31 marzo, 2019

31 marzo 1987 – Megadeth: ne resterà solo uno


Una selva di microfoni attende al varco il 31 marzo 1987 Dave Mustaine, il leader e chitarrista dei Megadeth, mentre si reca all’udienza preliminare di una lunga e complicata causa che riguarda il nome della band. È stato, infatti, citato in giudizio da un gruppo che si chiama Megadeth e che sostiene di essere stato il prima a chiamarsi così. Non è una questione da poco perché la citazione, oltre a esigere il cambiamento del nome di una delle band di punta del panorama metal di quel periodo, è accompagnata da una cospicua richiesta di risarcimento danni. Assonnato e inquieto, Dave Mustaine, prima tenta di sfuggire, poi affronta con aria insofferente lo sbarramento dei giornalisti e le inevitabili domande. «Non conosco il gruppo che mi ha citato, ma se lo ha fatto avrà avuto le sue buone ragioni che possono essere molto diverse da quelle che sembrano...». La frase sibillina lascia ampi margini di interpretazione. Una giornalista più intraprendente riesce a piazzare direttamente sotto il naso del chitarrista il proprio registratore e a chiedergli «Vuoi dire che si tratta di una storia inventata ad arte per spillarvi un po’ di soldi?» Mustaine risponde secco: «Non ho niente da dire, ma sono sicuro che il denaro e i muscoli ci aiuteranno a risolvere anche questo problema. Ci sono due gruppi con lo stesso nome? Alla fine ne resterà uno solo...». Non ha torto. La vicenda finirà per sgonfiarsi e i Megadeth continueranno una carriera iniziata nel 1983, a San Francisco, quando Dave Mustaine lascia i Metallica perché non vuole restare prigioniero delle operazioni di commercializzazione e omologazione dell'heavy metal. Lo affiancano nell’impresa l’altro chitarrista Chris Poland, il bassista Dave Ellefson e il batterista Gars Samuelson. I Megadeth, nati per contrastare l'immagine rassicurante e ben curata dei gruppi heavy storici, recuperano la carica antagonista del rock più violento proponendo fin dal primo disco Killing is my business... and business is good, un trash sanguigno e provocatorio. Problemi di droga, vari cambiamenti di formazione e altre vicissitudini rendono difficile la vita di una band refrattaria alle richieste del music businnes. Incuranti delle regole del mercato nel cuore degli anni Ottanta realizzano addirittura una loro versione di Anarchy in the UK dei Sex Pistols alla quale partecipa anche Steve Jones, uno dei componenti originali degli stessi Pistols.


30 marzo, 2019

30 marzo 1933 – Willie Nelson, il bianco country singer dell’Atlantic


Il 30 marzo 1933, a Forth Worth, in Texas, nasce Willie Nelson, uno dei più singolari ed eccentrici personaggi della musica country. A sei anni strimpella per la prima volta la chitarra e prima ancora di raggiungere la maggiore età è già un compositore molto apprezzato nel circuito dei locali di Nashville, considerato una sorta di Università del country. Il suo primo successo come autore è Night life, un brano destinato vendere che più di trenta milioni di dischi in oltre settanta versioni diverse. Il suo debutto come interprete è un po’ tardivo. Avviene infatti nel 1962, quando ha già ventinove anni, con il brano Touch me e l’album ...and then I wrote. Nonostante tutto sembra che al pubblico Willie Nelson piaccia più come autore che come cantante. Dopo otto anni con la “bianca” RCA e dodici album all’attivo, viene liquidato come un esperimento non perfettamente riuscito. Trova rifugio presso la “nera” Atlantic, una delle etichette simbolo del rhythm and blues, l’unica disposta a dare qualche chance al trentasettenne leone del country, da molti ritenuto ormai fuori dal giro. Contro ogni previsione l’operazione riesce. L’album Shotgun Willie, il primo con la nuova casa discografica, vende, nel giro di sei mesi, un numero di copie superiore alla somma di quelle vendute da tutti i suoi dischi precedenti. È il successo. Nel 1976 realizza, con la collaborazione di Jessi Colter, Tompall Glaser e Waylon Jennings, l'album Wanted: the outlaws, il primo disco country a superare il milione di copie vendute negli Stati Uniti. Questo strano cantautore “anziano” miracolato da una delle etichette storiche della musica nera non si fermerà più. Continuerà a comporre canzoni e a sfornare dischi di successo. Saranno debitrici nei confronti della sua creatività anche le colonne sonore di film come "Il cavaliere elettrico" di Sidney Pollack e “Honeysuckle Rose”, nel quale canterà in coppia con Emmylou Harris la canzone On the road again, destinata a vincere uno dei tanti Grammy Awards della sua carriera. Aperto alle più svariate esperienze musicali si lascerà tentare spesso dall’esperienza del lavoro di gruppo lavorando con vari artisti tra i quali Waylon Jennings, Merle Haggard, Kris Kristofferson, Paul English e Johnny Cash. Nel 1985 parteciperà all'organizzazione del Farm Aid, il Festival destinato a raccogliere fondi per aiutare le popolazioni rurali statunitensi vittime della “crisi del grano” e del fallimento di molte banche private.


