01 aprile, 2017

1° aprile 1984 – Il padre uccide Marvin Gaye

La sera del 1° aprile del 1984, un'ambulanza arriva a sirene spiegate al 2101 South Grammercy di Los Angeles, dove c'è la casa del vecchio reverendo Gaye, un pastore evangelico famoso nel quartiere, oltre che per le sue prediche, per il fatto di essere il padre del cantante e compositore Marvin Gaye. Il personale dell'ambulanza entra correndo in casa e si trova di fronte a una scena agghiacciante. Steso a terra c'è Marvin Gaye immerso in una pozza di sangue, mentre seduto su una sedia con la testa tra le mani il padre ripete come un automa: «Mi voleva uccidere, mi sono solo difeso…». All'arrivo della polizia si lascia ammanettare senza opporre resistenza. Ha ucciso il figlio con un colpo solo al cuore sparato da una pistola che gli era stata regalata pochi giorni prima dallo stesso Marvin. Sostiene di non aver avuto alternative perché il figlio, in preda alla droga, avrebbe tentato d'ucciderlo. I giudici accoglieranno parzialmente la tesi della legittima difesa e lo condanneranno a cinque anni di carcere. Finiscono così la vita e la straordinaria carriera di Marvin Gaye alla vigilia del suo quarantacinquesimo compleanno. Da tempo in preda a frequenti crisi depressive non aveva mai completamente riassorbito lo shock della morte di Tammi Terrell, la compagna artistica svenuta in scena tra le sue braccia nel 1969. Non a caso dopo la scomparsa le sue canzoni erano divenute più problematiche e profonde. Considerato negli anni Settanta uno dei più grandi solisti neri della storia del rock aveva saputo rinnovarsi e mantenere inalterata la sua popolarità anche all'inizio del decennio successivo pur dando l'impressione di non riuscire più a liberarsi dai problemi derivati dall'eccessivo uso di stupefacenti e da una vita privata costellata da delusioni. Pochi mesi prima della sua morte si era trasferito nella casa dei genitori in cerca di aiuto, ma i vicini raccontano di frequenti liti con il padre, rigoroso predicatore, che lo accusava di essere un cattivo esempio per i giovani. Pochi giorni prima di morire aveva regalato lui all'austero genitore la pistola che l'avrebbe ucciso. C'è chi ipotizza che la sua morte sia stato un atto deciso a freddo, come David Ritz, l’autore una biografia molto dettagliata del cantante che scrive: «Credo che quel regalo fosse del tutto intenzionale... Marvin sapeva quello che faceva: voleva morire. Solo quattro giorni prima di essere ucciso si era buttato fuori da una macchina che viaggiava a novanta chilometri all’ora su una Freeway di Los Angeles».

29 marzo, 2017

29 marzo 1985 – Il suicidio di Suor Sorriso

Il 29 marzo 1985 l'ex suora cantante Jeanine Deckers e la sua compagna Annie Pescher scelgono di darsi insieme la morte. La notizia, pubblicata da tutti i giornali europei e statunitensi riporta all'attenzione della cronaca la vicenda di Suor Sorriso e delle sue canzoni, uno dei fenomeni più straordinari della musica pop all'inizio degli anni Sessanta. In quel tempo Jeanine è una suora del convento di Fichermont, in Belgio, con il nome di Luc Gabriele. Oltre a insegnare ai giovani studenti che frequentano la scuola del convento, si diletta a suonare la chitarra e a comporre canzoni. Nel 1961 ha ventotto anni e, spinta dall'esuberanza giovanile dei suoi studenti, si fa convincere a registrare i suoi brani negli studi di una casa discografica. Non ha l'assenso della Madre Superiora e non lo chiede nemmeno, temendo un rifiuto. Al tecnico che chiede quale nome debba scrivere sul materiale registrato lei dichiara di chiamarsi "Soeur Sourire" (Suor Sorriso). Il gioco di complicità con i suoi studenti finisce lì, e l'episodio è ormai dimenticato quando nel 1963, due anni dopo viene pubblicata in singolo la sua Dominique, una canzone dedicata all'ordine delle Dominicane di cui fa parte. Il successo è immediato e straordinario, tanto che in breve tempo viene immesso sul mercato anche un album con tutte le canzoni registrate dalla suora canterina. Sulla copertina dei dischi destinati al mercato europeo c'è il nome di Suor Sorriso, mentre su quelli per gli Stati Uniti il nome cambia in The Singing Nun (la suora canterina). Proprio negli States diventa la prima interprete femminile con album e singolo contemporaneamente al primo posto della classifica. Con la notorietà, per la piccola suora iniziano i guai tanto che, il 6 gennaio 1964, può cantare in diretta dal suo convento davanti alle telecamere dell'Ed Sullivan Show solo dopo che l'intervento del Vescovo ha vinto le resistenze della Madre Superiora. Nel 1966 Debbie Reynolds porta la sua storia sugli schermi. L'ambiente del convento, le proibizioni e le gelosie suscitate dalla sua popolarità finiscono, però, per cambiarle definitivamente la vita. Non riuscendo a resistere alle pressioni, nella seconda metà degli anni Sessanta suor Luc Gabriele lascia gli abiti religiosi, abbandona il convento e recupera il suo vero nome cercando di vivere la sua vita lontano dai riflettori. La storia di Suor Sorriso si conclude però in quel tragico 29 marzo 1985 quando, insieme alla sua compagna Annie Pescher, si accorge di non avere più la forza di vivere.

