Il 4 settembre 1894 a New Orleans, in Louisiana muore a soli trentasei anni Aaron Warren Clark. Nato a Louisville nel Kentucky, nel 1858 è una delle figure più leggendaria tra i musicisti che hanno dato vita alle esperienze jazz della Louisiana. Con il suo corno baritono dal 1882 al 1890 suona con la Excelsior Brass Band, una delle più prestigiose formazioni in attività a New Orleans dal 1880 e che ha avuto in organico gran parte degli strumentisti che oggi vengono considerati un po’ come i padri del jazz. Dal 1890 al 1894 entra in un altro ensemble leggendario come la Onward Brass Band che ha avuto tra i suoi musicisti personaggi come Manuel Perez, Peter Bocage, Joseph Oliver, Buddy Johnson e George Baquet. Dopo la sua morte il testimone passa al figlio trombonista e suonatore di basso tuba Red Clark.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
04 settembre, 2024
03 settembre, 2024
3 settembre 1960 – Berruti, miope e velocissimo
Nel 1960 la televisione trasmette in diretta nelle case degli italiani le principali gare dell'Olimpiade di Roma. Il 3 settembre le strade delle città sono deserte. Tutta Italia è davanti al televisore per assistere, nella gara dei 200 metri, all'impresa di un occhialuto studente torinese che risponde al nome di Livio Berruti. In semifinale ha eguagliato il record del mondo facendo fermare i cronometri sul tempo di 20''5 dando l'impressione di aver volutamente rallentato la sua corsa negli ultimi metri e nelle due ore che precedono la disputa della finale si rilassa leggiucchiando il libro dell'esame di chimica e bevendo lunghe sorsate di acqua e limone. Sulla linea di partenza ci sono ben quattro primatisti mondiali, tutti con lo stesso tempo: il francese Seye, lo statunitense Carney, il polacco Foyk e Berruti. La prima partenza non è valida. Uno dei due atleti scattati in anticipo è proprio l'italiano. L'incidente, però, non riesce a scalfire la sua tranquillità. Allo sparo scatta potente e, dopo aver resistito alla rimonta di Carney, è primo eguagliando ancora il record mondiale di 20''5. Non perde la calma neppure dopo la conquista dell'oro olimpico e risponde educatamente in inglese alle domande dei giornalisti. A chi gli chiede qual è il segreto della sua corsa, così fluida ed elegante risponde: «La robustezza delle mie caviglie, temprate in ore di pattinaggio e di tennis».
02 settembre, 2024
2 settembre 1938 – Giuliano Gemma, disarmato da un bacio
Il 2 settembre 1938 nasce Giuliano Gemma, con Clint Eastwood e Franco Nero uno dei tre personaggi più amati del primo periodo del western all’italiana. Se Eastwood è il pistolero senza nome della Trilogia del dollaro e Nero è il primo indimenticato Django, Giuliano Gemma è Ringo, ribattezzato anche “faccia d’angelo” dal pubblico femminile delle riviste illustrate popolari. Il nome, preso in prestito dallo scontroso eroe che in Ombre rosse ha il volto di John Wayne, gli resta appiccicato dopo l’interpretazione dell’omonimo personaggio in Una pistola per Ringo di Duccio Tessari, il regista che, insieme a Giorgio Ferroni, per primo crede nelle possibilità di questo ex stuntman che si è fatto conoscere nell’ultimo periodo dei “peplum”, il genere fantastico-mitologico nato in Italia negli anni Cinquanta. Il futuro “Ringo faccia d’angelo” degli western all’italiana nasce a Roma, ma poco tempo dopo la sua nascita si trasferisce con la famiglia a Reggio Emilia dove trascorre parte dell'infanzia. Nel 1944 i suoi genitori tornano definitivamente a Roma e il piccolo Giuliano, giocando in un prato trova un ordigno bellico il cui scoppio accidentale gli provoca varie ferite, una delle quali resta visibile sullo zigomo sinistro e diventa un po’ la caratteristica del suo viso. Tra i sedici e i diciott'anni pratica il pugilato con buoni risultati. Dopo aver prestato il servizio militare nei Vigili del Fuoco inizia a lavorare nel mondo del cinema come controfigura per le scene pericolose o, come stuntman, secondo la definizione hollywoodiana. Dopo molte presenze sotto mentite spoglie pellicole come nel 1958 Venezia, la luna e tu di Dino Risi o nel 1959 Ben-Hur di William Wyler partecipa finalmente a un film senza travestirsi o nascondersi. Si tratta di Messalina, venere imperatrice un film del 1960 diretto da Vittorio Cottafavi. Gemma dovrebbe pugnalare Belinda Lee ma si fa disarmare da un bacio. È una piccola parte di contorno ma sufficiente a farlo notare da Duccio Tessari che in quella pellicola, oltre ad aver messo mano nella sceneggiatura, dirige la seconda unità. Proprio lui l’anno dopo gli affida il suo primo ruolo da protagonista in Arrivano i Titani, sceneggiato insieme con Ennio De Concini. Giuliano Gemma è Crios, titano liberato da Zeus per punire il re di Tebe, Cadmo. Anche Luchino Visconti resta colpito da quel giovane attore e gli affida il ruolo di un Generale dei Garibaldini nel Gattopardo. Il suo esordio nel western all’italiana sotto le mentite spoglie di Montgomery Wood, un nome d’arte in linea con la tendenza che vede i primi protagonisti del genere mascherarsi da “americani”, avviene con Un dollaro bucato, il primo film di una trilogia diretta da Giorgio Ferroni che si conclude con Wanted La sua “Faccia d’angelo” attraversa da protagonista tutta l’epopea dei western all’italiana fino a Sella d’argento, un film per famiglie girato da Lucio Fulci quando il periodo d’oro del genere è ormai alle spalle. Il suo successo nel mondo è tale che in Giappone la Suzuki lancia sul mercato due scooter con il suo nome. Tornerà a indossare i panni dell’eroe del west nel 1985 quando Duccio Tessari, incaricato di realizzare la trasposizione cinematografica di Tex Willer affiderà proprio a lui la parte dell’eroe ideato da Sergio Bonelli in Tex Willer e il Signore degli Abissi. Nella sua lunga carriera Giuliano Gemma presta il suo volto agli eroi di moltissimi generi cinematografici, dai peplum storico-mitologici alla fantascienza, dal comico alla parodia alla spy story, anche se la sua esperienza nel western all’italiana resterà per sempre nell’immaginario degli appassionati. Muore a Civitavecchia il 1° ottobre 2013.