27 marzo, 2019

27 marzo 1946 – New York saluta Farfariello


Il 27 marzo 1946 a New York muore il cantante, autore e macchiettista Farfariello, una delle più popolari figure della musica napoletana negli States. Nato a Cava dei Tirreni, in provincia di Napoli, il 14 aprile 1882 all’anagrafe viene registrato con il nome di Eduardo Migliacci. Di famiglia benestante, terminati gli studi di ragioneria si trasferisce negli Stati Uniti, ad Hazleton in Pennsylvania, per lavorare nell’istituto bancario nel quale lavora anche il padre. L’idea della famiglia è quella di mandarlo lontano da casa per aiutarlo a “togliersi i grilli dalla testa”. Il sogno del ragazzo infatti è quello di esibirsi sul palcoscenico e l’invio oltreoceano non serve granché. Il cambiamento d’aria non cambia le idee di Eduardo che alla carriera di bancario preferisce quella di cantante e nel 1912 debutta in un caffé Chantant di New York. In breve tempo è uno dei protagonisti del teatro leggero newyorkese. Particolarmente apprezzato per le canzoni umoristiche deve il suo pseudonimo e la sua popolarità al brano Farfariello, da lui composto. Nel 1936 torna a Napoli, dove la sua fama l’ha preceduto e l’anno dopo entusiasma pubblico e critica con un recital al Teatro Augustus entrato nella leggenda. La sua permanenza in Italia è destinata a restare soltanto un episodio della sua lunga carriera. Poco tempo dopo torna definitivamente negli Stati Uniti affermandosi come uno dei principali interpreti del repertorio tradizionale napoletano. Di lui resta anche un gran numero di dischi pubblicati dalla Victor.


24 marzo, 2019

25 marzo 1938 – All’ABC nasce la stella di Charles Trenet


Il 25 marzo 1938 Charles Trenet si esibisce all’ABC di Parigi in uno spettacolo tutto per lui. Il concerto è un po’ un test dopo il suo primo successo come solista con Je chante un brano nato sotto l'ala protettiva di Maurice Chevalier. L’applauso caloroso del pubblico in sala rinfranca il giovane chansonnier e attenua le paure, ma la vera sorpresa sono i giudizi della critica. I titoli dei giornali il giorno dopo raccontano che «une nouvelle étoile vient de naître», cioè “sta nascendo una stella”. Anche la Parigi che conta è tutta per lui. Fra i più soddisfatti ci sono Jean Cocteau, Max Jacob, Colette,e anche un Chevalier ancora un po' incredulo. Nel 1938 Trenet vince il Prix du Disque e tutta Parigi impazzisce per questo giovane che mescola swing e poesia, tradizioni e rinnovamento attingendo a piene mani dalla straordinaria ed effimera vivacità di un periodo che vive con la stessa intensità il Fronte Popolare, il jazz e il surrealismo. In breve tempo assurge a mito e le sue canzoni, Je chante, Y'a d'la joie, Le soleil et la lune, La mer, Douce France e tante altre diventano la fonte d'ispirazione primaria per gran parte dei protagonisti della canzone francese contemporanea, da Georges Brassens, che lo ha sempre considerato suo padre spirituale, a Jacques Higelin. Da quel momento il passare degli anni non scalfisce la sua popolarità. Il suo spirito sembra vivere fuori dalle miserie del tempo che scorre. Nel 1978 pubblica un libro di memorie, "I miei anni giovanili" e lo presenta annunciando di voler cantare per sempre, cioè fino a quando la salute lo regge.


22 marzo, 2019

23 marzo 1967 – I Tremeloes stanno meglio senza leader


Il 23 marzo 1967 Brian Poole, fino a quel momento cantante del gruppo Brian Poole & The Tremeloes, pubblica That reminds me baby il suo primo disco da solista. Anche sul piano formale viene così a perfezionarsi il divorzio tra la band che era stata preferita della Decca ai Beatles e il suo cantante e frontman. In molti pensano che la pubblicazione del singolo segni, nei fatti, la fine dell'avventura del gruppo nato nel 1959 e l'inizio di una lunga e fortunata carriera solista per Brian. Non sarà così. L'esperienza solistica di Brian Poole è destinata a esaurirsi rapidamente senza lasciare traccia, o quasi. La delusione sarà così cocente che il ragazzo deciderà per qualche tempo di abbandonare le scene e di tornare a lavorare nella macelleria della sua famiglia. Strano destino, visto che al momento della separazione i più disperati sembrano i suoi ex compagni: i chitarristi Alan Blakely e Rick West e il batterista Dave Munden. I tre, dopo un primo momento di incertezza, decidono di continuare con il nome di The Tremeloes. Incuranti dello scetticismo generale e dell'aperta ostilità della Decca, la loro casa discografica, che si rifiuta di assecondarli ritenendoli destinati all'insuccesso, serrano le fila e si riorganizzano. Inseriscono in formazione il bassista Len "Chip" Hawkes e, vista la determinazione della Decca di puntare tutte le sue carte sul loro ex leader, cercano e trovano ospitalità in un'etichetta concorrente, la CBS. In quello stesso 1967, mentre Brian Poole fatica, nonostante lo sforzo promozionale, ad affermarsi, i "nuovi" Tremeloes pubblicano Here comes my baby, un brano composto da un autore fino a quel momento sconosciuto che risponde al nome di Cat Stevens. Il singolo vende oltre un milione di copie ed entra in classifica sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti. Senza il suo carismatico leader la band si rivela una forza della natura , mentre Brian Poole, privato della sua band, si è tramutato in uno dei tanti modesti cantanti che animano la scena musicale britannica di quel periodo. Non è finita qui perché, sull'onda del successo ottenuto, i Tremeloes coglieranno una serie di successi impressionanti con brani come Silence is golden, Even the bad times are good, Suddenly you love me e My little lady. Il periodo d'oro durerà fino ai primi anni Settanta quando, di fronte all'affermarsi di nuovi stili, personaggi e gusti musicali, sceglieranno di non rinnovarsi e di continuare a ripetersi all'infinito.


