15 ottobre, 2024

15 ottobre 1967 – Gigi Meroni il calciatore beat e capellone


La sera del 15 ottobre 1967 un’auto travolge a Torino Gigi Meroni, il calciatore beat e capellone del Torino e della nazionale. Eccentrico e anticonformista, con i suoi capelli lunghi, i vestiti colorati e la vita sregolata era divenuto un simbolo per le nuove generazioni che si specchiavano nella sua immagine al di là del colore della sua maglia e del semplice fatto sportivo. La sua morte improvvisa e tragica ne alimenta il mito e lega per sempre la sua immagine all’Italia degli anni Sessanta quando i giovani di tutto il mondo iniziano a comunicare sulla stessa onda utilizzando la musica. In quegli anni i giovani della prima generazione nata dopo la seconda guerra mondiale rovesciano la scala gerarchica che li voleva trasparenti in attesa di diventare adulti e decidono di vivere il loro tempo da protagonisti. È l’avvio di un’onda lunga che non resterà limitata al fenomeno di costume ma finirà per investire l’intero assetto della società, istituzioni politiche comprese. Ben presto alle parole d’amore adolescenziale si sostituiscono contenuti diversi. I giovani parlano di parità dei sessi, libero amore, rifiuto del consumismo e pace universale. Nell’Italia tradizionalista del dopoguerra il contrasto generazionale diventa fortissimo e ricco di una simbolica trasgressiva. Capelli lunghi, minigonne, jeans con l’aggiunta di coloratissimi e stravaganti accessori, tutti i segni di identificazione delle giovani generazioni vengono presi di mira dai media. Chi porta i capelli lunghi viene sbrigativamente e negativamente definito dai giornali “capellone”, mentre per le ragazze che osano indossare la minigonna si conia il termine “ninfette” prendendo a prestito la definizione inventata dallo scrittore Nabokov per la sua Lolita. Dall’altra parte si prendono le distanze dagli interlocutori adulti definendoli “matusa”, dalla contrazione di Matusalemme, l’uomo più vecchio della storia del genere umano. La risposta alle accuse viene affidata alle canzoni dei gruppi o “complessi”, come si chiamano in quel periodo mutuando un termine preso a prestito dal jazz. «Ma che colpa abbiamo noi» cantano i Rokes, mentre i Nomadi chiedono ai censori «Come potete giudicar… chi vi credete che noi siam/per i capelli che portiam?». Nella contesa generazionale entrano anche i vecchi ribelli del rock che un po’ dappertutto reagiscono spaventati all’ascesa dei nuovi ritmi. E se in Francia un rocker come Johnny Hallyday canta di «capelli lunghi e idee corte», in Italia Celentano gli risponde a ritmo di rock and roll «…tre passi avanti e crolla il mondo beat…». Meroni era uno dei simboli di tutto questo oltre che un calciatore.


14 ottobre, 2024

14 ottobre 1977 – Bing Crosby, un nome d'arte nato da una striscia

Il 14 ottobre 1977 muore Bing Crosby, uno dei personaggi più importanti della musica pop statunitense. Nato a Tacoma, nello stato di Washington, il 2 maggio 1904 da Harry Crosby e Kate Harrigan, cresce a Spokane. La sua famiglia non se la passa benissimo e il ragazzo deve abbinare il lavoro allo studio per essere di aiuto alla numerosa famiglia. A otto anni viene soprannominato Bing, come il popolare personaggio della comic strip “Bingleville Bugle” di cui è un appassionato lettore. Studia alla Webster School e poi al Gonzaga Institute, retto dai Gesuiti, dove inizia, ma non completa, gli studi di legge. Le sue prime esperienze musicali risalgono al 1920, quando è batterista e cantante dei Juicy Seven, un gruppo scolastico. Nel 1921 entra a far parte dei Musicaladers un gruppo modellato sullo stile della Original Dixieland Jazz Band. In quegli anni dà vita anche a un duo novelty di canto e piano con il pianista del gruppo, Al Rinker, fratello della cantante Mildred Bailey. Nel 1925, dopo lo scioglimento dei Musicaladers, i due si trasferiscono a Los Angeles, e, grazie all'interessamento di Mildred Bailey, vengono ingaggiati dalla compagnia di vaudeville Fanchon & Marco al Boulevard Theatre di Los Angeles. Le loro interpretazioni jazzate di motivi di successo (San, China Boy, Copenhagen) integrate da effetti speciali mutuati dai Mound City Blue Blows e da occasionali battute comiche, ottengono un buon successo. Per questa ragione l'impresario Arthur Freed li scrittura per la rivista “The Morrisey Music Hall Revue”, messa in scena al Majestic Theatre di Los Angeles. Partecipano poi a uno spettacolo di varietà al Metropolitan Theatre, dove vengono notati da Paul Whiteman, allora all'apice della popolarità, che li aggrega alla sua orchestra come numero di attrazione. Il pubblico di Whiteman però non li apprezza particolarmente e il loro ruolo si riduce quasi esclusivamente al sottofondo vocale delle parti strumentali insieme ad altri vocalist della band. Le cose cambiano quando Whiteman scrittura Harry Barris, un giovane e dinamico pianista e cantante hot proveniente dall'orchestra di George Olsen dando vita ai Paul Whiteman's Rhythm Boys. Il buon successo ottenuto con brani come Mississippi Mud, scritto dallo stesso Barris, e From Monday On, sembra rilanciare Bing e il suo compagno, ma la loro caparbia insistenza a dare sempre maggiore spazio alle battute comiche a detrimento della parte musicale finisce per stancare il pubblico e lo stesso Paul Whiteman che li allontana dall’orchestra. Bing, Rinker e Barris si esibiscono nei teatri e nei night-club di varie città della California ottenendo un notevole successo al Monmartre Café di Los Angeles e un successivo ingaggio al prestigioso Cocoanut Grove di Hollywood. Nel frattempo Bing Crosby sposa la cantante e attrice Wilma Wyatt (Dixie Lee) decide di sfruttare la popolarità guadagnata nei locali con un proprio programma radiofonico dove le sue canzoni When the Blues of the Night e I Surrender Dear fanno faville. Sotto l’abile gestione del fratello maggiore Everett viene scritturato anche dalla casa cinematografica Paramount che lo trasforma in una star del cinema musicale hollywoodiano. La popolarità non lo abbandona più fino alla morte e non conosce appannamenti neppure quando, alla soglia dei settant'anni, riduce al minimo le sue apparizioni in pubblico. Il comico Bob Hope, suo grande amico ed estimatore, a chi vaticinava il declino di Bing dinanzi alla esplosione di Frank Sinatra (soprannominato "swoonatra" perchè faceva svenire le fans) agli inizi degli anni Quaranta, replicava con queste parole, che al di là del paradosso contengono un fondo di verità: «Non si preoccupi per Bing: quello è l'uomo che fece svenire la madre di Sinatra ed è anche l'uomo che fra una quindicina d'anni farà svenire la figlia di Sinatra».