01 settembre, 2024
1° settembre 2004 - Addio alla CGD: Warner Italia cancella la storica etichetta
Ormai era soltanto un marchio, ma vederlo scomparire fa male al cuore. Nell'estate del 2004 esce di scena uno dei marchi storici della musica italiana. Warner Music ha infatti deciso di cancellare, dal 1° settembre, il “marchio” CGD per pubblicare anche il repertorio del nostro paese sotto le insegne storiche della major americana: Atlantic e Warner Brothers. I dischi di Nomadi e Paolo Conte, per esempio, dovrebbero uscire con l’etichetta Atlantic. Si chiude così per sempre la gloriosa storia della CGD (Compagnia Generale del Disco), creata da Teddy Reno nel 1948 e rilevata, negli anni ’50, dall’italo-ungherese Ladislao Sugar, uno dei protagonisti della stagione d’oro della discografia italiana. Alla sua morte, nel 1981, gli subentrarono il figlio Piero con la moglie Caterina Caselli. Nel 1989 una grave crisi finanziaria la consegnò al gruppo Warner Music. Da allora la CGD ha cessato di esistere come etichetta indipendente, diventando una divisione artistica della major statunitense. Il 1° settembre 2004 scompare del tutto.
31 agosto, 2024
31 agosto 1997 - Candle in the wind
Nella notte del 31 agosto 1997 perde la vita in un incidente stradale a Parigi la trentaseienne principessa del Galles Diana Spencer, moglie divorziata del principe Carlo d’Inghilterra. Insieme a lei muoiono anche il suo compagno, il miliardario egiziano Dodi Al Fayed, e l’autista Henri Paul, mentre rimane gravemente ferita la guardia del corpo Trevor Rees-Jones. L’auto sulla quale viaggiava la principessa si è schiantata a velocità elevata contro un pilone del tunnel dell’Alma, nel centro cittadino. Al Fayed ed Henri Paul muoiono sul colpo, mentre Diana spira alle quattro del mattino all’ospedale Pitié Salpetrière. Al termine della cerimonia funebre officiata dall’arcivescovo di Canterbury, che si svolge in forma solenne nell’abbazia di Westminster, il cantante e compositore Elton John esegue il suo vecchio brano Candle in the wind, originariamente dedicato a Marilyn Monroe. Incidente o cospirazione? Sulle cause della morte si discuterà per anni.
30 agosto, 2024
30 agosto 1924 - Kenny Dorham, trombettista dell'età di mezzo
Il 30 agosto 1924 nasce a Fairfield in Texas Howard McKinsey, un trombettista destinato a lasciare un segno importante nell'età di mezzo del jazz con il nome d’arte di Kenny Dorham. Tra gli strumentisti più geniali e più richiesti dalle piccole formazioni che hanno vissuto l'avventura del be bop e quella immediatamente successiva del cool e dell'hard bop, si avvicina alla musica suonando e studiando il pianoforte anche se passa molto presto allo studio della tromba. La sua prima esibizione avviene nella band del Wiley College insieme a Russell Jacquet, fratello del più celebre Illinois. Nel 1945 è con Dizzy Gillespie, l’anno dopo con Billy Eckstine e nel 1947 con Lionel Hampton. Nel 1948 suona con Mercer Ellington poi si aggrega a Charlie Parker con il quale resta per due anni. Nei primi anni Cinquanta vagabonda come free lance alternando come sempre i piccoli gruppi alle band più corpose fino al 1955, anno in cui entra a far parte dei Jazz Messengers di Art Blakey e poi del gruppo di Max Roach, in sostituzione di Clifford Brown. A partire dagli anni Sessanta non disdegna puntate in ambienti più aperti al rock esprimendosi con successo su sonorità e linee melodiche vicine al Miles Davis dei tempi migliori. La sua tecnica gli consente di svariare a piacimento lungo l'intera scala melodica giocando con la scansione del fraseggio rapido e spezzato, tipico del boppers. Muore a New York il 5 dicembre 1972.
