniziative che invitano il pubblico americano a boicottare il disco e le emittenti radio-televisive a non mandarlo in onda. La National Organization Of Women mette in piedi un’improvvisata cerimonia nella quale conferisce al brano il premio di “Schifezza dell’anno”. I due interpreti si difendono come possono, soprattutto Odia Coates, bersagliata in modo particolare per aver prestato la sua voce a “una donna stupida e soggiogata”. Paul Anka, invece, tende a minimizzare le reazioni dicendo che a suo avviso sono eccessive e che è stata fraintesa la carica poetica del brano. Le frasi sono di circostanza, ma il cantante non appare scosso per l’improvvisa e inaspettata pubblicità Dopo anni di assenza, infatti, l’ex idolo delle ragazzine degli anni Cinquanta, interprete di Diana e autore di My way si ritrova al centro di rinnovate attenzioni da parte dei media. Tutto il clamore suscitato attorno alla canzone finisce per premiarla oltre misura, tanto che dieci giorni dopo arriverà al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti.

13 agosto, 2024

13 agosto 1953 – Rosalino Cellamare, anzi Ron

Il 13 agosto 1953 a Dorno, in provincia di Pavia, nasce Rosalino Cellamare, destinato a diventare uno dei protagonisti della scena musicale italiana degli anni Ottanta e Novanta. Fin da piccolo vince vari festival per voci nuove e nel 1970 con il nome di Rosalino, partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Nada con Pà diglielo a mà, e nel 1971 porta a "Un disco per l'estate" il brano Il gigante e la bambina scritto da Lucio Dalla su un testo della poetessa Paola Pallottino. Nello stesso anno debutta anche come autore, scrivendo, con lo stesso Dalla, la canzone Piazza grande. Nel 1972 pubblica Il bosco degli amanti, il primo album della sua carriera. Nonostante la sua giovane età, anche per difetti di una promozione legata al personaggio di “adolescente prodigio”, i suoi dischi non riescono a ottenere riscontri significativi. Nel 1973 porta in scena “Dal nostro livello”, uno spettacolo musicale e teatrale basato sui temi degli alunni delle scuole elementari di Cinisello Balsamo. Dopo alcuni lavori teatrali e cinematografici, cambia nome in Ron, pubblica un paio di singoli come I ragazzi italiani e, nel 1979 partecipa al tour di Lucio Dalla e Francesco De Gregori. L'anno dopo, con l'album Una città per cantare, conquista definitivamente pubblico e critica. Da quel momento l'appuntamento con il successo è diventato una costante della sua carriera tanto da farlo diventare, negli anni Novanta, un punto di riferimento per molti giovani autori.