13 ottobre, 2024

13 ottobre 1920 – Umberto Cesari, il pianista che amava Fats Waller

Il 13 ottobre 1920 nasce a Chieti il pianista Umberto Cesari. All’inizio dell’attività, pur essendo in possesso di una formazione classica non disdegna incursioni sempre più frequenti nella musica leggera. La sua carriera sembra ormai incanalata sui binari di una tranquilla routine da strumentista d’accompagnamento quando l’ascolto casuale di un disco che contiene After you’ve gone nella versione di Fats Waller gli fa scoprire il jazz. È quasi un colpo di fulmine. Gli orizzonti del giovanotto chietino cambiano improvvisamente e anche la sua impostazione stilistica per un po’ appare fortemente condizionata da quella di Waller. Negli anni immediatamente successivi alla Liberazione dà vita a ben due formazioni: il Cristall Trio e un sestetto impostato sulla falsariga delle formazioni di Benny Goodman di cui si occupa persino Down Beat, la rivista per le forze armate statunitensi di stanza in Europa. La sua popolarità si allarga e alla fine degli anni Quaranta se ne va a New York per suonare in una grande orchestra radiofonica. Nel marzo del 1950 è, però di nuovo in Italia per registrare negli studi della Parlophon una leggendaria versione di Begin the Beguine con il Trio, un gruppo che oltre a lui comprende Carlo Pes alla chitarra e Carletto Loffredo al basso. In breve tempo diventa uno dei più apprezzati strumentisti jazz di studio. Tra le sue registrazioni più famose ci sono quelle con il quartetto di Aurelio Ciarallo per la Columbia nel 1954, quattro brani con la Roman New Orleans Jazz Band per la RCA nel 1958 e otto nel 1959 con la stessa band che può contare per l’occasione anche sull’apporto del clarinettista Peanuts Hucko e del trombettista Trummy Young. Il 24 ottobre 1960, con Sergio Biseo al basso e Roberto Podio alla batteria, registra negli studi della RCA la famosa Pino solitario. Nella sua carriera ha incontrato quasi tutti i protagonisti del jazz di quel periodo. Suona a lungo con Stéphane Grappelli e, in jam session, incrocia il suo strumento con quelli di personaggi straordinari come Django Reinhardt, Louis Armstrong, Trummy Young, Cozy Cole, Arvell Shaw, Jack Teagarden, Bill Coleman, Barney Bigard, Don Byas, Toots Thielemans, Chet Baker, Max Roach, Zoot Sims, oltre a moltissimi musicisti europei. Da sempre poco incline a mostrarsi in pubblico, negli anni Sessanta rende il suo isolamento quasi inaccessibile rifiutando anche le proposte di nuove registrazioni. Muore nel 1992.



12 ottobre, 2024

12 ottobre 1985 – Chi diavolo sono i Ready For The World?

Il 12 ottobre 1985 al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti arriva il brano Oh Sheila, una canzoncina gradevole e ben fatta firmata da una band che si fa chiamare Ready For The World. «Chi diavolo sono questi Ready For The World?» è la domanda che rimbalza negli ambienti musicali statunitensi e qualcuno comincia a pensare che la band non esista. C’è chi avanza esplicitamente l’ipotesi che la sigla nasconda un gruppo fantasma composto da strumentisti di studio al servizio di una geniale operazione commerciale della MCA Record. Prima che le voci riescano a prendere consistenza i Ready For The World si fanno vivi. Sono una vera band e non sono neanche di primo pelo. Nascono nel 1982 quando due tra i gruppi più popolari di Flint, nel Michigan, si raggruppano per esibirsi eccezionalmente insieme. Lo strano supergruppo, inizialmente formato più per scommessa che per effettiva convinzione, finisce per vivere di vita propria determinando la fine delle due band originarie. La sua composizione ha notevoli elementi d’originalità, visto che raggruppa strumentisti che rischiano di essere dei doppioni. Li aiuta nell’avventura la versatilità di alcuni elementi come il cantante, pianista e chitarrista Melvin Riley e l’eccentrico Gordon Strozier che passa indifferentemente dalla chitarra al basso alla batteria. La formazione dei Ready For The World è completata dal tastierista Gregory Potts, dal bassista John Eaton, dal batterista Gerald Valentine e dal percussionista Willie Triplett. Superati i problemi di amalgama i sei ragazzi incrociano sulla loro strada un disk jockey della loro città, “Mojo” Johnson, che ne intuisce le potenzialità, li aiuta a realizzare i primi demo e, soprattutto, li convince a investire i loro risparmi in un’etichetta indipendente, la Blue Lake Records, per la quale pubblicano il primo singolo Tonight. Il disco spopola solo nella loro città, ma attira l’attenzione della MCA che decide di scritturarli. Un singolo d’assaggio precede il grande successo di Oh Sheila che fa di loro uno dei gruppi rivelazione del 1985. Decisi a sfruttare il buon momento pubblicano anche l’album Ready For The World. La loro è, però, una breve fiammata. L’anno dopo, nonostante il buon successo del singolo Love you down entreranno in una fase di declino irreversibile che li riporterà rapidamente nell’anonimato.

11 ottobre, 2024

11 ottobre 1939 – Coleman Hawkins registra "Body and soul"