29 agosto, 2024
29 agosto 1987 – Il successo non cambia Los Lobos
Il 29 agosto 1987 al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti arriva La bamba, il tema principale della colonna sonora del film omonimo, ispirato alla vita e alla precoce morte del diciassettenne rocker Ritchie Valens. La canzone diventa rapidamente un successo internazionale e fa conoscere al mondo uno dei gruppi simbolo delle vaste aree del Sud degli Stati Uniti dove maggiormente si concentrano i flussi migratori di popolazioni ispaniche alla ricerca di lavoro e fortuna. Si chiamano Los Lobos (I Lupi) e sono stati formati nel 1974 a Los Angeles da un gruppo di figli di immigrati messicani: Cesar Rosas (voce e chitarra), David Hidalgo (voce, accordeon e chitarra), Conrad Lozano (basso) e Luis Perez (batteria). Conosciutissimi dai frequentatori dei locali ispanici della California nel 1976 partecipano alla realizzazione dell'album-manifesto dell'orgoglio degli immigrati latino-americani Si se puede. Due anni dopo con l'autoprodotto Just another band from East L.A. attirano l'attenzione degli addetti ai lavori e ottengono il loro primo contratto discografico. La svolta dal punto di vista musicale avviene con l'ingresso in formazione del sassofonista Steve Berlin già con i Blasters. Tre album di discreto successo precedono l'exploit del 1987 quando vengono chiamati a interpretare otto canzoni nella colonna sonora del film "La bamba". Il loro successo provoca un'attenzione nuova per la popolazione di lingua ispanica, tanto che vari artisti anglofoni, a partire da Linda Ronstadt, iniziano a registrare versioni bilingue dei loro brani. I risultati inaspettati non cambieranno Los Lobos. Determinati a non lasciarsi travolgere dal music-business approfitteranno della popolarità per continuare la loro battaglia in difesa della musica ispanica. Nel 1988, infatti, riproporranno al grande pubblico la linea musicale delle origini con lo splendido album La pistola y el corazon, una rivisitazione di vecchie melodie messicane.
28 agosto, 2024
28 agosto 1985 – Gli INX non sono ambasciatori di nessuno
Il 28 agosto 1985 la band australiana degli INXS parte per il primo tour mondiale della sua carriera. Il gruppo formato dal cantante Michael Hutchence, dal bassista Gary Beers, dal chitarrista Kirk Pengilli oltre che dai tre fratelli Farriss (il tastierista e chitarrista Andrew, il chitarrista Tim e il batterista Jon) si è progressivamente allontanato dal punk delle origini, quando ancora si chiamava Vegetables, per approdare a un rock più metallico non privo di qualche svolazzo di marca new wave. Soltanto un anno prima, con la pubblicazione del loro album The swing, erano ancora considerati una buona band "di nicchia". Determinante per la crescita della loro popolarità è stata la partecipazione al Live Aid, il megaconcerto benefico organizzato da Bob Geldof e trasmesso in mondovisione, che li ha portati nelle case dei telespettatori di tutto il globo. Non meno decisiva è stata, però, la scelta di MTV che ha inserito i loro video-clip nella martellante programmazione quotidiana. Il tour mondiale è dunque la consacrazione di un successo planetario per gli INXS. Tutto a posto? No, perché una parte della stampa australiana li accusa di essere troppo attenti alla loro immagine e del tutto indifferenti al ruolo di alfieri della musica del loro paese. All'attacco risponde, proprio nella conferenza stampa che precede il tour, Michael Hutchence a nome di tutti: «Cosa dovremmo fare? Vestirci con i colori della bandiera o cantare in coro che non siamo gli unici a suonare in questo continente? Il pubblico sa intuire da solo che noi siamo soltanto una delle tante band di questa parte del mondo. Possiamo raccontare che qui da noi esiste una scena musicale sottovalutata, anche se molto attiva e variegata, ma poi ci fermiamo lì. Siamo disposti a dare una mano ad altri gruppi, anzi lo stiamo già facendo, ma non chiedeteci di interpretare una parte che non ci si addice. Non siamo ambasciatori di nessuno, facciamo già fatica a rappresentare noi stessi…».
27 agosto, 2024
27 Agosto 1950 - La fatica di vivere uccide Cesare Pavese
Il 27 Agosto 1950 lo scrittore Cesare Pavese, uno degli autori più amati del dopoguerra, muore suicida ingoiando una forte dose di barbiturici in una camera al secondo piano dell'Hotel Roma a Torino, a due passi dalla stazione di Porta Nuova. Non lascia scritti, a parte un'annotazione, sulla prima pagina di una copia dei “Dialoghi con Leucò”, sul comodino al fianco del letto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.» La morte di Pavese arriva proprio all’apice del successo, nell’anno in cui ha ottenuto il Premio Strega uno dei più ambiti riconoscimenti letterari italiani, per il romanzo “La bella estate”. I giornali popolari guardano con stupore alla scomparsa, per molti versi inspiegabile di questo fragile e introverso autore, tra i più amati del dopoguerra, che diviene rapidamente un simbolo dell’eterna contraddizione tra impegno politico e disagio esistenziale. Al mondo della cultura, invece, il suicidio di Pavese, pur improvviso e doloroso, non appare così inaspettato. L’autore da tempo aveva manifestato il tormento esistenziale di chi sente sempre più come l’esistenza come una fatica. Un anno dopo la sua scomparsa l’editore Einaudi pubblicherà la raccolta di liriche “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
26 agosto, 2024
26 agosto 1981 - Quel folk singer è un pericoloso comunista!