22 marzo 1974 – Alvin Lee, bugiardo per amore


All'inizio del 1974 si fa sempre più insistente la voce di un possibile scioglimento dei Ten Years After pur senza trovare conferme sul piano ufficiale. Il 22 marzo 1974 la bluesband ha in programma un concerto al Rainbow di Londra. I giornalisti aspettano al varco i componenti per chiedere se davvero la storia del gruppo sia arrivata al capolinea. Per tutti risponde in modo scorbutico e seccato il chitarrista e leader carismatico Alvin Lee: «Nel nostro ambiente circolano tante sciocchezze. Una di queste è quella relativa al nostro scioglimento. Non abbiamo alcuna intenzione di chiudere qui il nostro percorso musicale. Non ho altri commenti da fare». Il concerto del Rainbow, però, non toglie i dubbi. Assomiglia infatti a una lunga cavalcata d'addio, nella quale i brani "storici" si alternano a quelli nuovi contenuti nell'album Positive vibrations. In ottima forma, i Ten Years After ripercorrono le tappe della loro carriera iniziata nel 1966 quando Alvin Lee, l'ex chitarrista dei Jailbreakers e degli Atomites, decide di dar vita a una formazione in grado di proporre un solido blues bianco innovativo nei suoni, ma rispettoso della tradizione. Con lui ci sono il batterista Ric Lee, il tastierista Chick Churchill e il bassista Leo Lyons, già suo compagno d'avventura negli Atomites. Un anno dopo i Ten Years After fanno il loro debutto ufficiale al settimo festival di Jazz e Blues di Windsor entusiasmando pubblico e critica. Nel 1969 partecipano al Newport Jazz Festival, ma la definitiva consacrazione avviene allo storico Festival di Woodstock dove la loro esecuzione di Goin' home viene anche inserita nel film di Altman sull'avvenimento. Alvin Lee si ritrova proiettato nella cerchia ristretta dei migliori chitarristi blues di quel periodo. Il momento magico non dura molto. Nel 1972 la critica stronca l'album Rock and roll music to the world e da più parti si inizia a parlare di una crisi creativa del gruppo. Il concerto del Rainbow arriva dopo un lungo periodo di silenzio discografico interrotto solo dalla pubblicazione del doppio live Recorded live e dall'album On the road to freedom di Alvin Lee con Mylon LeFevre. Sarà l'ultima esibizione britannica della band che pochi mesi dopo si scioglierà. Quando i giornalisti gli chiederanno conto della sua dichiarazione tranquillizzante, ma falsa, del 22 marzo Alvin Lee risponderà: «È vero, sono un bugiardo, ma ho mentito per amore del nostro pubblico. Quel giorno, però, speravo che la storia dei Ten Years After potesse continuare»


21 marzo, 2019

21 marzo 1991 – Muore l'inventore della Stratocaster


Il 21 marzo 1991 muore in California a ottantaquattro anni Leo Fender. Senza di lui probabilmente la storia del rock sarebbe stata diversa. Pioniere delle ricerche sull'elettronica applicata alla musica, divide con Les Paul il merito di avere sviluppato la chitarra elettrica come uno strumento autonomo e non come una semplice amplificazione della chitarra acustica. Le sue prime ricerche, iniziate negli anni Quaranta, su modelli "a cassa piena" vengono accolte con perplessità e sembrano del tutto prive di applicazione pratica. Il suo ragionamento è semplice: «Perché utilizzare un microfono per amplificare un suono già amplificato dalla cassa della chitarra? Non è più semplice considerare la chitarra elettrica uno strumento del tutto diverso da quella acustica e utilizzare l'amplificazione artificiale già dal momento in cui il suono si produce?». L'idea viene vista come una sorta di bizzarrìa in un periodo in cui la musica pop è quasi totalmente abbarbicata alla tradizione degli "standard". Non trovando sufficiente interesse da parte delle industrie produttrici di strumenti musicali decide di andare avanti lo stesso mettendosi in proprio e fonda nel 1947 la Fender Company, un'azienda che ha tra gli scopi sociali la progettazione e la costruzione di chitarre elettriche. I suoi clienti più antichi sono jazzisti e bluesmen, ma già bussa alle porte la prima generazione di rocker. Due modelli in particolare, la Telecaster e la Stratocaster diventano parte della leggenda del rock e fanno da balia a tutta la prima generazione di chitarre elettriche. Steve Cropper degli MG's è uno dei primi a dare impulso all'uso della Telecaster, mentre Buddy Holly e Hank Marvin, il chitarrista degli Shadows, sono gli alfieri della Stratocaster, la stessa che Jimi Hendrix trasformerà poi nell'emblema della sua musica d'avanguardia. Nel 1967 Fender, stanco di occuparsi degli aspetti amministrativi della sua attività, cede la sua azienda alla CBS per la ragguardevole somma di tredici milioni di dollari, pur riservandosi un ruolo importante nella sperimentazione a nella progettazione. Alla sua genialità si deve anche la creazione di uno dei bassi più significativi della storia del rock, il Fender Jazz Bass, utilizzato tra gli altri da Sting o Jaco Pastorius. Quando muore sta sviluppando nuovi studi sull'utilizzo del computer nella produzione sonora, dopo aver recuperato, nel 1980, parte della propria autonomia produttiva fondando la G&L Musical Products.