L’11 ottobre 1939 il sassofonista Coleman Hawkins registra per la prima volta Body and soul, destinato a diventare uno dei brani più popolari e venduti della storia del jazz. L’ha scritto di getto nella notte precedente e probabilmente non immagina neppure che il brano sia destinato a sopravvivergli anche dopo la morte. Del resto non sta attraversando un buon periodo. È da poco tornato negli Stati Uniti dopo un lunghissimo esilio artistico in Europa. Incerto sul da farsi al suo ritorno in patria ha trovato una realtà completamente diversa da quella che si era lasciato alle spalle. La sua stella non è più splendente come un tempo. Gli impresari e discografici lo considerano vecchio. La sua leadership artistica è messa in discussione un gruppo di strumentisti che si considerano suoi seguaci come Chu Berry, Ben Webster, Don Byas, Buddy Tate e Illinois Jaquet, solo per citarne alcuni. All’orizzonte, poi, sta spuntando l’astro di un altro grande sassofonista come Lester Young, considerato portatore di valori musicali alternativi ai suoi. In più c’è una rivoluzione in atto che sta per spazzare via gran parte dei musicisti della tradizione. Si chiama Be–bop e ha i principali alfieri in ragazzotti di belle speranze che si chiamano Dizzy Gillespie e Charlie Parker. Per la verità i boppisti lo considerano un po’ un maestro, una sorta di anticipatore. Spesso lo chiamano a suonare con loro e riconoscono pubblicamente che le sue elaborazioni armoniche sono state determinanti nel preparare il terreno all’avvento del loro stile. Nonostante tutto, però, sente le differenze generazionali e comincia a pensare che il suo periodo migliore sia ormai alle spalle. Non sono soltanto i pensieri cattivi di un artista in cerca di ispirazione. In realtà quando Hawkins compone e registra Body and soul sono in molti a considerarlo una sorta di ingombrante residuo del passato. Gran parte dei brani di quel periodo risentono della necessità di far qualcosa che possa rilanciarne la popolarità e sembrano un po’ finti, stucchevoli. Body and soul no. Si sente che è buttato giù d’istinto. Coleman non può immaginare che negli anni successivi diventerà uno dei grandi successi mondiali di tutti i tempi. Sopravviverà al passare delle mode e finirà per essere considerato quasi un simbolo per tutti i sassofonisti che vorranno ispirarsi ad Hawkins.

10 ottobre, 2024

10 ottobre 1934 - Elio Mauro, l'operaio dalla chitarra d'oro

Il 10 ottobre 1934 nasce ad Avezzano, in provincia de L'Aquila, il cantante e chitarrista Elio Mauro, all’anagrafe Aurelio Collacciani. Per lungo tempo per lui la musica resta soltanto un hobby da coltivare nel tempo libero che gli resta dopo il lavoro come operaio nelle Acciaierie di Terni. La svolta nella sua vita arriva inaspettatamente nel 1950 quando viene scritturato da una compagnia di varietà diretta Vichi De Roll e Anna Galento. Da quel momento lascia le Acciaierie di Terni per dedicarsi completamente alla musica. Dotato di una voce calda dall'impostazione moderna e di una buona tecnica chitarristica si adatta bene all'ambiente dello spettacolo anche perché non insegue particolari sogni di gloria. L'esperienza da operaio l'ha abituato ad accettare tutto quello che arriva senza guardare troppo per il sottile. Suona e canta con numerose orchestre ed è disponibile anche a sopportare le non sempre agevoli tournée nei locali da ballo di mezzo mondo. Proprio al ritorno da un lungo tour in terra straniera viene scritturato nel 1954 dalla Rupe Tarpea, un locale romano alla moda. Sono i tempi della "dolce vita" e Roma è un luogo d'incontro per le star hollywoodiane. Lui con la sua voce e la sua musica fa da colonna sonora ai frequentatori del suo locale, tra i quali c'è anche Ava Gardner. Proprio l'attrice, innamorata della sua musica, gli regala una chitarra d'oro. Nel 1955 vince un concorso alla RAI e inizia a cantare a Radio Roma, ma successivamente parte per un lungo tour negli Stati Uniti. Partecipa poi alla commedia musicale "Irma la dolce" con Vittorio Gassman e nel 1959 arriva secondo al Festival di Napoli cantando Padrone d''o mare. La sua popolarità è legata all’interpretazione di brani come Stella furastiera, Ave Maria no morro e, soprattutto La canzone del faro, sigla della famosa inchiesta televisiva "Viaggio nel Sud". La sua voce compare nelle colonne sonore di molti film tra cui il felliniano "Le notti di Cabiria". Muore il 29 agosto 1983.

09 ottobre, 2024

9 ottobre 1967 – Una raffica uccide il Che, non le sue idee


Alle 13.30 del 9 ottobre 1967, a La Higuera, un paesino della Bolivia, una raffica del mitra Uzi di fabbricazione belga in dotazione al sottufficiale dell’esercito boliviano Mario Teran e un colpo di pistola al cuore pongono fine alla vita di Ernesto ‘Che’ Guevara. La sua morte è stata decisa in accordo con i servizi segreti statunitensi per evitare i contraccolpi propagandistici di un processo pubblico. Il rivoluzionario argentino, comunista e giramondo, tra i principali protagonisti della rivoluzione cubana, che era arrivato in Bolivia per guidare la guerriglia è stato catturato poche ore prima dai soldati in un agguato insieme ad altri compagni. Guevara ha trentanove anni. La fotografia del suo cadavere steso su un tavolo con gli occhi aperti fa il giro del mondo. Contrariamente a quello che pensano i suoi aguzzini la sua morte, lungi dal chiudere per sempre la questione, ne farà un mito destinato a sopravvivere nel tempo. Mario Teran, il sottufficiale che gli avrebbe sparato l’ultima raffica, morirà suicida nell’aprile del 1968 a La Paz.



08 ottobre, 2024

8 ottobre 1941 – Il Quartetto Cetra per la prima volta alla radio

L’8 ottobre del 1941 accompagnato dall’Orchestra Zeme, il Quartetto Cetra si esibisce per la prima volta ai microfoni della radio. Nati sull’onda del successo delle canzoni del “filone dell’allegria”, con il nome di Egie, sigla ottenuta assemblando le iniziali dei loro nomi, Enrico Gentile, Giovanni Giacobetti detto ‘Tata’, Iacopo Jacomelli e Enrico De Angelis, debuttano al teatro Valle di Roma il 27 maggio del 1940 con “Caccia al passante”, uno spettacolo ideato e scritto dal loro amico Agenore Incrocci, che si firma con lo pseudonimo di Age e che è destinato a diventare uno dei grandi autori della commedia italiana. Nelle loro esecuzioni si ispirano al quartetto vocale americano dei Mills Brothers. Qualche tempo dopo a Iacomelli subentra Virgilio Savona, per cui, dopo alcune discussioni interne si decide di cambiare il nome di Egie in Quartetto Cetra. L’esordio ai microfoni della radio avviene proprio l’8 ottobre del 1941, quando, accompagnati dall’Orchestra Zeme, cantano Il Visconte di Castelfombrone. Nello stesso periodo, però, anche Enrico Gentile, il solista, è costretto a lasciare i compagni per adempiere agli oblighi militari e al suo posto arriva un giovane di Fondi in provincia di Latina, Felice Chiusano. L’ultima cambiamento nella formazione è del 1947, quando se ne va Enrico De Angelis che viene sostituito dalla moglie di Savona, Lucia Mannucci.