Il 26 agosto 1981 un arresto cardiaco pone fine alla vita di Lee Hays nella sua casa di New York. Ammalato da anni di diabete è stato uno dei personaggi più significativi del folk politico statunitense. La sua vicenda artistica è strettamente legata con le battaglie politiche, antifasciste e sindacali degli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta. Nel 1941 con Woody Guthrie, Pete Seeger e Millard Campbell fonda gli Almanac Singers, un gruppo di folk urbano che si esibisce nelle fabbriche occupate, nei picchettaggi e nei raduni sindacali. Il gruppo è anche l’inventore degli “Hootenannies”, concerti inframmezzati da storielle divertenti, discussioni politiche e slogan destinati a raccogliere fondi per le battaglie sindacali. Sotto l’incalzare della seconda guerra mondiale la band si scioglie e Hays fa dell’impegno antifascista lo scopo principale della sua attività. Nel primo dopoguerra il clima degli Stati Uniti è cambiato. I partiti della sinistra e i comunisti in particolare vengono guardati con crescente sospetto in una società che prepara la Guerra Fredda. Lee Hays non cambia bandiera e nel 1948 con Pete Seeger, Ronnie Gilbert e Fred Hellerman dà vita agli Weavers. La band ottiene un clamoroso successo commerciale con il brano Goodnight Irene che resta al primo posto della classifica dei dischi più venduti per ben tredici settimane vendendo oltre due milioni di copie. La storia degli Weavers viene, però, drammaticamente interrotta nel 1952 dalla caccia alle streghe scatenata dal senatore McCarthy contro i comunisti e gli oppositori di sinistra. Hays, dopo essere stato sottoposto a umilianti interrogatori dal Comitato contro le Attività Antiamericane e a vessazioni di ogni genere si vede messo al bando dalla vita civile. Inizia così a vivere ai margini del mondo musicale esibendosi in qualche campus universitario o nei circoli sindacali e riuscendo a vivere solo grazie alla silenziosa quanto efficace catena di solidarietà messa in piedi dalla sinistra statunitense. Quando muore i tempi duri sono ormai alle spalle, ma hanno lasciato un segno indelebile sulla sua salute, già minata dal diabete.
25 agosto, 2024
25 agosto 1979 - Stan Kenton l'uomo che trattava l'orchestra come se fosse uno strumento
Il 25 agosto 1979 muore al Midway Hospital di Hollywood all’età di sessantasette anni Stan Kenton o, come risulta dai dati anagrafici, Stanley Newcombe Kenton, uno dei protagonisti di primo piano della storia del jazz orchestrale. Nato a Wichita, nel Kansas, si trasferisce poi con i genitori in un sobborgo di Los Angeles. Non sa ancora scrivere compiutamente il suo nome quando la madre inizia ad avviarlo ai segreti della tastiera di un pianoforte. La musica diventa ben presto il suo mondo. Non si accontenta del piano. Studia armonia e composizione e nel 1928 ha da poco compiuto i sedici anni quando scrive le partiture del suo primo arrangiamento. Una lunga gavetta in gruppi dell'hinterland losangelino precede il primo regolare contratto. Glielo propone Everett Hoagland che, nel 1934, lo scrittura come pianista e arrangiatore. Suona poi per un anno circa con Gus Arnheim e, in seguito, con Vido Musso e Johnny Davis, ma la sua idea fissa, il sogno della sua vita, è la costituzione di una grande orchestra. È talmente sicuro di farcela che dedica gran parte del suo tempo a preparare arrangiamenti destinati alla sua big band. Nel 1940 il sogno inizia ad avverarsi. La sua formazione non va oltre nove musicisti, ma è un primo passo. Ci riesce l'anno dopo quando chiama accanto a sé un nutrito gruppo di musicisti che, pur non potendo contare su grandi nomi, riesce a conquistare larghe schiere di appassionati. È l'inizio di una straordinaria carriera scandita dalle collaborazioni con quasi tutti i grandi jazzisti del dopoguerra e di cui resta una traccia consistente in oltre cinquanta album. Abilissimo negli arrangiamenti e nella direzione Stan Kenton tratta l'orchestra come fosse uno strumento, quasi annullando le individualità dei singoli strumentisti in una sorta di sintesi superiore. Sono pochi, nel jazz, i casi di un leader capace di sostituire qualsiasi musicista senza cambiare il volto della formazione. Proprio questa sua pretesa di sottomettere a un progetto corale le individualità, che qualcuno battezza "jazz sinfonico", gli vale anche le maggiori critiche. Se da un lato gli si riconosce il merito di aver saputo superare la crisi delle big band, dall'altra lo si ritiene marginale nell'evoluzione del movimento jazzistico, basata innanzitutto sulla grande creatività dei singoli. Mentre la critica si accapiglia lui tira dritto per la sua strada fatta di arrangiamenti calibrati, di esecuzioni perfette e di particolarissime e riconoscibili sonorità orchestrali. Non si fermerà più fino alla morte.