20 marzo, 2019

20 marzo 1949 - Irving Fazola, il miglior clarinettista di New Orleans della sua generazione.


Il 20 marzo 1949 un attacco cardiaco stronca la vita di Irving Fazola, considerato il miglior clarinettista di jazz di New Orleans della sua generazione. Il musicista ha trentasette anni. È nato infatti il 10 dicembre 1912 proprio a New Orleans, la città dove ha vissuto i maggiori trionfi e dove è morto. Il suo vero nome è Irving Henry Prestopnik, troppo complicato per un artista. Dovendosi scegliere il nome d’arte lo prende in prestito dalla storpiatura anglofona delle tre note musicali Fa Sol e La. Inizia a suonare il pianoforte da bambino, ma quando frequenta le scuole medie alla Warren Easton High School passa al clarinetto. Considerato un piccolo talento, a soli quindici anni suona da professionista nei Little Collegians di Candy Candido. Milita poi nelle orchestre di Louis Prima, Armand Hug, Sharkey Bonano, Ben Pollack, Augie Schellang, Gus Arnheim e Glenn Miller. Nel 1938 viene assunto dall’orchestra di Bob Crosby, con la quale rimane fino al 1940. Proprio nell’orchestra di Crosby improntata al dixieland, ha modo di catturare l’attenzione della critica per il suo stile fluido e ricco di swing e con una splendida sonorità in tutti i registri. Vagabondo e sempre pronto a nuove esperienze tra il 1940 e il 1945 suona con le formazioni di Jimmy McPartland, Tony Almerico, Claude Thornhill, Muggsy Spanier, Teddy Powell, Georg Brunis, Louis Prima e Leon Prima. Alla fine della seconda guerra affianca al lavoro dal vivo nei locali un’intensa attività alla radio e continua a lavorare assiduamente fino a quando il suo cuore cede.


19 marzo, 2019

19 marzo 1974 - L'aeroplano diventa astronave

Il 19 marzo 1974 i Jefferson Airplane iniziano il loro primo tour sotto il nuovo nome di Jefferson Starship con una formazione che comprende Paul Kantner, Grace Slick, Johnny Barbata, David Freiberg, Pete Sears, Papa John Creach, Craig Chaquico e un ritrovato Marty Balin. Intervistato dai giornalisti sul significato del cambiamento di nome Kantner dichiara di non voler più cantare la rivoluzione ma di voler piuttosto mettere un musica l'evoluzione della specie e delle idee. La band, complice la ritrovata intesa tra lo stesso Kantner e Balin, si fa valere in classifica con una sorta di rock spaziale che mescola soft e funky e regala a Grace Slick un ruolo più sexy che nel passato. Meno cerebrali e più ballabili finiscono per essere inevitabilmente accusati di essersi venduti al mercato. Loro non si preoccupano troppo e sfornano album di grande successo come Dragon Fly del 1974 e soprattutto Red Octopus che, nel 1975, li porta al primo posto delle classifiche di vendita. Nel 1976 l’album Spitfire sembra ripiegare decisamente sulla musica di intrattenimento con cori, giochi di sintetizzatore, elaborazioni pianistiche e sottofondi orchestrali. Nel 1978 dopo Earth il gruppo entra in crisi e perde in un sol colpo Balin, Barbata, e soprattutto una Grace Slick prostrata dall’abuso di sostanze varie e di alcol. Nella gara a eliminazione del gruppo storico vince Paul Kantner che sceglie di orientare la band verso un rock consumistico con qualche apertura all’hard. Non sarà l’ultima metamorfosi.

18 marzo, 2019

18 marzo 1976 – L’uomo che cadde sulla terra


A Londra viene presentato, in prima visione assoluta il film “L’uomo che cadde sulla terra”, interpretato da David Bowie. All’evento mondano il cantante non partecipa perché è impegnato in tour, ma sia il pubblico che la critica mostrano di apprezzare l’interpretazione data da Bowie all’alieno arrivato sulla terra in pace e perseguitato dal potere. Molto liberamente ispirato a un romanzo di Walter Travis e sceneggiato da Paul Maysberg, il film diretto da Nicolas Roeg può essere considerato uno degli ultimi esempi del genere fantascientifico politicamente impegnato degli anni Settanta. Con David Bowie ci sono Rip Torn, Candy Clark, Buck Henry e Bernie Casey.