07 ottobre, 2024

7 ottobre 1992 - Augusto non canta più

Stroncato da un male incurabile contro il quale stava lottando da tempo il 7 ottobre 1992 scompare Augusto Daolio, la voce e la figura-simbolo dei Nomadi, uno dei più longevi gruppi della storia della canzone italiana. La sua morte segue di pochi mesi quella del chitarrista dello stesso gruppo Dante Pergreffi, avvenuta il 14 maggio in un incidente stradale e sostituito nella formazione dalla giovanissima Elisa Minari. In loro memoria i compagni pubblicano il doppio album dal vivo Ma che film la vita - I nostri concerti. La morte di Daolio non segna però la fine dei Nomadi che, sotto la guida di Beppe Carletti, l’ultimo rimasto del nucleo storico della band, iniziano a scrivere un altro capitolo della loro lunga e straordinaria storia.



06 ottobre, 2024

6 ottobre 1913 – C'è Carmen alla chitarra

Il 6 ottobre 1913 nasce a Cohoes, New York, il chitarrista Carmen Nicholas Mastren. I suoi fratelli Al, John, Frank ed Eddie sono musicisti e anche per lui si prospetta la strada degli studi musicali. Spinto più dalle esigenze dell'orchestra famigliare che da una vera e propria inclinazione per lo strumento inizia a studiare il violino, ma ben presto passa ad altri strumenti a corde che gli piacciono di più: il banjo e la chitarra. Nel 1935 quando ha ventidue anni decide che non può restare per sempre prigioniero delle scelte musicali dei fratelli. Affrontando l'inevitabile indignazione famigliare se ne va ed entra a far parte come chitarrista acustico del quartetto di Wingy Manone con cui resta fino al mese di gennaio del 1936. Di quel periodo resta testimonianza nelle famose registrazioni in studio effettuate dal gruppo per la casa discografica Vocalion. Passa poi con la big band di Tommy Dorsey, che sta attraversando un momento di grande popolarità. Con l'ensemble di Dorsey gira in lungo e in largo gli Stati Uniti suonando nei più importanti locali dell'epoca e divenendo famosissimo. Non estranee alla sua popolarità sono anche le numerose registrazioni effettuate con la big band per la Victor. All'apice del successo nell’estate del 1940 lascia Dorsey ed entra a far parte dei Delta Four di Joe Marsala. La sua perenne voglia di cambiare non gli dà tregua. Dopo poco meno di un anno se ne va e nell’autunno del 1941 suona per un breve periodo con l’orchestra di Ernie Holst, che lascia per entrare in quella dell'NBC. Qui sembra finalmente aver trovato terra ferma, ma il destino ha in serbo nuove sorprese. C'è la guerra. Nel 1943 viene richiamato sotto le armi e utilizzato da Glenn Miller nella sua Air Force Band. Alla fine del 1945 rientra a New York, ma la sua attenzione sembra essere più orientata alla direzione d'orchestra e alla composizione. Scopre anche che la musica leggera può dargli maggior soddisfazioni economiche e trascura progressivamente il jazz. A partire dal 1953 accetta l'incarico di compositore e arrangiatore al servizio dell’orchestra dell'NBC. Non si muoverà più di lì fino al 1970 quando, a cinquantasette anni, cambierà di nuovo impostazione alla sua vita mettendosi in proprio. Nella storia del jazz il suo apporto resta, soprattutto negli anni Trenta e Quaranta, quello di uno dei maggiori e più significativi chitarristi acustici, ideale continuatore della strada tracciata da Eddie Lang e Dick McDonough. Muore il 31 marzo 1981.


05 ottobre, 2024

5 ottobre 1968 - Il fox-trot di Mary Hopkin scalza i Beatles

Il 5 ottobre 1968 Those were the days, un fox-trot interpretato dalla sconosciuta Mary Hopkin arriva la primo posto della classifica britannica dei dischi più venduti detronizzando addirittura Hey Jude dei Beatles. La notizia fa sensazione ma lascia del tutto indifferenti quattro baronetti di Liverpool che guardano con interesse il successo della bionda diciottenne. Come mai? Tutto comincia qualche tempo prima quando i Beatles danno vita alla Apple, un’etichetta discografica di loro proprietà. Nello stesso periodo la timida Mary Hopkin partecipa al programma televisivo "Opportunity knocks". Qui viene notata dalla modella Twiggy, una delle protagoniste di quegli anni, che la presenta a Paul McCartney. L'aria fragile e romantica della ragazza e la sua voce esile colpiscono il Beatle che la scrittura per la Apple intenzionato a farne una sorta di icona del pop neoromantico. Nonostante gli sforzi però il team di autori della casa discografica fatica a comporre una canzone che abbia le caratteristiche richieste. Il debutto discografico di Mary viene rinviato finché lo stesso McCartney s’imbatte in Those were the days, un fox-trot scritto da Ruskin che sembra fatto apposta per la ragazza. Tutti e quattro i componenti del gruppo più significativo della rivoluzione del beat lavorano alla produzione del disco. I risultati vanno al di là di ogni previsione. La canzone scalza dal vertice della classifica britannica gli stessi Beatles e vende più di otto milioni di dischi in tutto il mondo. L'exploit non avrà seguito. Nonostante il buon successo di un paio di singoli successivi la ragazza finirà per allontanarsi dai clamori del pop. La sua voce suggestiva percorrerà strade nuove e originali come la realizzazione di un album interamente cantato in gallese nel 1979 e la formazione nel 1984 degli Oasis (nulla a che vedere con la pop band omonima dei fratelli Gallagher) con Peter Skellern e Julian Lloyd Webber, fratello del compositore Andrew Lloyd Webber.