24 agosto, 2024
24 agosto 1963 – Ciro Formisano il primo interprete di "Varca napulitana"
Il 24 agosto 1963 in una modesta casa di Fuorigrotta a Napoli muore il cantante e attore Ciro Formisano. Ha settantacinque anni e, se si eccettua un breve commento nella cronaca locale, i giornali non danno neppure la notizia della sua morte. In quel periodo, infatti, sono pochi quelli che ancora si ricordano di lui, ma il suo nome è entrato di diritto nella storia della canzone per essere stato il primo interprete del famoso brano "Varca napulitana", un classico della canzone napoletana scritto da Frustaci e Sala. Nato nel capoluogo campano nel luglio del 1888 studia canto con il tenore Fernando De Lucia. Il suo sogno è quello di diventare una stella della lirica e proprio nell'opera all'inizio degli anni Venti fa il suo debutto in palcoscenico. Il destino, però, ha in serbo altre sorprese per lui. Nel 1924, mentre sta preparando un recital di romanze e canzoni da eseguire al Trianon di Napoli, gli viene proposto un brano mai eseguito. È Varca napulitana, una canzone che fino a quel momento è rimasta nel cassetto degli autori perché nessun cantante se l'è sentita di inserirla in repertorio. Formisano all'inizio è scettico, ma poi, cedendo alle insistenze dei due autori accetta di farla sua nel concerto del Trianon. Il brano diventerà un classico e lui resterà nella storia della canzone italiana per esserne stato il primo interprete. Sull'onda del successo decide di lasciare la lirica per dedicarsi alla canzone. A partire dal 1926 passa a tempo pieno al varietà, dove ottiene uno straordinario successo con un repertorio di classici napoletani. Negli anni Trenta e Quaranta è popolarissimo. La sua fama non si ferma a Napoli e neppure nei confini italiani. Numerosissime tournée in Europa e in Nordamerica costellano la sua intensa attività. Come molti protagonisti di quel periodo, però, all’inizio degli anni Cinquanta quando la fatica degli anni comincia a farsi sentire, lascia il palcoscenico e si ritira a vita privata nella sua Napoli.
23 agosto, 2024
23 agosto 1927 - Sta tutt’o munno sano arrevutato pe’ Sacco e Vanzetti cundannate
Nella prigione di Charleston nel Massachusetts sono le ore 0,19 del 23 agosto 1927 quando il boia abbassa la leva che immette la corrente nella sedia elettrica sulla quale è stato immobilizzato Nicola Sacco. Sette minuti dopo, alle 0,26, tocca a Bartolomeo Vanzetti. Finisce così la vita e la vicenda processuale dei due anarchici italiani. Il loro calvario inizia il 5 maggio 1920 quando mentre sono sul tram che da Bridgewater porta a Brockston, finiscono nella rete repressiva stesa dalla polizia per reprimere l’attivismo anarchico. Fermati per accertamenti vengono trovati in possesso di volantini d’agitazione politica, di un revolver a testa e delle relative munizioni. Trattenuti e sottoposti a tre giorni di incalzanti quanto ripetitivi interrogatori Sacco e Vanzetti si ritrovano sul capo un’accusa di assassinio. Per il procuratore Gunn Katzman sono loro gli autori di una rapina avvenuta il 15 aprile 1920 ai danni del calzaturificio “Slater and Morrill” di South Baintree nella quale sono stati uccisi a colpi di pistola il cassiere dell’azienda e una guardia giurata. I due italiani vengono condannati a morte nel 1921 dopo una lunga vicenda processuale che non ha messo in evidenza alcuna prova concreta a loro carico. C’è chi scrive che il verdetto appare fortemente condizionato dal clima repressivo esistente negli Stati Uniti contro gli anarchici, ma anche da un tutt’altro che nascosto sentimento razzista nei confronti degli immigrati italiani. In sostanza la loro unica colpa è quella di essere immigrati italiani e anarchici. L’ingiustizia della loro condanna provoca una reazione delle coscienze negli Stati Uniti e nel mondo. Contro la loro esecuzione si mobilitano gli organi di stampa e una lunga serie di intellettuali come Bertrand Russell, George Bernard Shaw e John Dos Passos. In moltissimi paesi nascono comitati per la loro liberazione. Tutto è inutile. Neppure la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla rapina scagionando Sacco e Vanzetti riesce a fermare la “macchina della giustizia”. «Mai vivendo l'intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». In questa frase, rivolta da Bartolomeo Vanzetti alla giuria che lo condanna alla pena capitale c’è il senso di una vicenda che non finisce con la morte dei protagonisti. I due anarchici italiani sono destinati a diventare in tutto il mondo un simbolo della lotta alle ingiustizie, oltre che all’idea stessa di pena capitale. Gran parte degli esponenti più conosciuti della canzone napoletana degli anni Venti si mobilitano per Sacco e Vanzetti trasformando gli spettacoli delle loro tournée nordamericane in vere e proprie iniziative di solidarietà. Come in una sorta di passaparola solidale le vedette del café chantant made in Napoli cantano brani come Mamma sfurtunata (‘A seggia elettrica) («...ma chella mamma s’accurgette subito/ca n’copp’a seggia elettrica ‘o figlio jeva a murì...) che porta la firma illustre di Ermete Giovanni Gaeta, meglio conosciuto con lo pseudonimo di E.A. Mario. Più ricca di implicazioni politiche è Lettera a Sacco p’o figlio suoio, («...e mo chistu volo se spezzate/dimostra chi è nucente, tu me muore...») scritto dal duo Ambro's-Ferraro il 27 maggio 1927, inciso anche su disco da Alfredo Bascetta. Dedicata a Sacco e Vanzetti è anche Lacreme ‘e cundannate, («...sta tutt’o munno sano arrevutato/pe’ Sacco e Vanzetti cundannate...») un brano che all’epoca del processo e della condanna a morte viene eseguito addirittura dalla bellissima “sciantosa e canzonettista” Gilda Mignonette nei suoi spettacoli. Nei giorni che precedono l’esecuzione Sica e Ferraro compongono E figlie 'e nisciune mentre quando tutto è finito Imella e Bascetta firmano Core nun chiagnere, una melodia malinconica che chiede di non smettere di sperare nella ricerca della verità.