15 marzo, 2019

16 marzo 1975 – T Bone Walker, il primo bluesman elettrico


Il 16 marzo 1975 muore di polmonite a Los Angeles il leggendario chitarrista blues T Bone Walker, registrato all'anagrafe con il nome di Aaron Thibeaux Walker. Ha sessantaquattro anni ed è considerato uno dei padri del blues moderno per avere utilizzato per primo la chitarra elettrica in questo genere musicale. Nasce a Linden, nel Texas e il suo primo insegnante di musica è il compagno della madre, leader di una string band, un'orchestra composta soltanto da strumenti a corde, che lo fa strimpellare su un minuscolo banjo. A dieci anni incontra Blind Lemon Jefferson. Il grande bluesman cieco resta affascinato dal piccolo strimpellatore e lo prende sotto la sua protezione. Nel 1924 T Bone ottiene lavora come chitarrista e ballerino di tip tap nel "medicine show", uno spettacolino pubblicitario che intervalla la vendita di intrugli medicamentosi, del Dottor Breeding. A sedici anni è già il chitarrista della band di Ida Cox e, dopo un breve periodo nell'orchestra di Lawson Brooks, passa al servizio di un'altra delle grandi cantanti di quel periodo: Ma Rainey. Gli anni Trenta lo vedono schierato sul fronte dello swing craze con la Territory Band di Count Bilosky e con Cab Calloway. Nel 1935 si sposta sulla West Coast e scopre la chitarra elettrica, strumento che non lascerà più. Gli anni Quaranta vedono la nascita di quasi tutti i suoi brani più significati, da T Bone blues a Mean old world alla celebre Stormy Monday. Nel luglio del 1942, poi registra un singolo con i brani I got a break baby e il già citato Mean old world. Quel disco farà storia e verrà considerato il primo decisivo passo, della nuova generazione elettrica del blues. Un'ulcera dolorosissima ne riduce drasticamente l'attività per quasi tutti gli anni Cinquanta, caratterizzati da scarsi e isolati concerti e da un lavoro di studio quantitativamente modesto. A partire dagli anni Sessanta, riscoperto dalla generazione del nuovo rock che arriva dall'Europa partecipa a un'infinità di concerti. Neppure l'improvviso insorgere della tubercolosi riesce a frenarne il dinamismo e la disponibilità, anche se il fisico comincia a dare segni di cedimento. All'inizio degli anni Settanta alterna momenti di intenso lavoro a pause sempre più lunghe per le ricorrenti febbri influenzali e per la fragilità del sistema respiratorio. Una polmonite trascurata lo costringe alla resa. Si fa ricoverare all'ospedale di Los Angeles, ma non c'è più niente da fare.

15 marzo 1979 – Falsari per amore dei Talking Heads


Il 15 marzo 1979 i Talking Heads si esibiscono in un affollato concerto all'Agora di Cleveland. La band, dopo l'ultimo album More songs about building and food sta vivendo un periodo ricco di stimoli ed entusiasmante. Un lunghissimo tour che tocca le principali piazze europee e statunitense permette al gruppo guidato da David Byrne di verificare i risultati di un rinnovamento che lo sta progressivamente portando oltre gli schemi della new wave. Determinante, in questo senso, è il lavoro svolto da Brian Eno, l'ex tastierista dei Roxy Music che proprio Byrne ha voluto al suo fianco nella produzione dell'album, ma anche l'apporto creativo della bassista Tina Weymouth si fa sentire. Il suono dei Talking Heads si è fatto più corposo, gli apporti della chitarra di Jerry Harrison sono diventati meno casuali e nell'insieme la band appare come una delle più potenti "macchine da concerto" di quel periodo. Per questa ragione la loro etichetta, la Warner Bros, decide di registrare l'intero concerto del 15 marzo. L'intenzione è quella di farne un disco promozionale con il quale omaggiare una ristretta cerchia di giornalisti, critici e operatori del music business. Vede così velocemente la luce un album live intitolato Talking Heads live on tour, fuori catalogo e prodotto in seicento copie numerate. Contiene dieci brani ma, soprattutto, riesce a rendere efficacemente la magia della band in concerto. Tra i giornalisti che l'hanno ricevuto in regalo c'è chi non sa trattenere il suo entusiasmo e scrive «È straordinaria l'energia che arriva fin dall'ascolto delle prime note. Peccato che essa sia negata agli acquirenti dei dischi della band. L'album regala momenti straordinari, liberando quell'energia che in studio viene inevitabilmente compressa» Come molti dischi promozionali sembra destinato a finire nel carissimo mercato parallelo destinato agli amatori. Poco tempo dopo, invece, un numero crescente di rivenditori di dischi in varie parti del mondo espongono l'album tra le "rarità" in vetrina. Fatti i conti anche la Warner Bros capisce che le seicento copie originali sono diventate prima migliaia, poi centinaia di migliaia. Una gigantesca opera di riproduzione abusiva ha garantito ai fans il diritto di accedere a un disco che la Warner aveva deciso di rendere "esclusivo". A nulla valgono le denunce. Un gruppo di questi falsari si farà vivo con una lettera a vari magazine musicali sostenendo di aver agito «Per amore dei Talking Heads».