04 ottobre, 2024

4 ottobre 1970 – Addio piccola Janis


Il 4 ottobre 1970 Janis Joplin lascia per sempre la scena e vola via sulle ali di un’overdose di vita, più che di eroina, diventando suo malgrado un simbolo emblematico, come Jimi Hendrix, Brian Jones e Jim Morrison, del disagio esistenziale di una generazione. Janis è stata travolta un mondo duro e ostile da infrangere, più che domare. Per usare una terminologia politica non c’è riformismo possibile per una bambina nata in un buco del Texas agro-petrolifero come Port Arthur dove l’intelligenza e la curiosità sono guardati come un’espressione del diavolo e il canto è considerato «il primo passo verso la rovina». Se poi la bambina coltiva il sogno di andare via cavalcando le note di quella musica che racconta l’anima il peggio che le può toccare è scoprire che la sella è stata costruita su misura per i maschietti. Non è stata davvero tenera la vita per Janis, che dopo essersi fatta le ossa con i Walker Creek Boys molla le ancore e segue il sogno “on the road” dei beatniks trasferendosi ad Austin dove conosce Nick Gravenites e dove si esibisce alla Coffee Gallery, accompagnandosi con l'autoharp o con musicisti girovaghi, come Jorma Kaukonen, il futuro chitarrista dei Jefferson Airplane Nel 1962 entra per la prima volta in sala di registrazione per realizzare un jingle pubblicitario per una banca sulla melodia di This land is your land di Woody Guthrie. Nello stesso anno inizia a viaggiare tra le comuni hippie formatesi in quel periodo a San Francisco e Los Angeles. Alcuni brani di questo periodo, registrati da vivo ad Austin e a San Francisco verranno pubblicati nell'album Janis/Early Performances del 1975. Nell'estate del 1966 il poeta Chet Helms manager dei Big Brothers & The Holding Company le propone di diventare la voce solista della band. Per la prima volta nella sua breve carriera, quindi, Janis si esibisce con una band stabile formata dal bassista Peter Albin, dal batterista Dave Jetez, dal chitarrista James Gurley e dal chitarrista Sam Andrew. Con la sua voce graffiante e disperata il gruppo diventa, con i Grateful Dead, Country Joe & The Fish e i Quicksilver Messenger Service, uno dei protagonisti della scena musicale di San Francisco. Oggi parlare bene di lei è facile, ma all’epoca la critica storce il naso e la definisce anche «un incrocio fra una locomotiva a vapore, Calamity Jane, Bessie Smith, una trivella e un liquore disgustoso». Nel 1967 Janis e la band registrano il primo album, Big Brother & The Holding Company, uscito subito dopo il festival di Monterey, tenutosi in agosto, dove Janis ottiene uno straordinario successo personale. Nel mese di febbraio del 1968 Janis Joplin e la band tengono un memorabile concerto all'Anderson Theatre di New York e a settembre pubblicano lo splendido Cheap thrills. L’album, con la copertina disegnata dal fumettista underground Robert Crumb, è una delle migliori testimonianze dell'acid rock e si rivela un grande successo commerciale, ma segna anche l'inizio di un contrasto insanabile tra Janis e la band che sfocia nella definitiva rottura. L’irrequieta cantante decide di fare di testa sua. Riunisce musicisti come il chitarrista Sam Andrew, il tastierista Bill King, il bassista Brad Campbell, il batterista Ron Markovitz, il sassofonista Terry Clements e il trombettista Marcus Doubleday e li mescola in una band ad assetto variabile che prende vari nomi: Kozmic Blues Band, The Janis Revue e The Main Squeeze. Dopo I got dem ol'kozmic blues again mama del 1969 la fuga di Sam Andrew, sostituito in un primo momento da John Till, è il primo segnale di una crisi che sfocia nello scioglimento della banda. Su Janis, ormai entrata in un processo autodistruttivo condito da alcol e sostanze varie, piove anche una denuncia per linguaggio blasfemo comminatagli dalla polizia di Tampa al termine di un concerto. Il 12 giugno 1970 a Lexington, nel Kentucky, si esibisce con la sua terza e ultima band, la Full Till Boogie Band, composta dal chitarrista John Till, il pianista Richard Bell, l’organista Ken Pearson, il bassista Brad Campbell e il batterista Clark Pierson. Ormai la sua corsa sta per finire. Durante la registrazione dell'album Pearl, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1970, Janis Joplin muore in una camera dell'Hotel Landmark di Hollywood. Muore sola, nonostante il successo e la disponibilità a dare tutto di se stessa, nonostante l’amore regalato a uomini e donne in rapporti spesso consumati troppo in fretta. Il succo della sua vita è nascosto nella dichiarazione fatta dopo un concerto: «Mi sento come se avessi fatto l'amore con migliaia di persone e adesso so che devo tornare a casa da sola». Di lei restano meravigliose performance vocali e la capacità di interpretare il blues nella sua accezione originaria di musica dell’anima, della sofferenza, dell’insoddisfazione e del dolore.