22 agosto, 2024
22 agosto 1964 – Where did our love go, un successo in extremis per le Supremes
Il 22 agosto 1964 le Supremes arrivano al primo posto della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con il brano Where did our love go. Il trio femminile formato da Diana Ross, Mary Wilson e Florence Ballard tocca i vertici del successo commerciale proprio nel momento in cui sta per essere messa in discussione la sua stessa esistenza. Il risultato arriva dopo tre anni passati alla corte della Motown, ricchi di lavoro e di promesse. Quando nel 1961 fanno il loro debutto discografico con il singolo I want a guy, le Supremes non godono di attenzioni particolari da parte dell'etichetta nera di Detroit. Il padre-padrone Berry Gordy jr le mette nei fatti sullo stesso piano degli altri due gruppi femminili della Motown: le Marvelettes e Martha & The Vandellas. La vita è dura ma il lavoro non manca. Le tre ragazze alternano infatti i dischi e gli spettacoli in proprio con il duro lavoro di studio come coriste per gli artisti di punta della loro etichetta, primi fra tutti Mary Wells e Marvin Gaye. Tra il 1961 e il 1963 pubblicano ben sei dischi nei quali fanno sfoggio della loro capacità di confrontarsi con i più diversi stili. In campo musicale l'eclettismo, però, non è sempre considerato un pregio. Nel loro caso c'è chi comincia a parlare di mancanza di personalità. A favore hanno una tenacia non comune e, soprattutto, l'amicizia e la stima dell'équipe che lavora alla costruzione dei successi della Motown. Alla fine del 1963 inizia a occuparsi di loro un trio "magico" di autori e produttori composto dai fratelli Eddie e Brian Holland e da Lamont Dozier. Proprio loro regalano alle tre ragazze il primo disco capace di piazzarsi in classifica. È When the lovelight starts shining through his eyes, pubblicato nel gennaio 1964. Si tratta di un assaggio. Pochi mesi dopo l'accattivante ritmo e gli intrecci vocali spericolati di Where did our love go consacreranno definitivamente le tre Supremes tra le stelle della musica di Detroit.
21 agosto, 2024
21 agosto 1976 - Runaways, le cattive ragazze del punk rock
Il 21 agosto 1976 le Runaways entrano per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con l’album The Runaways. È la prima volta che una band di punk rock interamente femminile ottiene un simile successo commerciale. La formazione delle Runaways comprende la cantante Cherrie Currie, la chitarrista Lita Ford, la chitarrista ritmica Joan Jett, la bassista Jackie Fox e la batterista Sandy West. Prodotto da Kim Fowley l’album le impone all’attenzione del pubblico e della critica che le considera un po’ riduttivamente una “versione femminile dei Ramones”. L’aspetto più sorprendente e la rapidità con la quale si sono imposte in un mondo, quello dal punk rock, fino a quel momento esclusivamente maschile. Pochi mesi dopo essere state scoperte e scritturate a Los Angeles dalla Mercury, le cinque ragazzacce hanno centrato l’obiettivo al primo colpo. Qualcuno sospetta che dietro l’improvviso successo ci sia l’abile zampino di Fowley e che le Runaways siano solo una furba operazione commerciale. Non è così. Chiamate a far da spalla a due gruppi importanti come i Television e i Talking Heads a settembre faranno esplodere con la loro fulminante esibizione il CBGB’s, tempio del punk rock newyorkese. Un successo così rapido non può però non ripercuotersi sull’equilibrio interno del gruppo, che non reggerà alla pressione e si frantumerà con altrettanta rapidità. Alla vigilia del primo tour giapponese della band se ne andrà Cherrie Currie. Non verrà sostituita e le Runaways resteranno in quattro con Joan Jett a fare anche da cantante solista. La soluzione interna non basterà, però, a sopperire alla defezione di Jackie Fox che all’inizio dell’estate del 1977 lascerà il gruppo con i nervi a pezzi dopo aver tentato il suicidio, incapace di reggere lo stress della popolarità. Verrà sostituita dalla bassista Vickie Blue, ma ormai il gruppo è entrato nella fase autodistruttiva. Dopo lo scioglimento delle Runaways Cherrie Currie, Joan Jett e Lita Ford continueranno con alterna fortuna, ciascuna per la propria strada, la carriera musicale.