12 agosto, 2024

12 agosto 1995 – Achille Togliani, la voce di velluto

Il 12 agosto 1995 muore a Roma il cantante Achille Togliani, uno dei personaggi della canzone italiana più amati dal pubblico del dopoguerra Negli anni Cinquanta le ragazze sono pronte a far follie per lui. Bello, elegante, con un fisico da divo del cinema, Achille Togliani non è soltanto un cantante di successo dalla voce vellutata ma uno dei personaggi più carismatici dello spettacolo italiano di quel periodo. Protagonista delle cronache rosa appassiona il pubblico interpretando fotoromanzi di successo che in quel periodo vendono centinaia di migliaia di copie. Proprio durante l’interpretazione di uno di questi racconti fotografici gli viene attribuita una relazione sentimentale con la protagonista femminile. Il suo nome d’arte è Sofia Lazzaro e di lì a qualche tempo lo cambierà in Sofia Loren. Interpellato sull’argomento anche a distanza di anni lui, da gentiluomo, non commenterà mai quelle voci. Dal punto di vista musicale il suo successo non è frutto del caso. Achille Togliani, infatti, può essere senza alcun dubbio inserito nel ristretto gruppo degli innovatori della canzone italiana. Con lui la figura del cantante melodico evolve sia dal punto di vista della gestualità sul palco che della tecnica interpretativa dal punto di vista squisitamente vocale. Uomo del suo tempo in un periodo in cui l’amplificazione della voce non è più una stranezza sperimentale, ma un pratica ormai diffusa, inizia a utilizzare il microfono come un vero e proprio strumento. A differenza degli interpreti più tradizionali che tentano di stupire il pubblico con la potenza dell’emissione la sua voce accentua le sfumature, cura i dettagli e dimostra come anche un sussurro possa essere fondamentale. Lo fa senza troppi timori reverenziali, con l’incoscienza e la voglia di avventura tipiche degli innovatori tanto che le sue riproposizioni in chiave moderna del “classici” degli anni Trenta e Quaranta restano una pietra miliare nella storia della canzone italiana. Nato il 16 gennaio 1924 a Pomponesco, in provincia di Mantova è figlio di un meccanico e appena può se ne va a Roma per cercar fortuna nel mondo del cinema. Superato brillantemente l’esame d’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia partecipa ai corsi di recitazione. Nonostante l’applicazione e i buoni risultati l’incontro con Cinecittà lo delude. Nel 1944, quando sta per mollare tutto, viene scritturato da Erminio Macario per sostituire nella sua compagnia Alberto Rabagliati. I successi nel teatro di rivista gli riaprono anche le porte del cinema. Nel 1948 incontra per la prima volta il maestro Cinico Angelini che, dopo averlo ascoltato cantare, lo scrittura per una breve tournée. È l’inizio di un rapporto destinato a durare nel tempo. Nel 1951 partecipa alla prima edizione del Festival di Sanremo conquistando il secondo e il terzo posto in coppia con Nilla Pizzi con le canzoni La luna si veste d’argento e Serenata a nessuno. Da quel momento diventa un idolo delle ragazze italiane e consolida la sua popolarità con una lunga serie di fotoromanzi di successo. Partecipa a tutte le prime quattro “pioneristiche” edizioni del Festival di Sanremo conquistando il terzo posto nel 1953 con Lasciami cantare una canzone in coppia con Teddy Reno e il secondo nel 1954 con Canzone da due soldi insieme a Katyna Ranieri. Torna più volte sul palcoscenico sanremese conquistando ancora una terzo posto in coppia con Teddy Reno nel 1959 con Conoscerti. Al suo “albo d’oro” non manca neppure il Festival di Napoli vinto nel 1954 con Suonno d’ammore in coppia con Tullio Pane. Nella seconda metà degli anni Sessanta sotto l’incalzare di nuove mode riduce la sua attività ma senza ritirarsi mai completamente dalle scene.

11 agosto, 2024

11 agosto 1989 - L.L. Cool J. un macho sessista?

L'11 agosto 1989 tre componenti del team del rapper L.L. Cool J., il vocalist David Parker, il tecnico Gary Saunder e uno degli addetti al servizio d’ordine, Christopher Tsipouras, vengono accusati di atti di libidine violenta per aver abusato di una ragazza di quindici anni sorpresa nel backstage dopo un concerto. L'episodio suscita sdegno e conferma le critiche da tempo rivolte al rapper di snaturare la carica eversiva della musica rap, facendone strumento di pulsioni "machiste" e sessuali più che di ribellione sociale. Tracce evidenti di questa impostazione si ritrovano anche nella stessa scelta del nome d'arte di L.L. Cool J. (Ladies Love Cool James), da parte del newyorkese James Todd Smith (questo è il suo vero nome). Iniziato alla musica da un nonno di professione disk jockey, nel 1984 pubblica il suo primo singolo I need a beat. L'anno successivo gli si aprono le porte del cinema. Dopo aver cantato I can't live without my radio nel film "Krush groove" pubblica il suo primo album Radio che lo trasforma in un personaggio da copertina e fa di lui uno dei primi rapper commerciali delle nuova generazione. Parte del movimento rap lo accusa di essere un gran furbone e il movimento delle donne lo addita come un cinico e disinvolto profeta della violenza sessista. Nel 1987 ottiene uno straordinario successo con l'album Bigger and deffer e con il singolo omonimo che resta per undici settimane al vertice della classifica statunitense di rhythm and blues. L'episodio di violenza nei confronti della ragazza, pur se non lo coinvolge direttamente, sembra metterlo in difficoltà, ma l'imbarazzo sarà soltanto momentaneo. Coccolato dallo showbusinnes per la sua aria da duro cinematografico tornerà a occupare le copertine patinate dei giornali alla moda. Naturalmente più nessuno si occuperà della ragazza violentata.