12 marzo, 2019

13 marzo 1988 – Muore Andy Gibb, il fratellino dei Bee Gees


Il 13 marzo 1988 mentre è impegnato nella registrazione di un nuovo album per la Island Records muore a trent’anni Andy Gibb, per tutta la vita considerato il fratellino dei Bee Gees. Andrew Roy Gibb, questo è il suo nome completo, è infatti il minore dei fratelli Gibb, i tre membri dei Bee Gees. Più giovane di dieci anni finisce per trovare più un ostacolo che un aiuto nel successo dei fratelli famosi. I primi passi in musica li muove nella natìa Australia dove dà vita a una propria band. Nel 1977 il “fratellone” Barry Gibb e il manager Robert Stigwood lo convocano a Miami per farne una star. Con Barry come protettore, autore e produttore, Andy pubblica l'album Flowing rivers, che ottiene un successo eccezionale, così come i singoli I just wanna be your everything e (Love is) thicker than water. Il successo continua poi nel 1978 con l'album Shadow dancing e con il singolo omonimo. L'anno dopo, complici le sue frequenti crisi e i problemi legati alla tossicodipendenza, la sua popolarità inizia a calare. Nel 1980 un singolo in coppia con Olivia Newton-John e l'album After dark confermano il declino della sua stella. Nel 1981 registra All I have to do is dream con Victoria Principal, la popolare interprete della serie televisiva "Dallas", e debutta come attore a Los Angeles in "The Pirates of Penzance". Dopo alcune presenze in altri lavori teatrali canadesi e statunitensi, nel 1985 viene ricoverato a lungo in una clinica per risolvere i propri problemi di dipendenza dalle droghe. È una battaglia lunga e difficile nella quale alla fine soccomberà.

12 marzo 1966 – Il primo album dei Love


Il 12 marzo 1966 i Love pubblicano il loro primo album, intitolato semplicemente Love. Il disco è edito dall’etichetta Elektra, fino a quel momento specializzata nella produzione folk. Non diventa un successo galattico ma contribuisce a far conoscere la band formata nel 1965 dal chitarrista con gli altri chitarristi Johnny Echols e Bryan McLean, con il bassista Kenneth Forssi, il batterista Don Conka e i percussionisti Michael Stuart e Tjay Cantrelli. Al momento della registrazione di Love Don Conka non c’è già più, sostituito da Alban Pfisterer. È solo il primo di un'infinita serie di cambiamenti legati alle evoluzioni musicali di Arthur Lee che caratterizzeranno la vita dei Love. Dopo il secondo album Da Capo del 1967 Pfisterer, che era passato alle tastiere, lascia il gruppo seguito da Cantrelli. I cinque componenti rimasti pubblicano nello stesso anno Forever changes poi scompaiono dalla scena. Dopo un silenzio durato due anni, nel 1969 quando ormai tutti li danno per morti e seppelliti, i Love tornano con una formazione nuova composta oltre che da Lee, dal chitarrista Jay Donnellan, dal bassista Frank Fayard e dal batterista George Suranovich e un nuovo album intitolato Four sails. Sostituito Donnellan con Gary Rowles, la band realizza nello stesso anno anche il doppio Out here. Non è finita. L’anno dopo i Love con una formazione composta da Lee, Suranovich, Fayard, Gary Rowles e il chitarrista Nooney Rickett pubblicano False stat, un album alla cui registrazione partecipa anche Jimi Hendrix. A un nuovo silenzio segue un album da solista di Arthur Lee mentre solo nel 1973 arriva l'ultimo album dei Love di questo periodo, intitolato Reel to reel e realizzato da una formazione che, oltre a Lee, comprende i chitarristi Melvin Whittington e John Sterling, i bassisti Sherwood Akuna e Robert Rozelle e il batterista Joe Blocker. Nel 1977 Arthur riformerà la band con McLean, Sterling, Suranovich e il bassista Kim Kesterson.


11 marzo, 2019

11 marzo 2003 – Fiction Plane, il gruppo del figlio di Sting


L’11 marzo 2003 la MCA pubblica l'album Everything will never be ok dei Fiction Plane. Chi sono i Fiction Plane? Sono una band londinese composta, dal chitarrista e cantante Joe Sumner, dal bassista Dan Brown e dall'altro chitarrista Seton Daunt. Fino a pochi mesi prima si esibivano nei locali con il nome di Santa’s Boyfriend e in quel periodo fanno danni in giro per l'America di Bush cantando brani contro la guerra. Il disco punta il dito sull'assurdità della guerra e prende posizione contro il conflitto in Irak. Una canzone in particolare, Soldier machismo, affronta il tema dell’informazione divenuta propaganda politico–militare con lo scopo di confondere le coscienze. I temi affrontati, con l'aggiunta di un breve tour proprio negli Stati Uniti attraversati dalla campagna bellicista di Bush, hanno acceso i riflettori dei media su questi tre ragazzi che non nascondono dal punto di vista musicale di essere figli di molte influenze incrociate. La curiosità dei media, però, ha trovato un altro argomento su di loro, decisamente inatteso e sorprendente. Incuriositi dall'omonimia, i magazine musicali si sono accorti per primi che il ventiseienne leader della band, Joe Sumner è figlio d'arte. Suo padre si chiama Gordon Sumner, ma è conosciuto in tutto il mondo con il nome di Sting. La notizia ha fatto rapidamente il giro del globo e il vecchio (si fa per dire) genitore sembra non sia rimasto indifferente all'exploit del figlio, soprattutto perché ottenuto "quasi di nascosto da papà". Da parte sua, in verità, Joe non affronta volentieri l'argomento, nel timore di rimanere prigioniero dell'ingombrante figura paterna. E a chi insiste ricorda che la sua infanzia è stata caratterizzata dall'avversione per la musica provocata dall'obbligo di frequenza a noiose lezioni di pianoforte. E per non lasciare dubbi sulla sua ispirazione aggiunge «Se non avessi incontrato sulla mia strada lo ska degli Specials e il grunge dei Nirvana probabilmente non sarei qui»