20 agosto, 2024
20 agosto 1977 – La prima volta dei Fischer-Z di John Watts
Il 20 agosto 1977 dopo vari tentativi debuttano finalmente i Fischer-Z, la band britannica nata da un progetto John Watts, un tipo sveglio che, oltre ad aver studiato sax, clarinetto e batteria ha anche fatto parte del coro della Reale Accademia Militare di Sandhurst. Da tempo lui e il suo inseparabile amico Steve Skolnik lavorano all’idea di questo gruppo. Conosciutisi all’università alcuni anni prima hanno dato vita a un duo chiamato The Onknow Band. Perennemente insoddisfatti e desiderosi di trovare nuove sollecitazioni si trasferiscono prima ad Amsterdam e poi in California, salvo decidere alla fine di ritornare in Gran Bretagna. Nel gennaio 1977 danno vita agli Sheep, una formazione che ancora non riesce a soddisfare appieno le loro aspettative. Con l'aiuto di alcuni annunci pubblicati su "Melody Maker", riescono finalmente a completare l'organico a dar vita ai Fischer-Z. La formazione che il 20 agosto si esibisce per la prima volta in pubblico oltre alla chitarra di John Watts e alle tastiere di Steve Skolnik, schiera il batterista Steve Liddle e il bassista David Graham. L’anno seguente pubblicano i primi due singoli Wax dolls e Remember Russia, anche se il successo tarda fino al 1979 quando il singolo The worker e l'album Word salad conquistano pubblico e critica. Nel 1980, dopo il buon successo di So long e del secondo album Going deal for a living, Skolnik lascia la band e viene sostituito da Bernard Newman. La sua sostituzione riguarda soltanto le esibizioni dal vivo, perchè nella registrazione del terzo album Red skies over paradise del 1981 è lo stesso Watts a occuparsi delle tastiere. La storia della band è però arrivata al capolinea. Nell'estate del 1981, infatti, John Watts, scioglie i Fischer-Z e decide di continuare pubblicando l'album One more twist e il singolo Speaking a different language. La breve avventura dei Fischer-Z non finisce qui. Sull’onda della nostalgia rivedranno, infatti, la luce una decina d’anni dopo, nel 1992, quando, riformatisi, pubblicheranno Destination paradise.
19 agosto, 2024
19 agosto 1991 - Joe Cocker piuttosto di cambiare vita cambia manager
Dato molte volte per finito Joe Cocker sta vivendo nel 1991 l’ennesimo momento magico della sua carriera. L’anno è iniziato con un grandissimo concerto al Maracanà di Rio davanti a oltre sessantamila spettatori ed è proseguito con un’intensa attività dal vivo. Sembra tutto andare per il meglio quando, il 19 agosto, il cantante in una conferenza stampa annuncia di aver licenziato il suo manager Michael Lang e di aver chiesto a Roger Davies di prenderne il posto. La notizia fa sensazione perché sono in molti a credere che il rilancio delle azioni del cantante sia in gran parte dovuto alla capacità promozionale del suo manager. Cocker aggiunge che la sua decisione è definitiva, che non ci saranno ripensamenti. Il motivo? Lang sarebbe colpevole di averlo invitato a rallentare l’attività per non inflazionare la sua immagine. I giornalisti lo subissano di domande. Il vecchio Joe ascolta in silenzio e poi sbotta: «Che razza di mondo è questo dove anche uno come me deve pensare all’immagine? Finora ho dimostrato troppa arrendevolezza verso chi voleva manovrarmi come uomo e come cantante. Penso di essere abbastanza intelligente per potermi permettere di gestire il mio personaggio come pare a me assumendomene tutti i rischi. Se uno nasce con un carattere se lo porta dietro finché campa e non saranno certo un produttore o un manager a cambiare il mio modo d’agire. So perfettamente che nell’ambiente circolano su di me una quantità enorme di stupidaggini e che nessuno mi ha mai preso sul serio, ma non me ne frega niente, tanto ho perso già da tempo il vizio di pianificarmi la vita. Alla mia età rivendico il diritto di andare avanti alla giornata e di fare qualunque cosa come se mi si presentasse per la prima volta. Non mi piacciono questi anni Novanta, falsi e retorici. Pazzo? No non sono pazzo. Potrei diventarlo, certo. Sappiate però che se ciò avverrà non sarà certo a causa di quegli sciocchi che mi girano intorno».
18 agosto, 2024
18 agosto 1966 - Paul Jones saluta i Manfred Mann
Il 18 agosto 1966 la notizia che da qualche giorno circola negli ambienti musicali britannici diventa ufficiale: il cantante Paul Jones lascia i Manfred Mann per continuare come solista e, pare, dedicarsi alla carriera cinematografica. Per sostituirlo verranno contattati prima Rod Stewart e Wayne Fontana, ma poi il posto verrà affidato a Mike D’Abo. A detta dei media la fuga del cantante rischia di essere però un duro colpo d'immagine per la band fondata dal sudafricano Mike Lubowitz, in arte Manfred Mann. Paul Jones appartiene, infatti, al nucleo storico del gruppo e la sua figura carismatica ha avuto un ruolo determinante nel suo successo. I tentativi di trattenerlo non ottengono risultati anche perché, stando alle dichiarazioni, non c'è nulla di personale nella scelta di abbandonare il suo vecchio amico Lubowitz. Paul Jones se ne va perché è stanco delle continue mediazioni imposte dalla vita di un gruppo. Ha in mente un progetto solistico che si concretizza nella pubblicazione di dischi di scarso rilievo con brani come High time e I've been a bad bad boy. Dal punto di vista musicale la sua scelta solistica non lascerà tracce consistenti almeno fino agli anni Ottanta, quando darà vita alla Blues Band con Tom McGuinness. Paul Jones trova, comunque un modo per caratterizzare con la sua personalità quegli anni anche al di fuori dell'esperienza dei Manfred Mann. Viene infatti scelto da regista Peter Watkins per interpretare la parte del protagonista in "Privilege", uno dei film simbolo degli anni Sessanta. Nell'interpretazione del personaggio di Steve Shorter, il cantante pop strumentalizzato dal music business e poi abbandonato a se stesso quando prende coscienza della sua condizione perde un po' del carisma scenico, ma si guadagna quel pezzetto d'immortalità che le sue esperienze solistiche probabilmente non gli avrebbero dato. Nonostante le previsioni fosche sul loro destino i Manfred Mann, sopravviveranno anche senza il loro storico cantante. Prima di inserire in organico una nuova voce solista tentano, per la verità, di lasciare le cose come stanno pubblicando due EP strumentali Instrumental asylum e Instrumental assassination che, però, lasciano indifferente il pubblico. Abbandonata rapidamente ogni velleità di rinnovamento e inserito in organico il già citato Mike D'Abo, ritroveranno la strada del successo con brani di facile consumo, pur se non privi di originalità come Ha! Said the clown, My name is Jack, Fox on the run e Ragamuffin man, oltre alle dylaniane Just like a woman e The Mighty Quinn.