10 agosto, 2024

10 agosto 1985 - Le canzoni non hanno autori, solo padroni

Il 10 agosto 1985 una società di cui è proprietario Michael Jackson acquista per la bella cifra di quarantasette milioni e cinquecento mila dollari l’intero catalogo delle canzoni dei Beatles scritte dalla coppia Lennon-McCartney. Per una serie di complicate vicende economico-finanziarie conseguenti allo scioglimento del quartetto di Liverpool, tutti brani, oltre duecentocinquanta, nati dalla geniale vena creativa dei due musicisti erano finiti all’asta e il cantante li ha acquistati. Non è stata però un’operazione tranquilla e indolore. Gli esperti incaricati da Michael Jackson di portare a termine l’affare hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie perché contro di loro si era scatenata l’opposizione di Paul McCartney e di Yoko Ono, vedova di John Lennon e, come tale, titolare dei suoi diritti d’autore. Alla fine, però, il denaro ha avuto la meglio sul desiderio di uno degli autori e dell’erede dell’altro di rientrare in possesso del frutto di anni di lavoro. Di fronte al peso della potenza economica di Jackson nulla hanno potuto gli appelli sentimentali e i tentativi di contestare la legittimità degli atti. La vicenda è certamente emblematica del clima culturale degli anni Ottanta, nei quali garrisce al vento sul pennone più alto la bandiera dell’individualismo e della competizione selvaggia. La lezione che se ne trae è che i soldi diventano un Valore superiore alla creatività e ai diritti degli autori. Anzi, si può dire che le canzoni non hanno più autori, ma solo padroni, che possono disporne come e quanto meglio credono. 

09 agosto, 2024

9 agosto 1957 - Nina, la cantante della Sala Imperio

Il 9 agosto 1957 muore la sessantunenne Anna Benedetti. L'avvenimento non fa notizia e nel mondo dello spettacolo a nessuno quel nome dice niente. In realtà la signora Benedetti è stata Nina Imperio, dal 1915 al 1920 una delle cantanti napoletane del varietà più popolari in Italia e in Europa. Figlia del maestro Michele Benedetti, direttore d'orchestra "dei balli" presso il San Carlo di Napoli, canta per la prima volta in uno spettacolo di varietà nel capoluogo partenopeo nel 1911, a soli quindici anni. Il luogo del debutto, la Sala Imperio, resta nel suo nome d'arte. Nina Imperio si fa presto apprezzare per la sua sobrietà altera sul palco e l'eleganza della presenza scenica. La sua voce fa il resto. Irrobustita dagli studi di canto iniziati nella più tenera età, ricca di sfumature e capace di far vibrare le corde dei sentimenti negli ascoltatori, si adatta perfettamente al repertorio classico napoletano. In breve tempo diventa una delle beniamine del pubblico napoletano. La sua popolarità, però, non si ferma alle falde del Vesuvio. Insieme ad alcune tra le migliori compagnie di varietà dell'epoca inizia a girare l'Italia. A diciott'anni, nel 1913, entusiasma il pubblico romano che saluta la sua prima esibizione in assoluto all'Eden tributandole una lunghissima ovazione. Il suo peregrinare in Italia e in vari paesi europei non le fa dimenticare Napoli cui resta legata da un affetto profondo. Nelle sue tournée, infatti, è prevista sempre la possibilità di un suo ritorno a Napoli in occasione dell'annuale rassegna canora di Piedigrotta. Innumerevoli sono le edizioni della manifestazione che la vedono protagonista e molte delle canzoni lanciate per l'occasione entrano stabilmente nel suo repertorio. La parabola ascendente di Nina Imperio sembra destinata a non fermarsi mai quando, improvvisamente, nel 1920 annuncia la sua intenzione di ritirarsi dalle scene. La donna che ha davanti al suo camerino lunghe file di ammiratori e spasimanti, per la quale gli impresari sono ormai disposti a fare follie è intenzionata a lasciare tutto per… amore. S'è, infatti, innamorata di un uomo che non fa parte del mondo dello spettacolo e intende stare con lui. Dal momento dell'annuncio si esibisce soltanto negli spettacoli previsti dai contratti già firmati, poi se ne va per sempre. Nina Imperio muore con la sua scelta. Non calcherà più il palcoscenico e quando, nel 1957, anche Anna Benedetti scompare più nessuno ricorda la cantante che fece impazzire con il suo talento il pubblico di mezza Europa.