03 ottobre, 2024

3 ottobre 2002 – Quando i musicisti si schierarono contro la guerra permanente

Il 3 ottobre 2002 un folto numero di musicisti statunitensi inizia con un concerto alla Great Hall di New York aperto dal "grande vecchio" Pete Seeger una serie di iniziative destinate a culminare il 6 ottobre (anniversario dell'attacco all'Afghanistan) in una lunga serie di concerti per la pace in Central Park, a Los Angeles, San Francisco e Seattle. Non era scontato, ma sta succedendo. Le corde del rock hanno ripreso a vibrare contro quelli che, negli anni Sessanta (un secolo fa!) Bob Dylan chiamava "Masters of war" (Signori della guerra). Su entrambi i lati dell'Oceano Atlantico la musica sta riscoprendo nuove e antiche parole per opporsi all'idea della guerra permanente invocata da Bush. Lo fa con due manifesti diversi, ma simili per i contenuti, sottoscritti da un numero impressionante di artisti. In Gran Bretagna porta il titolo di "Stop the War" (fermiamo la guerra) e negli Stati Uniti quello di "Not in our name" (non in nostro nome), ma la sostanza è la stessa, riassunta da Robert Del Naja dei Massive Attack: «Non possiamo stare a guardare gli Stati Uniti mentre uccidono sempre più persone per assicurarsi il monopolio del petrolio nel Medio Oriente». Scorrendo i nomi ci si accorge che qualcosa è davvero cambiato in un music system che per tanti, troppi anni, dopo le fiammate degli anni Sessanta e Settanta aveva guardato i movimenti pacifisti con indifferenza, quando non con aperta complicità. Chi mastica di musica ricorda ancora con raccapriccio l'orribile video realizzato da molti protagonisti della scena musicale per sostenere i "nostri ragazzi" impegnati nella Guerra del Golfo, mentre i piloti dei caccia statunitensi si vantavano di ascoltare in volo heavy metal ad altissimo volume. Allora solo una frangia importante ma ridotta aveva avuto il coraggio di dissociarsi. Oggi, invece, scorrendo la lista dei nomi, ci si accorge che non siamo di fronte a un'iniziativa un po' elitaria di pochi e illuminati artisti. Il vento della rivolta contro la guerra è alimentato in Gran Bretagna dalla popolarità di personaggi come i già citati Massive Attack, i Blur, Richard Ashcroft, i Primal Scream, Fatboy Slim, i Chemical Brothers, Billy Bragg, gli Elbow, Terence Trent D'Arby, i Coldplay, Brian Eno, i Radiohead e moltissimi altri. Non sono mancate le diserzioni e i distinguo dei musicisti più organicamente vicini al partito Laburista come Noel Gallagher degli Oasis che ha definito l'iniziativa «un tentativo inutile» e Paul Weller che, pur su posizioni simili a quelle del movimento, preferisce mantenere un ruolo autonomo, «forse per dare più spazio al suo nuovo disco» hanno ironizzato i colleghi. L'offensiva musical-pacifista britannica non si limita si concerti, alle manifestazioni e alle prese di posizione, ma tenta di allargare la sua azione con l'obiettivo di radicare un imponente movimento di massa. Damon Albarn dei Blur e i Massive Attack, per esempio, hanno acquistato due intere pagine del "New Musical Express", uno dei più diffusi magazine musicali del mondo, per dire che la guerra contro l'Iraq è ingiustificata e «rischia di provocare orribili ramificazioni, come l'apertura di un Vaso di Pandora che più nessuno poi riuscirebbe a richiudere». Sulla stessa onda i colleghi statunitensi pubblicano sul sito ufficiale le dieci ragioni per cui non si deve attaccare l'Iraq: 
1) Non c'è alcuna vera giustificazione; 
2) È falso che l'Iraq sia un pericolo reale; 
3) Gli Stati Uniti faticano a trovare alleati; 
4) La guerra, per definizione, rende tutti meno sicuri; 
5) L'attacco all'Iraq viola le leggi internazionali; 
6) L'attacco all'Iraq è costoso, difficile e pericoloso; 
7) L'attacco all'Iraq uccide moltissime persone; 
8) L'attacco all'Iraq viola la costituzione degli Stati Uniti; 
9) La guerra non è mai la via giusta per la pace; 
10) L'opposizione alla guerra cresce in tutto il mondo. 
Anche qui le firme sono tantissime, da Laurie Anderson ad Ani DiFranco, Michael Franti, Mos Def, Steve Earle, Tom Morello, Oscar Brown e moltissimi altri, compresi personaggi meno musicali come Jane Fonda, Susan Sarandon, Oliver Stone e Noam Chomsky. Tra le star che hanno fatto sentire la propria voce negli States contro la guerra ci sono anche (e come potevano mancare?) Bruce Springsteen, Moby e i Pearl Jam. L'onda, insomma, sta crescendo, impetuosa su entrambe le sponde dell'oceano sotto la spinta di un vento che torna a rianimare le piazze e a far sussultare le coscienze. E, come hanno detto i promotori di "Stop the War", questa volta non ci si fa intrappolare dalle parole, prima ancora di capire a chi si muove guerra bisogna capire che non esistono guerre giuste: bisogna cancellare l'idea stessa di guerra dalla coscienza dell'umanità.

02 ottobre, 2024

2 ottobre 1957 – L’ultimo traguardo di Luigi Ganna il primo vincitore del Giro

Il 2 ottobre 1957 muore a Varese Luigi Ganna, il primo vincitore del Giro d’Italia. Nato il 1° dicembre del 1883 a Induno Olona, in provincia di Varese, Ganna è stato, con Cuniolo, Galetti e Pavesi, uno dei “quattro moschettieri”, come vennero chiamati, all’inizio del secolo i quattro campioni capaci di suscitare in Italia i primi entusiasmi per uno sport giovane come il ciclismo. L’anno migliore della sua carriera fu il 1909 quando, dopo aver vinto la Milano-Sanremo davanti a Georget e Cuniolo, si aggiudicò la prima edizione del Giro d’Italia con due punti di vantaggio sull’amico-rivale Galetti, vincendo anche le tappe di Roma, Firenze e Torino. Tra i suoi successi figurano anche il Giro dell’Emilia e la Milano-Modena nel 1910 e la Gran Fondo nel 1912. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale decretò la fine anticipata della sua carriera agonistica, ma non del suo rapporto con il ciclismo. Intuite le grandi potenzialità produttive del settore si impegnò nella costruzione di biciclette che, approfittando della popolarità conseguita, chiamò con il suo nome. Le biciclette Ganna vennero portate alla vittoria negli anni successivi da Bottecchia, Demuysière e Fiorenzo Magni. 

01 ottobre, 2024

1° ottobre 1908 – Nasce la Ford Model T


Il 1° ottobre 1908 un emozionato Henry Ford annuncia la nascita dell’auto dei suoi sogni. È la mitica Model T, che verrà soprannominato "Tin Lizzie" da milioni di americani. Un’automobile semplice nel funzionamento e brillante nelle prestazioni, destinata a essere insignita quasi cent’anni dopo del titolo di “Auto del secolo” da una giuria di esperti e giornalisti specializzati. Nei vent’anni di produzione la Ford costruirà 15.458.781 vetture del Modello T, un record che resterà imbattuto per oltre 50 anni! La capacità produttiva viene supportata da un’innovazione destinata a lasciare il segno quando Henry Ford adatta il concetto di catena di montaggio alla produzione automobilistica riuscendo ad abbattere i tempi di produzione a livelli mai visti prima. L’innovazione produttiva è affiancata da un’altra serie di innovazioni sul piano dei rapporti sociali: la casa automobilistica raddoppia la paga giornaliera dei suoi operai e riduce l’orario di lavoro a otto ore giornaliere. Anche la frase con cui Ford convince i riottosi soci è rimasta emblematica: «Se riduci le paghe, riduci il numero dei tuoi clienti». I parametri della linea di montaggio fordista trascinano tutta l’industria statunitense. La morte del fondatore, avvenuta nel 1947, non ferma la marcia della Ford Motor Company che, riorganizzata da Henry Ford II, rinnova la sfida al mercato con modelli di grande successo e suggestione come la Thunderbird del 1955, la Mustang lanciata nel 1964 e la celebre Fairlane.

30 settembre, 2024

30 settembre 1950 – Renato Fiacchini in arte Zero


Il 30 settembre 1950 nasce a Roma Renato Fiacchini, destinato a ottenere un notevole successo con il nome di Renato Zero. Deciso a sfruttare l’immagine di personaggio ambiguo, sullo stile del David Bowie del periodo glam, debutta come cantante nel 1974 con l'album No mamma no, seguito l’anno dopo da Invenzioni. Dotato di grande carisma diventa protagonista, in breve tempo, di un vero e proprio culto di massa che decreta il successo delle sue canzoni e l'affollamento fino all'inverosimile dei suo spettacoli. Dopo Trapezio del 1976, gli album Zerofobia del 1977 e Zerolandia dell’anno dopo segnano la sua definitiva consacrazione tra i grandi della musica italiana. I suoi fans, da lui chiamati "sorcini" lo considerano il capo di una grande famiglia che viene raccolta sotto il tendone dei suoi spettacoli. I suoi successi di questo periodo non si contano. Verso la metà degli anni Ottanta il suo personaggio pare declinare, con l'affermarsi di nuovi miti e nuove mode musicali. Addirittura il 30 settembre del 1990 dichiara la sua intenzione di esibirsi per l'ultima volta in un grande concerto, ma non mantiene la parola. L'anno dopo, infatti, va al Festival di Sanremo dove presenta Spalle al muro, un brano scritto per lui da Mariella Nava che segna, a pochi mesi di distanza, un nuovo inizio della sua carriera. Nel 1995, recuperata la sua antica voglia di stupire torna a esibirsi in un lungo tour tutto esaurito. È un nuovo inizio.