17 agosto, 2024
17 agosto 1986 - Per i Def Leppard la solidarietà conta più del successo
Il 17 agosto 1986 a Donington nel corso del Monsters of rock, salutati da un’ovazione e accolti dal rispetto di tutto il “popolo metallico” tornano a esibirsi in pubblico dopo quasi due anni i Def Leppard. La band di Sheffield schiera in formazione il batterista Rick Allen che riprende il suo posto dopo aver subito l’amputazione di un braccio. I suoi compagni Joe Elliott, Steve Clark, Rick Savage e Phil Collen entrano così nella storia del rock per uno straordinario atto di solidarietà, inusuale in un ambiente in cui i soldi sembrano contare più dei rapporti umani. Tutto ha inizio il 31 dicembre 1984, quando Rick Allen viene coinvolto in un grave incidente automobilistico. Al suo arrivo in ospedale ha ferite in tutto il corpo, ma, soprattutto, ha il braccio sinistro ridotto in condizioni pietose. I medici tentano il tutto per tutto, vista anche la popolarità del paziente, ma non possono evitare il peggio. Tre giorni dopo il ricovero l’arto viene amputato. In quel periodo i Def Leppard sono all’apice della popolarità, soprattutto negli Stati Uniti dove i loro dischi arrivano regolarmente al vertice delle classifiche. L’incidente a Rick Allen è di quelli che, in genere chiudono una carriera. Si è mai visto un batterista heavy metal senza un braccio? La vita deve continuare e il successo anche. I discografici propongono ai Def Leppard vari sostituti, ma Elliott e i suoi compagni prendono tempo. Vogliono prima parlarne con Rick. «Se tu sei disponibile, noi non continuiamo senza di te. Oggi la tecnica fa miracoli. Se tu ci stai t’aspettiamo. Abbiamo cominciato insieme, continueremo insieme. Ci sono cose che contano più dei soldi. Ci stai?» Il batterista ci pensa un po’ e poi risponde di sì. Quando viene dimesso, per mesi si esercita a suonare una nuova batteria con un solo braccio e con i piedi, chiedendo aiuto all’elettronica per i passaggi più complessi. Dopo un anno di faticoso lavoro è pronto. A Donington è di nuovo in concerto con i Def Leppard, dietro a una sofisticata batteria elettronica Simmons, dotata di un computer SD57. L’energia è la stessa di prima, la voglia di suonare anche.
16 agosto, 2024
16 agosto 1968 – L’inaspettata morte di Cutty Cutshall
Il 16 agosto 1968 a Toronto, in Canada, dove si trova in tournée con gli All Stars di Eddie Condon, muore improvvisamente il trombonista Cutty Cutshall. Ha cinquantasette anni. Nato a Huntington County, in Pennsylvania, 29 dicembre 1911 è registrato all’anagrafe con il nome di Robert Dewee Cutshall. Giovanissimo comincia l'attività professionale a Pittsburg suonando nell'orchestra sinfonica comunale e in vari gruppi da ballo. Nel 1934 viene ingaggiato da Charley Dornberg e dal 1938 al 1940 suona con il gruppo della cantante Jan Savitt Successivamente entra nell’organico dell'orchestra di Benny Goodman e ci resta fino alla fine del 1946 sviluppando un rapporto di amicizia e rivalità professionale con Lou McGarity. Nella band di Goodman Cutshall si fa conoscere e apprezzare sia dai critici sia dal grosso pubblico. Nel 1948 ottiene un importante ingaggio al Nick's, il tempio dei dixielanders di New York, dove suona prima con Billy Butterfield. A partire dal 1949 entra a far parte degli All Stars di Eddie Condon diventandone un componente fedele e quasi inamovibile. Verso la fine degli anni Cinquanta, Cutshall suona anche con le orchestre di Bob Crosby, ancora una volta a fianco di McGarity, e di Wild Bill Davison pur senza abbandonare l’impegno primario con il "clan” di Condon. Nel 1965 entra partecipa a una serie di registrazioni della band di Yank Lawson e Bob Haggart che dal punto di vista stilistico anticipano la nascita della World Greatest Jazz Band nella quale ha ancora una volta al suo fianco McGarity. Non riuscirà però a prender parte alle prime incisioni di quest’orchestra perchè la morte lo sorprende a Toronto dove avrebbe dovuto esibirsi per l’ultima volta con gli All Stars di Condon.
Iscriviti a:
Post (Atom)