07 marzo, 2019

8 marzo 1971 – Le note di Hendrix a Radio Hanoi


«Hey man! Parlo con te, che porti la divisa di un paese lontano e sei qui, nel mio paese, a portare morte. Tu, che ogni giorno rischi di morire, ti sei mai chiesto perché? Questa non è la tua guerra. Nessuno ha minacciato il tuo paese, bruciato le tue case, ucciso i tuoi fratelli e le tue sorelle, tuo padre, tua madre, tua moglie e i tuoi bambini. Eppure sei qui. Bruci le nostre case e uccidi. Noi non ci arrenderemo. Dovrai ucciderci uno per uno, cancellare tutto e anche allora, se qualcuno sopravviverà, cercherà di vendicare i suoi morti. Perché tutto questo? Noi non vogliamo ucciderti, non abbiamo alcuna ragione per farlo. Ma se metti in pericolo la nostra vita e il nostro paese saremo costretti a spararti. E lo faremo. Credici, lo faremo. Non per crudeltà, ma per difenderci. Perché, amico, resti qui? Perché vuoi continuare una guerra che altri hanno deciso per te? Torna a casa tua, dai tuoi amici, dalla tua famiglia. Lasciaci vivere la nostra vita e torna a vivere la tua...» Così, con un invito ai soldati statunitensi a tornarsene a casa, l’8 marzo 1971 inizia le sue trasmissioni in inglese su tutto il territorio vietnamita l’emittente Radio Hanoi. Mentre cresce nel mondo la protesta contro la “sporca guerra” d’aggressione condotta dagli Stati Uniti nel paese asiatico, la stazione radiofonica nordvietnamita si rivolge direttamente ai soldati americani nella loro lingua. Le trasmissioni non sono, però, composte da proclami, ma anche da musica, tanta musica rock che riporta ai giovani in divisa dell’esercito invasore gli echi di una battaglia pacifista che si sta combattendo nel loro paese. Il primo brano trasmesso da Radio Hanoi è l’inno statunitense Star spangled banner, nella stralunata e acida versione di Jimi Hendrix, lo scomparso chitarrista nero. Negli Stati Uniti la stampa conservatrice scatena una polemica feroce contro tutti gli artisti coinvolti dalle iniziative del movimento pacifista, accusandoli di essere «complici di chi assassina i nostri ragazzi nelle giungle vietnamite». La risposta non tarda ad arrivare. Il primo a prendere posizione è il “padre nobile” della canzone politica, il folksinger Pete Seeger, che due giorni dopo l’inizio delle trasmissioni di Radio Hanoi annuncia di aver regalato i suoi dischi all’emittente nordvietnamita e parla ai giovani americani: «Non andate in Vietnam. Il sangue di ogni vietnamita ucciso è sangue versato anche per la nostra libertà. La loro battaglia è la nostra».

06 marzo, 2019

6 marzo 1936 – Sylvia da cantante a manager


Il 6 marzo 1936 nasce a New York Sylvia Vanderpool. Ancora adolescente registra i primi dischi all’inizio degli anni Cinquanta con il nome di Little Sylvia. Nel 1955 forma con Mickey Baker il duo Mickey & Sylvia destinato a ottenere un buon successo con brani come Love is strange del 1957 e Baby you're so fine del 1961. La vita della star però a Sylvia non piace e nel 1961 mentre sta per arrivare il ciclone dei Beatles che cambierà i gusti dei giovani di tutto il mondo il duo si scioglie e la ragazza decide di cimentarsi in campi diversi. Sylvia negli anni successivi dimostra di saperci fare in settori in genere riservati agli uomini e con grinta e determinazione diventa via via produttrice, autrice, tecnica di registrazione e infine vicepresidente dalle etichette Vibration e All Platinum, fondate in società con Mickey Baker. Quando gli affari le vengono a noia decide di rilassarsi un po’ tornando sulle scene. Nel 1971, infatti, decide di tornare in sala di registrazione per interpretare Pillow talk, una canzone composta da Al Green già sottoposta, senza risultati, all'attenzione di molti altri cantanti. Proprio Pillow talk la riporta in classifica, vendendo oltre due milioni di copie, ma Sylvia preferisce considerarlo un episodio isolato e torna a occuparsi di produzione.


04 marzo, 2019

5 marzo 1989 - Beppe Grillo non basta a salvare il Festival di Sanremo del 1989


Il 5 marzo 1989 per la prima volta nella sua storia il popolarissimo "Sorrisi e Canzoni TV", il più diffuso e moderato magazine di musica e spettacolo spara a zero sul Festival di Sanremo. Per la verità non è l’unico visto che l’edizione 1989 della kermesse sanremese sembra scontentare un po’ tutti, nonostante la vittoria della coppia Anna Oxa-Fausto Leali con Ti lascerò, l’esordio di Jovanotti con Vasco, e i ritorni di Gino Paoli e di Ornella Vanoni. Le critiche non mancano ma che anche un giornale come Sorrisi e Canzoni TV prenda posizione lascia il segno. Il giornale stronca l’eccessiva dilatazione del Festival, lasciando intendere che sia ormai divenuto un varietà più che un concorso canoro: «Se il festival di Sanremo non rinuncerà a questa caratteristica di contenitore cloaca, se la Rai insisterà solo per bieche ragioni di audience a diluirlo in tante serate, bene, allora c’è da aspettarsi che finisca soffocato da se stesso...». Insomma, le azioni del Festival di Sanremo sono in ribasso e non basta a rialzarle neppure l’estemporanea irruzione di Beppe Grillo che se la prende un po’ con tutti in assoluta tranquillità. Nessuno scandalo: tutto fa spettacolo sotto il cielo di Sanremo.