24 marzo, 2017

24 marzo 1974 – Con i Ramones nasce il punk rock

Fumo, urla e grida caratterizzano un locale "difficile" come il Performance Studio di New York, uno dei covi della musica alternativa della città. Il 24 marzo 1974, accolti da ululati e fischi, si presentano sul palco quattro ragazzi di Forest Hill. Sembrano uguali e indistinguibili tra loro: capelli lunghi lisci e neri, jeans blu, t-shirt bianca e un paio di impenetrabili occhiali neri. Sono i Ramones, dicono di essere cugini e di avere in comune il cognome Ramone. Ovviamente non è vero. Il nome del gruppo è preso a prestito da Phil Ramone, uno degli pseudonimi utilizzati da Paul McCartney e l'unica cosa che li accomuna è la provenienza dallo stesso quartiere di Forest Hill. Il cantante Joey Ramone si chiama in realtà Jeffrey Hyman, il chitarrista Johnny Ramone è l'ex Sniper Johnny Cummings, il vero nome del bassista Dee Dee Ramone è Douglas Colvin mentre dietro allo pseudonimo di Tommy Ramone si nasconde l'ungherese Thomas Erdelyi. La loro esibizione del 24 marzo è devastante e lascia senza fiato anche un pubblico difficile come quello del Performance: volume al massimo e brani a ritmo tiratissimo che durano il breve spazio di un respiro. La band resta immobile sul palco per tutto il tempo con il chitarrista e il bassista schierati ai lati del cantante. Nessuna parola viene sprecata tra un brano e l'altro che si susseguono senza presentazione. I turbolenti frequentatori del Performance assistono scioccati a un'esibizione che non ha precedenti e che verrà successivamente ricordata come la nascita del punk rock. Tra il pubblico è presente il giornalista Danny Field che, per primo, intuisce le potenzialità del gruppo e ne diventa il manager. In breve tempo diventano la bandiera dei giovani emarginati delle metropoli statunitensi e dopo la devastante esibizione Summer Rock Festival del 1975 vengono scritturati dalla Sire Records. Nel febbraio del 1976 pubblicano il primo album Ramones, registrato in soli tre giorni, che pur non riuscendo a sfondare sul piano delle vendite diventa un successo nel circuito alternativo. L'anno dopo il neonato movimento punk adotta come inno la loro Sheena is a punk rocker. Marginali per scelta resteranno fedeli alla loro immagine anche dopo la fine della breve fiammata del punk. Nel 1979 parteciperanno al film "Rock 'n' Roll High School" interpretando se stessi. Sempre in bilico tra scioglimenti annunciati e clamorosi rientri sopravviveranno, con vari cambiamenti di formazione, al passare delle mode, senza mai perdere l'antico smalto. Solo la morte di Joey Ramone chiuderà per sempre la loro storia.


27 febbraio, 2017

28 febbraio 1970 – Chi diavolo sono questi NOBS?