08 agosto, 2024

8 agosto 1970 - Grazie, piccola Bessie. Firmato Janis

L’aveva promesso a se stessa e lei è una che mantiene le promesse. Janis Joplin nell’estate del 1970 è ormai una cantante di successo, sia pur tormentata da una serie lunghissima di angosciosi problemi esistenziali. Da poco ha debuttato con la Full Tilt Boogie Band e tra pochi giorni deve iniziare le sedute di registrazione del suo nuovo album. Da tempo, però, continua a dire agli amici di voler saldare un misterioso debito. Approfittando di un momento di pausa nei suoi impegni, l’8 agosto 1970 fa collocare a sue spese una lapide di ringraziamento e di saluto sulla tomba della grande cantante Bessie Smith, l’Imperatrice del blues che riposa dal 1937 nel cimitero di Mount Lawn presso Derby, in Pennsylvania. Lo fa senza grande clamore, ma la notizia trapela ugualmente. A chi gliene chiede la ragione Janis spiega “L’ho sentita molte volte vicino a me. Devo tutto a lei: il mio modo di cantare, la mia passione per la musica, i suoni e i colori della mie interpretazioni. È stata Bessie Smith l’esempio che ho scelto quando ho cominciato a cantare e lei mi ha insegnato la strada.” Stimolata sull’argomento si lascia poi andare a una serie di considerazioni violente contro la vergogna della discriminazione razziale. Sono parole di fuoco che bollano l’intera società americana. Il razzismo, a suo dire, è una vergogna che dovrebbe pesare come un macigno su tutti i bianchi che vivono negli Stati Uniti. Le parole di Janis non sono generiche manifestazioni di solidarietà a favore dell’integrazione razziale, ma si riferiscono direttamente alle scandalose circostanze che hanno provocato la morte di Bessie Smith, sulle quali, peraltro, nessuno ha mai aperto un’inchiesta degna di questo nome. La morte della cantante viene solitamente attribuita a un generico “ritardo nei soccorsi”, quando non a “circostanze oscure”. Eppure non c’è niente di più vergognosamente chiaro delle circostanze che hanno determinato la morte di Bessie Smith. Siamo nel 1937. Mentre è impegnata in una lunga tournée nel Sud degli Stati Uniti, la cantante viene coinvolta, nella notte tra il 25 e il 26 settembre, in un terribile incidente stradale nelle vicinanze di Clarksdale, nello stato del Mississippi. Come si può immaginare non sono ancora molte, negli anni Trenta, le auto che viaggiano di notte, per cui passa molto tempo prima che qualcuno si accorga dell’incidente. Ali occhi dei primi soccorritori le condizioni della cantante appaiono molto gravi tanto che si decide di non attendere l’ambulanza per trasportarla al pronto soccorso del più vicino ospedale. La lunga corsa contro il tempo di Bessie Smith è, però, solo all’inizio. Pur essendo stato avvertito per tempo e avendo preparato il necessario per prendersi cura della ferita, il personale di turno dell’ospedale si rifiuta di accettare il corpo martoriato della cantante quando si accorge che è nera. In quegli anni in molti stati del Sud vige ancora un rigido regime di separazione razziale e viene considerato un fatto del tutto normale per una clinica riservata ai bianchi rifiutare di prendersi cura a un corpo sofferente dalla pelle nera. A nulla valgono le violente proteste dei più decisi tra i soccorritori, accusati dai loro interlocutori di aver perso del tempo prezioso per non aver voluto portare subito la ferita nel più lontano ospedale per neri. In ogni caso è “evidente” che i medici e gli infermieri della clinica “bianca” non c’entrano perché Bessie Smith non è un problema loro. Gli stupefatti soccorritori risalgono sulle auto e tentano una nuova disperata corsa verso l’ospedale afro-americano di Clarksdale. Dopo una notte intera senza soccorsi, le cure dei medici non possono far altro che alleviare i dolori dell’agonia. Alle prime ore dell’alba la donna che era stata insignita del titolo di “Imperatrice del blues” e applaudita in tutti gli States cessa di vivere. Questa è la storia che con le sue parole Janis Joplin tenta di far rivivere nella coscienza dell’America degli anni Settanta. Ci riesce, ma solo per il breve spazio di un respiro, perché poi, si sa, la vita continua.