03 marzo, 2019

4 marzo 1919 – La pazzia uccide Scott Joplin il re del ragtime


Il 4 marzo 1919 muore in una casa di cura per malati mentali di New York il pianista Scott Joplin, uno dei padri fondatori del ragtime scritto, chiamato anche "King of ragtime", il re del ragtime. Nato il 24 novembre 1868 e Texarkana, nel Texas, dopo aver imparato a suonare il pianoforte, a quindici anni lascia la famiglia e scappa di casa per diventare musicista itinerante. Nel 1895 entra a far parte del Texas Medley Vocal Quartet. In quel periodo riesce anche a piazzare a qualche editore le sue prime composizioni: Please say you will e Picture of her face. Negli stessi anni inizia ad approfondire le tecniche pianistiche del ragtime. Diventa il pianista fisso del Maple Leaf Club di Sedalia, nel Missouri, dove incontra l'editore Carl Hoffman che nel 1898 gli produce The original rag, la sua prima importante opera, cui seguono Maple leaf rag, The sun flower slow drag e Swipsy , tutte e tre del 1899. Dopo la sfortunata A guest of honour che nel 1903 viene rappresentata una sola volta a St. Louis con scarso successo, nel 1905 si trasferisce a New York dove si fa catturare dall’ossessione di scrivere una vera e propria opera lirica ragtime. Il 4 marzo 1919 la morte se lo porta via dopo una vita passata tra difficoltà economiche ed espedienti per sopravvivere, senza aver mai trovato un impresario disposto a rappresentare Treemonisha, la sua opera, con A guest of honour, oggi più famosa. Nel 1974 Marvin Hamlisch utilizza la musica di Scott nella colonna sonora del film "La stangata". Dopo il successo de "La stangata", Treemonisha, composta nel 1907, viene rappresentata per la prima volta nel 1974 all'Uris Theatre di Broadway, con la produzione dell'Houston Grand Opera e con la partecipazione di cento pianisti di tutto il mondo. Peccato che Scott ormai non c’è più.


02 marzo, 2019

3 marzo 1966 – Buffalo Springfield, la band del compressore stradale


Il 3 marzo 1966 a Los Angeles nascono i Buffalo Springfield. La band unisce musicisti dalle esperienze più varie ed è destinata a lasciare un segno profondo nella storia del rock. Ne fanno parte tre chitarristi ricchi di talento e di idee come Stephen Stills e Richie Furay, provenienti dal gruppo folk degli Au Go Go Singers e il canadese Neil Young dei Mynah Birds, da cui proviene anche il bassista suo connazionale Bruce Palmer. La formazione è completata da un altro canadese: il batterista Dewey Martin già con i Dinah. In un primo momento al gruppo si era unito anche il bassista Ken Koblun, ma la sua collaborazione era durata lo spazio di un respiro. Da tempo Stills e Furay inseguivano l'idea di mettersi insieme a Young, ma per varie ragioni il canadese si era sempre sottratto agli impegni. La leggenda racconta che, proprio quando i due chitarristi, rotti i ponti con il loro gruppo, stavano ormai pensando a una soluzione diversa, Neil Young li avesse raggiunti a Los Angeles viaggiando in autostop e compiendo l'ultimo tratto di strada a bordo di un carro funebre. Leggende a parte il 3 marzo 1966 il gruppo è ormai una realtà, anche se non ha un nome. La soluzione è presto trovata. In una pausa della riunione costitutiva, Furay si alza per sgranchirsi le gambe e osserva fuori dall'appartamento gli operai di un cantiere stradale. Accanto a loro c'è un compressore che reca sul fianco il nome della ditta produttrice: Buffalo Springfield. Lo propone ai compagni che accettano. Nasce così uno dei più gruppi più amati dal movimento hippy. Una serie di concerti al fianco dei Byrds e regolari quanto affollate esibizioni al "Whisky a go go" sul Sunset Strip di Los Angeles li imporranno all'attenzione dei produttori più svegli e intuitivi. I primi a occuparsi di loro saranno Charlie Green e Brian Stone, il manager di Sonny & Cher. I due garantiranno alla band un contratto con la Atlantic e, soprattutto, un anticipo di ben dodicimila dollari. Nell'estate del 1966 i Buffalo Springfield pubblicheranno il loro primo singolo Nawadays Clancy can't even sing, un brano scritto da Neil Young che verrà censurato per il testo. Non otterrà grandi risultati commerciali, ma contribuirà a far conoscere la band fuori dai confini della California Sarà l'inizio di una breve ma intensa produzione che farà del gruppo uno dei principali artefici del progressivo spostamento del folk verso i suoni elettrici e aggressivi del country rock.