Il 28 febbraio 1970 una folla immensa attende a Copenaghen il concerto dei NOBS. La notizia finisce sul tavolo di un redattore di cronaca di uno dei più diffusi quotidiani della capitale danese con una nota a mano del direttore: «Chi diavolo sono questi NOBS e perché hanno tanto successo?». Se si eccettuano i magazine specializzati, in quel periodo nelle redazioni non c'è un vero e proprio esperto musicale. La musica pop tocca, di volta in volta, alla cronaca, al costume e, più raramente, alla cultura. L'idea che guida i direttori è che la musica non faccia notizia se non nelle pagine delle inserzioni a pagamento. Al malcapitato cronista non resta che cercare aiuto per evitare di scrivere stupidaggini. Scopre così quello che gli appassionati di musica sanno da tempo. La formazione dei NOBS è composta da Jimmy Page, Robert Anthony Plant, John Henry "Bonzo" Bonham e John Paul Jones. I quattro ragazzi quando sono fuori dai confini della Danimarca si chiamano Led Zeppelin, ma nel regno che fu d'Amleto non possono più utilizzare quel nome. Su di loro, infatti, pende la diffida di una certa Eva Von Zeppelin, discendente di Ferdinand, l’inventore dei famosi dirigibili, che ha minacciato di chiedere un risarcimento miliardario per l’uso improprio e non autorizzato del nome. La causa deve ancora essere discussa e i legali già da qualche mese hanno consigliato la band di sospendere la distribuzione dei loro dischi. Su questo i discografici sono stati, però, categorici: «Non se ne parla». Come dar loro torto visto che l'album Led Zeppelin II sta facendo sfracelli in tutte le classifiche di vendita e in Gran Bretagna ha addirittura scalzato dal vertice della classifica Abbey road dei Beatles? Il Financial Times ha calcolato in cinque milioni di dollari l'utile commerciale dei loro dischi e anche il mondo politico s'è accorto di loro. Il segretario del Parlamento Britannico in persona è intervenuto alla consegna di due dischi d'oro alla band lanciandosi in un pubblico encomio per il contributo dato con le vendite dei dischi alla bilancia dei pagamenti britannica. Un po' sconcertati da quanto sta accadendo i Led Zeppelin invocano tranquillità per comporre in santa pace nuovi brani da inserire nel terzo album. Il concerto di Copenaghen cade in un periodo di relativa serenità della band. La scelta di esibirsi come NOBS finisce per diventare una nota di colore in più. Confonde qualche caporedattore, ma non disorienta il pubblico.

21 febbraio, 2017

21 febbraio 1936 – Junior Club, covo di negrofili ed esterofili!

Il 21 febbraio 1936 la Galleria Vittorio Emanuele, il cuore della Milano "bene", ospita un avvenimento destinato a restare nella storia del jazz italiano. Nelle salette superiori del Caffè Campari si inaugura lo Junior Club, una sorta di sezione milanese del più famoso omonimo circolo jazzistico giovanile inglese. Il merito è da attribuire alla straordinaria incoscienza di un gruppo composito, che mescola studenti appassionati di jazz e qualche strumentista. La nascita dello Junior Club è un vero e proprio schiaffo in faccia al conformismo culturale del regime fascista e alla sua ostentata ostilità nei confronti di tutto ciò che arriva dall’estero, in particolare dalla "terra d'Albione", cioè l'Inghilterra. In più, come se non bastasse l'evidente affiliazione a una struttura associativa inglese, gli aderenti hanno la dichiarata propensione ad ascoltare e a diffondere una musica dalle radici ancora più lontane come il jazz. Ce n'è abbastanza per scatenare un putiferio. Eppure quelli dello Junior Club incutono un certo timore all'autorità costituite che non se la sente di prenderli di petto chiudendone l'attività. La guerra contro il gruppo inizia con una sorta di campagna preliminare di delegittimazione. La stampa e gli opinionisti cominciano a far notare, sottovoce e senza enfasi, il cattivo gusto di chi lo ha voluto collocare nel cuore delle patriottica Milano, protagonista delle eroiche Cinque Giornate contro "lo straniero". C'è anche chi rileva come non sia elegante neppure l'idea di portare la musica jazz nella città che ha dato lustro alla musica di Giuseppe Verdi. Pian piano la campagna di stampa cresce di tono fino a diventare più accanita e violenta. Se le critiche de “Il Popolo d’Italia”, organo ufficiale del Partito Nazionale Fascista si distinguono per causticità, “Libro e moschetto”, il giornale della Gioventù Universitaria Fascista, arriva a veri e propri incitamenti alla violenza contro gli iscritti al club definiti “negrofili” e accusati di essere più o meno consapevolmente sostenitori di una potenza straniera. L'azione demolitoria sul piano della comunicazione viene successivamente seguita da varie azioni dimostrative. Di fronte a tutto ciò e alle continue provocazioni degli organi di polizia e di vigilanza, i soci e i frequentatori delle salette superiori del Caffè Campari finiranno per gettare la spugna. Lo Junior Club chiuderà i battenti, ma resterà nella storia della jazz italiano come uno dei tanti episodi di resistenza culturale al fascismo.