29 settembre, 2024

29 settembre 1924 – Quell'Armstrong lì non è male alla tromba....

Il 29 settembre 1924 il Roseland Ballroom di New York, il locale da ballo più prestigioso della metropoli statunitense, ha in cartellone l’orchestra di Fletcher Henderson. In sé non è un evento particolare. Pur essendo una band popolarissima in quel periodo, infatti, l’orchestra di Henderson è quasi di casa al Roseland, per cui la sua esibizione non suscita particolare entusiasmo fra gli abituali frequentatori del locale. Accolta dagli applausi di rito la band parte con sua sigla, ma i più attenti si accorgono che c’è una novità nella formazione. Si tratta di un giovane trombettista nero cui Henderson lascia nel corso della serata sufficiente spazio per mettersi in mostra. Il suo nome è Louis Daniel Armstrong e ha da poco compiuto ventiquattro anni. Originario di New Orleans, città dove la musica è quasi un elemento costitutivo come l’aria o l’acqua del Mississippi, ha mosso i suoi primi passi sotto la guida di Mr. Davis, un maestro di musica molto famoso nei primi anni del Novecento. Armstrong arriva a New York da Chicago, città nella quale si è trasferito quando è stato ingaggiato dalla Creole Jazz Band di King Oliver. Proprio nel gruppo di Oliver ha incontrato la pianista Lil Hardin, un personaggio chiave della sua vita che si è innamorata di lui e lo ha aiutato a migliorare il suo patrimonio tecnico perfezionandone lo stile e la padronanza dello strumento. L’Armstrong che debutta il 29 settembre al Roseland Ballroom è un artista sicuro di sé e che ha ben chiari in testa gli obiettivi da raggiungere. La sua presenza, però, crea non pochi problemi a un gruppo orchestrale composto in gran parte da permalosi e affermati solisti come Buster Bailey, Charlie Green, Don Redman e Coleman Hawkins. Soprattutto quest’ultimo che, malgrado la giovane età, è già protagonista delle scene musicali di Broadway non accoglie con entusiasmo l’arrivo di Louis. Fortunatamente non la pensa così il capo-orchestra Fletcher Henderson, abituato a lavorare con grandi artisti e impermeabile ai mugugni. È lui che ha proposto ad Armstrong di entrare nel suo gruppo. Ne intuisce le qualità e lo stima al punto da lasciargli, fin dalla serata del debutto, uno spazio vocale. Proprio il 29 settembre, infatti, per la prima volta nella sua carriera Louis Armstrong si esibisce in un breve inserto vocale nel brano Everybody loves my baby.



28 settembre, 2024

28 settembre 1985 – Torna Kate Bush, la donna del mistero

Il 28 settembre 1985 l’album Hounds of love riporta Kate Bush al vertice della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Ci resterà per più di un mese. Il disco ripropone la “donna del mistero” della musica britannica dopo tre anni d’assenza e di silenzio. Nata il 30 luglio 1958 a Bexleyheat, nel Kent, Catherine “Kate” Bush viene descritta dalle biografie ufficiali come una sorta di bambina prodigio che passa il suo tempo tra il pianoforte e i libri. In realtà, come dice lei con ironia, ascolta anche i dischi dei T. Rex di Marc Bolan ma «non si può dire, altrimenti crolla il mito». Ha solo quindici anni quando invia una cassetta con alcune sue canzoni a David Gilmour, il chitarrista dei Pink Floyd, che la fa ascoltare ai talent scout della sua casa discografica. Nonostante la giovane età ottiene il suo primo contratto discografico che la costringe a frequentare lezioni di piano e di canto, oltre che i corsi di danza di Lindsay Kemp. Nel 1977 tutto è pronto per il suo debutto. La ragazza, non sopporta però di sentirsi un pollo d’allevamento e rifiuta le imposizioni. «Sono una donna, non uno stupido disco. Canto solo ciò che mi convince!» Più volte il rapporto tra lei e i discografici arriva al limite della rottura e il suo primo disco vede la luce solo nel gennaio del 1978. Valeva la pena di aspettare tanto! In piena epoca punk infatti la sua interpretazione della romantica Wuthering heights conquista il vertice della classifica. Il ruolo della popstar però non fa per lei. Dopo un faticoso tour nel 1979 decide di non fare più concerti alimentando la leggenda della “donna del mistero” dal carattere chiuso e scontroso. Il rapporto con il pubblico è delegato a una serie di splendidi video-clip di cui spesso firma sceneggiatura e regia. Straordinari esempi della sua genialità creativa sono Babooshka nel 1980 e di Running up that hill nel 1985, che vede la partecipazione dell’attore Donald Sutherland. L’album Hounds of love segna una svolta nella sua carriera artistica. Nel tentativo di soddisfare una perenne irrequietezza artistica e l’ansia di percorrere strade nuove la sua voce si comporta come se fosse uno strumento sonoro e nelle atmosfere ritmate e aggressive dei brani il timbro non esita a farsi cupo per dare corpo a foschi e ossessivi deliri. Sono parti dell’evoluzione di un genere molto personale che verrà definito “lirismo rock” da critici senza fantasia.