14 febbraio, 2017

14 febbraio 1976 – Andrea True, una pornostar al vertice della classifica

Il 14 febbraio 1976 entra in classifica negli Stati Uniti More more more (part 1), un singolo interpretato da Andrea True, fino a quel momento conosciuta soltanto come pornostar. L'exploit della ragazza fa storcere il naso i benpensanti e ai voyeur che l’hanno ammirata in varie evoluzioni sessuali. I primi non sopportano il suo passato da pornostar mentre i secondi non si rassegnano al fatto che la ragazza abbia chiuso con il sesso in pellicola. Nata a Nashville Andrea True si trasferisce a New York alla fine degli anni Sessanta intenzionata a fare la cantautrice, ma non trova nessuno disposto a scommettere sulle sue capacità canore. Dopo decine di provini andati a male decide di provarci in proprio. Per recuperare il denaro necessario inizia a lavorare nel mondo dell' hard core e quando ha messo da parte un buon gruzzolo ci riprova. Va in Jamaica e registra il brano More, more, more con il produttore e arrangiatore Gregg Diamond, poi lo porta alla casa discografica Buddah Records e questa volta fa centro. Andrea gestisce con grande furbizia tutta l’operazione. La canzone racconta le sensazioni di una ragazza che fa l’amore davanti alla cinepresa e gran parte del suo repertorio utilizza parole che sembrano prese in prestito ai “dialoghi” dei film hard come «...tienilo su più a lungo…» «...saziami…» ecc. More, more, more ottiene un successo straordinario nel panorama dance dell’epoca e finisce in una lunga serie di compilation. Ancora oggi è campionato da un’infinità di gruppi del panorama danzereccio rap e hip hop. Come prosegue la storia? La storia non prosegue perché Andrea True dopo qualche singolo e un album, un anno dopo il suo primo grande successo sceglie la Disco Convention di New York per annunciare a sorpresa la sua intenzione di abbandonare la scena dance.

05 gennaio, 2017

7 gennaio 1970 – ... vi tocca pagare i danni!

Fin dall’inizio si era capito che non l’avrebbe passata liscia e Max Yasgur, il proprietario della fattoria di Bethel che aveva ospitato la “tre giorni di pace, amore e musica” entrata nella storia come il Festival di Woodstock si era preparato per tempo alla resa dei conti. Il 7 gennaio 1970, puntualmente, viene citato in tribunale dai proprietari dei terreni confinanti che chiedono trentacinquemila dollari di risarcimento per i danni provocati dal pubblico alle loro proprietà. Non è che l’ultimo strascico, in ordine di tempo, di un evento la cui portata epocale non ha impressionato né le autorità, né i grandi proprietari terrieri di una zona fondamentalmente conservatrice e che ha vissuto la pacifica invasione dei cinquecentomila giovani come un insopportabile fastidio. Spenti i fari dei palchi, rimesse in sesto le strade, rinata l’erba sui prati trasformati in pantano, rifatte le recinzioni travolte dalla massa umana, anche l’attenzione dei media si è spostata altrove. L’unico a non andarsene è stato Max Yasgur, cui la commozione aveva fatto pronunciare le parole rimaste a simbolo di un evento irripetibile: «Credo che tutti voi abbiate dimostrato qualcosa al mondo, e cioè che mezzo milione di giovani possano stare insieme e divertirsi ad ascoltare musica...» La sua casa è qui. Qui è nato, è cresciuto e qui ha vissuto uno dei momenti più straordinari della sua vita. Quando gli viene notificata la citazione non fa commenti. È un uomo semplice. A un cronista locale chiarisce soltanto la sua posizione: «Non ho tutti i soldi che mi chiedono. Andrò davanti ai giudici e glielo dirò...». Pratico più che rassegnato, per lui il mondo è più semplice di come vogliono farlo apparire gli altri. Nella battaglia legale che l’aspetta non può contare sul sostegno di nessuno. Anche i protagonisti del Festival di Woodstock, divenuti improvvisamente delle star, sono lontani, impegnati a far fruttare l’inaspettata popolarità. Lui non si lamenta, non si fa problemi. La causa si trascinerà per molto tempo, ma non approderà a niente, anche perché il buon Max con la sua semplicità troverà un modo originale per uscirne: l’8 febbraio 1973, a cinquantatré anni, morirà d’infarto lasciando tutti con un palmo di naso...