27 settembre, 2024

27 settembre 1966 – Jovanotti, l'evoluzione

Considerato agli esordi poco più di una geniale invenzione dell’industria discografica e bersagliato come l’interprete della superficialità disimpegnata degli anni Ottanta, Jovanotti riesce, nel tempo, ad affinare la sua tecnica e a riempire i suoi brani di contenuti, fino a diventare interprete impegnato e colto, senza mai perdere il successo commerciale. Il suo vero nome è Lorenzo Cherubini e nasce a Roma il 27 settembre 1966. Inizia giovanissimo a lavorare come disc jockey e conduttore radiofonico. Nel 1987 debutta come cantante su suggerimento di Claudio Cecchetto che lo convince a interpretare brani disimpegnati che si rivolgono a un pubblico di adolescenti come 1...2...3... casino, Siamo o non siamo un bel movimento? , Go Jovanotti go e Gimme Five. Nel 1988 pubblica l'album Jovanotti for president che vende più di cinquecentomila copie e fa di lui uno dei più grandi fenomeni commerciali della fine degli anni Ottanta. Nel 1989 partecipa al Festival di Sanremo con l'ironica Vasco, una rassicurante e un po' codina presa in giro di Vasco Rossi, cui segue l'album La mia moto, un disco in cui la dance music lascia trasparire qua e là riferimenti alla cultura hip hop, non sufficienti però a conquistare il pubblico più esigente che vede in lui un simbolo della superficialità degli anni Ottanta. Non a caso il brano che dà il titolo all’album viene ripreso dal gruppo ragamuffin veneto dei Pitura Freska che lo incidono con un nuovo testo pesantemente ironico nei confronti del cantante. Nel 1990 realizza l'album Giovani Jovanotti cui collaborano musicisti come Keith Emerson, Billy Preston, Mick Talbot, Pino Palladino e i Memphis Horms, che segna una svolta nella sua carriera. A partire dal 1991 con l’album Una tribù che balla la sua produzione si fa via via più matura e ricca sia dal punto di vista musicale che da quello dei contenuti. Nonostante qualche problema di credibilità, soprattutto all’inizio degli anni Novanta, a lui va riconosciuto l'indubbio merito di aver saputo fondere in modo efficace l’esperienza della canzone italiana con le nuove tendenze della musica internazionale, contribuendo a un grande rinnovamento generazionale della musica popolare del nostro paese.


26 settembre, 2024

26 settembre 1991 – I Pogues con sorpresa a New York

Il 26 settembre 1991 i cronisti guardano divertiti il pubblico che si accalca davanti ai botteghini del Beacon Theatre di New York. Sembra che si siano dati convegno i tipi più strani. C’è il cinquantenne rubizzo con la maglietta verde dell’Irlanda accanto al giovane punk un po’ démodé con i capelli a cresta e alla ragazza vestita con la bandiera scozzese. Le giacche, le cravatte, le scarpe lucidate di fresco e gli abiti lunghi da grande occasione si mescolano con indifferenza a minigonne, calzoni da jogging, scarpe da ginnastica e anfibi militari. L’occasione per l’insolito e stravagante raduno non è una festa mascherata, ma il primo di due concerti annunciati da tempo dei Pogues, una band britannica nata dalla ceneri del punk che propone un folk rock ruvido e singolare, una sorta d'incrocio tra generi diversi, dal rockabilly al country, al folk irlandese e scozzese passati attraverso una sorta di tritatutto e riproposti con l’energia del punk dei primi tempi. Il gruppo si forma a Londra nel 1983 con il nome di Pogue Ma Hone (espressione che in gaelico significa «baciami il culo»). Ne fanno parte Shane MacGowan, James Fearnley, Spider Stacy, Jem Finer e Andrew Ranken. Pochi mesi dopo, quando firmano il loro primo contratto discografico con la Stiff, sono costretti a cambiare il nome nel più semplice e meno problematico The Pogues. Ampliano anche la formazione con l’arrivo della bassista Caitlin O'Riordan. La loro attività va di pari passo con l’impegno politico e sociale. Innumerevoli sono i concerti di solidarietà con vari movimenti di liberazione, soprattutto con i sandinisti del Nicaragua, e le iniziative contro il razzismo. Nel 1985 gli ambienti musicali britannici accolgono con un po’ di preoccupazione l’annuncio che il loro secondo album si intitola Rum, sodomy and the lash, una definizione della vita nella marina militare inglese presa a prestito da una frase di Winston Churchill. Naturalmente, nonostante il crescente successo, la vita interna della band è tutt’altro che rose e fiori, tanto che le liti e i cambiamenti nella formazione sono all’ordine del giorno. Il concerto al Beacon Theatre di New York del 26 settembre 1991 segna il ritorno dei Pogues negli Stati Uniti dopo un’assenza di tre anni. Nel breve tour precedente la band aveva colpito il pubblico schierando in formazione a sorpresa, fin dalla prima esibizione, un ospite di riguardo: l’ex chitarrista dei Clash Joe Strummer che aveva irrobustito la scaletta dei concerti con le scatenate versioni di due brani del suo vecchio gruppo come London calling e I fought the law. Per qualche tempo si è parlato di un suo ingresso a tempo pieno nei Pogues, ma l’episodio che non ha avuto seguito e la collaborazione non si è più ripetuta. Qualcuno, però, giura di aver visto Strummer entrare nei camerini del teatro. I giornalisti sono qui soprattutto per quello, ma anche perché, in genere, quando sono di scena i Pogues qualcosa da raccontare c’è sempre. Con notevole ritardo e con la faccia furba della grandi occasioni Shane MacGowan si presenta sul palco. Rivolto alla platea annuncia con aria solenne: «Ascoltando la nostra musica potete capire quanto a noi piacciano le belle tradizioni. Nel tour precedente avevamo invitato a suonare con noi un amico come ospite provvisorio. Una di quelle teste calde del punk, un tipo un po’ strano che si chiamava Joe Strummer. Ve lo ricordate? Per restare fedeli alla tradizione anche questa volta abbiamo una sorpresa, ma non si tratta di un ospite. È uno strumentista destinato a restare a lungo con noi. La grande famiglia dei Pogues ha un nuovo componente. Accoglietelo bene, mi raccomando, è un pivellino timido e ha bisogno di essere incoraggiato!» Inutile dire che si tratta sempre di Joe Strummer. MacGowan non ha mentito sull’intenzione del chitarrista di far parte a tempo pieno del gruppo, ma il suo pacato discorsetto iniziale non può evitare che l’arrivo dell’ex Clash apra qualche crepa nei rapporti interni. La prima vittima di questa situazione è proprio lui: MacGowan. Due mesi dopo, infatti, si ferisce seriamente in Giappone mentre sta smaltendo i postumi di una colossale sbronza a base di sakè. Preoccupati dall’imminente avvio di un lungo tour britannico, i Pogues chiedono a Strummer di assumere la leadership del gruppo in attesa del ritorno di MacGowan. Joe accetta e l’altro, offeso, annuncia ai quattro venti l’intenzione di lasciare quegli ingrati dei suoi ex compagni e di continuare come cantante solista. Nessuna delle decisioni prese sarà definitiva e la formazione del gruppo cambierà spesso e volentieri perché quando si tratta dei Pogues non c’è mai niente di definitivo.